4
testimonianze, queste, che forniscono anche indicazioni circa le
caratteristiche architettoniche e il significato della villa.
Mediante, poi, alcune notizie, contenute nelle cronache
partenopee dell’ultimo Quattrocento, possiamo definirne con una
certa precisione l’ubicazione, scoprendo che già nel 1495, iniziò
ad essere danneggiata. Ma sono principalmente le fonti letterarie
- la rapida descrizione del veneziano Marin Sanudo
2
giunto a
Napoli al seguito del nemico francese e colpito dallo splendore
della villa, un brano sospeso a metà fra la storia e la leggenda
lasciatoci da un anonimo cinquecentesco
3
e, infine, la
celebrazione raffinatamente letteraria dedicatale da Paolo
Giovio, che menziona la Duchesca in qualità di simbolo del
ricercato modus vivendi
4
degli Aragonesi - che ce ne
suggeriscono le fattezze e la raffinata originalità. Purtroppo, la
letteratura artistica e le numerose guide di Napoli arrivano
troppo tardi, in pieno Cinquecento, solo per segnalare il degrado
in cui si trovavano ormai la villa ed i giardini, e per rendere nota
la nascita, al loro posto, dell’odierno quartiere.
2
La spedizione di Carlo VIII in Italia, ed cons. a cura di Riccardo Fulin, Venezia
1883, pp. 240-241; cfr. infra, II.2.
3
Si tratta di un manoscritto, pubblicato da L. Salazar con il titolo di Racconti di
storia napoletana, in “A. S. P .N.”, XXXIII, 1908, pp. 501-505; cfr. infra, II.5.
4
P. Giovio, Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus, a cura di E. Travi
in E. Travi - M. Penco, Pauli Iovii Opera. Dialogi et Descriptiones, IX, Roma 1984, p. 296;
cfr. infra, II.4.
5
I.1. Le origini.
Per tentare di stabilire una cronologia circa la formazione
della residenza, conviene tener presente la recente conclusione
di George Hersey, che sostiene che “la storia della Duchesca non
prende le mosse, evidentemente, dall’edificio, ma dalla
sistemazione dei suoi giardini”
5
.
Del giardino che Alfonso, fin dal 1481
6
, possedeva nei
pressi di Castel Capuano, oggi possiamo stabilire che era
collegato, a nord ovest, con la sua residenza
7
, nella parte sud-
occidentale confinava con il monastero della Maddalena, ed ad
oriente era chiuso delle mura cittadine
8
, mentre a meridione era
adiacente al complesso di S. Pietro ad Aram, ai cui religiosi, tra
l’altro, il Duca pagava l’affitto “per un pezzo di giardino detto il
Paradiso”
9
.
5
G. Hersey, Alfonso II and the Artistic Renewal of Naples 1485-1495, New Haven
/London 1969, p. 71.
6
R. Fusco (Riflessioni sulla topografia della città di Napoli nel Medioevo, Napoli
1865, p. 35, nota 6), riferisce di un documento del 1481 in cui si menziona un “Orticellum in
Platea formelli iuxta ortum Ducis Calabriae”.
7
Alfonso, infatti, fece costruire un ponte che collegava il suo giardino con Castel
Capuano (Cfr. Leostello, Ephemeridi cit., p. 234; infra, pp. 34-35).
8
La Cronaca di M. Ferraiolo (Cronaca, ed. cons. a cura di R. Coluccia, Firenze
1987, p. 47; cfr. infra, II.3.2) ricorda che Carlo VIII, nel 1495, “intrao per la porta de
Capoana, et andossene muro muro all’urto della Dochesca, et per ditto giardino se nne trasìo
al castello de Capoana” lasciando intendere che la villa era cinta dalle mura della città e
confinava con Castel Capuano. Nelle piante cinquecentesche della città, quella di Carlo Theti
del 1560 e la Dùperac-Lafrèry del 1566, si scorge, inoltre, la stilizzazione di verde presente a
sud di Porta Capuana (cfr. infra tavv. 1; 2).
9
N. Barone, Le Cedole di Tesoreria dell’Archivio di Stato di Napoli, dall’anno 1460
all’anno 1504, in “A. S. P. N.”, IX, 1884, p. 617; E. Pèrcopo, Nuovi documenti su gli scrittori
e gli artisti dei tempi Aragonesi., in “A. S. P. N.”, XIX, 1894, p. 779; G. Ceci, Nuovi
documenti su Giuliano da Maiano ed altri artisti in “A. S. P. N.”, XXIV, 1904, pp. 787.
