I - Premessa 9
maggiore assunzione del rischio e della responsabilità. Il lavoro di massa,
frutto dell’era industriale, si avvia a scomparire, surclassato da un lavoro
più qualificato, potenzialmente alla portata di tutti.
Le nuove professioni, basate quindi sull’autonomia dei ruoli,
concorrono ad accelerare il mutamento dell’attività sia in termini di
contenuto sia di modalità attuative, portando ad una vera e propria
rivoluzione del lavoro. La riscossa del singolo, dopo decenni di
organizzazioni prevalentemente orientate al collettivo, impone una nuova
cultura del lavoro, secondo la quale il lavoro stesso si va trasformando in un
insieme di prestazioni a libero servizio per più imprese, mentre il team sarà
il luogo della valorizzazione delle individualità e non la loro negazione.
Qual è la prima conseguenza di questa innovazione? Il manager ha
sostituito il gestore, mentre l’organizzazione si basa su team di progetto e
non sulle tradizionali funzioni. Non ci sono più le carriere organizzate, e il
lavoratore deve saper programmare e gestire la propria crescita
professionale attraverso un personale progetto di carriera. Le strutture si
sono fortemente appiattite per favorire la responsabilizzazione di tutti gli
appartenenti all’organizzazione, creando contemporaneamente minori
opportunità di carriera di tipo tradizionale. E’ l’inizio della fine della
gerarchia.
Occorre chiarire tuttavia che le nuove professioni non sono
solamente attività aggiuntive rispetto a quelle correnti, ma risultano anche,
e in misura maggiore, dalla trasformazione delle attività esistenti attraverso
l’innesto delle nuove tecnologie nei settori e nelle attività tradizionali. Il
bilancio finale in termini di minore o maggiore occupazione dipende dalla
volontà, dall’impegno e dalla creatività con cui i singoli lavoratori e le
I - Premessa 10
organizzazioni più ampie reagiranno all’evoluzione tecnologica ed ai suoi
effetti sulla società.
Proprio così. La tecnologia, da estensione delle capacità muscolari,
meccaniche dell’uomo, da ora la possibilità di amplificare la capacità di
memoria e di elaborazione dati - potremmo azzardare l’intelligenza
dell’uomo – e permette un allargamento sorprendente delle attività
produttive e di servizio per soddisfare bisogni vecchi e nuovi.
La duttilità delle nuove tecnologie permette di tagliare su misura il
prodotto, secondo le caratteristiche diverse e le funzioni specifiche richieste
dal cliente. E’ un discorso che non riguarda solamente l’industria e,
l’automazione degli uffici pubblici sono altrettanti esempi di come il
processo di innovazione indotto dalle nuove tecnologie interessi
ampiamente anche il terziario.
I tempi che stiamo vivendo sono caratterizzati da consistenti
cambiamenti in ogni settore di attività; lo scenario è assolutamente positivo
e carico di interessanti stimoli per tutti. Anche l’ambiente può rappresentare
una spinta formidabile per lo sviluppo, per nuove invenzioni, per nuove
professioni. L’ambiente è un paesaggio artificiale scelto da una collettività
come luogo privilegiato dove abitare, in cui gli aspetti naturalistici
assumono un valore di eccezionalità, sia per la rarità del bene – essendo,
anche nei casi di città con grandi estensioni di aree verdi, pur sempre
“isole” nel paesaggio costruito – sia per il valore simbolico che la natura
assume, andando oltre il semplice fabbisogno vitale pro-capite, per
assolvere ad un bisogno affettivo e identificativo che l’uomo le riversa.
Inoltre i nostri spazi urbani si presentano sempre più innaturali e
meno vivibili, in particolare per quelle fasce della popolazione considerate
I - Premessa 11
più deboli, ossia bambini, anziani e persone impedite. L’avanzare dello
stress, dell’esasperazione, della sopraffazione e della violenza che, ad
esempio potrebbe emergere da una situazione di traffico caotico, comporta
una degenerazione dei rapporti tra le persone, alla quale corrisponde la
progressione delle disfunzioni amministrative, causa-effetto a loro volta
delle condizioni di ingovernabilità urbana.
