ii
agevolata dall’individuazione di stati “biregionali”,ossia stati appartenenti,in modo del
tutto naturale,ad esperienze parallele di entrambe le regioni.
Le iniziative sul livello regionale ed interregionale vanno considerate gli “spazi”del
dialogo,della collaborazione multi-issue,della mutua conoscenza e della mutua fiducia.
“Spazi” molto spesso dotati di precise strutture istituzionali e di precisi strumenti(più o
meno flessibili)che per il loro funzionamento,hanno spesso bisogno della volontà di tutti
gli stati membri.
Tali spazi sono come delle “palestre” (a volte ben organizzate),che per essere
“sfruttate” in modo ottimale,hanno bisogno di sempre maggiore volontà e di
condivisione di regole e di esperienze,da parte degli stati : ciò che sarà indicato come
processo graduale di formalizzazione e di pieno utilizzo.
Verrà dimostrato che il “riempimento” del livello regionale e del livello
interregionale,oggi,è “spinto” da due principali fattori : la volontà di
cooperazione(fattore “interno”) e la sfida alla globalizzazione(fattore
“esterno”).Fattori che in molti casi hanno sostituito il vecchio fattore “esterno”
principale : la divisione bipolare del mondo.
La fine del bipolarismo ha rappresentato un importante punto di svolta anche per il
rafforzamento e la costruzione di esperienze sui due livelli “intermedi”.Intanto perché
tutti gli attori del livello regionale,nati durante il periodo bipolare,ed il più delle volte
proprio in risposta a tale congiuntura storico-politica,hanno rinnovato il loro
impegno,anche dopo l’appiattimento di tale influente fattore “esterno”,dimostrando di
avere una propria funzione, indipendentemente dalla presenza del bipolarismo.E poi
perché la fine della limitante “logica” bipolare ha permesso la nascita di nuovi attori
regionali e soprattutto la “costruzione” del livello interregionale,attraverso iniziative
tese a “connettere” tra di loro le singole regioni.
Verrà indicato il rapporto tra i due livelli intermedi e la governance,che nel suo
percorso verso una dimensione globale,viene facilitata dalla presenza di esperienze sui
due livelli,che ne rappresentano una sorta di passaggio necessario se l’obiettivo vuole
essere anche quello della condivisione di regole comuni e della concreta partecipazione
di tutti alle sorti del mondo,in risposta a tutta una serie di domande così diffuse da
poter essere considerate “popolari”.
Verrà,inoltre,dimostrato il “continuum” esistente tra i due livelli intermedi ed il livello
globale(dove agiscono attori come l’ONU, il FMI, la BM, l’OMC) ed anzi,verrà posto
in risalto proprio l’esplicito richiamo alla presenza degli attori interstatali,negli atti
iii
costitutivi di tali attori globali.Da qui si metterà in risalto la tendenza verso l’open
regionalism ed il vantaggio di agire con una voce sola(stabilita sul livello regionale)
e/o con un intesa comune (stabilita sul livello interregionale) nei rapporti multilaterali.
Verranno in tal modo confutate le posizioni “blocchiste”,così come la posizioni
“iperglobalizzatrici” e “neomedievaliste”.Verrà messo in risalto,invece,l’importante
ruolo dell’interdipendenza,che non permette un utilizzo di tali iniziative regionali ed
interregionali come strumenti “negativi” di disordine.
Verrà dimostrato che sono in atto delle dinamiche e dei progetti,che permettono di
parlare di “semplificazione”(rispetto ad una situazione spesso ricca ma complessa) dei
due livelli intermedi.
Semplificazione che significa costruzione,allargamento o rivitalizzazione di “spazi”,in
modo da contenere e coordinare tutti gli stati di una regione;e per tre delle quattro
regioni esistono precise dinamiche e progetti che ci permetteranno già di individuare i
potenziali attori “continentali”.
Una semplificazione dei livelli regionali è ovvio che agevolerà anche l’ordine sul
livello interregionale !
L’analisi più dettagliata dei livelli regionali delle quattro regioni e dei loro rapporti
interregionali,ci permetterà di indicare alcune interessanti “sorprese” : per esempio il
dato che oltre il 90% degli stati-nazione sono membri di almeno un attore regionale; o
che anche l’Afghanistan è membro,dal 1992, di un’organizzazione regionale(ECO),che
potrà essere lo “spazio” della sua concreta integrazione tra le relazioni interstatali e
del suo concreto sviluppo.
L’ASEM sarà la tappa finale di questo studio.Innanzittutto,perché costituisce il ponte
multilaterale (che mancava) tra la regione Europa e la regione Asia; poi perché
rappresenta la risposta al modello statunitense di multilateralismo in Asia(e non solo);
ed infine perché la sua multidimensionalità (pilastro economico,pilastro politico e
pilastro culturale) lo rende un “laboratorio” delle Relazioni Internazionali.
iv
Capitolo 1. La necessità di un nuovo ordine per le RI dopo il bipolarismo.
1.1 Le Relazioni Internazionali tra le Scienze Sociali.
All’inizio del XXI secolo non possiamo più certo definire le Relazioni Internazionali
come una giovane materia cui è tutto permesso,magari schermandola dietro la sua
inesperienza e la presunta libertà d’azione di chi se ne occupa.
E’ vero,siamo in un’epoca complessa,estremamente dinamica e vaga,tant’è che le
differenti teorie delle RI sono considerate a giusto titolo da Pierre de Senarclens
1
come
“semplificazioni che facilitano la comprensione della realtà”.Non a caso Kennet Waltz
considerava la teoria un artificio e uno strumento “per essere simple-minded ”.
