favorire, quindi, una crescita economica equilibrata del
mercato comune.
Proprio in considerazione dell’importanza che ha assunto
negli ultimi anni l’intervento finanziario pubblico sia su
scala nazionale che internazionale, si è avvertita la necessità
di apprestare una tutela più adeguata contro le frodi nella
materia dei finanziamenti pubblici. E’ così che il legislatore
si è determinato a reprimere espressamente tutti i
comportamenti di abuso degli ausilii aventi natura
pecuniaria. Le conseguenze dannose di siffatte condotte
sono assai gravi per l’intera economia. In primo luogo, la
mancata attuazione delle finalità oggetto del finanziamento
si ripercuote negativamente sulla corretta collocazione delle
risorse finanziarie, finendo per vanificare le finalità di
interesse generale che si intendono perseguire; in secondo
luogo, lo spostamento di ricchezza verso soggetti che non ne
hanno diritto, da un lato, consente ai produttori che
beneficiano illecitamente dei contributi pubblici di praticare
prezzi più vantaggiosi di quelli imposti dalle normali regole
di mercato agli imprenditori onesti e, dall’altro, danneggia
l’ente erogatore che vede depauperarsi la parte del suo
patrimonio destinata all’investimento oggetto della
sovvenzione.
L’intervento legislativo si è sviluppato su un duplice fronte:
prendendo di mira la sola azione dei beneficiari dei
finanziamenti, il legislatore ha scandito la repressione in due
fasi a seconda, cioè, che le condotte illecite vengano poste
in essere anteriormente ovvero in un momento successivo
all’atto di erogazione della sovvenzione. Viceversa,
l’individuazione della eventuale responsabilità degli agenti
pubblici, che intervengono nella concessione del
finanziamento, è stata lasciata alla disciplina comune dei
delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione.
Capitolo I
La truffa ex art.640 c.p.: l’origine della truffa
aggravata ex art. 640-bis c.p.
Una tra le varie condotte criminose che non sempre incontra
il biasimo della collettività, ma al contrario, può suscitare a
volte una sorta di moderata ammirazione da parte di chi non
viene a trovarsi nella posizione di soggetto passivo, per
l’originalità e per la perizia con cui spesso viene posta in
essere, è sicuramente la truffa. Non sono infrequenti le
occasioni per notare una smorfia di sorriso sul viso dei
conduttori dei giornali della televisione quando questi ne
danno notizia, definendola al contempo “colossale” o
“bizzarra“. Scrittori, registi e commediografi ,d’altronde,
hanno proprio costruito la loro fama o hanno accresciuto il
loro prestigio assumendo non di rado ad oggetto principale
delle loro opere tale figura di reato. In molti ricorderanno,
ad esempio, l’indimenticabile Totò che , con l’aiuto del suo
complice, organizza una finta trattativa per la vendita della
fontana di Trevi ad uno sprovveduto emigrato italo-
americano nel film “Totò truffa ‘62”.
Dal momento che il caso ora citato costituisce solo una fra
le innumerevoli e disparate modalità attraverso le quali tale
fattispecie di reato può trovare la propria concretizzazione,
sarà opportuna, ai fini dello studio in questione, la
delineazione degli elementi essenziali dell’illecito penale
“de quo“.
La truffa è considerata il più caratteristico delitto
fraudolento contro il patrimonio: è la frode per
antonomasia
1[1]
. Essa è disciplinata dall’art. 640 del nostro
Codice Penale il quale, nel suo primo comma, stabilisce
che: “Chiunque, con più artifizi o raggiri, inducendo taluno
in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con
altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni
e con la multa da lire centomila a due milioni.”
Dalla prima parte del comma in esame si evince in maniera
piuttosto evidente che nocciolo essenziale del delitto
considerato è l’inganno per mezzo del quale un soggetto
1[1]
ANTOLISEI – Manuale di Diritto Penale - Parte Speciale I , Milano, 1996, pag. 335
viene indotto al compimento di un atto, non rilevando se
commissivo o omissivo, dal quale deriva una diminuzione
del suo patrimonio, con conseguente profitto del soggetto
che induce in errore o di terze persone. Il consenso della
vittima ottenuto in maniera fraudolenta comporta che la
stessa, diversamente da altri reati, si danneggi da sé, cioè
attraverso un proprio comportamento pregiudizievole per il
proprio patrimonio e vantaggioso per altri.
Avendo riguardo alla volontà di chi subisce il reato, quello
della truffa risulta essere piuttosto simile a quello
dell’estorsione disciplinato dall’art 629 del Codice Penale.