6
Il Duca di Calabria frequentava assiduamente la vasta zona
verde di cui era proprietario
10
, essendo molto vicina alla sua
dimora, Castel Capuano, che, circondato da torri e fossati,
seppur modificato da alcune opere promosse dallo stesso
Alfonso II, conservava ancora il suo aspetto di antica fortezza
medievale
11
. Decise, dunque, di attrezzare il giardino,
condizionato, probabilmente, in tale aspirazione anche dalla
“moda” fiorentina: Lorenzo de’ Medici, infatti, amico e
protagonista di numerosi scambi culturali con l’Aragonese, oltre
alle ville medicee fuori porta
12
, di cui Poggioreale si può
considerare esempio napoletano, possedeva anche un giardino in
città, presso la piazza San Marco
13
, arricchito da logge e piccoli
padiglioni. Se, d’altra parte, Lorenzo rappresentava il punto di
contatto del Duca con le novità fiorentine, sua moglie, Ippolita
Sforza, proveniente dal raffinato ambiente culturale lombardo,
certamente aveva portato a Napoli alcune tendenze del gusto
settentrionale
14
; non a caso, solitamente si fa risalire il nome
10
Cfr. Leostello, Ephemeridi cit., passim.
11
Sui lavori eseguiti da Alfonso a Castel Capuano e sull’aspetto del castello in epoca
Aragonese, cfr. i documenti pubblicati da N. Barone (Le Cedole cit., pp. 499; 620; 623; 627;
635) e G. Ceci (Nuovi documenti cit, pp. 789-791) e riassunti da G. Hersey (Alfonso II and the
Artistic cit., p. 70, nota 65), F. Strazzullo (Lavori eseguiti in Castelcapuano nell’anno 1488
per conto del duca di Calabria, in “Napoli Nobilissima”, XIV, 1975, pp. 143-146) e F. Fascia
(Il Castello di Capuana, Napoli 1996, pp. 39-43).
12
Erano, infatti, già state costruite le ville di Fiesole e Careggi ed era in costruzione
Poggio a Cajano (Cfr. M. Mastrorocco, Le mutazioni di Proteo, Firenze 1981, pp. 15-27).
13
Sul Giardino di San Marco, cfr. C. Elam, Il giardino delle sculture di Lorenzo de’
Medici, in P. Barocchi, Il giardino di San Marco, Firenze 1992, pp. 157-170.
14
Su Ippolita cfr. A. Baccelli, Ippolita Sforza Duchessa di Calabria, in “Rassegna
Nazionale”, XII, 1930, pp. 21-32. Certamente l’arrivo di Ippolita pesò, in termini d’influenza
culturale, sulla corte partenopea, tra l’altro la duchessa condusse con sé il suo precettore,
l’umanista Costantino Lascaris ed una cospicua dote di codici miniati (Cfr. G. Toscano, La
collezione di Ippolita Sforza e la biblioteca di Alfonso, duca di Calabria, in La Biblioteca
Reale di Napoli al tempo della dinastia Aragonese, a cura di G. Toscano, Catalogo della
mostra di Napoli e Paterna (Valencia), 1998, pp. 251-267; F. Sricchia Santoro, Tra Napoli e
Firenze, Diomede Carafa, gli Strozzi, e un celebre “lettuccio”, in “Prospettiva”, n. 100, 2000,
p. 41.
7
“Duchesca” proprio ad Ippolita, per la particolare predilezione
che aveva per la villa
15
. Oltre all’adesione al gusto “straniero”
bisogna ricordare che dei modelli di comportamento venivano
dalla stessa Napoli, dove l’umanista Giovanni Pontano
teorizzava l’importanza dei giardini di proprietà di un principe
in un paragrafo del suo De Splendore, intitolato proprio “de
hortis ac villis”:
“Inoltre si devono possedere giardini, nei quali
far passeggiare ed allestire all’occasione un banchetto.
Questi giardini poi avranno piante esotiche e rare,
disposte con arte e con la debita cura. In essi riesce
particolarmente gradita la disposizione di piante di
mirto, di bosso, di agrumi e di rosmarino; poiché
l’uomo splendido non deve fare dei giardini lo stesso
uso che ne fa un padre di famiglia. Fanno aumentare
straordinariamente lo splendore le ville, quelle però
costruite non con lo stile di campagna, ma con quello
magnifico di città”
16
.
15
In realtà, come vedremo, la villa che diede il nome all’intero complesso fu
realizzata dopo la morte di Ippolita, avvenuta nell’agosto 1488. Il giardino, però, risulta
frequentato dai principi già dal 1485 (cfr. Leostello, Ephemeridi cit., pp. 62; 132; e passim) e
nel 1487 era già dotato di alcuni fabbricati, per cui è possibile che fu la Duchessa ad
esprimere il desiderio di possedere lì un giardino di delizie, che, però, non vide mai del tutto
completato e che, per questo, il marito decise di intitolarle l’edificio principale che diede, poi,
il nome all’intero parco.