2
Il bisogno di teorie esplicative ed organizzative,però,non significa che tutto ciò che
viene detto va accettato senza una minima vagliatura e,soprattutto,bisogna fare molta
attenzione ad un certo “iperbolismo editoriale”,che enfatizza semplicemente per creare
scalpore,o magari per fare in modo che l’autore e la sua tesi diventino in breve tempo i
più discussi ed i più ricercati.
Purtroppo questo stile proprio di alcune tesi e testi degli ultimi 10 anni, ha a volte
deviato le RI dal suo percorso razionale verso un posto ben visibile tra le scienze
sociali.
Le RI oggi,infatti, potrebbero a pieno titolo essere definite una psico-sociologia degli
attori della politica,attori da intendere in senso lato, partendo dal singolo
individuo(potenziale attore attraverso la sua partecipazione attiva ai gruppi che si
occupano di temi globali),passando per lo Stato(punto di origine delle RI),fino a
giungere alle organizzazioni internazionali,alle multinazionali dell’economia ed alle
organizzazioni non governative della solidarietà e della criminalità.
Le RI come una scienza,appunto,con la sua struttura metodologica e con il suo
contenitore di tesi;e le varie tesi,i vari modelli,come “lenti di microscopio” che
permettono di descrivere e di spiegare penetrando lo strato superficiale delle azioni, ma
anche come “lenti di periscopio” che permettono di guardare oltre,azzardando ipotesi di
sviluppo futuro.
1
Pierre de Sanarclens,Mondialisation,souvreraineté et théories des relations internationales,Armand
Collins, Paris, 1998.
2
K.N.Waltz,Theory of International Politics,Newbery Award Recors,New York,1979;trad.it.Teoria della
politica internazionale,Il Mulino,Bologna,1987.
v
Ma per far ciò è indispensabile che venga osservata una certa rigorosità nella creazione
dei modelli,altrimenti si sfocia in puro opinionismo. “La dottrina diventa fine a sé stessa
e la ricerca rinuncia alla prova dei fatti a vantaggio di argomentazioni faziose”.
3
Così facendo si dà piena legittimità a chi, come Douroselle, negli anni scorsi duramente
criticava proprio il tentativo di organizzazione sistemica di questa scienza, in alternativa
allo statico approccio empirico-descrittivo della storia diplomatica,tipico del paradigma
realista.
Ritornando ai modelli come “lenti di microscopio”,va detto che il periodo della Guerra
Fredda è senz’altro quello in cui c’è stato meno bisogno di una vasta gamma di tali
lenti da interpretazione.
Il problema interpretativo con relative ipotesi sul futuro,in realtà,si è posto proprio a
partire dalla fine dell’ordine bipolare.Il 1989 va,infatti,individuato come l’anno
“detonatore” che fa esplodere il blocco granitico delle tesi delle RI,un blocco che si
innestava su un “facile terreno”,dove le regole del gioco erano piuttosto facili da
identificare.
Certo sono anche gli anni in cui le RI si arricchiscono di innumerevoli contributi ed in
cui,a partire dai primi cenni di distensione e grazie all’esperienza di cooperazioni
interstatali (integrazione europea su tutte),si fa spazio il paradigma transnazionalista con
tutti i suoi modelli e teorie.
Ma i binari principali su cui viaggiavano le relazioni tra gli attori, rimanevano
appartenenti al paradigma realista e statocentrico.Difficilmente ci si sarebbe aspettato
l’improvviso crollo dell’attore antagonista sovietico;altrimenti il contenitore delle
teorie delle RI non si sarebbe riempito così velocemente di tanta voluminosa emotività!
In realtà alcuni attenti osservatori avevano già ipotizzato con ampio anticipo l’esito
della Guerra Fredda;il che gli ha permesso di non trovarsi completamente impreparati
alla “teorizzazione” del post-ordine bipolare : Zbigniew Brzezinski è uno di questi.Già
nel suo testo “Tra due epoche”(1970),infatti, aveva sostenuto che l’America stava
correndo verso una nuova era, mentre l’Unione Sovietica aveva grandi probabilità di
restare invischiata nei primi stadi del suo sviluppo industriale.In “Game Plan”(1986),
inoltre,veniva già formulata l’ipotesi che gli Stati Uniti avrebbero vinto pacificamente la
Guerra Fredda,grazie alla debolezza del sistema interno sovietico.
3
Jean-Jaques Roche,Théories des relations internationales,Editions Montchrestien, E.J.A, Paris,
1999 ;trad.it. Le relazioni internazionali-Teorie a confronto,Il Mulino,Bologna,2000.
vi
Ed è proprio grazie a questa sorta di “preparazione psicologica” all’evento ed al suo
approccio da scienziato delle RI, che in “Out of control”(1993)
4
Brzezinski esordirà
nelle prime battute dell’introduzione,in modo da rimarcare nettamente la sua posizione
dicotomica rispetto all’ipotesi di sviluppo di tale Francis Fukuyama : “La storia non è
finita,ma ha subito un processo di compressione.Mentre in passato le epoche storiche
emergevano disegnando un rilievo abbastanza chiaro…oggi la storia implica nette
discontinuità che…abbreviano il nostro senso della prospettiva e rendono confusa la
nostra percezione storica”.
