4. Come strutturare il gruppo di controllo? Quale/i funzione/i assegnare
ai compagni? Come veicolare correttamente i loro presunti
contributi?
5. Quali testi si sottoporranno all’analisi del/i discente/i ?
6. Quali obiettivi realizzare, quali competenze e quali comportamenti
osservabili è legittimo attendersi ? e infine
7. Quali sono i possibili “effetti collaterali” che una simile procedura
può determinare nei processi cognitivi e socio-affettivi di un
insufficiente mentale ?
Le risposte fornite non rappresentano fonti di certezza ma
costituiscono soltanto delle ipotesi formulate sulla base delle speculazioni
riportate. Il conforto di chi scrive, del resto, è già in parte nell’aver
motivato ulteriormente l’alunno protagonista di questo itinerario verso il
raggiungimento di piccole ma autonome scoperte all’interno di un mondo
di parole che giocano a nascondersi !
CAPITOLO I
ASPETTI COGNITIVI E LINGUISTICI DEL “CLOZE”
1.1 – Che cos’è il “cloze” ?
Con il termine “cloze”
1
si intende un tipo particolare di attività didattica ottenuta
cancellando da un testo una parola ogni cinque (oppure sei o sette). Compito del
discente è quello di colmare le lacune volutamente introdotte dall’insegnante.
Originariamente la tecnica veniva utilizzata dai linguisti americani per misurare
la leggibilità (“readability”) dei testi.
In un secondo momento ci si accorge però della sua più vasta portata: il “cloze”
poteva benissimo affiancare o sostituire i questionari per la verifica dell’abilità di
comprensione globale di un testo scritto.
Fino a tempi recenti questa “procedure” è stata usata in Italia quasi
esclusivamente nell’insegnamento della L2 (nelle istituzioni private come Berlitz
Schools o British Institutes veniva invece proposto come test di ingresso per decidere
il gruppo di livello in cui inserire l’allievo) oppure come prova integrata (con forti
resistenze nell’ “ancien régime” della classe docente) per l’uso contemporaneo di due
o più abilità.
Oggi il cloze viene sperimentalmente somministrato, con testi in lingua madre,
in alcune scuole elementari e medie come
• test sommativo sulle acquisizioni linguistico-cognitive dello studente
• test di comprensione e per l’apprendimento di nozioni o schemi studiati in
classe
• spunto per una riflessione collettiva in classe sulla lingua (grammatica e
lessico)
1
Il termine è dovuto a W.C.Taylor (1953 – “Cloze Procedure: a New Tool for Measuring
Readibility”, in Journalism Quarterly , 30, pp. 416 -438), il quale trasse ispirazione dai “closure
tests” (tests di chiusura) già usati dagli psicologi della Gestalt. In questo caso però, si proponevano
figure semplici, in genere di tipo geometrico, con qualche elemento mancante da inferire per
completare il quadro. I Gestaltisti attribuivano a questa esperienza una dimensione totalitaria in
grado di indurre la strutturazione e la relazionalità dei dati osservati nel tutto da realizzarsi. Taylor
pensò di spostare le lacune create dai segni iconici ai segni linguistici.
• stimolo ad esaminare gli aspetti morfologici, lessicali, sintattici e stilistici del
testo esaminato.
Appare così evidente la funzione euristica del cloze che induce l’allievo motivato
a ragionare sulle modalità di “funzionamento” della lingua, portandolo infine ad
una graduale consapevolezza sulla diversità semantica, morfologica e topologica
delle parole e sui rapporti e legami che le parole stesse instaurano all’interno degli
enunciati, del testo e del co-testo.
Il cloze potrebbe, ma solo per alcuni versi, essere apparentato con l’ellissi. In
entrambi v’è qualcosa che manca, da inserire in un caso, da esplicitare per occorsa
omissione nell’altro. Le lacune nel cloze sono tuttavia di natura artificiale, non
grammaticale e generano quell' horror vacui che non è dato di rinvenire
nell’ellissi. Se confrontiamo, infatti, i due esempi
a) “Non entri nello
scompartimento ! Lei ha preso la
mia ... . Non se n’è accorto ?Eppure
non erano uguali. La mia è in pelle
nera e ha incise le mie iniziali.