16
“Etiam hortos habere volumus, in quibus exerceri deambulationes et convivia fieri
pro tempore possint. Erunt autem horti hi ex peregrinis et egregis arborisculis artificiose
decenterque dispositi. In quibus e myrto, buxo citrio, rore marino, topiarum opus potisssimus
commendatur; neque enim quae parco ac lucroso patri familiae, eadem splendido homini
hortoru ratio esse debere. Conferunt etiam mirum et modum ad splendorem ipsum villae, non
illae quidam rusticano ex opere, sed urbano et magnifico”. G. Pontano, De splendore, 1498,
ed. cons. in F. Tateo, I trattati delle virtù sociali, Roma 1965, pp. 277; 236-237. Il trattato del
Pontano è stato messo in relazione con la costruzione delle fabbriche della Duchesca e di
Poggioreale da A. Beyer (Parthenope, Neapel und Suden der Renaissance, Munchen Berlin
2000, pp. 146-147).
8
Sappiamo che nella realizzazione della Duchesca fu
coinvolto Giuliano da Maiano
17
, ma non è detto che egli sia
intervenuto appena Alfonso decise di edificare nel giardino.
Infatti, sembra che quest’ultimo fosse dotato di più di un corpo
di fabbrica: il vasto parco, negli anni, fu arricchito di alcune
costruzioni, funzionali, come teorizzava il Pontano, ad ospitare
feste e banchetti. Giuliano, nel febbraio del 1487, fu chiamato da
Alfonso a Napoli
18
, dove giunse nel luglio dello stesso anno
19
.
Insieme a lui, arrivarono da Firenze a Napoli, tramite un
corriere, anche due “modelli per disegno di uno palazo”
20
: quello
per Poggioreale, l’uno e, verosimilmente, quello per la
Duchesca, l’altro
21
. Nello stesso mese, poco prima di giungere a
Napoli, l’architetto fu pagato dalla corte per “alcuni disegni”
22
da cui, probabilmente, erano stati tratti i modelli da lui realizzati
17
Cfr. Leostello, Ephemeridi cit., p. 377; infra, p. 28. Giuliano già aveva lavorato a
Napoli, negli anni 1485-1486, per attendere al progetto di Porta Capuana e della cinta
muraria, è Giuliano, infatti, che fu mandato nella città partenopea in seguito alla richiesta,
effettuata da Alfonso a Lorenzo de’ Medici nel dicembre 1484, di “alchuno architecto et
homo ingenioso da edificare et fortezze de terre” (in E. Pontieri, La dinastia Aragonese di
Napoli e la casa de’ Medici a Firenze, in “A. S. P. N.”, LXVI, 1941, p. 341.). Nel dicembre
1490, da Lorenzo esprimerà al Duca il proprio dolore per la recente morte dell’architetto
“venuto al servitio di V. Ex per mani et opera mia” (per la lettera cfr. G. Gaye, Carteggio
inedito d’artisti, vol. I, Firenze 1839, pp. 300-301). Sull’attività di Giuliano a Napoli cfr. L.
Cendali, Giuliano e Benedetto da Maiano, Firenze 1924, pp. 18-22; 76-81; G. Hersey, Alfonso
II, Benedetto e Giuliano da Maiano e la porta reale, in “Napoli Nobilissima”, IV, 1964, pp.
77-92; G. Hersey, Alfonso II and the Artistic Renewal of Naples 1485-1495, New Haven
/London 1969, pp. 51-81; A. Beyer, Napoli, in Storia dell’Architettura Italiana. Il
Quattrocento, a cura di F. P. Fiore, Milano 1998, pp. 352-357.
18
Cfr. Leostello, Ephemeridi, p. 132; infra, p. 27.
19
Sappiamo che nel luglio del 1487 Giuliano si trovava a Napoli e alloggiava in una
locanda (cfr. Appendice, doc. 4).
20
Cfr. Appendice, doc. 7.
21
Fra Luca Pacioli (De divina proportione, Venezia, 1509, cit. da G. Hersey, Alfonso
II cit., p. 60, nota 12) ricorda di aver visto a Firenze un modellino ligneo di Poggioreale,
confezionato, secondo quest’ultimo, da Lorenzo de’ Medici, che lo “dispose al suo
graditissimo domestico Giuliano da Magliano”. Il confronto fra la testimonianza
documentaria e quella del Pacioli ha fatto ipotizzare allo Hersey (Alfonso II and the Artistic
cit, p. 60) che Lorenzo de’ Medici abbia partecipato all’ideazione delle fabbriche progettate
da Giuliano per Alfonso e che i modelli mandati a Napoli non fossero “per uno palazzo”, ma
per entrambi: la villa di Poggioreale e la Duchesca. Anche Roberto Pane, (Il Rinascimento
nell’Italia meridionale, vol. II, Napoli 1977, p. 38) è d’accordo con questa teoria.
22
Cfr. Appendice, doc. 6.