La crescente attenzione con cui si guarda all’ambiente, la definizione
di apposite leggi per la tutela e la protezione dell’ambiente, lo sviluppo di
corsi di laurea riguardanti l’ambiente, lo sviluppo di nuove tecniche per il
loro studio contribuisce a fare aumentare in misura notevole le potenzialità
occupazionali di questo settore. In particolare sono quattro i settori di
attività relativi alle esigenze di riorganizzazione urbana: attività di
informazione, per la disponibilità e l’aggiornamento continuo degli
elementi di conoscenza necessari; attività di pianificazione, per il controllo
e la guida delle dinamiche evolutive di ciascuna città e dei suoi rapporti con
il territorio; attività relative alle opere, per la progettazione e la
realizzazione di ciò che è stato pianificato; infine attività di gestione e
manutenzione, per assicurare il corretto funzionamento dell’organismo
urbano ed evitare il degrado.
Le funzioni degli esperti e dei tecnici prevedono un’opera che
assicuri un ambiente sano per le comunità (che prevenga i danni alla salute
pubblica), il controllo della qualità delle risorse idriche, la stabilizzazione
dei suoli, la valorizzazione delle aree marginali, la gestione dei parchi
nazionali e delle riserve naturali e anche degli spazi verdi cittadini. Il
risanamento ambientale permette di recuperare il deficit di capitale naturale
che, accumulandosi, provoca degrado, crisi con emergenze frequenti e con
I - Premessa 12
alti costi di intervento, restituendo alla fruibilità pubblica ed alla
valorizzazione economica risorse preziose inutilizzabili.
Le possibilità di sviluppo sono individuabili all’interno di strutture
pubbliche (siano esse nazionali, regionali o locali), ma vecchi e nuovi
bisogni delle comunità e la diffusione delle nuove tecnologie fanno si che si
possano presentare opportunità per chi, dotato di spirito imprenditoriale,
decida di avviare una attività autonoma.
La valorizzazione del capitale naturale, storico, architettonico e
culturale di una città, sotto questo aspetto, importante come Roma, potrebbe
costituire una solida base per lo sviluppo e la riqualificazione di attività
turistiche, di miglioramento delle condizioni di vita, di crescita culturale e
di sviluppo indotto in vari settori produttivi.
13
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 14
Capitolo Secondo
2. LE PROFESSIONI E LA SOCIOLOGIA DELLE PROFESSIONI
“Si deve definire professione ogni
specificazione, specializzazione e
combinazione delle prestazioni di una
persona, che costituisce per essa il
fondamento di una possibilità
continuativa di approvvigionamento e di
organizzazione”
(Max Weber)
2.1 Le origini
La forza e l’ampiezza con cui il processo d’industrializzazione si
affermò nell’800 in paesi quali l’Inghilterra e la Francia, stimolarono la
riflessione sociologica sulle professioni, come un segmento dell’analisi dei
sistemi industriali emergenti e nell’accezione di occupazione di ordine
superiore. All’inizio, fino a tutto il decennio ‘50 del nostro secolo,
l’attenzione accademica al mondo delle professioni sarà soprattutto relativa
alla forma libero-professionale.
Ciò che identificava la professione era un corpus di teorie e una
particolare abilità intellettuale, che portò Auguste Comte a prefigurare
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 15
nell’ingegnere una figura intermedia tra teoria e pratica, regolatrice tra
scienziati e industriali per tutti i lavori particolari
3
.
Sulla scia di Herbert Spencer - che considerava le professioni come
fattore di “arricchimento della vita”, come attributo essenziale di una
società moderna
4
– Max Weber giunge ad affermare che, in un mondo
caratterizzato dalla tendenza alla razionalizzazione, la professione, e
soprattutto la professione intellettuale, diventa l’espressione dell’azione
razionale rispetto allo scopo - impiegare le “aspettative dell’atteggiamento
di oggetti del mondo esterno e di altri uomini come condizioni o come
mezzi per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di
conseguenza”
5
. Trascurando in questa sede l’idea della professione come
massima espressione dell’amore verso il prossimo
6
, è interessante in Weber
il concetto, intimamente nuovo, di Beruf, di “chiamata”. L’idea implicita
che se ne ricava consiste nell’adempimento del proprio dovere
professionale come il più alto contenuto che possa assumere l’attività
umana, e che quindi va al di là della pura sete di guadagno, che ha
caratterizzato tutta la storia dell’umanità: il termine professione sembra
implicare che uno professi, ossia creda nel proprio lavoro e che “dalla sua
ricchezza non ricava nulla per se stesso tranne l’irrazionale sentimento del
compimento del suo dovere professionale”
7
.
