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rima di addentrarci in quello che è l’argomento centrale di questa
trattazione, ovvero il mondo dell’affissione, ci sembra opportuno
introdurre alcune nozioni di base circa il processo comunicativo in generale e la
comunicazione pubblicitaria in particolare. Non è nostra intenzione, in questa
sede, proporre un esauriente trattato sulla comunicazione, e pertanto rimandiamo
ai testi indicati in bibliografia per maggiori approfondimenti.
Ciò che invece ci proponiamo nelle pagine seguenti è di fornire al lettore alcuni
strumenti interpretativi che pensiamo torneranno utili nel momento in cui an-
dremo ad affrontare il discorso sul manifesto.
In realtà, parlando qui di comunicazione, avremo modo di introdurre concetti ed
elementi che avremmo potuto presentare anche più avanti quando ci troveremo a
trattare quelli che sono gli aspetti costitutivi del media in esame. In particolare
facciamo riferimento ai concetti di immagine, di linguaggio e di messaggio pub-
blicitario.
In questa prima parte quindi, partendo da una panoramica su quello che è il pro-
cesso comunicativo in generale, procederemo approfondendo quella che è la re-
altà del messaggio e delle sue parti componenti. Arriveremo così, con l’analisi
del messaggio pubblicitario considerato nelle sue tipologie e nella sua struttura
comunicativa, a determinare un punto di contiguità con il seguito di questa trat-
tazione.
1. IL PROCESSO COMUNICATIVO
La comunicazione, ossia il processo per mezzo del quale un messaggio opportu-
namente codificato viene trasmesso da un emittente ad un destinatario per mez-
zo di un canale, è uno dei fenomeni più rilevanti a livello sociale.
Fin dalla prima infanzia l’uomo entra in contatto con il mondo che lo circonda
attraverso la comunicazione, cosa che, tra l’altro, caratterizza non solo la specie
umana ma anche molte altre specie animali: pensiamo ad esempio al rapporto
che i cuccioli hanno con la madre nei mammiferi. Il processo di comunicazione
è dunque una delle basi portanti del processo di socializzazione, in quanto per-
P
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mette all’individuo di relazionarsi con i suoi simili e di trovare la propria collo-
cazione all’interno della società.
E’ difficile immaginare una situazione di totale assenza di comunicazione
all’infuori dell’isolamento. Già la compresenza di due individui denota
l’instaurarsi di un processo comunicativo quand’anche i due si ignorassero vo-
lutamente. È bene infatti sfatare la credenza per cui la comunicazione è fatta e-
sclusivamente di gesti e parole: esistono infatti altri modi per trasmettere mes-
saggi, modi che alle volte agiscono al di sotto del livello della coscienza, e fac-
ciamo riferimento agli atteggiamenti, alla postura, allo sguardo, alla impostazio-
ne della voce: due persone che si evitano volontariamente si scambiano un mes-
saggio reciproco pur non entrando in contatto diretto; una persona che vuole sta-
re sola trasmette a chi gli sta intorno la propria mancanza di disponibilità al
contatto senza dover ripetere continuamente: «Scusate, preferirei rimanere so-
lo!».
Si comunica dunque nelle più svariate situazioni e per i più svariati motivi: per
manifestare sentimenti, per sostenere le proprie idee, per esprimere pensieri e
speranze, per ottenere collaborazione, per cercare informazioni, per lavorare... e
per vendere, come fa la pubblicità.
Appiano definisce la comunicazione interpersonale come quella che «si verifica
tra due o più soggetti che entrano in relazione fra loro, in un processo funzionale
nel quale ciascuno agisce e reagisce, riceve e trasmette messaggi »
1
.
