4
fino al tempo di Diocleziano e Massimiano che ne fanno riferimento nella loro
Costituzione.
Andando avanti nella storia, si scopre che al tempo delle invasioni
barbariche varie stirpi assegnavano un ruolo importante al conferimento del
nome, che veniva deciso dal padre con un complesso rito.
Con la progressiva civilizzazione della nostra società si assiste alla nascita
dei primi cognomi: infatti, a partire dall’anno 1000, non è inusuale trovare atti
privati e pubblici nei quali viene dichiarata la paternità, o indicato un altro
nome, o specificato un altro ancora nel caso di antroponimo uguale.
In sostanza si assiste ad una sempre più definita specificazione della
persona.
Già nell’antichità veniva riconosciuto al nome, e quindi all’appartenenza
ad una determinata famiglia, una serie di situazioni giuridiche rilevanti costituite
da subentri nei patrimoni ereditari.
D’altronde un ruolo importante al nome viene dato anche dal Corpus Iuris
giustinianeo, che contiene statuizioni fondamentali in tema di libertà di
designazione del nome.
Gli studi giuridici sul nome, dopo l’opera di Giustiniano, incontrano un
momento di oblio per poi riprendere durante l’età volgare, in seguito ad evidenti
problemi di carattere pratico: l’aumento demografico pone in difficoltà il
sistema del nome unico, che non è in grado di identificare tutti i soggetti
appartenenti ad un determinato gruppo sociale. Nasce così il cognome.
Gli studiosi, in seguito a riflessioni effettuate sulla base dell’analisi delle
società più evolute dell’epoca (in particolare nelle città di Venezia e Firenze),
hanno rilevato che nel primo periodo (dall’undicesimo al quattordicesimo
secolo) i cognomi evolvono dai patronimici.
Il sistema nome-cognome comincia ad affermarsi saldamente, anche
attraverso la realizzazione di costruzioni fantasiose, volte a diversificare il più
possibile le diverse famiglie. Sono facilmente identificabili quattro sistemi tipici
per stabilire il prenome: allusione ad un’individualità determinata, evocazione di
un certo ambiente, simbolismo fonetico e trasparenza del significato
2
.
Nel cognome, invece, è già riconoscibile l’elemento di identificazione
riconosciuto ai soggetti all’interno dell’ambiente di appartenenza: la derivazione
da un soprannome, il riferimento a nomi propri maschili o femminili, la
riproposizione di qualità morali o fisiche, la provenienza o l’appartenenza ad un
popolo.
Intorno al 1200 si cominciano ad avere i primi registri anagrafici, presenti
in molte città comunali, nei quali ogni soggetto reca una designazione più o
meno ufficiale, ma senz’altro pubblica, affidando al nome la propria presenza
nella società.
Cominciano anche le prime speculazioni: si pensi che a Bologna una
2
Cit. Migliorini – “Dal nome proprio al nome comune”, 1968.
5
scuola notarile insegna formule specifiche, che gli operatori del diritto dovranno
utilizzare nella tenuta dei registri, richiedendo piccole somme in cambio della
loro opera.
I registri, indubbiamente, hanno un ruolo importante, perché sono la prima
testimonianza di alcune tematiche del diritto: attraverso essi si realizza la
definizione e classificazione dei segni distintivi, il valore legale di essi ai fini
dell’identificazione della persona e la possibilità di variazione senza frode.
La rilevanza giuridica del nome cresce sempre di più, tanto che a
Bologna, per esempio, vengono inserite delle clausole penali nello Statuto della
città
3
relative alla modifica del nome inserito nei registri cittadini.
Attraverso il nome cresce il riconoscimento dell’individuo all’interno
dello Stato, che inizia ad identificarlo come “soggetto”.
Si cominciano a creare norme sempre più dettagliate circa l’uso del nome,
che viene sempre più identificato come un elemento distintivo della persona e
requisito fondamentale ai fini della trasmissibilità di diritti inter vivos et mortis
causa.
La legislazione francese del periodo rivoluzionario presta grande
attenzione alla designazione personale: viene limitata la scelta dei prenomi a
quelli in uso nei calendari o già portati da personaggi della storia antica, viene
disposta l’immutabilità del nome in generale, pur consentendo il cambiamento
per giusti motivi e, addirittura, prevedendo anche l’eventuale opposizione di terzi.