5
Lo stesso Antonio Papisca nel suo testo “organizzativo” delle RI
6
, riconosce la presenza
di una certa struttura anche al di là del vecchio assetto bipolare: “Certamente è un’era di
transizione : da un ordine mondiale che conosciamo ad un nuovo assetto delle RI che
ancora non conosciamo in tutti i suoi contenuti ma cui esistono,a saperle cogliere,
importanti epifanie”.
7
Il 1989 che ha rappresentato,quindi,una sorta di deregulation dei modelli delle RI,visto
che il modello-struttura portante era praticamente crollato,ha dato, purtroppo, spazio a
suggestivi titoli, a suggestivi modelli o addirittura a “non modelli” che nel giro di pochi
anni si sono susseguiti nel contenitore delle teorie. C’è stata una “corsa al rumore”,allo
scalpore,e spesso proprio per queste affrettate ipotesi di sviluppo dei rapporti tra attori,
ciò che si è andata sfilacciando è stata la rigorosità metodologica che deve esserci in
ogni modello e che è bene che ci sia,soprattutto a difesa del rispetto che questa materia
si è costruita con il passare degli anni.
Verrà dimostrato che la fine del vecchio ordine ha come “ritirato il suo velo”,rendendo
più visibili gli ordini sottostanti che nel frattempo si erano creati e che proprio grazie
alla fine dell’assetto bipolare,hanno avuto e continuano ad avere la possibilità di
rafforzarsi,di migliorarsi e di rappresentare dei punti di riferimento per lo sviluppo di
ulteriori ordini.
4
Zbigniew Brzezinski,Out of Control:Global Turmoil on the Eve of the Twenty-first Century,Scribner,
New York,1993;trad.it Il Mondo Fuori Controllo,TEA Storica,1995.
5
Ibidem, pag.7.
6
Papisca A. e Mascia M.,Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani,
Cedam, Padova, 1997.
7
Ibidem.
vii
Capitolo 2. Il modello degli ordini sovrapposti.
2.1 Il nuovo ordine e la global governance.
E’ vero che il vecchio ordine principale,quello bipolare, è crollato;ma l’ordine
principale non ha lasciato il caos,non ha lasciato l’anarchia o l’appiattimento verso il
modello occidentale,checché ne abbiano detto alcuni dei teorizzatori summenzionati.
Ha lasciato,come detto, degli ordini che si erano costruiti precedentemente e degli
ordini che si stavano costruendo parallelamente ad esso e che adesso,che le vecchie
restrizioni,i vecchi posizionamenti e le obbligatorie “scelte di campo” sono
terminate,possono finalmente essere ben visibili e soprattutto essere centri di concreta
gestione per il bene dell’intero sistema mondo.
Se il modello di Huntington usava come variabile indipendente la cultura,le variabili
dell’ordine che si sta venendo a creare sono da ricercare nella volontà di
cooperazione,nella solidarietà reciproca e nella consapevolezza della sfida contro una
globalizzazione che potrebbe significare esclusivamente maggiori vantaggi per pochi.
L’ordine che,secondo questo modello di analisi, il sistema delle RI sta assumendo è un
ordine basato sulla presenza contemporanea di livelli sovrapposti di autorità,con
differenti centri di gestione in differenti ubicazioni.
Il primo livello è rappresentato dal livello locale ossia da comuni, province e regioni
all’interno dello Stato, che sono in cerca di sempre maggiori autonomie.
Il secondo livello è rappresentato dal livello statale che comprende lo Stato-Nazione
tanto caro alla tradizione realista.
Il terzo livello è rappresentato dal livello regionale,che comprende quelle
organizzazioni interstatali che sono accomunate dall’appartenenza alla stessa macro-
regione geografica.
Il quarto è rappresentato dal livello interregionale,che comprende relazioni,
organizzazioni,fori internazionali che aggregano stati di differenti macro-regioni.
Il quinto ed ultimo livello è rappresentato dal livello globale,che comprende tutte quelle
organizzazioni internazionali la cui partecipazione non segue alcun criterio geografico e
che rappresentano l’esempio più ampio di multilateralismo.
Sebbene ci sia la presenza contemporanea di livelli,tra di essi c’è un legame,c’è una
consequenzialità,in parte esistente ed in parte in fase di miglioramento, che non ne fa un
crogiolo disordinato senza un filo conduttore o senza una qualsiasi forma di logica.
viii
E’ infatti in atto un processo di costruzione e di completamento “dal basso”,nei livelli
inferiori ed in special modo nel terzo e nel quarto livello, che fa dei vari livelli come dei
gradini che servono a giungere alla piattaforma finale che è rappresentata dal livello
globale.
Partiamo da una considerazione.
In realtà tutte le organizzazioni che si trovano sul livello globale(l’ultimo livello)non
solo sono già esistenti,ma sono addirittura tutte precedenti alla partizione bipolare del
mondo,come per esempio:
l’ONU(Organizzazione delle Nazioni Unite) nata nel 1945 a San Francisco e composta
da 184 stati membri,ed i suoi istituti specializzati,tra cui
il FMI (Fondo Monetario Internazionale),nato nel 1944 Bretton Woods, che accoglie
183 stati membri;
la BM(Banca Mondiale) nata nel 1944 ,assieme al FMI,a Bretton Woods i cui paesi
membri ugualmente ammontano a 183.
L’OMC(Organizzazione Mondiale del Commercio),è invece organizzazione globale
esterna all’ONU (così esterna da non farne alcuna menzione nel suo trattato istitutivo)e
accoglie attualmente 142 stati.
