5
dalla guerra e in che modo l’Argentina fosse disposta ad appoggiarci e
ad aiutarci nel risolvere i problemi contingenti.
Allo stesso tempo, vedremo quale fosse l’atteggiamento italiano
verso il governo peronista.
6
2. Quadro storico in Italia e in Argentina, gli anni della guerra
L’America Latina aveva rappresentato, nella politica estera
italiana dell’epoca fascista, un’area marginale e di relativamente
scarso interesse, anche perché l’emigrazione verso i paesi latino-
americani si contrapponeva all’idea, propagandata dal regime, di
un’Italia forte ed inserita nel concerto delle grandi potenze.
Anche se, a metà degli anni Venti, si era ridotta massicciamente
l’emigrazione verso gli Stati Uniti e il Brasile, il flusso migratorio
verso l’Argentina aveva continuato a rappresentare un’occasione di
sfogo per l’eccedenza demografica italiana. Solo dopo il 1931, in
conseguenza di una crisi che aveva gravemente danneggiato
l’agricoltura argentina, il numero dei rimpatri in Italia aveva
cominciato a superare il numero delle partenze, ma il saldo migratorio
era tornato ad essere favorevole all’Argentina a partire dal 1935.
Il bisogno di cercare altrove una sicurezza per la propria
esistenza, sicurezza che in Italia una consistente fascia di popolazione
non era riuscita a conseguire, aveva spinto sempre più italiani a
lasciare il proprio paese. Il regime fascista però aveva scoraggiato
costantemente l’emigrazione, sia tentando di “fascistizzare” le diverse
7
comunità d’oltreoceano, sia favorendo il ritorno degli italiani
dall’estero. La principale strategia del regime per conseguire questo
obiettivo, era stata il rinnovato coinvolgimento dell’Italia nella
competizione europea per acquistare territori in Africa, al fine di
ottenere spazi verso i quali dirigere lo spostamento delle masse
migratorie e dai quali poter trarre materie prime, spazi che però, in
quanto colonie completamente dipendenti dalla Madrepatria, fossero
più controllabili ed a tutti gli effetti “Italia”. 1
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con l’invasione
della Polonia il primo settembre 1939, aveva trovato l’Argentina in
una situazione politica difficile. Il colpo di stato del generale Uriburu,
nel 1930, contro il Presidente Radicale Hipolito Yrigoyen, aveva
rappresentato il ritorno dell’oligarchia, spodestata dal potere nel 1916
con l’ascesa del Radicalismo. Durante il suo breve governo, Uriburu
aveva tentato di prendere la strada dello stato corporativo e filo-
fascista; il suo successore, generale Justo, era riuscito invece a
ripristinare una coalizione conservatrice che rifiutava il personalismo
radicalista che aveva contraddistinto il governo di Yrigoyen, fondato
essenzialmente sul carisma del leader. La frode elettorale era stata il
1
Cfr. C. J. ROZENCWAIG, I rapporti tra l’Italia e l’Argentina dal 1945 ai giorni nostri,
8
principale strumento utilizzato da Justo per assicurarsi la
continuità della permanenza al potere. Dopo di lui, il Presidente Ortiz,
(un radicale antipersonalista), arrivato al governo nel 1938 con
l’appoggio dello stesso Justo, aveva dovuto affrontare il
peggioramento della situazione internazionale. Ortiz si era attestato
ufficialmente sulla posizione di neutralità, non nascondendo
comunque il suo atteggiamento favorevole verso i paesi aggrediti dalla
Germania. Ma questa attitudine pro-alleata di Ortiz era stata oggetto di
forti critiche da parte dei settori nazionalisti e da parte di alcuni settori
dell’esercito, nei quali era dilagata l’influenza nazista. Intanto,
l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli Alleati, in seguito
all’attacco giapponese a Pearl Harbor, aveva posto in una situazione
delicata il governo di Castillo, (Vice-presidente di Ortiz, al quale era
succeduto nel luglio 1940 a causa di una grave malattia del
Presidente).
Durante la terza Riunione di Consultazione dei Ministri degli
Affari Esteri che si era svolta fra il 15 e il 28 gennaio 1942 a Rio de
Janeiro, la posizione argentina si era scontrata con i piani
nordamericani: gli Stati Uniti infatti avrebbero voluto imporre la
rottura delle relazioni diplomatiche tra tutti i paesi latino-americani e
Ricerche e rassegne Workins Papers, Milano, 1993, pp. 19 e ss.