Il punto focale della legislazione francese è rappresentato
dall’individuazione della necessità che il nome sia regolato dalla legge e che
rappresenti una vera proprietà del cittadino.
L’evoluzione della dottrina porterà, come vedremo nel corso della
trattazione, all’affermazione del nome come diritto della personalità.
Il nome, con il passare del tempo, acquisisce rilevanza anche in relazione
alla professione svolta, evolvendosi fino a costituire la denominazione
dell’attività del soggetto.
A questo punto sorgono i primi problemi di carattere giuridico legati
all’uso indebito del nome altrui e le prime difese approntate dai vari ordinamenti
per garantire la massima tutela dei legittimi titolari.
L’evoluzione, però, non è ancora finita: la ricerca umana ha portato allo
sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate che sicuramente migliorano la vita
dell’uomo e soprattutto facilitano l’interazione fra i soggetti.
Negli ultimi anni ha avuto un grande sviluppo l’Internet, la “Rete delle
reti”, che rappresenta attualmente la massima espressione di interconnettività fra
i membri di società sempre più multietniche.
L’evoluzione in ambito informatico, si sa, è rapidissima: si è calcolato che
tre mesi nel mondo dei computers equivalgono ad un anno di vita reale.
È evidente che un fenomeno così massicciamente presente nella società
3
Cfr. Fasoli, Sella – “Statuti di Bologna dell’anno 1288”, 1937, pp. 237 ss.
6
non potesse non costituire oggetto di studio da parte del diritto, in relazione a
tutte le problematiche sorte, soprattutto riguardo alla tutela dei soggetti in rete.
Le questioni che interessano il diritto sono tante: dalla responsabilità di
chi fornisce i servizi alla tutela dei navigatori, dalle problematiche relative al
commercio elettronico alla firma digitale, e tante altre ancora si potrebbero
citare.
La mia personale passione per l’informatica ed il diritto mi ha motivato
allo studio del fenomeno dell’Internet da un punto di vista strettamente
giuridico.
Ho voluto focalizzare l’attenzione sulla tutela del nome di dominio,
chiave d’accesso per i siti Internet.
La trattazione che segue comincia con l’analizzare la tutela del nome da
un punto di vista generale, per poi scendere nel particolare, sotto il profilo della
rete, con un’attenzione peculiare verso la struttura tecnica del Web e la tutela
relativa ai marchi.
L’obiettivo perseguito è di arrivare a comprendere se le regole presenti nel
nostro ordinamento siano in grado di soddisfare le esigenze dei protagonisti e
dei fruitori del cosiddetto “cyberspazio”, trattando a fondo il problema ed
ingenerando in chi legge un interesse, anche se profano del tema.
Buona lettura.
9
CAPITOLO I
IL DIRITTO AL NOME E LA SUA TUTELA
1. IL NOME NELL’ORDINAMENTO VIGENTE
Il nome costituisce, per eccellenza, senza alcun dubbio, l’elemento
identificativo più rappresentativo della persona.
La disciplina riguardante il diritto e la tutela del nome nel nostro
ordinamento, è costituita da poche norme, ma tutte aventi un peso assolutamente
rilevante.
C’è da dire anche che la tutela del nome è stata sempre accorpata alla
tutela dell’immagine, visto che, effettivamente, le due cose hanno una stretta
attinenza essendo entrambe diritti della persona notevolmente caratteristici.
Personalmente ritengo che, per un’analisi più precisa del nome non si
possa fare a meno dello studio sull’evoluzione storica, che è stata trattata nella
premessa di questo lavoro.
Solo attraverso l’analisi dell’evolversi della disciplina dettata con
riferimento alla persona è possibile capire il senso delle norme che tutelano il
nome.
Vediamo di analizzare nel dettaglio le norme di riferimento, tenendo
sempre ben presente che siamo di fronte a regole sicuramente attributive di
situazioni soggettive
4
.