Solitamente il processo di comunicazione viene rappresentato attraverso lo
schema proposto nel 1956 da Roman Jakobson:
1
A. Appiano, Pubblicità comunicazione immagine, Zanichelli, Bologna 1991, pag. 3
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Per rendere lo schema più facilmente comprensibile proveremo a tradurlo in una
scena di vita comune attraverso una vignetta che rappresenta un quotidiano e-
sempio di comunicazione :
Il ragazzo è prima emittente e poi ricevente, così come la ragazza è prima rice-
vente e poi emittente; il contesto è rappresentato dall’insieme delle rispettive si-
tuazioni in cui si trovano i due interlocutori, alle quali si aggiunge il referente, o
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oggetto della comunicazione, costituito dalle condizioni atmosferiche esterne; il
codice utilizzato dai due ragazzi è la lingua italiana, mentre il messaggio è co-
stituito dai due enunciati: «Qui sta nevicando!» e: «Qui invece c’è un bellissimo
sole!»; infine il telefono corrisponde al canale della comunicazione. Come ve-
diamo, quindi, anche in una situazione comunissima con un po’ di attenzione è
possibile individuare tutti gli elementi che compongono il processo comunicati-
vo.
Passiamo ora ad introdurre nel dettaglio quelli che sono gli elementi fondamen-
tali proposti dello schema della comunicazione di Jakobson:
1) il MITTENTE è colui che dà inizio alla comunicazione. Produce il messag-
gio e, dopo averlo opportunamente codificato, lo trasmette al destinatario
servendosi di un canale. In particolare, nel processo di comunicazione pub-
blicitaria, il ruolo di mittente è svolto da un’azienda che confeziona il mes-
saggio (pubblicitario) orientandolo poi verso i consumatori servendosi di un
canale diretto o di massa;
2) il MESSAGGIO è l’informazione che, dopo essere stata tradotta in segni e
sensi per mezzo di un opportuno codice, viene trasmessa dal mittente al de-
stinatario;
3) il CODICE è un sistema di regole convenzionali, socialmente riconosciute,
che permettono di produrre ed interpretare il messaggio attribuendogli una
struttura ben definita e coerente. Perché la comunicazione abbia successo è
fondamentale che mittente e destinatario utilizzino lo stesso codice per pro-
durre ed interpretare il messaggio, altrimenti il destinatario conferirà al mes-
saggio un significato diverso da quello che il mittente voleva trasmettergli e
si verificherà quel fenomeno che Umberto Eco ha definito «decodifica aber-
rante»
2
Tipici esempi di codici sono le lingue delle diverse nazioni (italiano, francese,
inglese, etc.), per mezzo delle quali è possibile creare messaggi comprensibili
da una controparte in possesso del medesimo codice.
Il processo di CODIFICA riguarda il mittente, il quale, basandosi su di un
codice, traduce l’informazione che vuole trasmettere in opportuni segnali. Ad
2
U.Eco, citato da G. Fabris, Pubblicità teorie e prassi, Franzo Angeli, 1998, pag.263
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esempio, se vogliamo inviare ad un amico inglese il messaggio: «Sono
felice», per mezzo del codice lingua inglese tradurremo la nostra
informazione in: «I am happy», ed in seguito invieremo il messaggio
codificato al nostro amico.
Alla ricezione del messaggio il destinatario attua il processo inverso a quello
messo in atto dal mittente, ossia procede alla DECODIFICA dei segnali ri-
cevuti, in modo da entrare in possesso dell’informazione trasmessa dalla
controparte. Il nostro amico inglese, quindi, ricomporrà la frase da noi invia-
tagli e, decodificandola, ossia attribuendo ad ogni parola il proprio significa-
to, avrà modo di sapere che noi siamo felici;
4) il CANALE è il mezzo attraverso cui il messaggio viene trasmesso dal mit-
tente al destinatario e, ai fini pubblicitari, può essere diretto, quando si entra
in contatto con un individuo identificato univocamente, oppure di massa
quando si rivolge ad un generico consumatore;
5) il CONTESTO fa riferimento alla situazione che accomuna mittente e desti-
natario, compreso l’oggetto della comunicazione; la pubblicità è uno del
contesti entro cui si svolge la comunicazione tra azienda e consumatore;
6) il DESTINATARIO è colui che riceve il messaggio.
Vi sarebbe poi un altro elemento, che però non viene considerato nello schema
di Jakobson, ossia il processo di FEEDBACK, per mezzo del quale il mittente
riceve un segnale di reazione da parte del destinatario. L’importanza di tale fase
è massima nella comunicazione pubblicitaria dove, a fronte dell’invio del mes-
saggio, il mittente/venditore si aspetta da parte del destinatario/consumatore una
reazione di acquisto o l’assunzione di un determinato atteggiamento positivo nei
confronti dell’azienda.