Inoltre è molto capiente, potrei
riconoscerla fra mille.
Di valigie così non se ne vedono
tutti i giorni ! ”
b) “Quel signore ha preso la mia
valigia ed io la sua”
ci rendiamo subito conto che:
1. il testo b) è immediatamente comprensibile ( non altrettanto potrebbe dirsi per
a)
2. il secondo testo , più che nascondere qualcosa al suo interno , esplicita i
meccanismi di omissione (con l’ ellissi del predicato verbale “ho preso”) e di
sostituzione operanti ( per via della pronominalizzazione “la sua”).
A questo punto ci si chiederà : “Come spiegare agli allievi la parola cloze ?
Tradurla letteralmente con “esercizi di completamento di testi” risulta disagevole
e occorrerebbe poi distinguere fra i due tipi di “cloze” più comunemente in uso.
Procediamo con ordine . Non si rilevano grossi problemi nell’ indicare, con una
terminologia semplificata ovviamente, questo tipo di prova/esercizio agli alunni.
L’anglicismo “close” non ci è sembrato opportuno. Desideravamo un equivalente
che agisse da immediato referente funzionale, di modo che il nostro alunno
svantaggiato comprendesse subito a quale esercitazione si alludeva. La soluzione
ci è stata suggerita da Fabrizio
2
, il quale, alla domanda su come avrebbe chiamato
questa attività ha risposto prontamente:
“Esercizio con i puntini !”.
Per accertarci che avesse compreso la funzione dei puntini abbiamo aggiunto:
“Bene, a che cosa servono, secondo te, questi puntini ? Prova a leggere il brano
!”.
Dopo un po’ il nostro esclamava:
“Mancano le parole, non si capisce bene perché mancano delle parole!”.
Il problema era risolto. Adesso sapevamo che “l’esercizio dei puntini” era quello
in cui mancavano delle parole !”. Si era così una soluzione per quel che riguardava
l’ambiguità del termine, dalla letteratura corrente indicato nella duplice accezione
della procedura e del risultato inerente all’applicazione della procedura stessa, in
pratica un “testo con delle lacune”. Veniamo adesso alla distinzione fra “cloze
classico” e “cloze mirato”. Taylor in realtà aveva semplicemente parlato di “cloze
procedure” intendendo con ciò il cosiddetto “cloze classico”, che consiste poi
nella definizione di cloze che abbiamo già dato. Se i buchi, le lacune che
introduciamo nel testo non sono ad intervalli “regolari”, cioè non rispettano il
criterio di una parola ogni cinque (o sei oppure sette) e se, ancora meglio, i vuoti
nascondono parole “precise” che vogliamo far trovare al lettore (es. articoli,
aggettivi, nomi, ecc.), allora alcuni autori preferiscono parlare di “cloze mirato”.
Contro questa differenziazione si scaglia P.E.Balboni, il quale così puntualizza:
2
Per motivi comprensibili il nome dell’alunno con handicap è fittizio. I genitori dello stesso, infatti,
pur acconsentendo all’osservazione e alle esercitazioni con il figlio hanno chiesto che si mantenesse
l’anonimato.
“Cloze.Tecnica che verifica la capacità “pragmatica” (Oller) di prevedere
correttamente quanto sarà detto o scritto in un messaggio, basandosi sul contesto
e, soprattutto, sul co-testo. Per realizzare la procedura cloze si cancellano parole
da un testo (di solito il 15 %, una parola ogni sette ) e si chiede all’allievo di
ricostruire il testo originario o, quanto meno, un testo coeso e coerente. Da non
confondere con gli esercizi di completamento (“fill-in-the-blanks”) che
verificano o esercitano conoscenze grammaticali o lessicali, perciò le parole non
sono cancellate statisticamente (una ogni x) ma in maniera “ mirata”
(preposizioni, verbi, ecc.)
3
Noi, in realtà, non saremmo così categorici, poiché in accordo con quanto sostiene
C. Marello
“ anche cancellando determinate parole o una certa parte del discorso (aggettivi,
articoli, ecc.) e chiedendo di reintegrarle, si verifica una capacità pragmatica, e
una capacità che supera le conoscenze linguistiche, grammaticali e lessicali”.