Nel momento in cui in Inghilterra le professioni assumono il carattere
di attività fondamentali delle società industriali avanzate – ne è
33
A. COMTE, Considerations philosophiques sur le sciences et les savant, Leroux éd., 1883,
p.231.
4
H. SPENCER, Principi di Sociologia, UTET, Torino, 1967, cap. II, p.650.
5
M. WEBER, Economia e società, ed. Comunità, Milano, 1968, vol. II, p.137.
6
Weber riprende da Lutero l’idea che il lavoro professionale possa essere espressione dell’amore
verso il prossimo, in quanto la divisione del lavoro costringe il singolo a lavorare per gli altri.
7
M. WEBER, Die protestantische ethik und der geist des kapitalismus, trad.it., Roma, 1945, p.59.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 16
dimostrazione la nascita e il riconoscimento di istituzioni professionali quali
i dentisti, i veterinari, gli ingegneri, gli architetti, le cui dichiarazioni
ufficiali mettono in ombra l’idea di interesse personale, creando uno
standard minimo di accesso alla professione, un codice etico e sviluppando
un alto senso di appartenenza di tipo spesso corporativo - la visione macro-
sociologica e astratta lascia il posto ad un approccio più pratico, interessato
ad analizzare le caratteristiche intrinseche di queste attività, partendo dal
processo stesso di formazione del gruppo professionale.
The Professions pubblicato nel 1933 da A.M. Carr-Saunders, insieme
a P.A. Wilson, sarà il primo vero studio analitico e di vasta portata sulle
professioni.
“Una professione può essere definita come un’occupazione basata su
uno studio ed un training specializzati, il cui scopo è di offrire ad altri
un servizio esperto (skilled service) o un consiglio, per un onorario o
uno stipendio”
8
.
Connotato essenziale del processo di professionalizzazione in atto
sarebbe, secondo gli autori, l’acquisizione di una particolare abilità o
specializzazione, ed a un livello più ampio la creazione di associazioni, “i
cui principali obiettivi sono quelli di mantenere ad un certo livello minimo
le qualifiche di quelli che richiedono di esercitare la professione e di
imporre delle regole di onorevole condotta”
9
.
Un altro saggio del 1957, Attributes of a Profession di Ernest
Greenwood
10
, ha il merito di aver descritto in modo completo gli attributi
8
A.M. CARR-SAUNDERS, Professions: their organization and place in society, the Clarendon
Press, Oxford, 1928, p.3.
9
A.M. CARR-SAUNDERS, op. cit., p.6.
10
E. GREENWOOD, Attributes of a profession, Social work, 2, n°3, july 1957, pp. 44-55.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 17
tipici delle professioni, in un’ottica pienamente sociologica – anche se la
storia ancora non ha conosciuto quel cospicuo allargamento dell’interesse
per le professioni che avverrà solamente dopo gli anni cinquanta. I requisiti
individuati da Greenwood sono cinque:
• Un’abilità superiore, che trae origine da “una base di conoscenze
organizzate in un sistema internamente coerente, chiamato teoria”. La
teoria si concretizza nell’efficacia del professionista durante l’esercizio
della sua attività.
• Un’autorità professionale, che trova origine nel rapporto diretto tra
cliente e professionista, in particolare nella sicurezza che quest’ultimo
conferisce al primo.
• La sanzione della comunità è l’insieme dei titoli, dei riconoscimenti e
dei privilegi che una comunità riconosce ad una professione e alla
relativa utilità sociale.
• Un codice di regole etiche, che regoli il rapporto del professionista con i
clienti e con i colleghi, in modo da evitare “abusi della situazione di
preminenza in cui la comunità lo pone”.
• Le associazioni, sorte sulla base dei valori, delle norme e dei simboli di
una professione, per la tutela e il controllo dei membri.