Ad ogni elemento è poi associata una specifica funzione, che viene a caratteriz-
zare il messaggio a seconda dell’importanza dell’elemento stesso all’interno del
comunicativo:
1) funzione emotiva: si ha quando la comunicazione è incentrata sul mittente, il
quale tenderà a trasmettere un impronta fortemente «soggettiva» nel tentativo
di suscitare una reazione emozionale da parte del ricevente (ad esempio: «La
COOP sei tu, chi può darti di più»);
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2) funzione conativa: si realizza quando il messaggio è finalizzato a indurre un
dato comportamento nel ricevente o quando vuole provocare una risposta. Il
punto di riferimento è stavolta il destinatario, il quale è chiamato a prendere
parte attivamente alla comunicazione assumendo particolari atteggiamenti
come, ad esempio, l’interrogazione, l’imperativo o l’interpellazione. Tipico
esempio è la pubblicità, la quale ha lo scopo di portare il consumatore ad ac-
quistare o a tenere un certo comportamento;
3) funzione poetica: con essa si vuole rafforzare la dimensione espressiva del
messaggio attraverso l’uso di forme poetiche e figure retoriche. L’attenzione
si concentra quindi sulla forma del messaggio prima ancora che sul suo con-
tenuto;
4) funzione metalinguistica: si realizza quando il messaggio fa diretto riferi-
mento al codice sul quale è basato o anche quando fornisce le indicazioni u-
tili ad interpretarlo. Tipico è il caso in cui, in una conversazione a due, viene
espresso un concetto che la controparte non riesce a capire e, quindi, si pro-
cede a fornire una spiegazione idonea a facilitarne la comprensione;
5) funzione fàtica: si verifica quando il messaggio fornisce una chiara indica-
zione del canale attraverso cui lo stesso è trasmesso. Ne sono un esempio il
marchio in sovrimpressione di una rete televisiva, il marchio a conclusione di
uno spot pubblicitario, il «pronto?» detto al telefono, nonché i tempi vuoti
durante una conversazione;
6) funzione referenziale: la si ha quando l’attenzione è accentrata sul contesto a
cui il messaggio fa riferimento, ovvero sul suo contenuto. Tipico esempio è la
cronaca giornalistica, laddove si cerca di dare una versione dei fatti la più og-
gettiva possibile.
Dopo questa panoramica sulla comunicazione in generale, concentriamo ora la
nostra attenzione sull’anello centrale di tale processo, ovvero il messaggio.
2. IL MESSAGGIO
Come abbiamo appena detto, il messaggio ha assunto all’interno del processo
comunicativo un ruolo di centralità. Per procedere con la sua comprensione oc-
corre individuare al suo interno quelli che sono gli elementi caratterizzanti, e
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quindi analizzare i meccanismi che ne regolano il funzionamento. Di seguito, di
conseguenza, concentreremo la nostra attenzione su due aspetti del messaggio,
ovvero il segno, al quale verrà accostata in un secondo tempo l’analisi semiotica,
ed il tono della comunicazione, con le sue implicazioni sulla struttura del discor-
so. Visto l’ambito economico in cui ci troviamo, cercheremo per quanto possi-
bile di ricollegare gli argomenti trattati, come pure gli esempi, alla comunica-
zione di tipo pubblicitario.
2.1. IL SEGNO
Abbiamo detto che durante il processo di comunicazione il messaggio viene tra-
dotto in segni (codificato), facendo riferimento ad un determinato codice. Occor-
re quindi definire cosa si intende per «segno», e quali aspetti devono essere con-
siderati nella valutazione e nell’interpretazione di quelli che sono i suoi conte-
nuti e le sue valenze comunicative. In questo paragrafo ci occuperemo in parti-
colare del primo quesito, mentre nel paragrafo successivo parleremo della «se-
miotica», ossia della scienza che si occupa dell’interpretazione dei segni.