Credo anche sia corretto affermare, sposando quindi la tesi maggiormente
seguita dalla dottrina, ma anche dalla giurisprudenza, che il nome fa parte di un
diritto assoluto della personalità, che rappresenta per l’uomo la massima
espressione della propria libertà, riguardo alla possibilità di sfruttare, come
meglio crede, questo attributo, nella certezza di essere sempre tutelato
dall’ordinamento, nei limiti, naturalmente, della legittimità e della legalità.
È evidente che ad un diritto si affianca un obbligo, raffigurato dal rispetto
della libertà altrui, intesa come impossibilità di usurpare il nome d’altri in
maniera indebita e senza un’autorizzazione.
4
Cfr. De Cupis – “I diritti della personalità” in “Trattato di diritto civile e commerciale”, 1982.
10
Fondamento positivo del diritto assoluto in questione è individuato
dall’art. 2 della Costituzione che dispone:
“La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia
come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”
Occorre quindi che il nostro ordinamento componga regole ferree,
costruite sulla base del dettato costituzionale, che, rappresentando la fonte
primaria del diritto, dà luogo ad una norma rigida inderogabile.
Credo utile, però, approfondire la questione dal punto di vista che ci
interessa e quindi con riferimento alla tutela del nome.
È evidente che, trattandosi di una norma scritta più di cinquant’anni fa,
non ci si può certo aspettare che si immaginassero le evoluzioni tecnologiche di
oggi, ma nonostante ciò penso ci si trovi di fronte ad un fondamento
assolutamente attuale.
E’ però evidente che la regola individua un campo d’azione piuttosto
ampio che è necessario restringere per la nostra analisi.
Con riferimento al nome della persona è chiaro come il diritto allo stesso è
riconosciuto e richiede una tutela forte, in grado di garantirlo, sia di fronte al
titolare dello stesso, sia di fronte a eventuali ingerenze esterne: in un’epoca
come quella attuale, dove tanto si parla di privacy e di tutela dei dati personali,
la nostra Costituzione dà certamente un segnale forte.
È su questa base che l’ordinamento vigente deve capire l’esigenza delle
nuove tecnologie, garantendo però appieno la sfera individuale di ciascuno,
rispettando quelli che sono i segni distintivi della persona.
Il perché della mia insistenza sulla tutela del nome (ma il discorso
evidentemente riguarda anche l’immagine) è chiaro: frequenti sono attualmente
le pronunce dei nostri organi giurisdizionali sulle problematiche legate ai nomi
di dominio dell’Internet, ma con ampio riferimento ai marchi e quindi alle
norme della legge che li riguarda; è anche vero, però, che ultimamente il
fenomeno del “domain grabbing
5
” si sta estendendo anche alle persone
(evidentemente quelle il cui nome ha una certa notorietà) che quindi necessitano
assolutamente di una tutela ad hoc riferita alla “Rete delle reti”, prima che sia
troppo tardi.
Tutto ciò, naturalmente, deve essere effettuato con un’attenzione precipua
proprio all’art. 2 della Costituzione.
5
Letteralmente “accaparramento di dominio”, vedi cap. II.
11
2. IL NOME NEL CODICE CIVILE
La problematica del nome ha dato vita ad un vero e proprio dibattito circa
la sua tutela, portando alla creazione di due correnti: una volta a ritenere
l’esistenza di una garanzia di carattere individualistico, l’altra, invece, portata a
credere che il controllo vi sia in relazione a un interesse collettivo.
La teoria individualistica
6
ritiene che il singolo sia portato ad attivare le
azioni previste dalla legge perché vuole difendere la propria identità
7
, o perché,
come spesso avviene, la sua volontà è di mantenere l’anonimato e quindi non
vuole in nessun modo essere identificato.
La seconda teoria, cioè quella collettivistica
8
, ha vissuto un’evoluzione nel
corso dei tempi, partendo da una soluzione di carattere estremista che
visualizzava il nome come semplice “etichetta sociale
9
” avente il ruolo di
distinguere gli individui all’interno di un gruppo organizzato, fino ad arrivare ad
una determinazione che contempera un interesse collettivo (comunque
dominante) con un’esigenza individuale.
Personalmente ritengo che nessuna delle due teorie, da sola, possa essere
soddisfacente.