L’approccio per attributi di Greenwood da elemento positivo per chi,
negli anni sessanta, cominciò ad occuparsi di professioni, finì con il
diventare un fenomeno negativo. L’eccessiva enfasi posta sugli attributi e la
semplicità con cui ogni tipologia di professione veniva ricondotta alla
classificazione, collegata ad una frenetica ricerca di nuovi attributi, svuotò
di fatto di qualsiasi contenuto analitico la classificazione di Greenwood.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 18
Il dibattito che ne scaturì fu caratterizzato dall’esigenza di ripristinare
l’originale contributo di Greenwood, ossia il ritorno alla realtà delle singole
professioni. Alcuni autori, principalmente di ispirazione marxista,
associavano gli attributi a “semplici rivestimenti formali ideati da gruppi
professionali giunti all’apice di un processo acquisitivo”
11
.
Altri sottolineavano come non sempre gli attributi caratterizzassero
effettivamente una professione, la quale a volte era priva della base
scientifico-tecnica e della deontologia individuate, come fondamentali, da
Greenwood.
Con il contributo di Greenwood si chiude la prima fase della storia
delle professioni. Freidson, riassumendo i maggiori spunti che da questa
prima fase emergono, afferma che le professioni possono essere considerate
occupazioni distinte e particolari in virtù della capacità di soddisfare i
bisogni del pubblico attraverso l’applicazione di una conoscenza e di
un’abilità.
2.2 Dequalificazione e riqualificazione delle professioni
La fine della seconda guerra mondiale inaugura la seconda fase, nella
quale il forte incremento della richiesta di servizi comporta un altrettanto
forte incremento dei professionisti. Ma la libertà individuale propria di
molte professioni non trova il suo habitat naturale all’interno di istituzioni
burocratiche, organizzate secondo il principio gerarchico. Alle tradizionali
professioni libere si affiancano le nuove professioni dipendenti, le quali
pongono nuovi interrogativi circa la necessità di dover conciliare le
11
G.P. PRANDSTRALLER (a cura di), Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma, 1980.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 19
caratteristiche dell’attività professionale con i principi amministrativi che
caratterizzano le organizzazioni.
Per la sociologia, ed in particolare per la sociologia
dell'organizzazione, il fuoco dell’analisi e delle ricerche si sposterà sul
rapporto/conflitto tra organizzazioni e professioni, ove il compito della
scienza diviene quello di delineare modelli organizzativi in grado di
assorbirlo.
La rivoluzione tecnologica e scientifica, l’estendersi dell’economia
terziaria (fino ad un’economia quinaria, come direbbe Bell), le nuove forme
di impresa e di cultura organizzativa, “ricontestualizzano” il
professionalismo all’interno di quella che viene definita una società
postindustriale.
“La creazione di nuove carriere trova la propria motivazione nello
sforzo di migliorare le professioni e di riorganizzare i servizi
rendendoli efficienti, validi, effettivi, vitali".
12
Assume quindi rilevanza quella “conoscenza teoretica” teorizzata da
Freidson e altri che fonda le professioni sulla base di abilità specifiche
basate su corpi di teoria indotti dalle scienze.
Il problema della moderna sociologia delle professioni diventa quindi
quello di ridefinire i contenuti della professionalità, a partire dai quadri
sociologici in cui essa si sta attuando.
Come suggerito da Reyneri, il dibattito sulle professioni può essere
letto alla luce di due opposte visioni: ottimistica e pessimistica.
12
G.P. PRANDSTRALLER (a cura di), Le nuove professioni nel terziario, Franco Angeli, Milano,
1994.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 20
La visione pessimistica affonda le sue radici storiche e filosofiche
nelle pagine del Capitale di Marx, che traccia la storia
dell’industrializzazione come tendenziale processo di distruzione della
logica del mestiere; tale processo, manovrato dai detentori dei mezzi di
produzione, parcellizzò i compiti e definì le mansioni sulla base delle
“caratteristiche merceologiche, organizzative e tecniche di ogni impresa”
13
.
Gli effetti sono quelli classici della degradazione, dell’alienazione,
dell’estraniazione dal lavoro e dal suo prodotto,
dell’“occupazionalizzazione” del lavoro umano. Qualcosa che promana
dall’alto, che impone tempi, tecniche, metodi, ignorando capacità, idee,
creatività. All’iniziale condanna alla condizione dell’operaio, appendice
della macchina, l’idea dell’espropriazione dal lavoro si è estesa anche al
lavoro dell’impiegato delle grandi burocrazie
Mentre da una parte i pessimisti, continuando a concentrarsi sulle
grandi industrie, non potevano che sostenere la costante dequalificazione
del lavoro operaio, dagli studi degli ottimisti emergevano lavori qualificati
al di fuori dell’industria tradizionale.
