invece in gran conto il bene della saggezza che deve essere messa a disposizione di tutti
e custodita gelosamente: Hanno una cura straordinaria degli scritti degli antichi,
scegliendo specialmente quelli che riguardano il profitto dell’anima e del corpo... (3),
scrive Giuseppe Flavio nella sua Guerra Giudaica e poi ancora: ...(l’adepto) presta
giuramento di non trasmettere ad alcuno dottrine della setta diverse da quelle che egli
stesso ha ricevuto (...), di custodire ugualmente sia i libri della setta che i nomi degli
angeli (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 142).
Ed eccoci alla più logica spiegazione sulla conservazione dei Rotoli. eppure, mentre la
cura nel conservare, tutelare, trasmettere i Rotoli fu di vitale importanza per la comunità
qumrânica, dal 1947 stessa cura non ebbero i primi scopritori.
Il pastorello Mohammed ed-Dib, lanciando sassi all’interno di una grotta, rimase
impaurito dal rumore di cocci rotti che aveva provocato. Dopo una prima fuga per lo
spavento, vinto dalla curiosità, tornò con un cugino e spiò all’interno della grotta,
denominata poi 1, scoprendo una serie di giare, alcune delle quali rotte, altre invece
integre e ancora sigillate dal loro coperchio. Aprendone una Mohammed si ritrovò per le
mani un involucro di lino misto a cera o pece.
Ogni pacco conteneva un manoscritto composto su più colonne; il rotolo era costituito
da fogli uniti fra loro mediante cuciture. I ragazzini portarono i Rotoli al loro villaggio di
beduini e da questo momento ebbero inizio quei viaggi, quelle compravendite, quelle
sparizioni, quegli scambi che avrebbero segnato le tappe importanti della storia dei
Rotoli del Mar Morto, ancora fino ad oggi non conclusa. I Beduini vendettero i
Manoscritti al mercante Halîl Iskandar Shahîn, detto Kando, di Betlemme che dopo una
superficiale occhiata pensando si trattasse di scritti siriaci, nella lingua liturgica, cioè,
della sua chiesa, li portò al suo metropolita, mar Athanasius Jeshue Samuel che li
acquistò, intuendo immediatamente il loro valore.
I Beduini tornarono allora alla grotta 1 e ben presto per tutto l’anno 1947 frammenti,
Rotoli e giare vennero venduti a prezzi stracciati a mercanti d’arte e studiosi così come
a gente di passaggio, senza alcun controllo delle autorità preposte alle antichità.
Alla fine del 1947 (4) E.L. Sukenik, docente presso l’università ebraica di Gerusalemme
venne a conoscenza dell’esistenza dei manoscritti e acquistò per conto dell’Università i
Rotoli Isaia, Regola della guerra, e Inni (in un primo momento dall’editore vennero
chiamati Isaia, La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre e Canti di
azioni di grazie (5)).
Nel febbraio del ‘48 mar Athanasius mostrò i quattro Rotoli dei quali era entrato in
possesso a due studiosi della American School of Oriental research, J.C. Trever e W.H.
Brownlee, che resisi conto della preziosità dei Rotoli ottennero il permesso di trattenerli
e di fotografarli. Si trattava di Isaia (chiamato poi Isaia A per distinguerlo dall’altro
sopra citato), Commento ad Abacuc, Regola della Comunità (pubblicati negli anni ‘50-
’51) e un Rotolo in pessime condizioni chiamato in un primo momento Apocalisse di
Lamec da un frammento che si era staccato in cui appariva questo nome e detto poi
Apocrifo della Genesi. I primi capitoli della Genesi che costituiscono questo apocrifo
aramaico sono stati identificati dall’Università Ebraica solo alla fine degli anni ‘50.