4
Pur usando una terminologia differente, siamo anche sostanzialmente concordi con la
distinzione proposta da L.F. Bachman
5
, il quale definisce “rational deletions” (=
cancellazioni razionali ) le lacune “mirate” e “fixed-ratio deletions” (= cancellazioni
con intervallo fisso ) i buchi creati con il “cloze classico”.
Occupiamoci ora, in dettaglio, di quest’ultimo tipo. La letteratura accreditata nel
settore sostiene che il cloze non possa contenere meno di 50 spazi vuoti affinché
riesca a verificare in modo attendibile la comprensione globale del testo.
Ci vuole così poco a fare i conti. Supponendo di cancellare una parola ogni sei il
brano dovrà contenere, aggiungendo le parole delle due righe iniziali che si danno
normalmente per intero, non meno di 315 - 320 parole. Come vedremo, non sarà
questo il caso dei testi che noi sottoporremo all’attenzione del nostro alunno (troppo
lunghi !). Naturalmente possiamo restringere o dilatare a piacere gli intervalli di un
3
v. P.E.Balboni: “La terminologia della glottodidattica” in Lingue e Civiltà, febbraio 1986, pp.13 –
17.
4
v. “Dal cloze esce il testo” di C. Marello in “Alla ricerca della parola nascosta” a cura della stessa
autrice – La Nuova Italia 1989.
5
cfr. L.F.Bachman “The Trait Structure of Cloze Test Scores” in Tesol Quarterly 16 (1) – 1982, pp.
61 – 70.
cloze, ma l’esperienza dimostra che al di sotto di una parola ogni cinque (ad esempio
una parola ogni quattro o tre) la prova si presenta troppo difficile perché sia compresa
mentre al di sopra di una parola ogni dieci il cloze è troppo facile e i risultati in uscita
non testano più le difficoltà di comprensione del testo. Questo, ovviamente, per un
lettore normodotato. Non ci faremo scrupoli di contravvenire a questa regola nello
strutturare le esercitazioni di Fabrizio. Gli alunni con handicap di tipo psichico,
infatti, sia pure, come nel nostro caso, di un’insufficienza mentale lieve necessitano
di un numero maggiore di agganci testuali (co-referenze, anafore, solidarietà lessicali,
pronominalizzazioni, ecc.) per superare o meglio colmare quel “gap” potenzialmente
inibente di cui si diceva. Le loro capacità pragmatiche di inferenza, di anticipazione,
di argomentazione, ecc. sono, infatti, più ridotte rispetto agli standard riscontrabili
nella media degli alunni “normali”. Ma riprenderemo in seguito questo punto
amplificandolo.
Un’accortezza da usare è quella di riscrivere il testo, imponendo ad ogni spazio
vuoto la medesima lunghezza. Ciò per non agevolare lo sforzo del discente con dei
segnali di tipo “non linguistico”. Fotocopiando un testo al quale sono state cancellate
alcune parole, non riusciamo, infatti, a celare la lunghezza di quelle da inserire e, così
facendo, suggeriamo indirettamente all’allievo un criterio “deviante” col quale
aiutarsi nell’inferire i completamenti.
Altro fattore da tenere in considerazione: il tempo per la prova/esercitazione.
Questa variabile è estremamente fluida poiché sembra dipendere da:
1) la lunghezza del testo proposto;
2) lo scopo che ci prefiggiamo nel somministrare il cloze;
3) l’età mentale (presunta) degli allievi e il loro livello di scolarizzazione ( ciò
soprattutto per il “cloze mirato”).
In genere, l’esercitazione è svolta in classe (a casa mancherebbero controlli
importanti come il tempo impiegato e soprattutto l’autonomia nell’espletare la
consegna !) in una sola lezione, chiedendo agli alunni di scorrere il testo avanti e
indietro per “riprendere” lacune erroneamente riempite o poco chiare ad una prima
lettura superficiale.