Charles S. Peirce ha definito il segno come «qualcosa che per qualcuno indica
qualcos’altro sotto certi aspetti e possibilità»
3
. Alternativamente possiamo dire
che il segno è un qualcosa che rappresenta la realtà in un determinato sistema di
codifica, ovvero secondo certe regole e convenzioni.
Per capire come funziona il segno occorre anzitutto capire come questo nasce ed
è formato. Il primo ad occuparsi dello studio del segno linguistico fu Ferdinand
de Saussure, il quale, pur ritenendo che esistessero altri sistemi di comunicazio-
ne oltre a quello linguistico, decise di concentrare la propria attenzione su
quest’ultimo al fine di riuscire ad estrinsecare le regole di base della semiotica,
applicabili poi a tutti gli altri linguaggi. Nella sua ricerca ha così individuato an-
zitutto le unità base del linguaggio, o fonemi, corrispondenti ai diversi suoni fo-
netici e di per sé privi di significazione; in seguito ha identificato quelle che so-
no le unità minime di significazione, o monemi, corrispondenti alle parole. Una
volta individuate le due componenti elementari del linguaggio, ha quindi espli-
citato la relazione intercorrenti fra gli stessi, ovvero:
3
C.S. Peirce, citato da Appiano, Pubblicità comunicazione immagine, op. cit., pag. 6
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t
é
S
S
Detta equazione può essere letta come il rapporto che lega il significante al si-
gnificato, ovvero i suoni (fonemi) alla parola (monemi). Ogni parola è composta
da una serie di singoli suoni corrispondenti alle diverse lettere componenti la pa-
rola stessa, sicché i suoni (fonemi) compongono la parola (segno) che a sua
volta rimanda ad un determinato concetto (significato).
Secondo questa interpretazione il segno è quindi composto da due parti indivisi-
bili:
1) il significante che corrisponde alla realtà del segno, ossia all’immagine acu-
stica o grafica attraverso cui questo si esprime;
2) il significato, ovvero il concetto racchiuso nel segno, cioè ciò che questo
rappresenta nel sistema di codifica a cui si fa riferimento.
Possiamo esprimere il concetto con la medesima rappresentazione grafica pro-
posta da de Saussure:
Da A.Appiano, Pubblicità comunicazione immagine, Zanichelli, Bologna 1991, pag. 6
Volendo dare una nostra interpretazione, nonché un’esemplificazione, dello
schema proposto, possiamo raffigurare il segno nel seguente modo:
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Inoltre è necessario osservare che la relazione tra i due elementi è in larga parte
arbitraria, in quanto i codici sono “emanazioni culturali” e, dunque, non esistono
motivazioni naturali che leghino fra loro una determinata coppia significan-
te/significato. Un tipico esempio è dato dalle diverse lingue nazionali, le quali e-
sprimono il medesimo concetto attraverso significanti molto diversi fra loro:
Possiamo poi osservare che ogni segno possiede una dimensione denotativa ed
una o più dimensioni connotative. Il denotato corrisponde al quello che è il con-
cetto oggettivamente corrispondente al significato o, anche, l’oggetto diretta-
mente collegato al segno in base ad un sistema di regole e condizioni social-
mente riconosciuto (langue). Il connotato, invece, corrisponde alla dimensione
soggettiva del segno, ossia al significato che l’individuo attribuisce al segno nel
proprio sistema e nel proprio codice (parole). Il denotato corrisponde quindi alla
parte invariabile del segno (all’interno di un dato contesto culturale), mentre il
connotato corrisponde alla parte soggettiva e variabile dello stesso.
CAPITOLO PRIMO – Il processo comunicativo
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In particolare, quando la connotazione esprime un giudizio di valore del tipo be-
ne/male o positivo/negativo avremo quella che viene definita connotazione ide-
ologica, la quale si collega strettamente al sistema di valori diffuso nella società
rispecchiandone l’orientamento. Ad esempio: nella società odierna in cui
l’ecologia è divenuta un valore fondamentale, l’«industria» assume una conno-
tazione negativa di “degrado” e “distruzione”; al contrario, nel XVIII secolo, in
piena Rivoluzione Industriale, l’«industria» possedeva una connotazione positi-
va di “sviluppo” e “innovazione”.