8
L’OMC è nata nel 1994,ma eredita ed amplia le
esperienze e gli scopi del GATT(Accordo Generale sul Commercio e le Tariffe)nato nel
1947.
Il problema è che queste organizzazioni possono, sì, essere definite globali, ma a causa
della loro struttura interna e delle loro procedure decisionali sono effettivamente
strumento nelle mani di pochi stati.
Non sono pochi,infatti,i difetti che si possono riscontrare nell’esercizio del potere di tali
organizzazioni:
-La scarsa trasparenza;
-La mancanza di partecipazione più democratica e più attiva di tutti gli stati membri;
-Un pesante stato “psicologico” di inferiorità dei paesi meno ricchi;
-La mancanza di un potere “contrattuale” più equilibrato;
-Scarsa attenzione verso norme socio-ambientali e verso norme che garantiscano i
consumatori;
-Scarsa attenzione verso la società civile.
8
La Cina diventerà 143° stato membro OMC nel dicembre 2001,in quanto ha ratificato l’accordo di
adesione firmato nel novembre 2001;con molta probabilità Taiwan sarà,invece,il 144° stato membro
WTO,visto che anch’esso ha firmato,nel novembre 2001,l’accordo di adesione.(Al momento in cui si
scrive, l’accordo non è ancora stato ratificato).
ix
-Dicktat(celati dietro asettiche formule tecniche
9
) particolarmente restrittivi e spesso
inefficaci, per accedere ai propri fondi.
Questa situazione chiama perfettamente in causa il rapporto tra government
(governo/gestione) e governance(governabilità).
Seguendo l’analisi legata al paradigma della global governance
10
(governabilità
globale), si può dedurre che i due sostantivi appena menzionati non sono sinonimi e non
sono sempre uno conseguenza dell’altro.
Per quel che riguarda le organizzazioni globali appena citate,anzi, non sembra
azzardato sottolineare l’esistenza di government senza governance,o più semplicemente
l’esistenza di contenitori senza adeguati contenuti.
Ma cosa si intende per governance?
Il termine era già utilizzato nel francese antico del Duecento come equivalente di
“governo”,cioè arte e maniera di governare;nel secolo successivo fece il suo ingesso
anche nella lingua inglese con lo stesso significato.Con il passare del
tempo,però,seguendo l’iter che presenta Bernard Cassen
11
,il termine cadde in disuso,per
poi ritornare in grande stile alla fine degli anni ottanta, proprio nei discorsi della Banca
Mondiale,utilizzati anche dal FMI e dall’UNDP(Programma delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo).L’accezione in questo caso sembra ,però, legata ad un significato
soggettivamente positivo,essendo una sorta di “mascheramento istituzionale dei piani di
aggiustamento strutturale e del consenso di Washington”.
12
Citiamo Marie-Claude Smouts
13
che parla di governance, anzi di good governance (il
termine precisamente usato da questi attori globali),come “strumento ideologico per una
politica dello stato minimale”,ossia uno stato dove “l’amministrazione pubblica ha per
compito non più di servire l’insieme della società,ma di fornire beni e servizi a interessi
settoriali e a clienti/consumatori,con il rischio di aggravare le disuguaglianze tra i
cittadini e tra le regioni del paese”.
9
Il riferimento riguarda il Fmi su tutti e le sue generiche formule come “aggiustamento fiscale”oppure
“proseguimento delle riforme macro-economiche e strutturali”.
10
A.Papisca:“Il paradigma della global governance si propone di dare indicazioni sui modi e mezzi per
gestire l’interdipendenza mondiale nel rispetto dei valori umani universali e per il perseguimento di
obiettivi primari quali la prevenzione dei conflitti armati,lo sviluppo umano sostenibile ,la salvaguardia
dell’ambiente naturale in tutti i paesi del mondo”.
11
Bernard Cassen, Il tranello della <<governance>>, in Le Monde Diplomatique,ed.italiana,Giugno
2001.
12
Ibidem.
13
Marie-Cloude Smouts è direttrice di ricerca del CNRS(Centro Nazionale Francese di Ricerca
Scientifica).
x
Come a dire che il consiglio viene dal pulpito sbagliato,oppure che i cattivi consigli
sono sempre riservati agli altri, come ci ricorda del resto Paul Krugman,che sottolinea
un paradosso circa i consulenti finanziari ed i politici statunitensi, le cui posizioni
hanno enorme risonanza nell’ambito delle organizzazioni economiche del livello
globale.
Krugman punta il dito contro le metamorfosi di questi ultimi,che nel caso di recessioni
economiche,sono keynesiani puri quando si tratta del loro paese,sostenendo l’iniezione
di denaro per ravvivare la spesa pubblica,il taglio dei tassi per aumentare i consumi ed il
deprezzamento della moneta; mentre quando si esprimono su crisi esterne agli Usa,si
vestono da profeti dell’austerità,come dimostra il comportamento nei confronti del
Giappone,dove si esprime titubanza circa il deprezzamento dello yen,o di recente nei
confronti dell’Argentina,dove si appoggia la politica dei tagli drastici alla spesa
pubblica.
Il consiglio di Krugman è spassionato : “L’economia keynesiana funziona solo per gli
Stati Uniti e altri paesi selezionati,ma non per tutti gli altri? Forse. Io,però,sospetto che
il cuore del problema sia che i paesi minori, e persino quelli grandi come il Giappone
che hanno perso fiducia in se stessi, si lascino intimidire da certi signori i quali danno
loro consigli dettati da un’ideologia inflessibile che non cercherebbero mai e poi mai di
imporre nel loro paese.Il mio consiglio è di smetterla di dare ascolto a quei signori e di
agire come noi agiamo,non come diciamo di agire”.
