6
testi, infatti, parlano di personal media a sproposito, senza un approfondimento
concreto, senza centrare i nodi concettuali più interessanti e significativi. In poche
parole i personal media sembrano proprio essere, ancora, i soliti noti sconosciuti, di
cui in tanti discutono, ma in pochi comprendono.
In tal senso le pagine che seguono tentano di essere, forse pretestuosamente, un
tentativo di sistematizzazione dei personal media e di chiarificazione di alcune loro
caratteristiche. Capire, insomma, in termini più circoscritti, quali sono le loro
origini storiche, cosa sono realmente, che funzioni possiedono, come si collocano
nell’ampio universo dei media e quali rapporti intrattengono con gli altri strumenti
di comunicazione, sono stati i nostri obiettivi di studio. Inevitabilmente la ricerca
svolta dimostra una parzialità di fondo irriducibile, dovuta alle definite scelte di
campo e ai particolari tagli interpretativi che hanno sviluppato, ora, un aspetto
della questione, ora, un altro, non potendo evidentemente cogliere l’interezza della
materia attinente al personal medium. Eppure l’opera è stata suddivisa in quattro
diversi capitoli fortemente interagenti e complementari tra loro, in modo da
costruire tutti insieme uno scenario investigativo coerente. Nello specifico, infatti,
si è seguita in prima istanza una traccia speculativa che affrontasse l’argomento
nella sua duplice dimensione tecnologica e sociale. Il primo capitolo, in questa
direzione, ha cercato, da una parte, di ricostruire storicamente la radice
tecnologica atavica alla base dei sistemi personal media. In primo luogo con il
richiamo ai media storici in questo senso più rappresentativi, come il libro, la
fotografia, il telefono e la radio, quindi con l’analisi della rilevante maturazione
tecnologica del personal computer ed infine con lo studio della produttiva e
determinante esperienza del MediaLab. Dall’altra parte invece si è approfondito
l’aspetto sociale di queste tecnologie attraverso lo studio delle riflessioni teoriche
compiute da alcuni importanti osservatori della società della comunicazione,
individuando, peraltro, un duplice approccio interpretativo, distinto nelle pagine
seguenti tra realismo tecnologico e utopia tecnofila. Specificatamente nel primo versante
teorico sono state discusse e approfondite le letture esplicative di alcuni autori
(Bijker, Breton e Beck) che nelle loro analisi hanno sempre mantenuto un
evidente contatto con la vera realtà sociale e comunicativa, sfuggendo dal cieco
ottimismo e dai biechi determinismi tecnologici. L’altra concezione interpretativa,
invece, è stata individuata in quelle personalità (Innis e McLuhan, Negroponte, de
7
Kerckhove e Lévy) che, sebbene in certi casi abbiano dimostrato grande spessore
scientifico e un’efficace produttività esegetica, sono comunque scivolati in
approcci eccessivamente utopisti e in ristrette e forzate trame deterministiche. Si è
quindi cercato di sottolineare le definizioni contrastanti che i personal media
hanno indotto sul contesto sociale, con l’obiettivo però di sgomberare il campo
dalle false credenze e dalle confuse interpretazioni. Nel secondo capitolo, quindi,
si è approfondita la reale ed effettiva forma che assume oggi nella quotidianità
comunicativa il personal medium, rilevando tuttavia una sottile, ma importante
distinzione linguistica tra media personali e media personalizzabili. Una classificazione,
questa, elaborata nel tentativo di chiarire e distinguere definitivamente la diversa
natura degli strumenti di comunicazione personali, propriamente detti, dai mezzi
di comunicazione di massa, che aspirano a diventare personali. In questa ottica
sono state analizzate, per i media personali, le diverse dinamiche fruitive del
telefono, del cellulare e del walkman, mentre per la categoria dei media
personalizzabili, quelle della televisione e della radio, nelle diverse definizioni della
payTV, del VideoOnDemand, del Personal Video Recorder e del Digital Audio
Broadcasting. Attenzione però a credere di aver dimenticato o omesso dallo
studio l’altro importante strumento comunicativo di massa personalizzabile, il
quotidiano. In realtà quest’ultimo è stato semplicemente inserito in un paragrafo
successivo (par. 2.3), dedicato alla relazione multimodale e multimediale che il
personal computer intrattiene, grazie alle applicazioni della rete, con gli altri
media. Un disegno dello scenario comunicativo personale e personalizzabile,
dunque, che ritaglia uno spazio di riguardo alla medietà del PC, al suo essere (nel)
mezzo del fluire comunicativo contemporaneo, in un contesto comunque ancora in
fieri e in via di strutturazione.