Sempre Reyneri sottolinea però il rischio implicito nelle “etichette”,
ossia l’immagine deformata della realtà che ne deriva.
L’evoluzione storica dei sistemi economici ha comportato la
tendenziale integrazione degli stessi (il riferimento è al processo di
globalizzazione), per cui non necessariamente un’industria avanzata ha sede
in un paese altrettanto avanzato. Lo sfruttamento, da parte delle grandi
multinazionali, di grossi bacini di manodopera a basso prezzo, in alcuni
paesi poco sviluppati, ha comportato un “decentramento produttivo a livello
13
E. REYNERI, Sociologia del mercato del lavoro, il Mulino, Bologna, 1996, p.245.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 21
internazionale”. Alla luce della nuova divisione internazionale del lavoro, le
vecchie “etichette” potrebbero nascondere quindi realtà professionali
profondamente diverse tra di loro, e portare alla definizione di nuovi criteri
e di nuove categorie statistiche con cui classificare le attività lavorative.
Sempre alla luce dei processi di differenziazione e modifica dei
sistemi organizzativi, si inserisce la critica di chi, sostenendo la necessità di
un ridefinire i contenuti del concetto di professione affinché non si
confondano con le caratteristiche delle vecchie professioni liberali, ritiene
che non si può definire la qualità del lavoro nei termini dello scostamento
da un modello puro di lavoro.
Infatti gli anni ’70 hanno visto emergere l’idea che si potesse
recuperare il contenuto del lavoro rievocando nostalgicamente la figura
dell’artigiano; un fenomeno che nella sostanza ha assunto il “carattere di
allusione fabulatoria a desiderabili ritorni a mestieri artigiani o a movimenti
verso le professioni”
14
.
L’idea dell’homo faber, ”l’individuo visto come un microcosmo
economico, tecnico e sociale” pienamente in grado di controllare il suo
ambiente di lavoro, trova espressione nel mito dell’artigiano.
L’idealizzazione dell’artigiano preindustriale fa riferimento ad un modello
puro di lavoro, in cui all’artigiano “non manca nessuna delle condizioni
necessarie alla produzione e allo smercio dei beni”
15
, il quale controlla tutto
il ciclo produttivo dalla progettazione alla vendita.
14
F. BUTERA, Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni, Franco Angeli, Milano, 1988,
p. 35.
15
W. SOMBART, Il capitalismo moderno, UTET, Torino, 1967.
II - Le professioni e la sociologia delle professioni 22
Accornero, nella sua analisi sui contenuti del lavoro, pone un quesito:
“La professione è un attributo del lavoratore, oppure è un attributo del
lavoro?”
16
. Vediamo le possibili risposte.
La professione intesa come skill, come mix di capacità e abilità, che
si accumula e si accresce con l’esperienza lavorativa, da vita ad un primo
punto di vista, che potremmo definire cumulativo, che definisce la
professione in termini di investimento personale, “l’utile di un capitale
investito su se stessi”
17
.
Un secondo punto di vista, che invece definiremo adattivo, assume la
professione come contenuto di una certa mansione; in questo caso il
lavoratore applica la propria forza lavoro a ciò che gli si chiede di fare
(“l’uomo senza qualità”).
2.3 I Knowledge Workers
Negli anni recenti si afferma un terzo punto di vista, che considera la
professione un fatto cooperativo, il risultato dell’integrazione delle
conoscenze e delle esperienze del lavoro in équipes:
“Organizzare il lavoro diviene sempre meno un problema di
scomposizione di processi in compiti elementari e di assegnazione di
compiti alle persone e sempre più un problema di ricerca di nuove e
adeguate forme di cooperazione e di partnership tra organizzazioni,
capaci di stimolare e proteggere la creatività e lo sviluppo delle
conoscenze delle persone, e persone dotate di forte motivazione,
impegno, competenza e identità professionale”
18
.
16
A. ACCORNERO, Il mondo della produzione, il Mulino, Bologna, 1994, pp. 271-279.
17
A. ACCORNERO, op. cit., p. 275.