Dei sette Rotoli che si trovavano nella grotta 1 tre finirono a Gerusalemme e quattro
vennero portati da mar Athanasius in America all’inizio delle ostilità nel 1948, scoppiate
in seguito alle scadenze del mandato britannico, alla proclamazione dello Stato d’Israele
e all’occupazione giordana di una parte della Palestina
(6). Dei quattro Rotoli finiti in
America ben presto non si ebbe più notizia, ma dall’1 al 3 giugno del 1954 sul Wall
Street Journal apparve un piccolo annuncio pubblicitario in cui i quattro Rotoli del Mar
Morto venivano messi in vendita. Il 2 luglio 1954 un baule con quattro manoscritti su
cuoio venne ceduto in cambio di 250.000 dollari (corrispondenti in lire italiane a circa
150.000.000 dell’epoca): l’acquirente risultava essere una banca che non rivelava il
committente. Il mistero sarebbe stato svelato solo il 13 febbraio 1955, durante una
conferenza stampa del ministro israeliano durante la quale diede notizia che tutti e sette i
manoscritti della prima grotta erano in possesso dello Stato d’Israele e ne costituivano
patrimonio storico.
Ma la travagliata storia dei sette Rotoli di 1Q non terminò così. Il neonato Regno
hashemita di Giordania rivendicò subito il possesso dei manoscritti, giacché questi erano
stati trovati nei territori occupati nel ‘48-’49, non solo ma il Metropolita mar Athanasius
non ebbe più accesso a Gerusalemme e fu costretto a rimanere negli Stati Uniti perché
ritenuto il responsabile della vendita dei quattro Rotoli allo Stato Israeliano e anche se
l’esportazione illegale era stata dettata dalla grave situazione politica, l’annuncio sul
quotidiano newyorchese sembrò in verità, se vogliamo accogliere la tesi del Soggin, un
segnale convenuto.
Nel frattempo i Beduini, che avevano continuato ad esplorare la zona, nell’estate del
1951 scoprirono nuove grotte in una località diversa (il wadii Murabb’ât che da
Betlemme arriva al Mar Morto vicino ad Engaddi), ma la notizia però venne divulgata
solo mesi più tardi e finalmente la spedizione archeologica che si occupava delle rovine
di Qumrân cominciò nel marzo del ‘52 a scavare sistematicamente la zona (il sito di 1Q
venne scoperto grazie ad un ufficiale belga dell’Onu e sottratto al saccheggio dei Beduini
nel gennaio del ‘49: solo allora il Department of Antiquites of Jordan con l’Ecole
Biblique et Archeologique Française di Gerusalemme e il Palestine Archeological
Museum iniziarono vere e proprie esplorazioni) (7).
Le operazioni di ricerca erano ancora in corso quando i Beduini trovarono una seconda
grotta (2Q) nella zona di Qumrân e i tre enti (giordano, israeliano e palestinese) preposti
alle ricerche intensificarono i lavori ed esplorarono la nuova zona rinvenendo una
numerosa serie di grotte.
Ne furono rinvenute 267 (8), ma solo una (3Q) aveva fornito un rotolo di rame.
Poi le esplorazioni vennero sospese, ma i Beduini, avendo ormai capito perfettamente il
meccanismo che li faceva arricchire con poco sforzo, grazie all’enorme interesse che i
Rotoli esercitavano, continuarono a cercare e ottennero buoni risultati: nel settembre
1952 scoprirono la grotta 4, detta grotta della pernice (9), ricchissima di oltre 25.000
frammenti che vennero messi subito sul mercato. Per frenare questa enorme dispersione
le autorità di Gerusalemme ricorsero all’intervento di varie istituzioni per riuscire a
raccogliere le ingenti somme richieste dai Beduini (10).
Équipe internazionali - ne facevano parte studiosi del calibro di Milik, P.W.Skehan, F.M.
Cross, J.M. Allegro, J. Starcky, J. Struguell, C.H. Hunzinger molti dei quali scrissero poi
dei resoconti da me presi in esame - cominciarono a lavorare sul materiale già ritrovato e
continuarono a cercare nuove grotte. Nel ‘55 vennero trovate altre quattro grotte
numerate dal 7 Q al 10 Q non eccessivamente ricche di manoscritti.