Il risultato migliore si ottiene, infatti, dall’intersezione fra le due
correnti
10
. È inutile eseguire un’analisi di carattere esegetico aprioristico, ma
bisognerà verificare il caso concreto: è evidente, infatti, che alla base sarà
sempre necessario tenere conto di un interesse di tipo soggettivo, ma che andrà
verificato di volta in volta (non dimentichiamo, infatti, le due possibilità di tutela
della teoria individualistica) correlandolo con le esigenze del gruppo sociale in
cui il soggetto risulta inserito e, quindi, della funzione effettivamente svolta dal
nome in questa prospettiva.
Vediamo ora nel dettaglio ciò che il codice civile prevede circa il nome:
gli artt. di riferimento sono il 6
11
e il 7
12
, che riguardano rispettivamente il diritto
al nome e la tutela dello stesso.
Circa il primo, la cosa sicuramente più importante riguarda il fatto che
l’esigenza di avere un nome è un diritto essenziale della persona.
È evidente che per la nostra analisi sarà necessario prestare particolare
attenzione all’art. 7.
La tutela del diritto al nome è attuata quando sorge una contestazione sul
diritto all’uso o quando vi sia usurpazione dello stesso, vale a dire uso
illegittimo da parte di un terzo, accompagnato dal pregiudizio per il vero
6
Cfr. De Cupis, op.cit..
7
Cfr. De Cupis, op. cit..
8
Cfr. Santoro, Passarelli – “Dottrine generali del diritto civile”.
9
Cfr. Enciclopedia del diritto alla voce “Nome”.
10
Cfr. Enciclopedia del diritto alla voce “Nome”.
11
Art. 6 – Diritto al nome – “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito…”.
12
Art. 7 – Tutela del diritto al nome – “La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che
possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del
fatto lesivo salvo il risarcimento dei danni…”.
12
titolare: la tutela si realizzerà poi attraverso un’azione di reclamo o inibitoria e
cioè un divieto giudiziale contro l’abuso.
Analogamente, la disciplina in questione viene estesa anche a quegli
pseudonimi che hanno acquistato l’importanza di un nome.
Interessante risulta sicuramente l’analisi riguardante l’evoluzione
interpretativa dell’art. 7.
In origine, infatti, si equiparava il diritto al nome a un mero diritto di
proprietà e pertanto si finiva per tutelarlo attraverso i limiti di un’azione
aquiliana
13
e quindi a porre in essere il requisito del pregiudizio nascente dalla
lesione della reputazione o del decoro del titolare del nome come presupposto
dell’azione stessa.
Era, pertanto, misconosciuta l’esistenza di un diritto soggettivo sul nome,
considerandolo come un semplice oggetto.
Mi chiedo come si possa aver avuto un’idea così riduttiva del concetto del
nome: è chiaro che l’evoluzione dei tempi ha portato ad un allargamento di
questa visuale, facendo sì che ci si rendesse conto che in realtà non si poteva
ridurre a un mero diritto di proprietà, ma che si era in presenza di un diritto
soggettivo, perché comunque il nome identifica un soggetto e lo inserisce
all’interno della società
14
, distinguendolo dagli altri componenti e quindi deve
essere data la possibilità al soggetto di difendere la sua identità, non la sua
proprietà.
In questo senso appare riduttiva anche la prima applicazione data alla
difesa approntata dal codice, definente i casi di uso indebito del nome pari ad
un’usurpazione, che si realizza solo in caso di scambio o confusione fra
persone
15
.
Con un’attuazione di questo genere, si esclude tutta una serie di ipotesi
socialmente rilevanti caratterizzate dall’assenza di un’usurpazione del nome e
in cui tuttavia l’utilizzazione dello stesso è il mezzo che porta ad una lesione
della personalità del soggetto.
Ecco quindi che si è andata sviluppando una tesi volta a dare un’azione
più ampia all’art. 7, che deve necessariamente tutelare la persona tutte le volte
che si verifichi un pregiudizio per la personalità del portatore del nome stesso
16
.