9
le potenze dell’Asse. L’Argentina, invece, aveva difeso l’idea della
non obbligatorietà di tali misure ed era riuscita ad introdurre il criterio
della cosiddetta “raccomandazione”. La Conferenza infatti aveva
preso la decisione di “raccomandare ai paesi latino-americani la
rottura dei rapporti diplomatici, commerciali e finanziari con la
Germania, l’Italia e il Giappone”.
Dal 1941 l’Argentina si era fatta carico, a richiesta dell’Italia,
degli interessi italiani in Colombia, Honduras, Canada, Costa Rica,
Nicaragua, Cuba, El Salvador, Guatemala, Panama, Haiti, Perù,
Messico e Repubblica Dominicana, fatti salvi i compromessi e gli
accordi continentali ai quali era legata.2
Dopo la Conferenza di Rio i governi di questi paesi avevano
chiesto all’Argentina di abbandonare la tutela degli interessi italiani,
secondo la Raccomandazione N° 36, la quale vietava la possibilità che
una nazione americana assumesse la tutela degli interessi di un paese
straniero, in guerra o senza rapporti con le nazioni latino-americane.
In seguito a questa richiesta il governo di Buenos Aires aveva smesso
di esercitare la tutela degli interessi dell’Italia.
2
Cfr. I. R. MORENO, Historia de las Relaciones Exteriores Argentinas, Ed. Perrot, Buenos Aires,
1984, pp. 55 e ss.
10
Dopo la rottura dei rapporti diplomatici compiuta dal Cile il 20
gennaio 1943, l’Argentina rimase l’unico paese tra i venti stati
dell’America Latina che ancora manteneva i rapporti normali con
l’Italia durante il conflitto, avendo dichiarato guerra solamente al
Giappone e alla Germania negli ultimi giorni della conflagrazione.3
Inoltre, in Argentina, la collettività italiana non aveva subito le
restrizioni economiche e politiche che dopo il dicembre 1941 erano
state adottate negli altri paesi del continente. Il rapporto Buenos Aires-
Roma, infatti, aveva disimpegnato un ruolo importante durante questo
periodo. L’ambasciata italiana a Buenos Aires era servita da
collegamento fra l’Italia e gli altri paesi latino-americani,
affiancandosi al ruolo già sviluppato dai paesi neutrali europei come la
Spagna o la Svizzera, i quali avevano assunto formalmente la tutela
degli interessi italiani in America Latina.
Dall’estate 1943 l’ambasciata italiana a Buenos Aires aveva
costituito uno dei canali utilizzati dal Governo Badoglio per
riallacciare i rapporti con gli stati sudamericani e agli stessi fini erano
servite l’ambasciata a Madrid, la Missione Militare Alleata in Italia e
l’ambiente diplomatico a Lisbona.
3
Dopo la Conferenza di Rio, soltanto l’Argentina e il Cile continuavano ad avere rapporti con
l’Asse. L’Argentina rompeva i rapporti diplomatici con la Germania e il Giappone il 26 gennaio
1944, e dichiarava loro guerra il 27 marzo 1945.
11
In un appunto del Ministero degli Affari Esteri italiano
sottoposto a Badoglio si sottolineavano le conseguenze positive di una
ripresa delle relazioni con i paesi sudamericani: tra queste, il
vantaggio che una mossa del genere avrebbe comportato per gli
emigrati, accanto alla possibilità di ripristinare “una posizione
preminente che l’Italia aveva avuto per ragioni etniche, religiose,
culturali e linguistiche”. Si affermava infine l’aumento di prestigio che
la ripresa avrebbe portato al Regio Governo e l’importanza per esso di
aumentare i suoi rapporti con l’estero.4 Si cercava, insomma, di
approfittare dei tradizionali legami che l’Italia aveva da sempre avuto
con l’America Latina, per reinserirla nel concerto delle nazioni libere,
dopo l’isolamento dovuto all’alleanza con la Germania nazista. Ma
l’Argentina, proprio a causa della sua politica di indipendenza e
neutralità, che le aveva permesso di mantenere relazioni normali con
l’Italia, veniva, nello stesso periodo, sottoposta ad una serie di misure
economiche di ritorsione da parte degli Stati Uniti, i quali dopo
l’ascesa al potere del generale Edelmiro J. Farrel, il 25 febbraio 1944,
avevano deciso di non riconoscere il nuovo governo e avevano
4
Cfr. Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi A.S.M.A.E.),
Affari Politici, Argentina, b.1, Appunto per sua Eccellenza il Capo del Governo, Antonio
Venturini, Addetto alla Segreteria Generale del Ministero degli Esteri a Badoglio, Brindisi, 28
ottobre 1943, citato da M. VERNASSA, Gli avvenimenti d’Italia all’indomani della fine della
Seconda Guerra Mondiale nei rapporti delle Ambasciate della Repubblica Argentina in Italia e
presso la Santa Sede (1945-1948), (di prossima pubblicazione su “Nuova Storia Contemporanea”),
pag. 2.