Il terzo capitolo ha, poi, approfondito l’esigenza di conoscere più a fondo la
relazione tra l’oggetto comunicativo e i suoi fruitori. Si è soffermata la lente
dell’indagine sui sistemi di progettazione delle interfacce e sulle implicazioni ad
esse collegate come l’interattività, l’affordance e la personalizzazione dell’interfaccia
stessa. L’interesse si è, in pratica, spostato sul funzionamento di un personal
medium e sullo stretto rapporto, sempre più fisico e corporeo, che l’uomo
istituisce con l’artefatto tecnologico. E’ stato definito il significato di interfaccia,
rilevandone ora, per determinati strumenti comunicativi, l’importanza della sua
8
presenza visibile ora invece, per altri, la sua invisibilità. Un capitolo, dunque, per il
quale diventa necessario un richiamo multidisciplinare, in cui accanto alla
comunicazione si affiancano la psicologia cognitiva, il design industriale e
l’antropologia. Si dimostra insomma come la materia dei personal media coinvolga
più ambiti del sapere scientifico, spesso non direttamente collegati tra loro.
Il quarto ed ultimo capitolo, infine, cerca nelle pagine conclusive di riannodare le
fila teoriche seguite lungo lo svolgimento della traccia di ricerca. Innanzitutto
precisando il riferimento metodologico, sotteso nell’intera tesi, nel richiamo
all’approccio genealogico riflessivo sostenuto da alcuni autori come Mattelart, Flichy,
Marvin e Abruzzese. Studiosi che hanno ricostruito, dai trascorsi storici, il
presente comunicativo e che hanno saputo rintracciare nel passato le ascendenze
originarie di diverse forme della comunicazione contemporanea. Una rivalutazione
della storia, comunque, non nostalgica, o peggio ancora, conservatrice ed
immobilista, ma produttivamente riflessiva per il presente, e perché no, anche per
il futuro comunicativo. Le pagine di questi ricercatori sono state esempio di
grande lucidità teorica, di una lungimiranza speculativa che contrasta con i facili
entusiasmi e le forzature deterministiche di altri autori (Negroponte, de
Kerckhove). Aver fatto riferimento alle loro opere più significative, pertanto, si è
tradotto in una posizione molto netta da parte nostra, di denuncia delle retoriche
futurologiche e dell’eccitazione e della frenesia tecnofila, e di sostegno, invece,
delle analisi bilanciate e riflessive, illuminate dalla memoria storica. Allo stesso
modo è stata ridiscussa l’annosa contrapposizione tra mass e personal media. Si è
dimostrato in più riprese con l’analisi dei personal media, che questi ultimi non
sono dei pericolosi concorrenti dei mass media, poiché in realtà entrambi sono
figli della stessa famiglia comunicativa, e l’esistenza degli uni non contrasta gli altri.
In poche parole si esalta la diversità dei due sistemi comunicativi per affermarne la
loro pacifica convivenza, senza ugualmente negarne le possibili commistioni e
convergenze produttive, dimostrate, tra l’altro, dal processo di personalizzazione
di alcuni mass media.