Ma l’opera dei Beduini, disastrosa per certi versi ma di grande aiuto per altri, continuò e
nel 1956 venne scoperta un’altra grotta pregevole per importanza e per integrità quasi
quanto la 1 Q: era la 11 Q che a quanto pare, a parte smentite future, risulta tuttora
l’ultima della zona.
Oggi tutti i manoscritti di Qumrân (11), tranne quel che è stato saccheggiato dai Beduini,
si trovano a Gerusalemme. Una parte nel Museo di Stato Israeliano, (nel cosiddetto
Tempio del Libro inaugurato nel ‘65, dalla caratteristica forma delle antiche anfore
d’argilla come quelle in cui vennero ritrovati i manoscritti) e una parte nel Museo di
Stato Giordano.
Fino ad oggi i pochi metri che li separano hanno costituito una barriera politica e
religiosa insormontabile. La distensione dei rapporti fra Israele e l’Olp di Arafat,
appoggiato dallo Stato giordano, messa a punto dal presidente americano Bill Clinton fa
ben sperare per il futuro (12).
II- Rotoli del Mar Morto e Nuovo Testamento
Da quando i Rotoli del Mar Morto sono stati oggetto di traduzioni e di studi
critici in varie lingue, l’interesse attorno alle testimonianze dirette della
comunità di Qumrân non è mai scemato. Anzi, a periodi alterni, si è sempre
rimessa in discussione la connessione più o meno stretta fra il Cristianesimo
primitivo e la comunità qumrânita.
Alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che Cristo e i suoi discepoli
vissero in un ambiente in cui pullulavano diversi pensieri e che certamente
Qumrân non fu da meno nel contribuire alla formazione di Cristo prima
della predicazione.
E’ anche vero che la scienza storica moderna tende a superare certe
interpretazioni azzardate sulla totale identificazione della setta degli Esseni
con la prima comunità cristiana e della figura del maestro di giustizia quale
precursore di Gesù. (1)
Troppo spesso, in verità, si è dimenticato che Cristo rivoluzionò l’Antico
Testamento e fu responsabile, attraverso la buona novella, del suo
superamento in termini non solo religiosi, ma sociali, giuridici e politici,
mentre la comunità qumrânita si distacca dall’ufficialità del Tempio ma non
dalle scritture. Qumrân condanna i sacerdoti empi così come Cristo li
caccia dal tempio e confuta le argomentazioni degli anziani. Ma mai
Qumrân si allontana dalle sacre scritture che continua a seguire alla lettera e
a interpretare. Basti pensare, quale esempio, alla considerazione del sabato
sacro al signore in CD 11,16 e ss: “Se (di sabato) una qualsiasi persona
cade in una cisterna o in un altro luogo, nessuno la faccia salire con una
scala o un qualsiasi altro oggetto”.
Mentre in Mt 12,11 e ss, Cristo dice: “Chi tra voi avendo una pecora, se
questa gli cade di sabato in una fossa non l’afferra e la tira fuori? Ora,
quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del
bene anche di sabato” e in Mc 2,27-28 aggiunge: “Il sabato è stato fatto
per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’Uomo è
signore del sabato”. (2)
Ma se queste sono tesi che si oppongono alla teoria di una storia cristiana
dipendente in qualche modo da Qumrân, è altrettanto vero che esistono
alcune relazioni fra i Rotoli del Mar Morto e il Nuovo Testamento che
facilmente possono essere avallate, nonostante le posizioni intransigenti di
certi autori. (3)
I contatti di Cristo con la comunità essenica non sono affatto improbabili per
una serie di motivi che vanno dalla collocazione geografica alle abitudini di
vita, dall’organizzazione interna ai contatti con l’esterno, dalla concezione
religiosa che si affacciava all’escatologia come si può leggere e nei Rotoli e
nei rituali. (4)
a) Il deserto e il fiume Giordano. Dalla tentazione al battesimo di
purificazione.