9
per il Duca di Calabria. Ma c’è ragione di credere che nel
giardino, precedentemente all’intervento di Giuliano, fossero già
presenti altre costruzioni, che la Duchesca fosse, insomma, un
articolato “complesso architettonico” la cui costituzione fu
graduale e cominciò ben prima del 1487
23
. Risulta, infatti, che
già dal maggio di quell’anno, un mese prima dell’arrivo di
Giuliano e dei modelli da Firenze, venivano commissionati al
pittore Calvano da Padova dei lavori, verosimilmente degli
affreschi, da realizzare al “giardino”
24
, forse nelle stesse logge
per cui qualche tempo dopo verranno richieste delle “targhe
brunite d’oro”, a Luigi della Bella e Giacomo Parmense
25
. Questi
dati lasciano intendere che il giardino, già nel 1487, era dotato
di edifici che rimarranno, evidentemente, indipendenti dal corpo
di fabbrica principale
26
, ideato da Giuliano da Maiano a Firenze
nel 1487 ed inaugurato nel dicembre 1489, in occasione , come
riferisce Leostello, della festa svoltasi alla “Duchescha, palatio
novamente edificato da dicto I. S. fronte a lo suo jardino
grande”
27
che, in seguito, darà il nome all’intero parco.
23
Forse con la partecipazione diretta dello stesso Alfonso che si dilettava nel
“designare” edifici. Cfr. infra, II.2.1.
24
Cfr. Appendice, doc.1; 2; 3.
25
Cfr. Appendice, doc. 5. Probabilmente i due artisti lavoravano in società con
Calvano da Padova (cfr. Appendice, doc. 3).
26
D’altra parte sia Leostello (Ephemeridi cit., passim; cfr. infra, II.1.1, II.1.2) che
Sanudo (La spedizione di Carlo VIII cit., p. 240; cfr. infra, II.2), che alcuni dei documenti
(cfr. Appendice, doc. 8; 9; 12) parlano, ambiguamente, di “stanze” o “camere” alludendo ai
fabbricati del giardino, suggerendoci la presenza di più di una struttura di dimensioni ridotte.
27
Leostello, Ephemeridi cit., p. 289; cfr. infra, p. 36.
10
I.2. I giardini.
Prima di occuparci delle fabbriche della Duchesca,
conviene soffermarsi sull’assetto dei suoi giardini, motivo
principale della fama della residenza, la cui organizzazione era
stata, con ogni probabilità, affidata a Pacello da Mercogliano
28
,
il maestro giardiniere al servizio di Alfonso II, autore anche del
parco di Poggioreale, che verrà condotto in Francia nel 1495 da
Carlo VIII. La fama di Pacello, è dovuta soprattutto alla
commissione, affidatagli dall’Angioino, della realizzazione dei
giardini della reggia di Blois, nei quali impiegherà, in termini di
metodologia botanica e architettura degli esterni, gran parte
dell’esperienza fatta nelle ville Aragonesi: il campano divenne
celebre in Francia per la sua abilità tecnica, soprattutto nella
creazione di innesti, e per la perizia “artistica” con cui curava
l’estetica delle sue realizzazioni
29
. Dell’aspetto del parco di
Blois rimangono alcune incisioni e descrizioni, in cui risalta la
sua struttura; in particolare, uno dei giardini della reggia
28
Cfr. R. Pane, Il Rinascimento cit., p. 73, nota 72.
29
Benché non esistano documenti che provino l’operato di Pacello a Poggioreale e
alla Duchesca, è certo che egli era il maestro giardiniere al servizio di Alfonso II, e che Carlo
VIII, colpito dallo splendore dei giardini del Duca di Calabria - tanto da scrivere, mentre si
trovava a Napoli, ad un suo corrispondente “voi non potete credere i bei giardini che io ho
visto in questa città, perché sulla mia fede mi sembra che non vi manchi che Adamo ed Eva
per farne un paradiso terrestre, tanto son belli e pieni di ogni buona e singolare cosa” (cit. da
G. Mongelli, Pacello da Mercogliano. Architetto giardiniere del periodo del Rinascimento, in
“Samnium”, n. 49, 1976, pp. 63-64) - abbia deciso di condurre Pacello con sé in Francia. I
giardini realizzati lì dal maestro campano sono ampiamente documentati, e ne sono stati messi
in risalto gli elementi assolutamente innovativi per il giardino francese di quell’epoca - come
ad esempio l’introduzione del parterre, monocromo e policromo, che divideva il giardino in
più sezioni, la coltivazione degli agrumi, l’utilizzo di padiglioni e logge - la cui introduzione è
stata ricondotta alla presenza dell’italiano (cfr. M. Bafile, Pacello da Mercogliano. Influssi
italiani nei giardini di Francia nel Medioevo e nella Rinascenza, in “Palladio”, 4, 1954, pp.