14
C’è in realtà anche un altro campo, quello economico, dove il termine si sta
diffondendo. E’,infatti, in piena ascesa la cosiddetta corporate governance, “governo
d’impresa”, che è sinonimo della “dittatura” dei grandi azionisti e che basa le strategie
di gestione sulle risposte della borsa.Non è certo questa accezione che ci interessa in
questo contesto, ma va sottolineata la presenza di una linea sottile che quasi può essere
intravista come legante la good governance della BM&co. e questa corporate
governance: quasi a volersi somigliare nella corsa verso i vantaggi per piccole elites.
15
Una definizione più indicativa e più completa ,che è quella che più ci interessa e che
rappresenta un punto di riferimento,invece,è quella offerta da A.King e
14
Paul Krugman,Austerità,quella ricetta valida quando riguarda i soldi degli altri, in Affari &
Finanza,23 luglio 2001.
15
Esiste un dibattito anche circa la corporate governance, che ha per scopo la sua conversione
positiva,implicante tra l’altro una maggiore tutela dei piccoli azionisti ed una maggiore trasparenza .Tale
dibattito è direttamente legato a quello più ampio sulla governance politica.
xi
S.Schneider
16
,per cui governance è il “meccanismo di comando di un sistema sociale e
le sue azioni intese a fornire sicurezza, prosperità, integrazione,ordine e continuità al
sistema”.Si può già notare il legame con un’idea di progressismo universalistico.
Ma non finisce qui:seguendo,inoltre,le indicazioni della Commissione sulla
Governabilità Globale
17
,infatti, è interessante che venga posta in risalto l’importanza
che deve assumere il sinonimo tra la goverance ed un più ampio coinvolgimento nei
processi decisionali di attori esterni alla politica praticata.Un argomento,questo,quanto
mai attuale,
-vista la sempre più pressante richiesta di ascolto e di partecipazione della società civile;
-vista la volontà di creare una utenza, molto più vasta di quella attuale, per i vantaggi
della globalizzazione;
-vista la sempre più crescente necessità di legittimazione dei nuovi centri del
potere,soprattutto quelli sopranazionali.
La governabilità, viene sostenuto, “deve essere oggi intesa come coinvolgente anche
organizzazioni non governative(ONG),movimenti di cittadini,corporazioni
multinazionali e il mercato globale del capitale.Interagenti con questi fattori sono i mass
media globali con la loro drammaticamente estesa influenza.”
18
Un’apertura verso l’esterno dei policy makers,quindi,che più che negare
meccanicamente le critiche (purché non violente),devono impegnarsi anche ad
ascoltarle,perché ,come ha ricordato il presidente della Repubblica Italiana Carlo
Azeglio Ciampi, punti di partenza divergenti non devono impedire il dialogo:“ben
vengano le polemiche se spezzeranno l’incomunicabilità,se faciliteranno una grande
alleanza fra governi e società civile,se innalzeranno il livello di vita dell’umanità
sofferente”.
19
Accanto a queste posizioni va collocato,come nuova cornerstone,non solo per l’Europa
ma per l’intero globo,il Libro Bianco sulla Governance Europea,presentato nel luglio
2001 dalla Commissione Europea
20
ed a cui sembra necessario dedicare un po’ di
attenzione.In esso vi è l’analisi più completa di cosa oggi debba significare il termine
governance e di quale sia oggi il ruolo degli attori dei nuovi livelli sovrastatali.
16
The First Global Revolution:A Report of the Council of Rome,Pantheon Books,New York,1991.
17
cfr.A.Papisca, per cui nell’ambito del succitato paradigma della global governance,la Commissione
sulla Governabilità Globale fornisce “uno dei contributi più organici…di taglio politico-
istituzionale”;pag.87.
18
Ibidem,pag.85.
19
“La Repubblica”,14 Luglio 2001.
20
Commissione Europea,European Governance – A White Paper,Brussel 25.7.2001,COM(2001)428.
xii
La governance,che viene definita “ruoli,processi a comportamenti che riguardano il
modo in cui i poteri sono esercitati”,viene inquadrata in cinque principi che,se presenti
contemporaneamente,ne determinano il suo utilizzo virtuoso:
-Trasparenza e Semplicità: “Comunicare più attivamente circa ciò che l’UE fa e circa
le decisioni che prende…usare un linguaggio accessibile e comprensibile per un
pubblico generale”;
-Ampia Partecipazione “lungo tutta la catena politica, dal concepimento alla
realizzazione” in modo da creare “più confidenza nel risultato finale e nelle istituzioni
che dispensano politiche”;
-Chiarezza nelle Responsabilità sia a livello regionale nella chiara partizione di
responsabilità tra le Istituzioni,sia per quel che riguarda la partecipazione alle
responsabilità degli Stati membri e dei suoi enti locali;
-Effettività circa la chiarezza degli obiettivi da raggiungere,la valutazione sull’impatto
futuro e la considerazione di esperienze passate, sinonimo di esercizio del potere “in
una maniera proporzionata nel prendere le decisioni al livello più appropriato”;
-Coerenza nelle politiche e nelle azioni,soprattutto in un momento in cui bisogna
affrontare diversi problemi.
Ma come realizzare i cinque principi appena menzionati?