Geograficamente il deserto degli Esseni sembra corrispondere al deserto
della tentazione di Cristo “un po’ più a nord di Qumrân dove sono stati
trovati i manoscritti. Il soggiorno di Cristo nel deserto sembra dunque averlo
condotto nelle vicinanze degli Esseni. Non v’è niente che faceva pensare ai
monaci di Qumrân quanto il tema della tentazione: per essi l’uomo è
combattuto tra l’influenza dei demoni e quella degli angeli; è questa la base
della loro dottrina. Ora è detto che Cristo fu tentato dal demonio e che
subito gli angeli lo servirono (Mc 1-3)” (5)
Nella Regola della Comunità viene citato esplicitamente Isaia (1 QS VII,
13-14) quando i qumrâniti ritengono loro compito precipuo “andare nel
deserto per preparare la via di Lui come sta scritto: ‘Nel deserto preparate la
via... appianate nella steppa una strada per nostro dio’ “. Cioè a dire,
seguendo il Moraldi (6) che la “peregrinazione desertica dei loro padri”
doveva essere sempre rievocata dalla permanenza nel luogo arido e roccioso
che avevano scelto per dimora, tantopiù poi se questo luogo doveva
accentuare “il significato della loro attesa del ritorno” (7)
Il deserto con la sua solitudine è d’altronde simbolo della terra priva di
spirito, là dove Dio aveva posto l’inizio e la fine dell’antica alleanza. La
regione di Qumrân si trova proprio di fronte al Monte Nebo, il monte dal
quale Mosé vide la terra promessa prima di morire. Interessante dal punto di
vista del significato, il capitolo dedicato al deserto e alle peregrinazioni
all’interno di esso dal prolifico e prezioso prof. Jean Danielou, in “Giovanni
Battista. Testimone dell’agnello” (Marcelliana). Che il deserto come
abbiamo detto sia una ricerca della solitudine non qualifica, secondo
Danielou, e a ragione, la scelta come ebrea o cristiana. Così come non
risolve l’ipotesi della ricerca di Dio nel deserto poiché non apparterrebbe
specificatamente alla religione cristiana o ebraica, essendo in comune con
altre religioni monoteiste. Resta invece l’identificazione come deserto
biblico: “Tutta la storia della salvezza - scrive Danielou - è come costellata
di partenze per il deserto. Che significato hanno queste partenze? Esse sono
sempre l’espressione di una rottura. Precisiamo meglio: (è questo il punto
focalizzato da Danielou che ci interessa) esse corrispondono sempre ad una
incompatibilità fra le vie del Signore e le vie degli uomini che si concretizza
con l’impossibilità, da parte di chi vuol vivere secondo le vie del Signore, di
appartenere ad un mondo che vive secondo le vie degli uomini”.
Cristo, dopo quaranta notti e quaranta giorni nel deserto, può cominciare a
predicare perché la sua strada è stata preparata dall’esilio: è l’inaugurazione
della sua missione, l’inizio di una vita nuova dopo la frattura con il vecchio
mondo (è il superamento dell’Antico Testamento e l’avvento della buona
novella di cui abbiamo parlato poc’anzi).
Una rottura con il mondo ufficiale d’un Israele degradato e degradante sarà
anche alla base del ritiro nel deserto compiuto dalla Comunità di Qumrân.
La corruzione dei costumi non era tollerabile per chi aveva scelto le vie del
Signore e sarà il deserto a restituire il rispetto per la Torâh e a inaugurare
una nuova alleanza.