44-58; G. Mongelli, Pacello da Mercogliano. Architetto giardiniere cit, pp. 61-75; F. Fariello,
Architettura dei giardini, Roma 1985, p. 89-91; A. Giannetti, Il giardino napoletano dal
Quattrocento al Settecento, Napoli 1994, p. 23).
11
francese, dotato di padiglioni, logge e pergole, appare diviso in
quattro compartimenti regolari a fontana centrale con fusto
decorato
30
. Tale assetto richiama immediatamente alla memoria
la descrizione lasciataci dall’anonimo cinquecentesco del
“giardino delle ninfe” della Duchesca: un quadrato suddiviso in
quattro sezioni dall’incrocio di due strade, al centro del quale si
presentava una grande fontana marmorea arricchita da una statua
rappresentante una figura femminile che dissetava dei putti
31
.
Come si evince dalle descrizioni superstiti, il vasto parco
della Duchesca era diviso in più di una zona e quella
rappresentata dall’anonimo è, a mio parere, riconoscibile, grazie
alla presenza della fontana, nel “giardino grande” ricordato da
Leostello. Il cronista allude anche ad un “giardino piccolo”,
collegato direttamente con il Castel Capuano tramite un ponte, e
che, dunque, doveva trovarsi ad occidente rispetto alle mura
della città. L’articolazione del parco presentava, pertanto, più di
un elemento di complessità: dalla testimonianza di Sanudo si
coglie, inoltre, l’accenno a dei terrazzamenti, la cui esistenza è
30
Cfr. F. Fariello, Architettura cit., pp. 89-91. Alcune notizie intorno ai giardini di
Blois sono registrate nel Viaggio del Cardinal d’Aragona una cronaca del viaggio compiuto
in Francia nel 1518 dal fratellastro di Alfonso, il Cardinale Luigi d’Aragona, compilata dal
suo accompagnatore Antonio de Beatis (pubblicata da S. Volpicella in “A. S. P. N.”, I, 1876,
pp. 106-117). Egli dice che “Tucti detti cardini (di Bles), dove era primo terreno montuoso et
sterile, ha fatto un donno Pacello Prete Napoletano, quale per delectarse molto de questo
exercitio fu conducto in Franza dal Roy Carlo quando fu in Napoli. Et vi sono quasi de tucti
fructi che sono in terra di Lavoro da poi de fiche de quali ancor che ce ne siano alcuni arbori,
fanno li fructi piccolissimi et rare volte vengono ad maturità. Ce ho visto molti arbori de
melangoli et altri agrumi grandi, et chi producono assai convenienti fructi; ma son piantati in
certe cascie di legno piene di terra, et de inverno li retira sotto una gran loggia coverta da
neve et venti nocivi: quale loggia è in detto zardino dove sopra dove sono le habitationi di
detto prete zardinero”. E’ il cronista a soffermarsi sulla presenza del maestro giardiniere
campano ed a identificare nella reggia francese lo stesso tipo di coltivazioni presenti a Napoli,
anche se ne rileva la minore fertilità e il diverso tipo di cure che necessitavano a causa del
clima più rigido.
31
Cfr. L. Salazar, Racconti cit., p. 505; infra, pp. II.5.
12
resa plausibile dalla pendenza della zona e dalla diversa natura
delle coltivazioni.
Particolare importanza rivestiva, nei giardini della
Duchesca, il movimento dell’acqua. E’ noto, infatti, che per la
sua costruzione era stata determinante la vicinanza del
Formello
32
, l’acquedotto che aveva reso possibile la presenza nel
giardino della villa di almeno tre fontane. La prima, cui ho
accennato precedentemente, è quella all’incrocio dei viali,
descritta minuziosamente dall’anonimo. Di tema squisitamente
profano, era interamente di marmo bianco e rappresentava una
Ninfa, secondo il cronista Italia o Partenope
33
, che versava
dell’acqua dai propri seni verso dei putti. Un’altra si trovava al
centro di un edificio, verosimilmente il palazzo progettato da
Giuliano da Maiano, e Giovio ne rammenta la vasca in porfido e
il dispositivo che utilizzava la stessa acqua per creare degli
zampilli, dislocati nel cortile
34
. La terza era ubicata nel chiostro
delle monache della Maddalena, edificio che, come vedremo,
fece parte del “complesso della Duchesca” dal 1490 al 1498.
Dell’ultima fontana, Leostello descrive il gioco dell’acqua, che
veniva convogliata sulla pavimentazione, tanto che Alfonso ed i
suoi ospiti cenavano stesi a terra su delle tavole “currente acqua
32
L’anonimo (cfr. L. Salazar, Racconti cit., p. 503; infra, p. 74) dice esplicitamente
che Alfonso costruì la Duchesca approfittando dell’abbondanza dell’acqua garantita dalla
vicinanza della “forma”, cioè la condotta d’acqua che riforniva la distribuzione delle acque in
città. Sull’argomento cfr. R. Fusco, Riflessioni cit., p. 35; G. Russo, Napoli come città, Napoli
1966, pp. 89-90. R. Pane, Il Rinascimento cit., p. 58.