12
capeggiato un movimento diretto ad ottenere il ritiro da Buenos Aires
dei rappresentanti diplomatici latino-americani ed europei. Con il
ritiro dell’ambasciatore americano Norman Armour (30 giugno 1944),
di Sir David Kelly, ambasciatore britannico e della maggioranza dei
diplomatici latino-americani, si approfondiva conseguentemente
l’isolamento del Governo Platense.
In Italia, intanto, il Governo Bonomi succeduto al secondo
Governo Badoglio, proseguiva i contatti con i sudamericani, attraverso
diversi canali: tramite l’operato dell’ambasciatore a Madrid, Giacomo
Paulucci de Calboli, il quale era riuscito ad essere presentato ai
rappresentanti latino-americani dall’ambasciatore statunitense in
Spagna, Carlton J.H. Hayes, nonché attraverso i colloqui svolti con i
diplomatici del Brasile e del Messico dal Ministro italiano a Lisbona,
e con le attività di Livio Garbaccio, diplomatico reggente l’ambasciata
italiana a Buenos Aires. Occorre anche ricordare l’importanza degli
interventi dell’Incaricato d’Affari presso la Santa Sede, Francesco
Babuscio Rizzo,5 per la ripresa dei contatti con l’America Latina.
5
Per quanto riguarda gli interventi della Santa Sede si veda il lavoro di M. VERNASSA: Gli
avvenimenti d’Italia all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale (…), cit.
In particolare:
“(…) Occorre notare che la Santa Sede aveva fin dall’inizio costituito un canale privilegiato in
questa strategia della ripresa dei contatti con l’America Latina, il cui momento più significativo,
almeno sul piano formale, venne simboleggiato dai colloqui, svoltisi nel settembre 1944 tra l’Italia
e i rappresentanti sudamericani presso il Vaticano, in vista della definizione di un atteggiamento
comune da tenersi al Consiglio Direttivo dell’ U.N.R.R.A. a Montreal. Dai numerosi contatti che
13
Finalmente a Washington i paesi latino-americani, tranne
l’Argentina che come abbiamo già detto, non aveva mai rotto i
rapporti con l’Italia, avevano annunciato, il 26 ottobre 1944, la
decisione di riprendere i rapporti normali con il nostro paese. Da
parte loro gli Stati Uniti avevano esercitato una notevole pressione
sull’Italia affinché non procedesse, nell’immediato, alla nomina di un
ambasciatore a Buenos Aires in sostituzione dell’Incaricato d’Affari
che reggeva quella sede e l’Italia, appena uscita dalle macerie del
conflitto, non era certo in condizioni di sfidare l’egemonia statunitense
in America Latina.
Gli obiettivi principali di politica estera italiani, al termine della
guerra, erano il reinserimento del paese nella comunità internazionale
e il raggiungimento di un Trattato di Pace giusto, che non fosse
concepito come una punizione all’Italia alleata della Germania, ma
che tenesse conto del capovolgimento delle alleanze attuato dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943 e, quindi, del conseguente impegno
italiano, dopo quella data, a fianco degli Alleati. Bisognava inoltre
definire sia l’assetto delle ex colonie perse militarmente durante la
avevano preceduto e preparato tali incontri era emerso con chiarezza che i paesi latino-americani
tenevano un atteggiamento di grande disponibilità nei confronti dell’Italia. Si trattava in sostanza
di una conferma alle impressioni ricavate fin dal gennaio 1944, allorché, accanto alle richieste
presentate alla Commissione Alleata di Controllo affinché autorizzasse formalmente la ripresa dei
contatti diplomatici, si erano registrati i primi contatti diretti con i rappresentanti dell’America
Latina, sia presso la nostra sede a Madrid, che a Lisbona. (…)”, ivi, pag. 3.