Anticipo qui che, nelle esercitazioni realizzate, abbiamo sempre letto a voce alta il
cloze agli allievi e poi si è chiesto ad alcuni di loro (Fabrizio compreso) di rileggerlo
nello stesso modo, prima che permettessimo loro di procedere con la lettura
individuale e silenziosa. Ciò per persuadere gli allievi stessi (soprattutto F.) che, per
quanto manipolato e strano possa apparire, il cloze comunque proponeva un testo e
che il gioco consisteva soltanto nel trovare quelle parole che si erano nascoste e non
nel temere di sprofondare nel baratro di uno o più vuoti inquietanti. Questo timore, a
dire il vero, si dimostrerà più fondato da parte di chi scrive che da parte degli allievi.
Fortunatamente la dimensione ludica ha finito col prevalere negli animi di ciascuno,
ma non ci rimprovereremo questo eccesso di prudenza. Anche qui, in ogni caso,
abbiamo adattato i dettami canonici del cloze che non prevedono, nella
somministrazione normale, la lettura ad alta voce. Ad ogni buon conto, ci siamo
premurati di evitare il più possibile di emettere segnali non verbali, prosodici,
soprasegmentali che avrebbero potuto influenzare le “fatiche” del nostro “uditorio”.
Non abbiamo voluto tenere in considerazione gli errori di ortografia e le
reintegrazioni sinonimiche. In taluni casi, abbiamo anche accettato le restituzioni di
iperonimi e co-iponimi al posto del termine voluto. Non abbiamo, infatti, ritenuto che
simili variazioni, in specie se provenienti dal nostro, potessero inficiare la validità
della prova (in ciò confortati dagli studi di Levin
6
e Nordentoft
7
).
Un problema da risolvere si è dimostrato il gestire i cosiddetti “effetti di fondo”
e gli “effetti di superficie”. Con i primi ci riferivamo a quei riempimenti automatici,
casuali, per i quali non sarebbe neppure indispensabile la comprensione del testo
(essendo sufficiente quella intrafrasale), per esempio
- “Passami …… vino, per piacere”. - “Questo ?”
6
cfr. Levin L. (1965) “Cloze Procedure” Rapporto per l’Istituto di Pedagogia dell’Università di
Goteborg, 18, pp. 47 – 61. .
7
cfr. Nordentoft (1981), Copenaghen, Rapporto per l’Istituto di Lingua e Letteratura Danese.
- “Si, quella bottiglia, ……... !” - “Prego”.
In uno scambio simile, chiunque sarebbe facilmente in grado di colmare le lacune
rispettivamente con “il” e “grazie”, senza che ciò possa testimoniare alcuna capacità
reale di comprensione del testo. Gli “effetti di superficie” invece si hanno laddove le
lacune sono riempite, più o meno appropriatamente, soltanto dagli allievi migliori, ad
esempio
- Si racconta che una volpe per …… abbia invitato a cena una cicogna
……astuta le servì un brodo su ……ampio piatto, ecc.
(da “La volpe e la cicogna” di Fedro)
In questo testo, che riprodurrebbe per intero la nota tavoletta, non è certo facile
neppure per un lettore esperto inferire, ignorando il racconto, “prima” e
“quell’”nelle due lacune iniziali, mentre è sicuramente un “effetto di fondo” il terzo
riempimento (“un”).
Come ci siamo orientati con il nostro allievo? Abbiamo fatto uso un po’ dell’uno
un po’ dell’altro “effetto”, con obiettivi però diversificati. Abbiamo cioè fatto ricorso
all’effetto di superficie quando intendevamo verificare una conoscenza, o la capacità
di inferire, in modo specifico, un “item” voluto, mentre abbiamo proposto qua e là
degli effetti di fondo allo scopo di
1. gratificare l’allievo maggiormente dandogli la sensazione di essere in grado di
operare un numero discreto di riempimenti corretti (ma, in sede di correzione,
abbiamo tenuto debitamente conto dell’artificio operato)
2. alleviare la tensione per non inibire lo stimolo e la motivazione
all’espletamento della consegna con il rinvenimento di troppe “lacune”
problematiche consecutive
3. contribuire, anche con il riempimento di lacune più “facili”, alla comprensione
globale del testo proposto.