A mio parere un’applicazione della norma di questo tipo garantisce una
resa maggiore, con il rischio però di provocare una censura eccessiva se non si
utilizza il buon senso nello stabilire il limite della legittimità, individuando quali
sono i confini di chi esercita un’attività che, per forza di cose, lo può portare a
commettere le violazioni in questione
17
.
Nell’economia di questa trattazione, è chiaro il riferimento all’utilizzo del
nome per un dominio Internet ed è in quest’ottica che dovranno essere poi viste
13
Cfr. Rescigno – “Manuale del diritto privato”.
14
Cfr. De Cupis, op. cit.
15
In questo senso cfr. Capizzano – “La tutela del diritto al nome civile” in “Riv. dir. comm.”, 1962, I, pp. 249 ss.
16
Cfr. Capizzano, op. cit.
17
Cfr. Capizzano, op. cit.
13
le varie situazioni reali.
L’art. 7 deve essere utilizzato in tutti quei casi in cui si abbia usurpazione,
intesa però come lesione dell’interesse del soggetto alla esatta individuazione
della propria personalità, purché il mezzo della violazione sia l’uso indebito del
nome.
3. IL NOME COME SEGNO DISTINTIVO DELLA PERSONA
Finora abbiamo analizzato la questione del nome sotto un profilo
strettamente civilistico, ma, senza dubbio, soprattutto in questi ultimi tempi, il
nome non può più essere considerato un semplice attributo della persona, ma un
segno distintivo, avente importanti risvolti sotto il profilo commerciale.
Pensiamo a personaggi famosi, che hanno la possibilità di unire il loro
nome a determinate iniziative, dando alle stesse un certo lustro e portando ad
associare un qualsivoglia prodotto al soggetto famoso.
Ecco quindi che il nome acquista un’importanza decisamente rilevante per
la persona, dando alla stessa la possibilità, in certe situazioni, di sfruttarlo come
meglio crede come vera e propria fonte di arricchimento
18
.
È evidente che la situazione sopraccitata, ha valore per soggetti celebri,
più difficile invece appare una configurazione per le persone comuni.
Logicamente questa condizione deve necessariamente portare ad una
tutela.
Spesso si è associata la tutela del nome con l’immagine
19
sotto il profilo
cui si sta facendo riferimento, ma personalmente ritengo, anche in
considerazione della problematica sotto l’ottica dell’Internet, che la tutela stessa
possa essere considerata in maniera separata.
Nel caso si verifichi una violazione da un punto di vista commerciale, il
titolare del diritto dovrà naturalmente esperire non l’azione di reclamo ma
l’azione di usurpazione come previsto dal nostro codice.
È noto però, come già si è detto, che non è del tutto chiaro il significato
dell’avverbio “indebitamente” usato dalla norma, anche se in questo senso passi
da gigante si sono fatti rispetto al passato, quando invece il concetto risultava
assolutamente confuso.
La discussione ha portato alla creazione di una tesi estensiva volta a
ritenere che per uso indebito si debbano intendere tutti quei casi che danno vita
ad un pregiudizio, dove per pregiudizio si intende non una condizione obiettiva,
ma una valutazione ad personam, tale da rendere anche difficile l’individuazione
18
C’è chi ritiene che si possa parlare di diritto soggettivo riguardo alla propria notorietà, la quale è configurabile come
bene giuridico: di questo avviso Zeno Zencovich - “Profili negoziali degli attributi della personalità” in “Dir. inf.”,
1993, I, pp. 593 ss.
19
Cfr. in questo senso Albertini – “L’abusivo sfruttamento commerciale (in particolare come marchio) del nome e
dell’immagine altrui” in “Giust. civ.”, 1997, II.
14
di un limite sulla questione
20
.
Opposta a questa si è sviluppata una corrente restrittiva, che ritiene invece
che siano esclusi dall’applicazione
21
dell’art. 7 alcuni casi, proprio come quelli
di cui si parlava, cioè l’uso commerciale o travisamento della realtà attribuita al
titolare.
Attraverso questo contrasto si arriva a due soluzioni opposte: i fautori
della tesi restrittiva
22
credono che l’uso indebito sia da riferirsi solo a confusione
personale (attribuzione a sé o a terzi del nome altrui), sicché è legittimo ogni
altro uso, salva l’esistenza di norme in senso contrario; secondo la tesi opposta,
è indebito ogni uso che non sia autorizzato da una norma espressa
23
.