E’ stato, in tal senso, significativo richiamare nelle pagine conclusive il concetto
analitico di seconda modernità, elaborato da Beck. Gli strumenti di comunicazione,
infatti, alla luce delle modificazioni formali e fruitive esaminate, sembrano
riproporre in campo comunicativo la seconda modernità rilevata da Beck in
9
campo sociologico. La storia e il presente della radio costituiscono l’esempio più
immediato di seconde modernità che si susseguono nell’ambito della
comunicazione. Il suo mutare natura da personal a mass media, e nuovamente da
mass a personal media, dimostra con evidenza il grande fermento insito
nell’universo comunicativo, e soprattutto la fragilità delle nette categorizzazioni e
suddivisioni tra mass e personal media. Ecco quindi in conclusione il contrasto
più interessante: lo scenario della comunicazione con cui si chiude la tesi lascia
quanto mai aperto invece il dibattito comunicativo.
Dopo quanto osservato per concludere, volendo efficacemente sintetizzare
l’intero lavoro di tesi qui sviluppato, potremmo affermare che ogni singolo
capitolo della presente ricerca si riduce ad essere la risposta a quattro rispettive
domande fondamentali sui personal media
2
: in quale contesto socio-comunicativo
sono nati e agiscono (capitolo primo), cosa sono realmente nella quotidianità
comunicativa (capitolo secondo), come funzionano (capitolo terzo) ed infine,
quale rapporto intrattengono con gli altri media (capitolo quarto).
Ma adesso basta. Non aggiungiamo altro, altrimenti rischiamo di rovinare la
lettura delle pagine che seguono.
2
Ci si permette di azzardare un simpatico parallelismo cinematografico con le celebri domande
in romanesco, del film “Viaggi di nozze” di Carlo Verdone, che recitano comicamente: “Chi
siete?, ‘ndò state?, che fate?, ‘ndò annate?” Sembrano ironicamente vicine ai punti di domanda
sopra proposti.
10
CAPITOLO PRIMO
IL PERSONAL MEDIUM TRA TECNOLOGIA E SOCIETA’
Personalizzazione, personalizzare, rendere personale. Questi sono i termini più
frequenti dello scenario comunicativo degli ultimi anni. L’obiettivo di creare su
misura, di modellare ad personam i vari strumenti di comunicazione è ormai una
sindrome tecnologica cui non è possibile sottrarsi. In diversi settori della
comunicazione “personalizzare” va oltre il suo significato semantico, dona un
surplus valoriale all’oggetto, rendendolo più valido, più avanzato e superiore alle
tecnologie precedenti.
Questa rincorsa tecnologica, come ovvio che sia, si compie in forme diverse
nell’ambito dei mezzi di comunicazione, dovendosi adattare alle caratteristiche
precipue di ogni medium. Ecco, quindi, che i media a vocazione individualista
(telefono, walkman, cellulare) giocano questa sfida in maniera diversa dai vari
mezzi generalisti (radio,TV, giornali). In seguito capiremo in che senso e con quali
strategie.
Per ora il fenomeno della personalizzazione verrà affrontato in una duplice ottica
di analisi che si snoda lungo due assi problematici.
Il primo sviluppa la storia tecnologica del medium, cercando di donare spessore
storico al processo di personalizzazione della comunicazione. Si rintracciano le
origini dei personal media nei mezzi di comunicazione storici rivolti alla sfera
personale, percorrendo le tappe significative di alcuni media che hanno
intrattenuto un investimento più intimo e paritetico con i suoi fruitori. In questa
prospettiva il presente studio si soffermerà in specifico sul libro e sulla fotografia,
nella sfera della materialità, e sul telefono e sulla radio, come mezzi della
connessione e dell’immaterialità, cogliendo per ognuno di essi l’uso
particolareggiato e singolare che questi strumenti hanno permesso.
Quindi verrà analizzato il passaggio di svolta che ha impresso la riflessione
cibernetica nello spazio della comunicazione, sottolineandone le dimensioni
speculative, relative alla teoria dell’informazione e quelle funzionali-applicative,
riferite ai nuovi strumenti tecnologici.