1.2 - Gli aspetti cognitivi del “cloze”
Che cosa ha di tanto sorprendente questa tecnica da suscitare consensi così
entusiasti nell’ambito della linguistica a livello internazionale?
Come già s'è detto, il "cloze procedure" misura la capacità, l'abilità
dell’alunno di decodificare messaggi lacunosi basandosi sugli indizi contestuali
per restituire le parole "sottratte". Ciò è reso possibile anche dal fenomeno
linguistico della ridondanza, della reiterata presenza cioè di termini in funzione
anaforica oppure solidali (tra loro) dal punto di vista morfologico, lessicale,
grammaticale, stilistico, ecc..
Inoltre, agendo a livello testuale, il "cloze" verifica in contesto la padronanza di
tutte le micro-abilità componenti l'abilità globale di comprensione di un testo
scritto (e cioè: la conoscenza del sistema grafologico, del sistema lessico--
grammaticale, in particolare il riconoscimento dei campi semantici e della loro
collocazione, i meccanismi di formazione delle parole, il loro ordine a livello di
frase, la coesione lessicale, i connettori logici, ecc.) nonché il possesso delle
principali strategie di lettura (globale o cursoria, locale o orientata, veloce, ecc.)
e, infine, di un più vasto sistema "culturale" all'interno del quale si collocano in
vario modo le variabili su esposte. Il cloze, ancora, ricrea quel processo di
mediazione tra il significato testuale e il significato del lettore che
H.G.Widdowson
8
definisce come "autentication" (il lettore cioè rende per sé
autentico il significato del testo creandosene uno proprio, tramite una libera ed
arbitraria restituzione delle lacune introdotte nel testo). Ciò spiega anche il
motivo per il quale questo tipo di attività didattica sia diventato così popolare
negli ambienti scolastici in questi ultimi anni, parallelamente ai nuovi
orientamenti della linguistica testuale e dell'insegnamento comunicativo.
8
cfr. Widdowson H.G., “Teaching Language as Communication”, O.U.P., 1978.
Per ogni parola sottratta al testo è possibile, inoltre, se l'insegnante è attento
e paziente, ricostruire o tentare di estrinsecare i processi cognitivi messi in atto dal
discente per restituire interezza al testo proposto. I "buchi" del cloze si
trasformano così
“in altrettante finestre aperte sui meccanismi cognitivi dei propri allievi”
9
Come vedremo nel seguito con i cosiddetti "giochi di previsione", non sarà però
tanto semplice accedere nei percorsi mentali di un allievo intento a questo tipo di
esercitazione.
Un altro importante aspetto del cloze è la possibilità (che noi abbiamo
realizzato) di discutere collettivamente, con gli allievi, le lacune del testo. Il che
comporta tutta una serie di vantaggi:
1) la discussione dopo-cloze diventa un pretesto per fare lezione di lessico, di
grammatica, di storia, geografia, ecc. (secondo gli scopi per i quali l'attività è
stata proposta)
2) gli allievi saranno inconsciamente guidati a riflettere metalinguisticamente (a
fare cioè "discorsi sulla lingua"), perché, dovutamente stimolati, saranno
chiamati a difendere la propria "lettura" del testo e a persuadere i compagni (e/o
lo stesso insegnante, perché no? ) della bontà della propria ricostruzione.
9
v. “Dal cloze esce …” – ibidem – p. 1.
3) per far questo (ricollegandoci al secondo punto) essi produrranno, a loro volta,
testi orali di tipo argomentativo (a difesa cioè delle loro interpretazioni). Ciò
comporterà capacità inferenziali, padronanza di linguaggio (e metalinguaggio
grammaticale, sebbene quest'ultimo non sia un prerequisito ma possa diventare
un obiettivo "dirottato" dell'attività post-cloze), abilità descrittiva, narrativa, ecc.
(in proporzione, naturalmente, all'età e alle possibilità concrete degli allievi).