1.Innanzittuto bisogna colmare i troppi vuoti esistenti tra le Istituzioni centrali e chi ne
“subisce” le sue politiche.
Non è un caso,infatti,che il Libro Bianco esordisca proprio mettendo in evidenza la
distanza–paradosso tra le istituzioni e la gente:“Oggi i leader politici di tutta Europa
stanno fronteggiando un paradosso reale.Da un lato,gli Europei vogliono essi stessi
trovare soluzioni ai maggiori problemi con cui le nostre società si confrontano.
Dall’altro lato, la gente in maniera crescente perde fiducia nelle istituzioni e nella
politica oppure è semplicemente non interessata ad essa”. Un simile inizio è totalmente
in linea con quanto abbiamo affermato in precedenza ,proprio sulla necessità di una più
ampia partecipazione, sinonimo di più ampia appartenenza e legittimazione.
“Bisogna connettere l’Europa con i suoi cittadini”;ecco un altro passaggio iniziale,che
ha tutta la forza comunicativa di uno slogan. E questo sembra essere uno degli elementi
fondamentali per realizzare il rafforzamento della governabilità.
Si parla,come visto nei cinque principi,di dialogo più sistematico e di maggiore
chiarezza e visibilità, tutto ciò che può essere fortemente incentivato dall’uso delle
nuove tecnologie,internet su tutte,che permette in maniera rapida, scambi di documenti
xiii
e di opinioni.Il contatto con i centri amministrativi significa,infatti,anche facile
reperibilità dei “prodotti” dei processi decisionali in tutte le sue fasi, ed ancora di più, la
possibilità di inviare direttamente qualsiasi commento o di partecipare a dibattiti
interattivi.
La “forza aggregativa” delle nuove tecnologie che bisogna assolutamente sfruttare,è
quanto sembra interessare la Commissione,che non solo dedica al tema-oggetto del
Libro Bianco uno speciale spazio in rete
21
,in costante aggiornamento circa l’evolversi
del dibattito sulla governance,ma mette a disposizione anche un specifico indirizzo e-
mail per l’invio di qualsiasi tipo di commento,fissando anche una data di scadenza per
tali reazioni.Un comportamento inedito che è quanto di più innovativo e rapido per
creare un filo diretto tra la base e le istituzioni.
2.La Commissione,dà anche una risposta abbastanza chiara circa il significato del
termine società civile, un altro dei termini,assieme proprio a quello di governance più
“in voga” in questi ultimi tempi,che così viene catalogata: “sindacati,organizzazioni dei
lavoratori,ONG (organizzazioni non governative), associazioni professionali,
associazioni di carità,organizzazioni della base,organizzazioni che coinvolgono i
cittadini nella vita locale e municipale con un particolare contributo da parte delle
chiese e delle comunità religiose”.
La Commissione,è chiara anche nella definizione del ruolo politico della società
civile,riconoscendole il lusinghiero ruolo di attore, “agente,spesso, come un campanello
d’allarme preventivo per la direzione del dibattito politico”.
Attore verso il quale quindi va posta attenzione e con cui bisogna interagire. E nel
momento in cui è volta al rafforzamento “verticale” del dialogo,la Commissione,cerca
anche di incentivare un processo di dialogo e di collaborazione “orizzontale” che serva
a legare le differenti società civili, per facilitare la creazione di una tanto invocata
società civile internazionale(in questo caso europea e che vada a riempire lo spazio
pubblico europeo).Tema questo che ha interessato da Kant ad Hegel, da Gramsci ad
Habermas e che è stato rimarcato come esigenza fondamentale per “la base d’appoggio”
della politica dei governi, sia degli attori del livello statale,sia dei livelli superiori.
La Commissione ne individua l’importanza, e l’impegno:
-per la creazione,entro la fine del 2001, di un esauriente archivio on-line comprendente
le organizzazioni della società civile attive a livello europeo;
21
Il sito web della governance: http://www.europa.eu.it/comm./governance/index_en.htm.
xiv
-per la moltiplicazione delle iniziative comuni europee attraverso giornate dedicate in
tutti paesi membri a determinati temi
22
,va senza dubbio nella giusta direzione.
3.Ma non basta.Governance significa più ampia partecipazione possibile anche per i
livelli governativi sottostanti quello regionale,ossia il nazionale e soprattutto il
locale,in una concreta distribuzione di fiducia e responsabilità;così come favorire la
creazione di una rete di esperti tecnici e la creazione di agenzie indipendenti che
preparino e supportino il lavoro delle istituzioni del livello regionale.Per tale
proposito,che intende “rafforzare la cultura della consultazione e del dialogo”,tra le cose
più efficaci,viene proposta la diffusione di “target–based contracts”,ossia di contratti
tripartiti che prevedano la partecipazione attiva dei tre livelli interessati
(sovrastatale,statale,locale),con una chiara distribuzione di oneri e di responsabilità.La
Commissione,gli Stati membri e gli enti locali,designati dagli stessi stati,si impegnano
chiaramente nella divisione-delega di obblighi da supportare,per la realizzazione degli
obiettivi stabiliti e disciplinati nel livello regionale.
23
Una buona intenzione per l’attuazione di partecipazione attiva,in piena sintonia con la
richiesta di interazione tra i vari livelli governativi e con la richiesta di più ampia
devoluzione dei poteri “dai centri alle periferie”.
4.C’è inoltre da aggiungere come altro “ingrediente” della governance,la
consapevolezza che oggi interdipendenza non è un termine legato soltanto al settore
economico;semmai interdipendenza va intesa come interesse comune degli attori delle
RI verso la soluzione dei vari problemi nei diversi settori.