Proprio questo deserto confina con le sponde settentrionali del Mar Morto e
con la foce del Giordano: là dove il Battista impartisce il battesimo di
conversione, di purificazione, Cristo recluta i primissimi apostoli (Simon
Pietro e Andrea) ed esercita il primo periodo della sua predicazione. Sono i
luoghi preferiti dal Battista che incontra gli Esseni e sceglie di seguire il loro
modello di vita. Seguendo lo studio di Jean Danielou Giovanni Battista
testimone dell’agnello (Morcelliana) e le fonti a nostra disposizione (i
Vangeli) non possiamo non essere d’accordo nel sostenere che Giovanni
Battista ha molti punti di contatto con la comunità essenica ispirata alla
speranza dell’arrivo, la “visita”, del Signore. Giovanni vive nel deserto e
pratica il digiuno e i bagni rituali, allo stesso modo della Comunità
nell’attesa del Signore. Qui, in questi luoghi ameni, sgorgano improvvise
fonti, di difficile ubicazione, dalle quali i qumrâniti traggono, con sofisticati
sistemi di ingegneria idraulica pari quasi a quelli adottati dai Babilonesi, la
preziosissima acqua per i bagni rituali. A queste acque attinge Cristo (Gv
3,22 e ss) quando ritornerà a “Ennon (letteralmente = fontane) vicino a
Salim” a battezzare sulle rive opposte a quelle dove opera Giovanni
Battista. Anche W.H. Brownlee nel suo saggio John the Baptist in the New
Light of Ancient Scrolls contenuto nell’interessante raccolta edita da
Krister Stendahl The Scrolls and the New Testament, sostiene l’ipotesi che
Giovanni debba essere entrato necessariamente in contatto con gli esseni
ponendosi degli inquietanti interrogativi: How did he live out there? Who
took care of him? How could he receive there proper training for his
prophetic mission? e propone una soluzione che non può essere scartata a
priori partendo dalla testimonianza di Giuseppe Flavio nelle Antichità
giudaiche, là dove descrive gli esseni come uomini che aborrivano l’idea del
matrimonio, che però avevano l’abitudine di adottare dei fanciulli da
crescere all’interno della comunità secondo i loro principi. Non è
improbabile, afferma il Brownlee, allora che Giovanni Battista abbia
trascorso la sua infanzia con gli esseni e il fatto che Giovanni Battista sia
stato mandato a Qumrân perché fosse cresciuto dagli esseni si potrebbe
spiegare sia per una simpatia dei genitori verso gli esseni, pur non essendo
loro stessi esseni, sia perché i genitori morirono di vecchiaia, ipotesi
assolutamente da non trascurare alla luce anche di ciò che racconta Luca
(1,7 “Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano
avanti negli anni”). I Rotoli di Qumrân ci danno la possibilità di collocare in
un tempo e in un habitat ben definito anche la figura del Battista.
b) L’organizzazione della comunità e similitudini con la chiesa
paleocristiana
Gli studiosi hanno messo in evidenza alcune caratteristiche
dell’organizzazione della Comunità qumrânita coincidenti in modo
sbalorditivo al modo in cui si istituì la comunità paleocristiana (8).
Negli Atti degli apostoli (2,44 e ss; 4,32; 4,34-37; 5,1-11) si parla di
comunione di beni. La comunione dei beni, come abbiamo già visto nella
nostra introduzione, è condizione prima per la vita nella comunità di Qumrân
(cfr 1QS). Ed è da sottolineare che non si tratta di una scelta ovvia e
frequente.
Perciò seguendo M. Hengel in Qumrân und Hellenism si può riscontrare
una vera e propria novità di tipo ellenistico, non presente ancora nello stato
di Israele dell’epoca persiana, anzi questo è un evidente segno “di un nuovo
spirito e di un nuovo elemento”.