Per quel che riguarda il discorso strettamente commerciale, attualmente, la
corrente dominante ritiene comunque sicura l’illiceità dell’uso del nome famoso
altrui a fini di propaganda commerciale.
Questo tipo di soluzione non può essere pienamente soddisfacente perché,
proprio con riferimento ad Internet, appare evidente come venga eliminata tutta
una serie di casi.
Il nome è, nel caso di personaggi famosi, uno strumento importantissimo
che, per il proprio potere pubblicitario, deve necessariamente essere equiparato
ad un marchio
24
e, come tale, tutelato.
Abbiamo già detto che quando parliamo di nome dobbiamo ritenere di
essere in presenza di un diritto della personalità, non di un diritto di proprietà.
Ecco allora che sorge il problema: se cerchiamo una disciplina di tutela
pari a quella del marchio, non siamo in presenza di un diritto di proprietà?
In realtà la problematica non deve essere vista in maniera così radicale.
Quando parliamo di diritti della personalità, dobbiamo estendere il campo
d’azione della tutela concernente questi, riconoscendo al titolare una serie di
facoltà, compresa quella di sfruttare come meglio crede il proprio nome, senza
subire ingerenze esterne non volute.
Chi viola questa libertà del soggetto commette una violazione che può
essere configurata, a mio parere, in due modi: si può infatti parlare sia di un
arricchimento illecito, sia di un’azione risarcitoria.
Personalmente ritengo che la prima via sia preferibile.
Il titolare deve essere libero di “usare commercialmente” il proprio
nome
25
o direttamente o attraverso la gestione dello stesso da parte di terzi.
Se si riflette su questa seconda possibilità, ci si rende conto che siamo di
fronte a un vero e proprio sfruttamento alla pari di un qualsiasi marchio.
20
Vedi Capizzano, op. cit., pag. 277 ss.
21
Vedi Capizzano, op. cit. pag. 262.
22
Cfr. Galgano – “Diritto civile e commerciale”, I; Zeno Zencovich – “Onore e reputazione nel sistema del diritto
civile”; Lenti, “Nome e cognome”;
23
Cfr. Lenti – op. cit., cit. pag. 142; D’Angelo – “Il diritto al nome e allo pseudonimo” in “L’informazione e i diritti
della persona”.
24
Cfr. Savorani – “La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico”, 2000.
25
Cfr. Zeno Zencovich – “Profili negoziali degli attributi della personalità” in “Dir. inf.”, 1993, I.
15
Ecco quindi che nasce l’esigenza di applicare la normativa dell’art. 21
26
legge marchi
27
(R.D. 21 giugno 1942 n. 929).
È vero anche che, a proposito del problema dello sfruttamento
commerciale, nasce poi la problematica della trasmissibilità
28
mortis causa del
diritto.
È da ritenersi che sicuramente va riconosciuta un’ereditarietà sul diritto,
anche se non certo illimitata, ossia con riferimento a discendenti lontanissimi.
Ciò creerebbe inoltre una disparità di regime con la disciplina dei marchi,
ove è previsto che la registrazione dell’immagine altrui richieda il consenso solo
alla presenza dei soggetti elencati nell’art. 21 l.m., essendo liberamente
utilizzabile nel caso essi manchino.
Va inoltre detto che sicuramente un passo avanti importante si è avuto con
la novella
29
dell’art. 21 e non solo: infatti, prima della riforma il nome altrui
poteva essere utilizzato come marchio senza incontrare grossi limiti
30
.
Erano poche le possibilità di difendersi per le persone usurpate
31
: si
poteva tentare la via della lesione di fama, credito, decoro la quale non poteva
dare molti frutti essendo infrequente che, in realtà, l’uso del nome come marchio
ledesse questi valori.
La novella
32
ha invece esteso il campo della tutela del nome, facendo
rientrare l’ipotesi in analisi nella sfera dell’illecito.
Dal nostro punto di vista, due sono le modifiche significative
33
: quelle
effettuate all’art. 21 e all’art. 25.