11
Infine si esaminerà l’esperienza del MediaLab per studiare l’ibridazione della
materia teorica con quella applicativa nell’ambito della comunicazione elettrica e
per capire come si realizzano i personal media.
Il secondo asse, invece, indagherà la dimensione sociale della diffusione dei
personal media, le riflessioni teoriche che hanno spiegato secondo approcci
diversi l’affermazione e l’impatto delle tecnologie nella società.
Più precisamente sono stati isolati due orientamenti che divergono nel significato
attribuito alla tecnologia, in specifico quella comunicativa, e nel legame che essa
intrattiene con la società: il realismo tecnologico, in cui sono collocate le riflessioni di
Wiebe E. Bijker, Phillipe Breton e Ulrich Beck e l’utopia tecnofila nella quale si
riuniscono le personalità di Harold Innis e Marshall McLuahn, Derrick de
Kerckhove e Nicholas Negroponte, e Pierre Lévy.
Come si nota dai nomi menzionati, all’interno di ognuno dei due filoni teorici si
trovano esperienze di ricerca, ad eccezione di due casi
1
, che non sono legate tra
loro e spesso dimostrano interessi specifici diversi, ma vengono collocate in
un’unica cittadinanza teorica perché condividono la stessa dimensione
interpretativa che spiega le diverse dinamiche evolutive delle tecnologie.
1
Ci riferiamo, come vedremo meglio nel corso del capitolo, alla naturale eredità teorica che ha
riscattato de Kerckhove nei confronti di Innis e McLuhan e quest’ultimo nei confronti di Innis.
12
1.1 LINEA TECNOLOGICA
Studiare i personal media è un compito abbastanza complesso. La radice criteriale
da cogliere si trova ramificata in tanti e diversi universi comunicativi e pertanto, la
difficoltà risiede nel costruire un percorso che illustri il principio vivificatore del
mezzo di comunicazione personale.
Quello che ci apprestiamo a ricercare non è la storia di un medium o di un
insieme di mezzi di comunicazione, ma lo sviluppo originario di una cosmologia
comunicativa, di una sua forma esistenziale, l’intera sfera personale della
comunicazione.
Secondo tale ottica interpretativa, i quattro strumenti comunicativi presi in esame
sono apprezzati proprio per quella tecnologia che li rende personali: il loro essere
legati ad un filo di connessione uno ad uno (telefono), la loro impossibilità ad
essere fruiti da più persone contemporaneamente (libro), la capacità di poter
produrre secondo criteri assolutamente personali (fotografia), l’opportunità di
poter tendere un rapporto di intimità con il medium (radio).
IL LIBRO
Lettore bucolico e tranquillo,
sobrio, ingenuo bravuomo,
getta via questo libro saturnino
d’orge e malinconia!
[…]
Ma se giù negli abbissi sai calare,
senza smarrirti, gli occhi,
leggimi – per amarmi.
2
Charles Baudelaire (1821-1867)
La storia della tecnologia libresca affonda le sue radici nell’invenzione e diffusione
della stampa a caratteri mobili, avvenuta a Magonza, in Germania, nella metà del
XV secolo. Si indica solitamente Gutenberg come l’inventore materiale del
procedimento di stampa, ma in realtà la prima opera di cui ci è nota la data (1457),
il Salterio di Mangoza, è impresa di Johannes Fust, suo finanziatore, e di Peter
2
Tratta da, Aggiunte alla terza edizione de I fiori del Male, in Baudeliere C., I fiori del Male e
altre poesie, Einaudi, Torino, 1999, p.280.
13
Schoffer, assistente di Gutenberg. A prescindere comunque dalle varie vicende
relative alla paternità dell’invenzione, è stato lo scenario politico e sociale
dell’Europa centrale di metà ‘400 ad essere il terreno fecondo più per
l’introduzione dell’invenzione: il fermento cultural religioso che sfocerà in seguito
nella riforma protestante (1517), la crescente spinta dell’iniziativa artigiana e
l’interesse del potere statale nella gestione dei saperi, sono solo alcuni dei
principali fattori coadiuvanti.