33
A. Beyer (Parthenope, cit., pp. 146-147) la identifica con Partenope e, ricordando
il legame dei ninfei con i riti nuziali, dà per scontato che Alfonso abbia fatto costruire la
fontana in onore delle sue nozze con Ippolita avvenute nel 1465. A. Giannetti (Il giardino
napoletano cit., p. 25) esclude, invece, che la Ninfa sia Partenope, non essendo rappresentata
come una donna dalla doppia coda di pesce.
34
Cfr. P. Giovio, Dialogus cit, p. 296; infra, II.4.
13
per medium”
35
. L’importanza dei giochi d’acqua è sicuramente
riconducibile agli esempi della tradizione spagnola, di
derivazione musulmana
36
, e l’ultima immagine, in particolare,
ricorda il cosiddetto “Patio de los Naranjos” della Cattedrale di
Sevilla, dove esiste tutt’oggi lo stesso tipo di sistema
37
.
Oltre alle fontane, c’era una peschiera
38
, della quale non
sappiamo altro se non che si trovava in alto rispetto al giardino
grande; possiamo, tuttavia, farcene un’idea attraverso ciò che
conosciamo circa la grande peschiera rettangolare di
Poggioreale
39
.
Il giardino della Duchesca, era quindi costituito da due
zone, una, dotata di un’uscita sulla strada, era più piccola e più
prossima al castello, cui era collegata tramite un ponte
40
e
costituiva, probabilmente, la prima parte del parco, che si
35
Leostello, Ephemeridi cit., pp. 343; 346-347; infra, pp. 40-41.
36
Cfr. R. Pane, Il Rinascimento cit. pp. 17-18.
37
D’altra parte, in pieno Cinquecento, i giochi d’acqua tipici dei grandi palazzi
arabo-andalusi saranno protagonisti dei suggestivi effetti scenici nella villa del Cardinale
Ippolito d’Este a Tivoli. (Sull’argomento cfr. D. R. Coffin, The villa d’Este at Tivoli,
Princeton, New Jersey 1960, pp. 14-39), e non è da escludere che i giardini Aragonesi abbiano
avuto un ruolo di mediazione in questo senso.
38
“Et in testa di detto loco era una peschiera, dov’erano redatte tutte le acque del
formale” (in L. Salazar, Racconti cit., p. 503; infra, pp. 76-77). Anche nell’iscrizione che si
trovava incisa su una targa marmorea all’ingresso del giardino si leggeva di un “balneo” (cfr.
G. A. Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, libro IV, Napoli 1643, ed. cons. a
cura di A. Bulifon, Napoli 1749, p. 584; infra, II.7).
39
La peschiera era una vasca, per lo più rettangolare, caratteristica dei giardini
rinascimentali. Sull’argomento cfr. AA. VV. Quaderni del giardino storico, Padova 1994, p.
129. Celebre è la grande peschiera di Poggioreale, sicuramente di dimensioni maggiori
rispetto a quella della Duchesca, ma, probabilmente, simile nella struttura. Della peschiera di
Poggioreale abbiamo testimonianza diretta dal Leostello (Ephemeridi, cit., p. 225), da P.
Giovio (Dialogus cit., p. 296; infra p. 66, nota 143) ed è chiaramente visibile nella pianta di
A. Baratta (Veduta topografica di Napoli, Napoli 1629); risulta, inoltre, ancora funzionante
all’epoca di Celano (Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli
1692, ed. cons. a cura di G. B. Chiarini, Napoli 1856, vol. V, pp. 311-312); Sulla peschiera di
Poggioreale cfr. F. Strazzullo, Documenti cit., pp. 10-11; G. Hersey, Alfonso II cit., pp. 61-62;
G. Pane, Napoli seicentesca nella veduta di A. Baratta, in “Napoli Nobilissima”, 1973, XII,
pp. 64-65; R. Pane, Il Rinascimento cit., pp. 48-50; A. Beyer, Parthenope cit, pp. 141-142.
40
Cfr. Leostello, Ephemeridi cit., pp. 161-162; infra II.1.
14
attraversava prima di accedere, tramite una porta
41
, all’altra, il
“giardino grande”, o giardino delle Ninfe, che si presentava
come luogo chiuso, regolarmente diviso e arricchito di “un
boschetto tutto di cetrangoli, lemoni e lemoncelli grossi e piccoli
d’inserti, molto ameno”
42
, riconosciuto come l’esemplificazione
del locus amoenus, avvolto da un’atmosfera squisitamente
profana, creata dal soggetto della fontana e dal tipo di piante, il
mirto sacro a Venere e gli agrumi
43
.