14
campagna africana, sia l’importante questione rimasta in sospeso con
la Iugoslavia e riguardante il territorio di Trieste. Con l’America
Latina, l’Italia si trovava di fronte al problema della riapertura delle
ambasciate, legazioni e consolati e dell’insediamento dei capi-
missione, reso difficile perfino dalla mancanza di mezzi economici.
Doveva occuparsi anche della ripresa dell’emigrazione, che era stata
scoraggiata durante il periodo fascista e che era ricominciata in modo
consistente al termine della guerra.
La ripresa dei rapporti con l’America Latina si inseriva in un
quadro politico assai difficile per l’Italia. L’Italia del dopoguerra era
caratterizzata da una grave crisi economica (mancanza di materie
prime, disoccupazione, danni ingenti alle città dovuti ai
bombardamenti ed alle distruzioni belliche), e inoltre doveva far
fronte ad una profonda crisi politico-istituzionale: crollato il regime
fascista, la monarchia era ormai delegittimata a causa della sua
connivenza con il regime. Dopo la liberazione, il Governo Bonomi
aveva ceduto il potere a Feruccio Parri del Partito d’Azione (19
giugno 1945), il quale aveva formato un gabinetto con l’appoggio dei
democristiani, comunisti, socialisti, azionisti, liberali e repubblicani.
Ma dopo un breve periodo, a causa del ritiro dei liberali e dei
democristiani, il Governo Parri era caduto e si era formato il Primo
15
Ministero De Gasperi, appoggiato dagli stessi partiti, tranne il Partito
d’Azione. Durante il governo di De Gasperi si svolgevano le elezioni
del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente e il referendum per la
scelta della forma istituzionale. Con la vittoria della Repubblica, si
nominava Capo Provvisorio dello Stato il liberale indipendente Enrico
De Nicola.
Anche l’Argentina viveva un periodo di profondi cambiamenti.
Durante la guerra il paese aveva riaffermato il suo ruolo di grande
fornitore di materie prime, ma nel frattempo, a causa dell’arresto delle
importazioni, aveva preso avvio anche lo sviluppo dell’industria
nazionale. A causa della corruzione e della frode elettorale, si era
esaurita l’esperienza della cosiddetta “Concordancia”, ovverosia
dello schieramento politico formato da conservatori e radicali anti-
personalisti, che aveva governato dall’ascesa al potere del generale
Justo. In questo quadro di profonda crisi si era prodotto il colpo di
stato del 4 giugno 1943, capeggiato dal GOU, “Grupo de Oficiales
Unidos”, che aveva spodestato il Presidente Castillo. La candidatura
di un aristocratico della provincia di Salta, Robustiano Patron Costas,
alla presidenza, aveva scatenato il movimento rivoluzionario, che,
come obiettivi principali, aveva dichiarato il ristabilimento della
16
moralità e della disciplina dell’esercito e la lotta contro la corruzione,
che secondo i golpisti, avrebbe portato il paese verso la strada del
comunismo.6 Riguardo ai problemi di politica estera, i militari erano
divisi fra neutralisti (vicini all’Asse) e filo -Alleati.
Faceva parte del GOU l’allora colonnello Juan Domingo Perón,
che nei governi successivi avrebbe occupato l’incarico di Segretario di
Stato del Lavoro e degli Affari Sociali, carica alla quale avrebbe
aggiunto, fra il gennaio e il luglio 1944, anche quelle di Ministro della
Guerra e di Vice-presidente della Repubblica. L’ascesa di Perón al
potere, fra il 1943 e il 1946, si svolgeva in un quadro caratterizzato, da
una parte, da una grande migrazione interna che aveva spinto ingenti
masse dalla campagna a stabilirsi nei dintorni delle città e, dall’altra,
dalla messa in moto di un significativo processo di industrializzazione
e di urbanizzazione.
6
Testimonianze dei generali Lagos e Jose Maria Sosa Molina, citato da A. ROUQUIE’, in Poder
militar y sociedad Politica en Argentina, Hyspamerica Ediciones Argentinas S.A., Buenos Aires,
1986, pag. 22.