Questi ed altri aspetti del contesto storico dell’epoca supportarono il bisogno di
diffusione della conoscenza e della cultura con sistemi quanto più possibili chiari
ed universali. Infatti, precedentemente l’unico sistema di trasmissione dei saperi
era affidato al manoscritto. Tuttavia l’esigenze di documentazione e
comunicazione di determinate istituzioni pubbliche, ecclesiastiche e laiche, che
dimostravano il bisogno di far riprodurre in più copie e più rapidamente il libro,
resero la produzione a mano sempre meno efficiente. In qualsiasi caso però, fino a
primi anni del cinquecento le storie del libro manoscritto e del libro a stampa
rappresentarono due aspetti di unico processo di produzione e di diffusione
culturale, differenziato non tanto dai procedimenti tecnici adoperati, quanto dal
tipo di testo riprodotto, e quindi dal tipo di pubblico per il quale si produceva ed a
cui ci si rivolgeva. Infatti la stampa a caratteri mobili risolveva una serie di
problemi tecnici quali il carattere delle parole, il formato e l’impaginazione del
testo, in modo da rendere la lettura più semplice e alla portata di un pubblico di
lettori più vasto e variegato. Pertanto sin dalla sua nascita la stampa dimostra la
sua carica libertaria e democratica, che estende gradualmente dalle strettissime
cerchie culturali delle istituzioni ecclesiali ai più ampi spazi cittadini il proprio
contenuto. Ai fini dell’analisi in corso l’elemento storico che più interessa è la
penetrazione massiva del prodotto libresco, la sua diffusione capillare, che è stata
preclusa al sistema di produzione del manoscritto. Quest’ultimo, infatti, poneva
dei pesanti criteri di selezione del sapere da registrare e da tramandare, sia perché
solo certi ambienti ecclesiali erano in possesso dei mezzi, sia per la difficoltà del
processo produttivo stesso. In tal senso l’industria libraria ha aperto le pagine del
libro al mercato e alla graduale, ed in certi casi solo potenziale, espansione della
lettura. Tuttavia, la tecnologia della scrittura, rispetto agli altri media di cui si
parlerà più avanti, ha dimostrato e dimostra ancora oggi il pesante limite del lento
14
e difficoltoso processo di alfabetizzazione che riduce selettivamente l’accesso al
medium.
In una società caratterizzata dalla stampa, una persona
deve saper padroneggiare la lettura e la scrittura se
vuole accedere pienamente al bagaglio conoscitivo e
alle reti comunicative della società.
3
Quindi, come osserva Joshua Meyrowitz nella sua analisi dei codici di accesso ai
media, le competenze alfabetiche si rendono necessarie, non solo implicitamente,
per la diffusione del libro, ma in senso più ampio per partecipare alla stessa vita
comunicativa di una società gutenberghiana.
Nei secoli successivi all’invenzione della stampa la circolazione del libro rimase,
comunque, limitata ad ambiti abbastanza ristretti, per motivi legati tanto all’esiguità
delle risorse materiali quanto al basso livello di istruzione degli ampi strati della
società. Dobbiamo attendere il novecento per incominciare ad apprezzare una
mercato di massa del libro. Prima di questo secolo in diversi settori della società la
fruizione del libro era effettuata in gruppo, per cui il processo di lettura prevedeva
una declamazione del testo ad alta voce, un’operazione pubblica, un vero e proprio
atto sociale.
Nel XX secolo con l’istituzione dell’obbligatorietà dell’istruzione, si costituì la base
di lancio per lo sviluppo e la produzione intensiva del libro. Si incominciò a trattare
il libro alla stregua di una qualsiasi altra merce e bene di consumo, si costruirono le
prime reti di vendita per corrispondenza, si ridussero radicalmente i prezzi,
insomma si avvicinò il libro alle mani delle classi subalterne, stimolando in esse una
cultura della lettura.