Ciò implica la considerazione che i vari problemi,le varie issues sono diventate esse
stesse tra di loro interdipendenti.“Non bisogna essere più giudicati solamente per
l’abilità nel rimuovere le barriere al commercio o nel completare un mercato interno;la
legittimazione oggi dipende dal coinvolgimento e dalla partecipazione.Questo significa
che il modello lineare di dispensare politiche dall’alto deve essere rimpiazzato da un
circolo virtuoso,basato su azioni-reazioni,legami e coinvolgimento dalla creazione della
politica alla sua realizzazione a tutti i livelli.”
A livello multilaterale quest’ultimo punto dovrebbe comportare l’ampiezza dei
negoziati,proprio perché “non avrebbe senso puntare ad un negoziato a scartamento
22
La presenza di date comuni resta di fondamentale importanza per rafforzare uno stretto legame di
appartenenza alle istituzioni ed al luogo,inteso come spazio,che le politiche cercano di gestire.
23
Vengono indicate come tema–pilota le politiche ambientali.
xv
ridotto,cioè solo su temi commerciali,”visto che “i diversi temi,poi, si intrecciano
sempre più strettamente e diventano comunque interdipendenti”.
24
Si può quindi,in chiusura,ritenere:
- la governance sinonimo di reale good government (buon governo/buona gestione);
- l’attributo good ,legato al termine governance, come un semplice rafforzativo.
Ma quale é il rapporto tra la governance del livello statale e del livello regionale ed i
due livelli superiori?
Se global governance è “fare internazionalmente ciò che i governi fanno in casa
propria”
25
e se a questo punto è inevitabile citare Rosenau
26
,quando parla di forme
nascenti di governabilità (nascent forms of governance) come risultato sia della
sponsorship degli Stati(che è quella che più ci interessa in questo contesto), sia
dell’iniziativa diretta di attori non statali, e sia dell’azione congiunta dei due diversi
attori,appare ancora più chiaro il processo di “risalita” dei contenuti e dell’ efficienza
dai livelli più bassi ai livelli più alti.
Si è abituati a pensare allo Stato come esclusivo spazio della governance, ma nel
momento in cui accanto allo stato assumono sempre più importanza attori dei livelli
superiori a quello statale, anche in “virtù” della minore capacità dello Stato di
fronteggiare certe problematiche ,bisogna che tale governance investa anche tali attori.
Come fare? Lo Stato,che rimane punto di riferimento e di collegamento con il livello
inferiore e ponte di collegamento con il livello regionale,nonché punto di riferimento
iniziale della governabilità,fa in modo che,accorpando esperienze di governance nella
creazione di un organizzazione regionale, non si faccia altro che generare regional
governance, come somma delle singole national governances. Si è così “saliti” su di un
gradino superiore.
Il punto è,che se un’organizzazione regionale ha raggiunto un buon livello di
governance,e ciò è ben visibile già a partire dalle enunciazioni dei sui trattati, è
abbastanza naturale che nel momento in cui tale organizzazione andrà a trattare con stati
o con organizzazioni terze,non potrà fare a meno di tener presenti anche in ambito più
esteso le norme che le determinano la governabilità,e di conseguenza non potrà che
tentare di portare la sua esperienza su di un “gradino ancora più alto”.
24
Piero Fassino,Come governare la globalizzazione? ,in Europa Europe,Rivista bimestrale della
Fondazione Istituto Gramsci,Roma -Vol.2/2000.
25
Lawrence S.Finkelstein,What is Global Governance? ,in Global Governance,vol.1 n°3/1995.
26
James N.Rosenau,Governance in the Twenty-first Century,in Global Governance,vol.1 n°1/1995.
xvi
Sicuramente non troverà sempre la stessa disponibilità,ma è indubbio che qualunque
azione dell’organizzazione regionale in campo estero, non prescinderà da quegli
obblighi comportamentali ed etici che sono diventati fondamentali al suo interno.Non è
certo una caso che anche nel Libro Bianco si affermi il bisogno di “cercare di
applicare i principi di good governance alle proprie responsabilità globali”, da
intendere come spinta verso “l’effettività ed il rafforzamento dei poteri delle istituzioni
internazionali”;od ancora si sottolinei che“il primo passo deve essere quello di
riformare la governance con successo al proprio interno in modo da accrescere il
processo di cambiamento a livello internazionale”.
Va indicata la necessità del processo dal basso,proprio perché la governabilità,
attraversando i livelli intermedi, fino a giungere al livello globale, lascia una traccia,
lascia il suo segno;sarebbe paradossale che la governabilità regionale nel momento in
cui si estende anche al livello superiore perda i suoi connotati,così come sarebbe
paradossale pensare ad una governabilità globale senza avere governabilità nei livelli
inferiori.Si può,anzi,sostenere che se oggi una governabilità globale reale non si è
ancora diffusa, è anche perché essa stessa manca nei livelli inferiori.
Se il livello interregionale viene completamente organizzato e “nutrito” di interregional
governance il passo per giungere alla tanto agogniata global governance diventa molto
breve.
Ecco perché la strada verso il “riempimento” delle organizzazioni già esistenti del
livello globale deve necessariamente partire dal basso;perché è nei livelli inferiori che
esistono già esperienze reali di buona gestione, che devono cercare a tutti i costi di
risalire e di trovar spazio e che devono rendere i policy makers obbligati
inderogabilmente a tale diffusione, “in modo da promuovere una più ampia
cooperazione e coerenza tra le attività delle organizzazioni internazionali esistenti, e per
accrescerne la trasparenza”.