Un effetto "collaterale" del cloze si produce, per rimanere sul terreno
motivazionale e quindi cognitivo, con la "chance" concessa al lettore di poter
realizzare una lettura attiva del testo, di farlo diventare egli stesso autore e creatore di
un proprio testo all'interno di quello suggerito. Questo aspetto, già accennato in
precedenza, permette al discente di potersi arrogare il privilegio di scegliere la parola
giusta al posto giusto e contestare così, indirettamente, le soluzioni lessicali,
stilistiche, ecc. fornite dallo scrittore. Il tutto a condizione che non siano lesi due dei
criteri intrinseci alla testualità: la coesione e la coerenza. Gli alunni, seppur sprovvisti
di un metalinguaggio grammaticale condiviso, sanno bene come rispettare, queste
regole. A dimostrazione riportiamo proprio un'esclamazione di Fabrizio:
"Io non conosco quella parola lì, secondo me può starci meglio quella che ho messo
io!"
Per quel che riguarda invece la possibilità di comprendere il brano da parte dello
studente, gli studi di J.R. Bormuth
10
hanno dimostrato che é conveniente utilizzare,
per scopi pedagogici e con l'ausilio del docente, quei testi con tasso di
comprensibilità intorno al 75% (come risulta dalle risposte ai questionari di
10
cfr. Bormuth J.R. (1965) , “Optimum Sample Size and Cloze Test Length in Readability
Measurement”, in Journal of Educational Measurement, 2:1, pp. 111 – 116. La formula più nota per
calcolare il coefficiente di leggibilità è quella data da Flesch, secondo il quale Cl = coefficiente di
leggibilità = 206 - p – (0.6 moltiplicato s) (con p = numero medio di parole per frase del testo in
esame, s = numero medio di sillabe per ogni 100 parole del testo considerato e “206” = numero
fisso). Questa formula ignora però le difficoltà strutturali di un testo.
comprensione). Se spostiamo al 90% il tasso di leggibilità, allora i testi saranno
idonei ad essere appresi autonomamente senza alcuna guida didattica. Lo stesso
studioso ha poi realizzato delle corrispondenze assai interessanti e cioè, i tassi di
leggibilità ricavati con le domande di comprensione equivalgono a una percentuale
mediamente più bassa di reintegrazioni esatte nel cloze, come si evince dalla tabella
seguente:
% di leggibilità misurata con.
domande di comprensione
% di riempimenti corretti col cloze
75% 44%
90% 57%
E’ proprio tra queste due percentuali (44% e 57%) che si situerebbero (cfr. Ramson
1968)
11
le reintegrazioni corrette di quei cloze ritenuti adatti a verificare le capacità
di comprensione di alunni con età mentale fra i sette e i dodici anni (come nel caso
del nostro).
A questo proposito, gli studi della Nordentoft hanno fatto luce
12
sulle
corrispondenze fra tasso di comprensibilità del testo e capacità del lettore nel
reintegrarlo. Se, infatti, il cloze é riempito correttamente per meno del 36%, il
discente dimostra di essere "debole" per quel testo, che diventa inutilizzabile a fini
didattici e psicologicamente frustrante. Se portiamo la percentuale di reintegrazioni
corrette fra il 37 e il 43% il testo si presenta difficile e il lettore mediocre. Il lettore
medio si colloca così proprio all'interno di quel 44 e 57% di riempimenti corretti di
cui si diceva (il relativo testo sarà dunque pedagogicamente idoneo). Con percentuali
superiori al 57% invece siamo in presenza di un allievo notevolmente dotato oppure,
più semplicemente, dinanzi ad un testo adatto ad essere letto autonomamente (o,
infine, la concomitanza di ambedue le ipotesi).
11
cfr. Ramson P. (1968), “Determing Reading Levels of Elementary School Children” in Figurel
(ed), Foreign Ahead in Reading, International Reading Association, pp. 477 – 482.
12
cfr. op. cit. 1981, p. 26.
Quattro fattori, infine, sempre secondo la ricercatrice danese, agiscono sulla
percentuale di risposte corrette in un cloze:
1) eventuali momenti di distrazione o elementi di disturbo durante lo svolgimento
dell'esercitazione;
2) la familiarità dell'allievo con l'argomento;
3) la presenza di un lessico non troppo difficile, di sequenze lineari, di uno stile
semplice.
4) i probabili pregiudizi di chi legge su ciò di cui tratta il testo.