Questi ultimi, su cui insistono tutte le descrizioni della
villa, richiamano ancora una volta alla mente i raffinati giardini
spagnoli, e oggi possiamo supporre che la loro diffusione in
Italia, che si sviluppò ampiamente tra il XV e XVI secolo,
dipenda dalla loro importazione da parte degli Aragonesi dalla
madrepatria Spagna
44
. Risulta, infatti, che nel 1450 Alfonso il
Magnanimo aveva mandato a chiamare due maestri giardinieri
da Valencia perché piantassero aranci e mirti nei giardini
napoletani
45
. Qualche anno dopo, nel 1455, l’agente di Giovanni
di Cosimo de’ Medici fu inviato a Napoli a reperire alcuni
esemplari di “limoncello di Napoli”, detto anche “citrus limon
Neapolitanum”, per la Badia Fiesolana
46
. Nello stesso ambiente
41
“All’incontro stava d’un’altra porta ch’entrava dentro l’altro giardino, detto lo
giardino delle Ninfe” (in L. Salazar, Racconti cit., p. 503; cfr. infra, p. 75)
42
L. Salazar, Racconti cit., p. 504; cfr. infra, p. 76.
43
Cfr. A. Giannetti, Il giardino napoletano cit., p. 26.
44
Un caso a parte risultano essere i giardini siciliani e quelli veneti, che conobbero le
coltivazioni di agrumi grazie ai loro contatti diretti con l’oriente. (Cfr. G. Bellafiore, Paradisi
e parchi di Palermo Normanna, pp. 157-171 e M. Azzi Visentini, I giardini di agrumi nelle
ville venete, entrambi in AA.VV., Il giardino delle Esperidi, a cura di A. Tagliolini e M. Azzi
Vicentini, Firenze 1996.
45
Cfr. M. T. Santamaria e P. S. Palomo (Valencia y los agrios. Del jardin de los
cinco sentidos al huerto productivo-burguès, in AA.VV., Il giardino delle Esperidi cit., p.
141).
46
Cfr. G. Galletti, Agrumi in casa Medici, in Il giardino delle Esperidi cit., p. 198.
15
partenopeo, gli agrumi vennero, in quegli anni, anche caricati di
una valenza simbolico-mitologica, ad opera del Pontano, che vi
identificò i “pomi d’oro”, frutti dell’immortalità, custoditi dalle
favolose Esperidi
47
. Quest’informazione ci fa ipotizzare che
Alfonso, forse, oltre ad organizzare il suo giardino conciliando
conoscenze italiane e spagnole, perseguì, anche nella scelta delle
coltivazioni, un preciso progetto iconografico, che richiamava a
temi mitologici.
I.3. Gli edifici.
Già nel 1487 nel giardino piccolo c’era, certamente, un
loggiato per il quale erano state commissionate le “targhe
brunite d’oro”
48
e per cui, circa un anno dopo, un manovale fu
pagato per avervi applicato degli “scudi”
49
, probabilmente gli
stemmi della casata d’Aragona: quasi certamente si tratta della
“gran loggia eminente con quattro scalini” descritta
dall’anonimo cinquecentesco
50
. Accanto alla loggia, l’anonimo
ricorda anche altre stanze affrescate, forse padiglioni, a loro
volta riconoscibili nelle “stanze nuove”
51
, spesso menzionate da
Leostello e nelle tre “camere” ricordate da Sanudo
52
.
Quest’ultimo ricorda solo che due delle camere erano decorate
47
Cfr. A. Segre (Alla ricerca dell’orto delle Esperidi, in Il giardino delle Esperidi
cit., p. 21) ha rilevato che fu Pontano, nell’opera in versi De Hortis Hesperidum sive cultu
citri, ad identificare negli agrumi i pomi d’oro e che questa tradizione si consolidò, poi, nel
corso del Cinquecento.
48
Cfr. Appendice, doc. 5.
49
La notizia è in uno stralcio di documento pubblicato da F. Strazzullo, Lavori
eseguiti nel 1488 cit., p. 146.
50
L. Salazar, Racconti cit., p. 504.
51
Leostello, Ephemeridi cit., passim; cfr. infra, II.1.1, II.1.2.
52
M. Sanudo, La spedizione di Carlo VIII cit, p. 40; cfr. infra, II.2.
16
da affreschi ed una da arazzi, mentre Leostello specifica che gli
affreschi rappresentavano delle “storie”
53
d’accordo con
l’anonimo che parla di “Suoi [di Alfonso] ritratti tutti storiati
con diverse historie”
54
: possiamo quindi dedurre che c’era un
dipinto, o addirittura un ciclo di affreschi, di argomento storico,
con Alfonso come protagonista. Poiché sappiamo che Calvano
da Padova, nell’agosto del 1488 aveva completato l’affresco in
cui aveva “pintato Otranto”
55
, possiamo ipotizzare che questo
dipinto celebrasse la “storia” della vittoria di Alfonso ad Otranto
contro i Turchi
56
. Tra le stanze ce n’era certamente una utilizzata
come sala da pranzo, dato che l’Aragonese, nel 1488, poté
mangiare, a detta di Leostello, nella “prima camera nova”
57
.