Tant’è che “la comunione dei beni degli esseni e il loro rifiuto della
proprietà individuale, del commercio e dei soldi, e il loro celibato
impressionarono gli antichi osservatori, come mostrano Filone, Giuseppe
Flavio e Plinio” ed è vero anche che la rinuncia alla proprietà “non veniva
interpretata come una grave rinuncia ma si trattava di una esigenza che era
considerata un particolare privilegio (...). Si potrebbe indicare come
possibile base dell’Antico Testamento il fatto che secondo la comprensione
della Tôrah il suolo della terra santa era l’eredità conferita da Dio a tutto il
popolo e a causa di ciò in fin dei conti era proprietà comune, che fu
sorteggiata per la stirpe (...). Ma da questi ordinamenti dell’Antico
Testamento fino al brusco rifiuto della proprietà privata e del profitto , c’è
un ulteriore passo”. (9)
Qual è questo ulteriore passo? E’ quello, a mio avviso, che costituisce non
già un legame, un’affinità con la chiesa primitiva di Cristo (e sui motivi per i
quali non si ravvisa un legame paritario e diretto rimando all’esaustivo
capitolo dedicato alla proprietà e alla povertà da K.H. Schelkle (10)), bensì un
carattere anticipatore, un esempio ben vivo per i primi cristiani al quale fare
riferimento. Cristo fonda la sua dottrina sulla povertà e se è vero che i
qumrâniti definiscono se stessi “poveri” (cfr. commento al salmo 37, dove si
insiste sul fatto che “gli umili possederanno la terra... Ciò si riferisce ai
poveri che accettarono il tempo della tribolazione, ma che saranno liberati
da tutti i loro legami”), l’influenza che Qumrân poté esercitare sulla
comunità cristiana potrebbe trovare qui delle conferme.
Sul battesimo e sui bagni rituali ho già relazionato nel paragrafo precedente,
resta da sottolineare il ruolo di anello di congiunzione del Battista fra i suoi
discepoli e gli apostoli e tra Qumrân e Cristo, come propone Oscar
Cullmann (11), il quale tra l’altro mette in evidenza la grande impressione che
il discepolo Giovanni (non a caso l’autore del Vangelo mistico, allegorico-
simbolico per eccellenza) aveva avuto dal contatto con Qumrân, tanto da far
pensare che fosse egli stesso un esseno (12).
Un’altra incredibile coincidenza esaminata, tra gli altri, anche da Bo Reicke
in Die Verfassung der Urgemeinde im Licht Jüdischen Dokumente (13)
riguarda la formazione del consiglio della Comunità e la struttura gerarchica:
There is a council in the community, consisting of twelve men and three
priets. this looks like an analogue to the college of the twelve apostles of
Jesus. It is, however, not clear from the text whether the three priests are
inside or outside the circle of twelve. Perhaps the inclusion of the three
priests is to be preferred, because it enables one to see in the expression
‘priest’ an especial mark of honor and to avoid the rather improbable
risult that the other twelve were laymen.
La tesi di Reicke viene accolta dal Danielou (14). In effetti tra i dodici
apostoli tre in particolare avevano in qualche modo dei privilegî: Pietro,
Giacomo e Giovanni. Fatto che trova conferma nello stesso Vangelo: Dopo
sei giorni Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra
un monte alto in luogo appartato, loro soli (Mc, 9,2, ma anche in Mt 17 e
in LC 9,28).
E’ il momento in cui Cristo sceglie proprio questi tre perché assistano alla
trasfigurazione, della quale avrebbero dovuto parlare solo dopo la sua morte
e poi ancora in Mt 16, 17-19 la circostanza in cui Cristo conferma il primato
di Pietro: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa...
Un’ulteriore conferma può essere colta in Mt 20,20 e in Mc 10,35 quando i
figli di Zebedeo (in Mt è la madre) chiedono a Cristo di sedere alla sua
destra e alla sua sinistra (da qui lo sdegno degli altri postoli) e infine in Gv
19,26-27 quando Gesù sulla croce morente affida la madre a Giovanni e
Giovanni alla madre (15).
E’ chiaro che il numero degli apostoli ha forti richiami simbolici ai dodici
figli di Giacobbe che fondarono lo Stato d’Israele, ma ciò che attira
l’attenzione degli studiosi è la descrizione del consiglio della Comunità
qumrânita (in DSD VIII 4-8) che ci riporta a Mt 19,28 sul compito degli
apostoli chiamati a giudicare le dodici tribù seduti su dodici troni: che si
tratti di un numero simbolico è evidente; esso ritorna anche in Atti 19
quando Paolo nel terzo suo viaggio incontra a Efeso alcuni discepoli di
Giovanni Battista (chi si rivede!) e dopo averli battezzati nel nome di Cristo
fonda la Chiesa di Efeso. I discepoli che ricevono lo Spirito Santo sono
dodici.