Un ulteriore sviluppo nel panorama editoriale avvenne negli anni ‘40 con
l’introduzione del “libro tascabile”. Il primo a sperimentare il nuovo formato fu
l’inglese Alan Lane che nel 1935 lanciò sul mercato la collana Penguin Books, libri
di piccolo ingombro rivolti soprattutto al pubblico dei viaggiatori e dei pendolari.
In verità una forma di libro “prototascabile” è rintracciabile sin dal 1501 nell’idea
3
Meyrowitz J., 1985, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1995, p.120.
15
di Aldo Manunzio, noto come “libretto da mano”, ovviamente però con
l’attenzione al solo pubblico aristocratico.
Il “tascabile” moderno, diversamente, venne incontro all’esigenze dell’uomo
metropolitano, sempre in movimento e sui mezzi pubblici, permise una lettura
agile, portatile e svincolata dai limiti spaziali, aprì nuovi momenti privati all’interno
della tumultuosa vita pubblica.
Eppure il tascabile si aggiunge ad un altro storico medium portatile e di facile
lettura, il giornale, ma rispetto a quest’ultimo
il libro è una forma di confessione personale che
presenta un “punto di vista”. Il giornale è una forma di
confessione di gruppo che presenta una partecipazione
collettiva. […] La forma del libro non è un mosaico
della comunità o un’immagine collettiva, ma una voce
privata.
4
McLuhan accenna al rapporto diretto e intimistico tra il lettore e l’autore che si
realizza con il libro.
Il dialogo personale e la linearità della trama comunicativa che la successione delle
pagine e la struttura progressiva della narrazione permettono, differenziano il libro
in modo sostanziale dal giornale.
Nel libro ritroviamo “la comunicazione del pensiero di un altro, ma restando pur
sempre soli, ossia continuando a godere della potenza intellettuale che si possiede
nella solitudine e che la conversazione dissipa immediatamente”.
5
Marcel Proust
nega il carattere conversazionale del libro, esaltando l’irriducibile solitudine che
contraddistingue il sistema della lettura e che consente al lettore un tempo
meditativo e riflessivo. Da queste parole di Proust affiorano alla memoria le pagine
scritte da un altro grande narratore, Italo Calvino, che nell’incipit del suo meta-
romanzo, Se una notte d’inverno un viaggiatore, ha ben descritto l’approccio alla lettura.
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una
4
McLuhan M., 1964, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, Milano, 1995, p.218.
5
Proust M., Sulla lettura, citato in Abruzzese A., Analfabeti di tutto il mondo uniamoci, Costa
& Nolan, Genova, 1996, p.51.
16
notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati.
Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia
che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La
porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione
accesa. […] Prendi la posizione più comoda: seduto,
sdraiato, raggomitolato, coricato. […] Certo la
posizione ideale per leggere non si riesce a trovarla.
6
Il discorrere di Calvino suona come un vero e proprio manuale d’istruzione. Egli ci
suggerisce una scansione di azioni per ottimizzare la nostra lettura. Incita a
“chiudere la porta”, a delimitare il nostro universo dell’attenzione, a trovare la
posizione più comoda, dunque a creare quella predisposizione mentale e fisica che
rendano “leggere” un’esperienza piena ed immersiva.
L’interazione con un libro, […] è molto personale e
individuale. Il libro lo si tiene vicino a sé, se ne
toccano le pagine e a volte vi si scrive anche qualcosa a
i margini. Nessuno, neanche qualcuno che stia
sbirciando alle vostre spalle, può sapere con certezza
qual è la parola o la riga che state leggendo.
7
La lettura di un libro, quindi, richiede un coinvolgimento personale non
trascurabile, un’interazione attiva, materiale e vissuta con le pagine, un impegno
mentale in certi casi molto intenso, insomma un’attivazione completa
dell’individuo. In tal senso, le parole di Alberto Abruzzese aiutano a cogliere
ancora più in profondità l’esercizio della lettura.