Per quel che riguarda la prima norma, ha attribuito la legittimazione
34
alla
registrazione dei nomi famosi solo ai rispettivi titolari o alle persone da loro
autorizzate, o comunque all’avente diritto
35
.
La norma non distingue il tipo di notorietà, per cui è da ritenersi
26
Art. 21 n. 2 l.m.: “I nomi di persona diversi da quello di chi chiede la registrazione possono essere registrati come
marchi, purchè il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi…”.
N. 3: “Se notori, possono essere registrati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi…”
27
Concorda Vercellone - “Diritti della personalità e rights of publicity” in “Riv. trim. dir. proc. civ.”, 1995, sul fatto che
a seguito della modifica dell’art. 21 comma 3 l.m. si dovrà concedere tutela a persone notorie circa l’utilizzo del nome e
dell’immagine a scopo pubblicitario.
28
Sull’argomento vedi Ricolfi – “Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi”, pp. 447 ss., con
riferimento al diritto all’immagine.
29
D. Lgs. 480/1992.
30
Cfr. Auteri – “I nomi ed i segni distintivi notori delle manifestazioni e degli enti sportivi fra la protezione del nome e
quella del marchio”, in “Nuova giur. civ. comm.”, 1995, I, pag. 105.
31
Mangini – “Il marchio e gli altri segni distintivi” in “Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia.”
32
Vedi Vanzetti – “La nuova legge marchi”, 1993.
33
Sull’argomento si veda La Villa – “Commento alla nuova legge sui marchi” in “Riv. dir. ind.”, 1993, pp. 311 ss.
34
Per legittimazione è da intendersi “l’idoneità del soggetto agente ad essere soggetto del rapporto che si svolge
nell’atto” (Carnelutti – “Teoria generale del diritto”, cit. 238).
35
Secondo Macioce – “Profili del diritto al nome civile e commerciale” pp. 111 ss., la ratio del principio dell’art. 21
l.m. circa il libero uso del nome altrui si fonda sull’opportunità di consentire all’imprenditore l’adozione come marchio
di un nome già familiare al pubblico, permettendo il libero sfruttamento del potenziale economico insito nella notorietà
altrui. Non è dello stesso avviso Albertini, op. cit. che ritiene l’affermazione del tutto errata perché ravvisa il fine della
norma nell’esigenza di tutelare l’imprenditore, che adotti in buona fede nomi di persona, da iniziative ricattatorie del
titolare del nome.
16
sufficiente l’esistenza oggettiva della stessa a qualsiasi livello.
L’art. 25 appronta uno strumento difensivo a favore del soggetto leso: nel
primo comma si individuano i soggetti che possono effettuare la domanda, vale
a dire il titolare e il suo avente causa.
Questo nuovo riferimento all’avente causa appare piuttosto importante
perché rafforza l’idea della possibilità di scissione fra il titolare e la cedibilità
della sua notorietà.
La disciplina di queste due norme deve, a mio parere, essere intesa in
senso estensivo, prevedendo una possibilità di applicazione non solo da un punto
di vista commerciale (ancora una volta penso alle problematiche legate alla
rete).
Un’altra questione importante riguarda la possibilità di tutelare i cosiddetti
marchi di fatto
36
: qualcuno ritiene che ciò non sia possibile, ma la disciplina
dominante fa chiaramente intendere come il marchio di fatto abbia la stessa
rilevanza di quello tradizionale
37
e, in questo senso, va fatto anche rientrare il
concetto di notorietà
38
che, a mio parere, rappresenta qualcosa di più forte della
tradizionale rinomanza dei marchi e, perciò, è meritevole di un’attenzione
maggiore.
In ultimo ritengo necessario fare un piccolo riferimento al problema
trattato a proposito delle persone comuni.
Si tenga presente che è caduto l’art. 14 l.m., il quale estendeva, per una
parte della dottrina, la disciplina dell’art. 7 c.c. ai marchi.
Purtroppo tutto fa propendere per una libertà come quella vigente prima
della riforma del 1992 e cioè verso la totale libertà di registrazione dei nomi di
persone prive di notorietà
39
.