c) I rapporti con il tempio come si evince dai rotoli e dai vangeli
La posizione qumrânita nei confronti del tempio di Gerusalemme ha
stimolato gli studi scientifici di molti autori, alcuni dei quali sono giunti a
valutare una posizione premonitrice, anticipatrice, se non adirittura
escatologica dei Rotoli del Mar Morto (16). I sacerdoti di Qumrân avevano un
ruolo davvero centrale all’interno della Comunità. Qumrân come si evince
dai testi, sembra coadiuvata da un gruppo di Sadducei (sacerdoti discendenti
di Sadoc; essi stessi si definiscono figli di Aronne e figli di Sadoc) che
formano il nucleo centrale. Rigidi nella disciplina, i sacerdoti di Qumrân
ritenevano empia la casta sacerdotale di Gerusalemme, tanto che nel
Commento ad Osea (17) il salmista commentava: L’interpretazione di questo
si riferisce a quelli che hanno mangiato e si sono riempiti e poi hanno
dimenticato il Dio della Salvezza, hanno gettato dietro le spalle i suoi
precetti, quelli che aveva mandato loro per bocca dei suoi servi, i profeti, e
loro invece hanno dato ascolto A coloro che li sviavano: essi li hanno
onorati e nel loro accecamento li hanno temuti come degli dei. L’invettiva
contro il sacerdote empio si amplia nel Commento a Abacuc (18), là dove i
sacerdoti di Qumrân sottolineano che pur avendo gli strumenti per
perseguire sulla strada della verità l’empio abbandonò Dio, tradì i suoi
statuti a causa delle ricchezze (...) prese le ricchezze dei popoli
accumulando su di sé la perversione della colpa.
I qumrâniti si sentono dei convertiti, dei ritornati, dei penitenti che scelgono
di vivere nel deserto per l’impossibilità di convivere, seguendo la legge di
Mosè, con un sistema diverso dal loro: non spetta agli esseni avvicinarsi a
Israele, ma è Israele che deve convertirsi alla legge di Dio, come loro hanno
fatto. Il loro peregrinare nel deserto è la penitenza preparatoria per la
salvezza (19).
E’ il Documento di Damasco (20) il testo che dà più ampie delucidazioni a
riguardo, sia quando esemplifica le origini della Comunità sorta dal
contrasto tra la tendenza ellenizzatrice e quella duramente conservatrice, sia
quando passa ad elencare le qualità che devono possedere gli uomini di Dio.
Dapprima viene descritta l’assemblea dei traditori: gli empi hanno deviato
dalla via; l’uomo dell’arroganza ha consegnato l’assemblea alla spada
esecutrice della vendetta del patto. La violazione del patto, la sovversione
della giustizia in empietà ha causato la collera di Dio contro la loro
assemblea devastando tutta la loro moltitudine: le loro opere furono come
un’impurità davanti a lui. L’autore del CD passa ad annoverare le qualità
che devono essere degli uomini di Dio e le espiazioni per salvare i convertiti
(21). Infine il perdono di Dio al compimento del tempo preciso (22). Ma
soprattutto vi è un passo (CD I 13-18) in cui è detto: In tutti quegli anni
Belial sarà lasciato andare contro Israele come Dio disse per opera del
profeta Isaia, figlio di Amon: “terrore, trabocchetto e tranello per te
abitante della terra”. L’interpretazione di questo si riferisce alle tre reti di
Belial delle quali ha parlato Levi, figlio di Giacobbe; è con esse che ha
accalappiato Israele e ha posto davanti a loro come tre specie di giustizia:
la prima è la lussuria, la seconda sono le ricchezze, la terza è la
contaminazione del santuario..