Il lettore contratta il significato con la pagina, la fa sua.
La penetra e né penetrato. Risponde al dono della
scrittura con il dono dell’interpretazione. Vede e non
vede. Accoglie e rimuove. Intesse e disfa. Apre e
chiude. Allerta i sensi. Il libro è infatti un oggetto
6
Calvino I.,1979, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Oscar Mondadori, 1994, p.3.
7
Meyrowitz J., Oltre il senso del luogo, cit., p.142.
17
multiplo, carico di senso in tutte le parti che lo
compongono.
8
Inoltre, il libro costituisce un’unità monadica indipendente, isolata, non
programmata. Per poter leggere un libro, infatti, dobbiamo impegnarci nella sua
ricerca, non si offre facilmente al nostro consumo, come capita ad esempio con la
radio o la televisione, che seguono palinsesti ben definiti. Pertanto il momento che
precede la lettura costituisce anch’esso un processo di ricerca personale, un
percorso di totale autonomia della scelta. Il libro, come oggetto, diventa, dunque,
“un simbolo di sé e della propria identità. Noi scegliamo i libri che proiettano in
modo appropriato la nostra immagine e il senso di appartenenza a un gruppo.”
9
In
questa analisi del “medium” libro, quindi, non si pone l’accento sullo status symbol
dell’oggetto, sulla posizione di differenza del lettore, ma sul possesso come segnale
di appartenenza ed identificazione, si rilancia cioè un ponte di collegamento tra
individui, proprio da un medium tipicamente isolato e personale, che può tuttavia
diventare terreno di incontro tra gusti ed interessi individuali.
LA FOTOGRAFIA
La macchina fotografica è il mio
strumento. Grazie ad essa do una ragione
a tutto ciò che mi circonda.
10
André Kertész (1894-1985)
Cercare l’origine storica della fotografia porterebbe troppo lontano nella storia, si
dovrebbe fare riferimento ai principi fisici dell’ottica sin dall’era greca e poi
successivamente agli studi e alle sperimentazioni medievali sulla camera oscura, ed
ovviamente un simile excursus non rientra in questa area di indagine.
Diversamente il presente studio prende avvio dal momento storico di definizione
dello strumento fotografico, dalle prime sperimentazioni del borghese francese
Nicéphore Niépce. Egli rappresentò molto bene la volontà di ascesa del mondo
8
Abruzzese A., Analfabeti di tutto il mondo uniamoci, Costa & Nolan, Genova, 1996, p.59.
9
Meyrowitz J., Oltre il senso del luogo, cit., p.134.
10
Tratta da Breve antologia di citazioni, in Sontag S., 1977, Sulla Fotografia, Einaudi, Torino,
1978, p.178.
18
borghese, lo spirito intraprendente del tecnico-imprenditore di cui parla Patrice
Flichy
11
, la dimensione autodidatta che gli permise di sperimentare a proprie spese
e in modo autonomo le rudimentali forme di incisione con la luce, diventando
litoamatore con la speranza di poter migliorarne il procedimento. Le prime
“fotografie” erano datate intorno al 1816, ne abbiamo notizia da un suo
memoriale dell’8 dicembre del 1827
12
, ma in realtà si trattava più correttamente di
eliografie dal vero, cioè di matrici iconografiche ottenibili direttamente dalla natura,
risparmiando in tal modo il disegno, necessario nel processo litografico. Il
procedimento di Niépce era però troppo rudimentale e complesso. Sarà Louis-
Mandé Daguerre a perfezionare la tecnica di riproduzione dell’immagine,
comprando i diritti dell’invenzione dal figlio di Niépce, Isodore, e realizzando con
il dagherrotipo (1839), un sistema in grado di fissare su lastre di rame argentato
immagini precise, ma non riproducibili. L’invenzione trovò, diversamente da
Nièpce, l’interessamento dello stato francese che ne acquisì la proprietà, rendendo
lo strumento fotografico di dominio pubblico. Lo stesso dagherrotipo, però,
poneva limiti alla realizzazione di una posa a causa dei tempi d’esposizione delle
lastre, troppo lunghe, e della copia unica del soggetto fotografato. Entrambi i
problemi allineavano la fotografia alle forme espressive della pittura, ma in realtà il
vantaggio del dagherrotipo rispetto ad un quadro risiedeva nella capacità di
soddisfare il bisogno della gente di una rappresentazione della realtà più precisa e
più fedele.