53
Leostello, Ephemeridi cit., p. 363; cfr. infra, p. 43.
54
L. Salazar, Racconti cit., p. 505; cfr. infra, p. 78.
55
Cfr. Appendice, doc. 10. Di Calvano non sappiamo nulla oltre a ciò che si evince
dai documenti di pagamento della corte Aragonese degli anni 1487-1489. Gli viene dato, nel
maggio del 1487, un anticipo su un dipinto da realizzare alla Duchesca (cfr. Appendice, doc.
1), e nei mesi di giugno, settembre e ottobre dello stesso anno, gli si rimborsa la spesa dei
colori (cfr. Appendice, doc. 2; 5; 8); nell’agosto 1488 s’intende che l’affresco su Otranto, su
cui, verosimilmente lavorava da circa un anno, era terminato (cfr. Appendice, doc. 10). Nel
settembre dello stesso anno il pittore riceve un’altra commissione per la Duchesca, ma non vi
sono notizie da cui si possa ricavare il soggetto di quest’ultima opera. Calvano è ricordato,
successivamente, in altri tre documenti Aragonesi (pubblicati da E. Pèrcopo, Nuovi documenti
cit., p. 779) poiché dal gennaio 1489 non viene ricompensato per le singole opere, ma
regolarmente stipendiato dalla corte.
56
R. Pane (Il Rinascimento cit., p. 60) ha ipotizzato che l’affresco rappresentasse una
veduta prospettica della città di Otranto, sottolineando l’interesse degli Aragonesi per il
genere “cartografico”, ma F. Bologna (Napoli e le rotte mediterranee della pittura, Napoli
1977, p. 197) ne relaziona il soggetto con la vittoria di Alfonso ad Otranto nel 1481,
sottolineando che le commissioni pittoriche dell’Aragonese, privilegiavano, in quel periodo,
temi che glorificassero le imprese della dinastia, volti al consolidamento del proprio potere,
duramente segnato dalla rivolta dei baroni. Tra l’altro Giovio (Dialogus cit., p. 296; cfr. infra,
p. 66, nota 143) ricorda un affresco sulla guerra di Otranto realizzato a Poggioreale,
confondendo, forse, le decorazioni delle due ville, o, comunque, confermando la precisa
intenzione politica che animava le commissioni di Alfonso, che scelse, per le entrambe le sue
residenze, affreschi con i medesimi soggetti celebrativi della dinastia Aragonese: la sua
vittoria ad Otranto e la sconfitta dei baroni ribelli (cfr. infra, p. 18).
57
Cfr. Leostello, Ephemeridi cit., p. 173; infra, p. 32.
17
C’erano poi, nel giardino, alcune cantine, forse preesistenti
all’intervento del Duca, cui alludono quasi tutte le
testimonianze
58
.
Per quanto riguarda la costruzione progettata da Giuliano
da Maiano, essa è riconoscibile nel “bello principio di edificio
con una bella fontana in mezzo” menzionato dall’anonimo
59
.
Secondo Paolo Giovio, che ce ne lascia una più completa
descrizione, era una struttura di forma classica, consistente in un
edificio quadrato con dei gradini, le cui stanze affacciavano su
uno spazio centrale, all’aperto, circondato da colonne, che
fungeva da sala da pranzo. La sala era posta in basso rispetto
alle stanze ed era pavimentata a mosaico. Presentava, nel mezzo,
la fontana di porfido. Giovio riferisce anche di un complicato
congegno che faceva arrivare l’acqua in piccoli canali, che la
facevano poi schizzare, a sorpresa sotto le sedie degli ospiti in
occasione di banchetti
60
, ma Leostello, testimone diretto della
costruzione della villa, non ricorda nulla del genere, pur
narrando con dovizia di particolari più di un banchetto offerto da
Alfonso alla Duchesca. E’ possibile che la realizzazione del
congegno, simile a quello presente a Poggioreale e sicuramente
progettato da Giuliano da Maiano, sia avvenuta dopo la morte di
quest’ultimo e la conclusione delle Ephemeridi.
58
Le cantine servivano, verosimilmente, anche per custodire le provviste del vicino
Castel Capuano.
59
Cfr. L. Salazar, Racconti cit., p. 504; infra, p. 75.
60
Cfr. P. Giovio, Dialogus cit., p. 296; infra, II.4.