4. IL DIRITTO DELLA PERSONA DI CONTROLLARE LE INFORMAZIONI CHE LA
RIGUARDANO E DI SFRUTTARLE COMMERCIALMENTE
In collegamento al discorso appena fatto, vale la pena analizzare le
problematiche riguardanti le informazioni della persona.
Un soggetto deve essere libero di scegliere se rimanere nell’anonimato,
oppure far conoscere la propria realtà alla società.
È chiaro che il discorso in questione investe necessariamente la questione
concernente la privacy
40
.
36
Sull’argomento Olivieri – “Il marchio degli enti non commerciali: ovvero, della tutela della notorietà civile” in
“AIDA”, 1993.
37
Cfr. Capizzano – “Questioni sull’impiego del nome altrui come marchio” in “Foro pad.”, 1962, I, pagg. 1281-1283.
38
Vedi Galli – “Funzione del marchio e ampiezza della tutela”, cap. III.
39
Cfr. Mangini – “Il marchio non registrato” in “Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia”, V,
1982, pagg. 37 ss.
40
Vedi Rodotà – “Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali” in “Riv.
crit. dir. priv.”, 1997, pag. 589.
17
Nel momento in cui vi fosse utilizzo del nome di una persona da parte di
terzi, si potrebbe configurare una violazione della propria sfera privata.
Va anche detto, però, che un’affermazione perentoria non può essere
compiuta.
Pensiamo, ad esempio, alla realtà esistente in Internet: in molti siti è
richiesta la registrazione per ottenere dei servizi. Registrazione che di regola
prevede anche l’autorizzazione al trattamento dei dati personali.
Un altro esempio importante riguarda l’utilizzo dei gruppi di discussione
su Internet.
In pratica un navigatore attento, o gli stessi fornitori di servizi
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, possono
arrivare a creare un profilo preciso della nostra personalità, attraverso lo studio
dei siti visitati e di quelli in cui siamo registrati.
In questo tipo di situazione rimane difficile configurare il cosiddetto
“right to be let alone
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”.
Per ipotesi, un soggetto potrebbe tranquillamente decidere di passare la
propria esistenza in casa, senza uscire mai e senza avere una vita sociale,
utilizzando semplicemente un computer per navigare in Internet.
Nonostante nessuno lo conosca fisicamente, qualcuno potrebbe tracciare
un profilo autentico della sua persona.
Oggi non è semplice garantire la privacy
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di soggetti che utilizzano
costantemente le nuove tecnologie, perché sono queste stesse che determinano
l’uscita allo scoperto delle persone.
Per quanto si possa cautelare, nessun individuo ha la capacità di avere un
controllo totale sulle informazioni che lo riguardano e quindi può intraprendere
un’azione di tutela solo quando riesce ad accertare una violazione palese.
Si accennava prima alla libertà di registrazione come marchi di nomi di
persone comuni.
Oggi non è più possibile parlare di persona comune perché, attraverso le
nuove tecnologie, chiunque può perdere il proprio anonimato
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per diventare
notorio, per cui anche questi soggetti devono poter contare su una tutela forte.
Lo stesso discorso vale necessariamente per lo sfruttamento commerciale,
campo in cui la persona deve avere garanzie di tutela che lo mettano al riparo da
indebite usurpazioni, richiedendo il consenso nei casi suddetti.
Il nome, come l’immagine o la voce, sono attributi della nostra personalità
che ci rendono unici e che ci danno, perciò, il diritto di sfruttarli come meglio
riteniamo, senza possibilità per altri di portarceli via.
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Addirittura possono diventare merce di scambio per ricerche di mercato o per individuare i destinatari di determinate
pubblicità da inviare attraverso posta elettronica. Sull’argomento, vedi Orestano – “Immagine, persona e relazioni di
mercato” in “Riv. crit. dir. priv.”, 1991, pag. 913.
42
Warren, Brandeis – “The right of privacy”, cit. pag. 193. Letteralmente “Il diritto di essere lasciato solo”.
43
Sull’argomento, Giampiccolo – “La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza” in “Riv.
trim. dir. proc. civ.”, 1958.
44
Sull’argomento, S. Rodotà – “Privacy e costruzione della sfera privata. Ipotesi e prospettive”.