Fu questa la ragione principale del suo successo, più e meglio della pittura e di
qualsiasi altro mezzo di riproduzione della realtà, infatti esso riusciva a restituire i
dettagli. Gli impieghi principali del dagherrotipo erano rivolti ad un’esigenza
documentaristica, tanto nella dimensione pubblica, con i palazzi e monumenti,
tanto nella sfera privata con i ritratti dei propri familiari in interni borghesi. In
verità, per quanto i dati vendita degli apparecchi (nel 1846 ne furono venduti a
Parigi 2000 pezzi) prospettavano una diffusione abbastanza ampia, l’uso di un
dagherrotipo era ancora un’impresa per pochi, a causa dei prezzi molto costosi
dell’attrezzatura (circa 400 franchi) e dell’abilità e competenza tecnica che
richiedeva il processo di realizzazione di una posa.
11
Flichy P.,1991, Storia della comunicazione moderna, Baskerville, Bologna, 1994, pp.93-97.
12
Flichy P., Storia della comunicazione moderna, cit., p.100.
19
Per osservare una diffusione più capillare della fotografia ci si deve spostare
dall’altra parte dell’oceano qualche decennio più tardi. Infatti, nel 1881 si realizzerà
negli Stati Uniti, per opera di George Eastman, la tecnica della pellicola flessibile
in rullino, proposta come sostituto della lastra di vetro, che renderà infinita la
replica di un fotogramma. Tuttavia già nel 1887 l’insuccesso fu evidente ed
Eastman si vide costretto a trasformare il prodotto in qualcosa di più completo.
Egli realizzò un apparecchio a pellicola, denominato Kodak, molto semplice da
maneggiare, e assicurò industrialmente il processo di sviluppo e di stampa incluso
nel prezzo: “Voi premete il bottone, noi faremo il resto”. Il successo fu enorme
proprio per la facilità d’uso dello strumento fotografico che non richiedeva più
tutta quella competenza e pertanto si rivolgeva ad un mercato assolutamente
nuovo, quello dilettantistico.
La fotografia è ora alla portata di qualsiasi essere
umano che voglia conservare un ricordo di ciò che
vede. Il taccuino fotografico [la Kodak] è una
testimonianza duratura di molte cose viste soltanto
una volta nella vita e permette al suo fortunato
possessore di starsene nell’intimità della sua casa e
intanto ripercorrere scene e avvenimenti che altrimenti
scomparirebbero dalla sua memoria e andrebbero
perduti.
13
Queste parole tratte da un manoscritto di Eastman, oltre a rimandare ad un’idea
della fotografia decisamente non più elitaria ma massificata: a portata di qualsiasi
essere umano, introducono alla dimensione personale del medium. La macchina
fotografica diventa un taccuino fotografico su cui poter annotare non più pensieri o
ragionamenti, ma impressioni, istantanee, suggestioni iconiche che colpiscono
l’attenzione dello sguardo. Una rapsodica raccolta di immagini che trovano dentro
di noi una giustificazione o un significato ben preciso. Attraversare la città con in
mano lo strumento fotografico significa fissare il fluire metropolitano, coglierne
aspetti imprevisti e inaspettati che sfuggono all’occhio umano.
13
Eastman G., The Kodak manual, manoscritto, George Eastman House, Rochester (N.Y.),
citato in Newhall B., 1982, Storia della fotografia, Einaudi, Torino, 1984, p.179.