La distinzione tra denotato e connotato, o se vogliamo tra langue e parole, già
teorizzata da de Saussure e Dyer, viene espressa da Caprettini nel seguente mo-
do:
«[...] il linguaggio ( langage) come facoltà umana è composto appunto di
due aspetti: la lingua ( langue) e la parola ( parole). Per langue si intende
un sistema astratto e convenzionale, socialmente riconosciuto, composto
di segni; per parole si intende i nvece l’attività concreta, messa in opera
dagli individui, che trasferisce e applica nel concreto della comunicazione i
segni e le regole della langue. Il campo della langue è dunque quello s o-
ciale e invariabile (nessuna iniziativa individuale può infatti mod ificarlo), il
campo della parole è invece indiv iduale e variabile.»
4
Definendo la langue come sistema di segni ne deriva che, al suo interno, ogni
segno deve ricoprire una propria funzione e relazionarsi con gli altri elementi del
sistema in un rapporto di reciproca solidarietà. Ciò vuol dire che, in base alla
propria capacità distintiva (che può riferirsi sia al significante che al significato),
ogni segno assume una propria posizione ben definita all’interno del sistema di
riferimento, instaurando nel contempo rapporti di varia natura con le altre parti
componenti di quest’ultimo.
Fin qui ci siamo occupati in particolar modo dei segni linguistici, ossia di quelli
relativi alla lingua scritta e parlata. Occorre però a questo punto fare un passo a-
vanti verso quella che è una teoria generale del segno. Il primo a muovere in
questa direzione fu Peirce il quale, pur partendo anch’esso dalla lingua, cercò di
4
G.P. Caprettini (a cura di), Il discorso visivo, citato da Appiano, Pubblicità comunicazione immagine, op. cit.,
pag. 7
PARTE PRIMA – LA COMUNICAZIONE
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elaborare una teorica generalmente valida. Anzitutto Peirce identifica quella che
è la “dimensione materiale” del segno: qualsiasi segno è infatti percepibile attra-
verso uno dei cinque sensi umani. Accade poi che questa percezione non assuma
un valore proprio, ma bensì in relazione ad un qualcos’altro a cui fa rimando. Il
segno è così «qualcosa che sta in luogo di qualcosa per qualcuno, sotto qualche
rapporto o a qualche titolo»
5
. L’equazione di de Saussure viene quindi modif i-
cata in uno schema triangolare:
Possiamo a questo punto introdurre la distinzione fra quelli che sono i due segni
fondamentali su cui si costruisce la comunicazione pubblicitaria:
v segno linguistico;
v segno iconografico o visivo.
A questi si potrebbe poi aggiungere il segno acustico, visto che oggi è sempre
più spesso utilizzato in pubblicità, in sostituzione del segno linguistico, per e-
sprimere sensazioni, atmosfere, e di conseguenza per codificare messaggi.
Del segno linguistico abbiamo già parlato, non ci resta quindi che concentrare
l’attenzione su quello visivo, il quale assume un ruolo rilevante soprattutto in
campo pubblicitario.
5
M. Joly, Introduzione all’analisi dell’immagine, Lindau, Torino 1999, pag.38
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2.2 IL SEGNO VISIVO E L’IMMAGINE
Il segno visivo, l’immagine, secondo Gestalt corrisponde a quella «forma visi-
va» che viene percepita al primo colpo d’occhio, ed è uno degli elementi fonda-
mentali del processo di comunicazione pubblicitaria.
Per immediatezza e capacità espressiva, il segno visivo riveste una particolare
posizione di preminenza, soprattutto in campo pubblicitario. La sua caratteristica
fondamentale può essere identificata nell’immediatezza comunicativa. Un segno
visivo è infatti in grado di comunicare su due diversi livelli: un primo livello
immediato ed emotivo, ed un secondo livello cognitivo.
Sotto l’aspetto dell’impatto emotivo il segno visivo non richiede un processo
d’interpretazione, suscitando una reazione istintiva e naturale nello spettatore.
Guardando Il grido di Munch siamo in grado di percepire all’istante
un’inquietudine di fondo, prima ancora di soffermarci sui singoli elementi che
compongono il quadro.
E. Munch, Il grido, 1893, Oslo, Nasjonalgalleriet