Infatti entrambe le fattispecie di reato presentano il vizio
della volontà, il quale conduce la vittima ad una
disposizione auto – lesiva della propria sfera patrimoniale,
ma, mentre nel delitto contemplato dall’art. 640 tale vizio
deriva dall’inganno del truffatore, in quello contenuto
nell’art. 629 lo stesso vizio è procurato, invece, da una
minaccia, fisica o psichica, proveniente dall’estorsore. Il
confronto tra i due reati summenzionati serve ad evidenziare
che finalità del legislatore non è solamente quella di
preservare il patrimonio, ma anche quella di tutelare (per la
truffa in particolar modo) l’autonomia del consenso nei
negozi aventi natura patrimoniale.
Dalla definizione codicistica e da quanto detto sino ad ora si
può affermare che la fattispecie della truffa si compone dei
seguenti elementi:
A) la condotta ; con l’espressione “artifici o raggiri”,
seguita da “atti ad ingannare o sorprendere l’altrui buona
fede”, il legislatore penale, coerentemente a quanto
sosteneva la coeva dottrina
2[2]
, ha voluto segnare una
distinzione fra frode civile e frode penale: quest’ultima,
secondo i sostenitori della teoria della “mise en scène”
3[3]
, si
distingueva dalla prima per la complessità e l’ingegnosità
dei mezzi utilizzati per la sua attuazione. Per la
realizzazione della frode civile, invece, bastava qualsiasi
mezzo, anche la semplice menzogna e, talvolta, a seconda
delle circostanze, la reticenza. Alla base di tale
differenziazione vi era la ratio di voler proteggere nella
maniera più compiuta lo svolgersi dei traffici e delle
contrattazioni civili. Da diversi anni, oramai, anche
attraverso un consolidato orientamento giurisprudenziale
4[4]
,
2[2]
Vedi nota 3
3[3]
In particolare il criminalista tedesco CUCUMUS, considerato il padre della teoria della “ mise en scène “, e, in
Italia, il CARRARA, Programma,Parte speciale, v. IV, 2344,2345.
4[4]
In particolare Cass. 21 maggio 1992, in Cass. pen. 1994, 616.
tale distinzione ha perso ogni ragione di esistere, essendosi
rafforzato il principio secondo cui “la concezione dei
rapporti sociali che sta alla sua base confonde la libertà dei
traffici con la libertà di abusare dell’altrui buona fede e, in
sostanza, con la facoltà di valersi dell’ inganno nella
trattazione degli affari”
5[5]
. In termini più semplici, non può
essere tollerato in nessuna maniera che alcun consociato,
anche se particolarmente ingenuo, diventi preda dei
truffatori. Ne deriva che anche la semplice menzogna è
sufficiente per realizzare l’illecito penale della truffa. Di
diverso avviso si sono mostrate parte della dottrina
6[6]
e
della giurisprudenza
7[7]
, le quali asseriscono che la
menzogna non corredata di ragionamenti idonei a farla
scambiare per la verità non acquisisce rilevanza penale.
Tuttavia qualche autore appartenente a quest’ultimo
orientamento, con argomentazioni molto interessanti
8[8]
,
sostiene che non debbano annoverarsi tra i comportamenti
penalmente rilevanti ex art. 640 quegli inganni che la società
ritiene certamente riprovevoli , ma li qualifica come
5[5]
ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale - Parte Speciale I, “op. cit.”, pag. 338
6[6]
SAMMARCO, La truffa contrattuale, Milano, 1988, pag. 189
7[7]
Cass. 14 novembre 1985, in Riv. pen., 1986, pag. 847
8[8]
Vedi nota 9
semplici scorrettezze
9[9]
. Si pensi, ad esempio, al c.d. “dolus
bonus“ che spesso consiste in menzogne su qualità
inesistenti attraverso le quali un commerciante si propone il
fine di vendere la propria merce anche a colui che non ne
trae utilità o non ne incontra l’immediato gradimento dalla
stessa.
Non è ancora del tutto pacifico se l’artificio o il raggiro,
quando operano in ambito contrattuale, debbano sussistere,
affinché vi sia rilevanza penale, nel momento genetico del
sinallagma oppure anche solamente nel momento
funzionale. La giurisprudenza più recente
10[10]
sembra
orientata nel dare rilevanza anche ai casi in cui vi siano
artifici o raggiri soltanto nella fase di esecuzione del
contratto.