27
Ora il processo di iniezione dal basso,nel momento in cui dovrà risalire fino ai luoghi
globali dell’esercizio del potere,dovrà influenzare quei livelli che sono “vergini” di
esperienze di governabilità.
Gli Stati che hanno avuto la virtù di essere autonomamente creatori ed esecutori di un
buon livello di governabilità,hanno il dovere morale di portare tale buona gestione
anche laddove autonomamente non si riesce a far lo stesso.Ecco perché,allora, nel
momento in cui gli Stati dotati al loro interno di governabilità, la trasferiscono sul
27
Commissione Europea.,European Governance – A White Paper.
xvii
gradino più alto del livello regionale e successivamente trasferiscono o tentano di
trasferirla anche sul livello interregionale,c’è bisogno contemporaneamente di un
processo di riempimento di quei lati,di quegli spazi, nei livelli inferiori, che non sono
ancora dotati di governabilità.
Facciamo un esempio esplicativo : Se l’UE(l’organizzazione più efficace e
rappresentativa del livello regionale dell’Europa)tratta nell’ambito del livello
interregionale con il MERCOSUR (organizzazione del livello regionale
dell’America),creando in questo modo un “ponte” tra la regione Europa e la zona
meridionale della regione America,nel momento in cui va ad intessere questo
rapporto,sicuramente cercherà di esportare la sua esperienza di governance.
Il recepimento di questa governabilità,dovrà essere il mezzo per riempire anche quei
vuoti di governabilità che esistono negli Stati della regione con cui si va a cooperare.In
questo caso si genera un processo dal basso che cerca di raggiungere il livello
globale,ma ,nel momento in cui sale, riempie gli interstizi che non sono ancora avvezzi
alla governabilità.
Possiamo dunque parlare di un processo dal basso verso l’alto, ma contemporaneamente
anche dall’alto verso il basso,dove nel momento in cui si “iniettano” i criteri della
gestione del potere nei processi di cooperazione ad un livello più alto,si crea un
riempimento,quasi fosse metaforicamente parlando una “colata” di governance,anche
negli spazi vuoti, negli interstizi dei livelli più bassi.
L’architettura istituzionale come l’architettura reale di un edificio;con la nostra “trave”
rappresentata dal livello globale e “quattro serie di mattoni”,rappresentanti i vari livelli,
che devono riempire “la parete” e sostenere la trave attraverso il dialogo e la
cooperazione, e che devono essere tenuti insieme attraverso la “malta cementizia” della
governance (fig.2.1).
L’attenzione va,quindi,posta soprattutto verso i due livelli intermedi,ossia il livello
regionale ed il livello interregionale.
Possiamo,infatti,definire i due livelli “nuovi” dal punto di vista cronologico,visto che
molte organizzazioni sia del terzo sia del quarto livello sono nate o si sono rinnovate
proprio dopo il 1989,dopo il blocco delle libere iniziative;ma nuovi,soprattutto dal
punto di vista della loro collocazione intermedia tra il livello statale e quello globale e
nuovi per il ruolo che stanno svolgendo nel quadro dei rapporti internazionali.
xviii
Figura 2.1 - L’architettura istituzionale del nuovo ordine costituente.
Gli attori dei due livelli sono da consolidare (laddove esistono),da far sviluppare
(laddove non esistono) e da convertire verso fini più collaborativi (laddove hanno o solo
scopi meramente economici o semplici scopi di aggregazione per rimarcare una
specifica identità).
Ma non c’è dubbio che la loro presenza sta rivoluzionando il modo di intessere i
rapporti internazionali e sta,in molti dei casi che andremo ad elencare,affermando una
volontà collaborativa che chiama in causa a giusto titolo il modello dell’interdipendenza
complessa, coniato durante gli anni ’70
28
, che prevedeva nessuna differenza tra high
politcs e low politics e soprattutto uno sguardo rivolto alle differenti issue areas.
Per concludere questa parte riassumiamo così: in un sistema post-egemonico
29
,con
l’interdipendenza come scenario e con l’esistenza di tutt’una serie di domande a livello
mondiale che sono diventate così comuni, che Antonio Papisca arriva definire popolari,
il singolo Stato(il livello statale)non può dare una risposta efficace ed il livello globale
essendo,per ora, troppo impantanato,frammentato o bloccato nelle morse di pochi
grandi Stati,è di conseguenza incapace di governare in nome di un benessere universale.
Ecco che allora in questo vuoto,che si è venuto a creare tra il livello statale e quello
globale, si devono innestare in maniera vincente sia il livello regionale sia il livello
interregionale, in modo da riuscire ad offrire una risposta concreta alla richiesta di
governabilità globale e di regole precise e valide per tutti.
28
Robert O.Keohane- Joseph S. Nye,Power and Interedependece:World Politics in Transition, Little,
Brown, Boston,1977.
29
P.C.Padoan : “Stato di cose in cui nessun paese è in grado di fornire unilateralmente i beni pubblici
necessari per il funzionamento del sistema stesso,di fornire cioè i requisiti di base per un “regime
internazionale”,ovvero un insieme di regole che serva a un funzionamento ordinato del sistema”;(Europa
Europe,vol.6/98).
Livello Interregionale
Livello Regionale
Livello Statale
Livello Locale
Livello Globale