La lussuria per i qumrâniti andava rintracciata nella permissività di alcuni
tipi di matrimonio da parte dei sacerdoti ufficiali, mentre gli esseni erano
assai rigorosi sull’argomento (23). Infine la contaminazione del tempio che si
estrinsecava anche in una diversa celebrazione temporale delle festività
(poiché il calendario è dissimile: solare per Qumrân, lunare per
Gerusalemme) (24) e nel rifiuto del servizio sacrificale.
Il paragone con il Nuovo testamento come si può evincere da queste
premesse è ampio e complesso. Mi preme in particolare fermare l’attenzione
sul rapporto (o non-rapporto) di Cristo con il tempio e sulla condanna della
lussuria e della ricchezza, individuando, dove è possibile, le relazioni tra la
Comunità cristiana e quella del Mar Morto.
Il primo riferimento è, chiaramente, al celeberrimo passo dei Vangeli della
cacciata dal tempio: Era vicina la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme. Egli trovò nel tempio venditori di buoi, di pecore, di
colombe e cambiamonete seduti. Fece una sferza di cordicelle e li scacciò
tutti dal tempio con le pecore e i buoi; sparpagliò il denaro dei
cambiavalute e ne rovesciò i tavoli; poi disse ai venditori di colombe:
“Portate via di qua queste cose e non fate della casa del Padre mio una
casa di mercato”. (Gv 2, 13-16) Passo fondamentale per comprendere il
valore che Cristo dava al tempio come luogo di aggregazione comunitaria
volta alla preghiera ; la contaminazione in questo caso consisteva nell’aver
reso il tempio una spelonca di briganti, nell’aver permesso che si
commerciassero beni materiali nella casa spirituale. Il discorso ai Farisei,
che in Mc (7, 1-23) assume i toni più aspri e drammatici, costituisce
l’attacco frontale agli ipocriti, a coloro che osservano la Torâh
pedissequamente senza interpretarla (25). Esempi di tal genere che riferiscono
di un Cristo rivoluzionario rispetto alla chiesa ufficiale sono numerosi in
tutto il Nuovo Testamento e provano che Cristo più volte si fa interprete
delle Scritture e promulgatore delle nuove leggi (26).
A questo proposito vale la pena ricordare la diatriba fra Cristo e i Giudei
che appare solo nel vangelo di Giovanni (8,33-59) e in particolare ci
interessa la risposta del Cristo alla domanda: Sei forse più grande di nostro
padre Abramo che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi ti credi? e
Cristo: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono.
Qumrân vive, dunque, il tempio (qahal = ecclesia nella versione LXX; in
senso dispregiativo per Qumrân) come struttura fisica contaminata dagli
uomini (è nota l’idiosincrasia verso tutto ciò che è esterno e materiale
rispetto alla comunità, intesa anche come monastero), rispetta la Torâh, la
interpreta secondo la propria teosofia, ma soprattutto condanna gli uomini
altri, gli empi, i sacerdoti deviati, e sceglie l’isolamento volontario quale
espediente per non entrare in contatto con questi anche e soprattutto
fisicamente secondo una visione elitaria perfino del loro corpo (27); Cristo
vede nel tempio la casa spirituale del Padre, caccia i corrotti, confuta le
argomentazioni dei Farisei, redarguisce l’alterigia dei Giudei per
riconquistare il santuario; in poche parole entra in contatto con i peccatori.
Crede nella legge di Dio ma la supera con la sua nuova legge e
fondamentalmente agisce in prima persona, senza attendere l’intervento
degli angeli devastatori, immolandosi per la salvezza dell’uomo.
d) La missione qumrânita e quella cristiana
Prima di continuare il nostro confronto fra i testi di Qumrân e il Nuovo
Testamento anche dal punto di vista dell’insegnamento religioso, occorre
ribadire, qualora ce ne fosse bisogno, un concetto fondamentale attorno al
quale s’impernia tutta la filosofia cristiana, la sua rivoluzione, il suo
dilagarsi e resistere nel tempo, cioè che la legge di Cristo è fondata
sull’amore: è l’amore che porta alla giustizia spirituale e sociale e quindi al
superamento dell’Antico Testamento.