B) l’induzione in errore ; essendo ormai priva di
importanza, come ritiene il prevalente orientamento
giurisprudenziale
11[11]
, l’idoneità del mezzo ad ingannare o a
sorprendere l’altrui buona fede, e non rilevando in linea
generale la leggerezza dell’ingannato, è sufficiente che lo
9[9]
In particolare il PEDRAZZI in Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, pag. 195; l’autore
ritiene estremamente importante, ai fini della valutazione del mezzo ingannatorio, la rilevanza del costume sociale. In
soccorso al proprio pensiero egli riprende il passo attribuito a Pomponio e riportato da Ulpiano in Dig. 4,4,16,4 che reca
“ in pretio emptionis et venditionis naturaliter licere contrahentibus se circumvenire”.
10[10]
Cass. 20 gennaio 1988, in Riv. pen. 1989, pag. 237.
11[11]
Vedi nota 4
stesso mezzo abbia causato l’inganno che determina in
errore la vittima.
C) l’evento (la disposizione patrimoniale); l’atto dispositivo
può avere ad oggetto beni mobili, beni immobili e diritti di
qualsiasi genere, tra i quali possono essere incluse anche le
prestazioni avente carattere personale. La disposizione
patrimoniale può consistere anche in un “non facere“ come
può essere la rinuncia del creditore all’azione restitutoria nei
confronti del debitore.
Per quanto attiene al soggetto ingannato, si ammette
generalmente che questi possa essere una persona diversa
dal danneggiato
12[12]
, ma alla imprescindibile condizione che
il primo si trovi in una posizione giuridica - che nella
maggior parte dei casi si presenta come quella di
rappresentante del titolare del diritto - che gli permetta di
compiere l’atto di disposizione patrimoniale. In assenza di
tale condizione l’ingannato estraneo (cioè che non è legato
al soggetto danneggiato, ad esempio, da un rapporto di
rappresentanza) non è più vittima del reato di truffa ma, è,
ex art. 48 C.P., autore mediato non punibile del reato di
furto o di appropriazione indebita
13[13]
.
12[12]
Cass. 25 agosto 1975, in Mass. dec. pen.1975, m.130.681;
13[13]
ANTOLISEI., “op. cit.”, pag. 343
D) il nesso di causalità ; perché si conservi l’integrità
dell’iter che conduce alla realizzazione della truffa è altresì
necessario che l’errore, che è un puro fatto conoscitivo sia
“condicio sine qua non“ dell’atto di disposizione
patrimoniale del soggetto passivo. Per esemplificare si
ipotizzi che Tizio si finga promotore finanziario al fine di
ottenere un cospicuo versamento di danaro dal risparmiatore
Caio e poi dileguarsi verso mete tropicali. Saggiamente
quest’ultimo non dà nessun credito ai tentativi di
persuasione di Tizio ma, convinto di svolgere un’operazione
finanziaria diversa, gli elargisce ugualmente la somma
sperata. Pur avendo Tizio raggiunto lo scopo che auspicava,
non è da considerarsi configurato il reato di truffa (bensì
solo un tentativo) poiché la disposizione patrimoniale è da
annettersi ad un errore dovuto alla distrazione di Caio e non
alla sterile opera di convincimento di Tizio. Si può dunque
affermare che l’errore che deriva dall’inganno e la
disposizione patrimoniale sono elementi della truffa
necessari ma non sufficienti se, oltre a non essere entrambi
presenti, non sono legati tra loro da un rapporto causa-
effetto.
E) un danno patrimoniale ; è sicuramente da considerarsi
danno patrimoniale, nelle componenti di danno emergente e
di lucro cessante
14[14]
, tutto ciò che è suscettibile di
valutazione economica. Nondimeno può, però, dirsi lo
stesso anche per le cose che non possiedono uno stimabile
valore di mercato ma, hanno per il loro titolare un puro
valore affettivo
15[15]
.
F) l’ingiusto profitto ; requisito basilare del reato è
l’ingiustizia del profitto. E’ da considerarsi ingiusto il
profitto nei casi in cui a quest’ultimo non corrisponda un
diritto del soggetto agente o di terzi. Così non è truffato il
debitore che, vittima di un inganno, estingue il proprio
debito nei confronti del creditore.
Per quanto attiene al momento consumativo del reato la
maggior parte degli autori è oggi concorde nell’identificarlo
nel conseguimento del profitto
16[16]
. Una parte della dottrina
meno recente era tuttavia di segno contrario
17[17]
.
Qualora l’agente o altra persona non conseguano l’ ingiusto
profitto, pur essendo venuti alla luce tutti gli altri
presupposti necessari per l’integrazione della fattispecie di
14[14]
Sulla rilevanza del presumibile lucrum cessans, Sez. II, Cass. 8 marzo 1993, in Rep. Giur. it. 1994, c. 4023, n. 9
che ha ritenuto lucro cessante quello da ricollegarsi alla mancata aggiudicazione di lavori di una gara d’appalto.
15[15]
ANTOLISEI, “op. cit.”, pag. 345 : “……ai fini del diritto penale fanno parte del patrimonio anche le cose che ….
hanno un puro valore di affezione…”.
16[16]
ANTOLISEI, “op. cit.”, pag. 346
17[17]
In particolre DELOGU in Il momento consumativo della truffa, in Giur. Cass. pen. 1944, pag. 68
reato in esame, non sarà realizzato l’ illecito di cui si discute
ma, un tentativo dello stesso
18[18]
.
G) l’elemento soggettivo ; sotto il profilo soggettivo, la
truffa è delitto esclusivamente doloso: perché sia
configurabile il reato è, quindi, necessario che l’agente, oltre
a volere la sua azione, voglia anche l’inganno della vittima
come conseguenza dell’azione stessa, nonché il danno e il
profitto a cui il danno è diretto. E’ essenziale, in particolare,
che nell’agente vi sia coscienza e volontà del rapporto di
causa-effetto che intercorre tra l’inganno e la disposizione
patrimoniale e tra la disposizione patrimoniale e l’ingiusto
profitto di cui all’art. 640. Ovviamente, affinché si completi
il dolo, è necessario che la volontà sia accompagnata dalla
consapevolezza del carattere frodatorio del mezzo usato e
dell’ingiustizia del profitto perseguito.
La complessità e la molteplicità degli elementi della
componente psicologica, come si può capire, fanno sì che
sussista un ampio margine per l’errore di fatto. Si pensi, ad
esempio, a chi erroneamente si reputa creditore, il quale
agisce fraudolentemente per ottenere una somma di danaro
ritenuta spettantegli di diritto, così parimenti alla cartomante
18[18]
Cass. 18 settembre 1989, in Nuovo dir. 1990, 101.
televisiva convinta delle proprie, in realtà inesistenti, doti di
chiaroveggenza.
Infine, il dolo deve essere antecedente o simultaneo
all’azione criminosa
19[19]
. Un dolo successivo - cioè
maturato nell’agente solo dopo la stipulazione del contratto
e non prima al fine di ottenere la stessa - non comporta
quindi responsabilità per il reato di truffa. Questo
orientamento, ancora prevalente, implica senz’altro una
lacuna della repressione di alcune frodi la cui realizzabilità è
tutt’altro che teorica. Si pensi, per esemplificare, a Tizio, il
quale, dopo aver venduto un immobile a Caio, riceve
un’offerta migliore da Sempronio ed essendo a conoscenza
che Caio non ha ancora trascritto il contratto, vende
l’immobile a Sempronio, il quale, effettuando la trascrizione
prima di Caio, ne acquista la proprietà. Se non emerge che
Tizio, già al momento della prima vendita, era intenzionato
a frodare Caio, nella sua azione non è ravvisabile una truffa
perché il danno subito da Caio non è l’effetto di un inganno.
Una questione molto particolare, sulla quale in passato si è
molto dibattuto, è quella concernente la c.d. “truffa in atti
illeciti“. La disputa verteva sulla configurabilità o meno
19[19]
Cass. 19 maggio 1979, in Mass. dec. pen. 1979, m. 142.010.
della truffa allorquando vi fosse una situazione in cui
l’ingannato, proponendosi un fine illecito, veniva raggirato
proprio mentre cercava di conseguire il fine stesso
20[20]
.
Un esempio di scuola è quello della persona che versa una
somma di danaro per corrompere un individuo che fa
credere di essere un pubblico ufficiale senza esserlo.
Diverse argomentazioni sono state addotte a sostegno della
tesi della non punibilità del soggetto traente in inganno. Si è
detto, nello specifico, che chi agisce per uno scopo illecito
deve ascrivere a sé stesso l’inganno e la perdita patrimoniale
subita
21[21]
. Altri hanno asserito che, sanzionando colui che
inganna, si verrebbe a riconoscere automaticamente il
carattere obbligatorio della prestazione vietata
22[22]
. Inoltre,
si è continuato dicendo che se lo Stato offrisse una tutela a
chi agisce “contra ius“, si determinerebbe una sorta di
“prostituzione della sanzione penale”
23[23]
.
20[20]
ANTOLISEI., “op.cit.”, pag. 348
21[21]
Il MAGGIORE in Dir. pen., v, II, Bologna, 1958, pag. 1015 è tra i più fermi sostenitori di questo pensiero e dedica
una lunga bibliografia all’argomento
22[22]
MAGGIORE, “op.cit.”, pag. 1015 e ss.
23[23]
MAGGIORE, “op.cit.”, pag. 1015 e ss.