Questo è senz’altro il nucleo centrale di un fenomeno, quello della 
“disgregazione coniugale”
2
, che ha assunto proporzioni considerevoli, influendo 
indiscutibilmente sulla stabilità dell’istituto familiare. Si registra un numero 
crescente di minori coinvolti in quest’esperienza e, di conseguenza, diventa 
necessario prestare sempre maggiore attenzione agli effetti che prima la 
separazione, poi il divorzio dei genitori hanno sui figli e sul loro sviluppo. 
Al fine di tutelare la posizione dei minori nell’ipotesi di dissesto della 
famiglia, il nostro ordinamento si ispira ad un criterio fondamentale: l’esclusivo 
interesse morale e materiale della prole. La valutazione dell’interesse del bambino 
non può naturalmente prescindere dalla sua situazione nel caso concreto e nel 
momento in cui la separazione avviene, ma in prima approssimazione lo si può 
identificare con il fatto che la dissoluzione del nucleo familiare deve incidere il 
meno possibile sui doveri che i genitori hanno verso i figli. Nella nuova situazione 
in cui si vengono a trovare, per i figli si dovrebbero inoltre creare le condizioni 
necessarie per affrontare e superare le inevitabili difficoltà che essa comporta per 
loro. 
Una volta determinato quale sia l’interesse della prole nel caso concreto in 
esame, il problema più complicato da risolvere riguarda senza dubbio la scelta del 
genitore con il quale i figli debbano continuare a vivere dopo la separazione. Ciò 
in considerazione del fatto che è la coabitazione con i genitori ad offrire a questi 
ultimi maggiori opportunità di proseguire il rapporto con i figli e di curare 
                                                 
2
 Così, G. Santi, Separazione e divorzio in una prospettiva psicogiuridica, in Separazione, 
divorzio, affidamento dei figli - Tecniche e criteri della perizia e del trattamento, a cura di V. 
Cigoli, G. Gulotta, G. Santi e collaboratori, Milano, 1997, pag. 91. 
direttamente la prole, mantenendo inalterato, per quanto possibile, l’esercizio dei 
doveri genitoriali. 
Anche dopo la separazione dei coniugi, infatti, i doveri di mantenere, 
istruire ed educare i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni ed 
aspirazioni, che competono ai genitori secondo l’art. 30 Cost. e l’art. 147 c.c., 
restano immutati. Le vicende personali dei coniugi devono restare indifferenti 
rispetto ai doveri che nascono dal rapporto di generazione, e non devono incidere 
sulla posizione della prole poiché separazione e divorzio “non attengono né si 
riflettono, quale che sia l’esito dei giudizi stessi, sullo stato dei figli”
3
: i doveri 
verso i figli non nascono dal matrimonio tra i genitori, ma in virtù della mera 
procreazione.  
Ciò non toglie che il venir meno della coabitazione dei genitori influisca 
profondamente sui modi in cui essi possono adempiere i propri obblighi verso la 
prole. Occorre, perciò, “offrire una risposta che recuperi una funzionalità del 
rapporto genitoriale, pur nella modifica dell’originario nucleo familiare”
4
, ed 
assumere provvedimenti che consentano di contemperare le esigenze e gli 
interessi dei minori coinvolti, quelle dei coniugi separati e quelle della famiglia 
nel suo complesso, che sono spesso confliggenti tra loro. Questa necessità diventa 
ancora più pressante se si pone l’accento sul fatto che i doveri dei genitori verso i 
figli non possono esaurirsi nel mero obbligo di versare le somme di denaro 
                                                 
3
 Cfr. Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 185, in Foro It., 1986, I, col. 2679. 
4
 Così, L. Rossi Carleo, Provvedimenti riguardo ai figli, in Trattato di Diritto Privato diretto da 
M. Bessone, IV, 1, Torino, 1999, pag. 219. 
 
necessarie per il loro mantenimento. L’attuazione dei doveri genitoriali deve 
comprendere anche comportamenti che sono importantissimi per lo sviluppo 
psicofisico della prole, non ultima tra questi la stessa presenza del genitore 
accanto al figlio in tutte le fasi della sua crescita, allo scopo di mantenere costante 
per quest’ultimo il riferimento ad entrambe le figure genitoriali. 
Nel corso della trattazione si cercherà di specificare quali soluzioni sono 
prospettate dall’ordinamento italiano per le problematiche in esame, esponendo 
innanzitutto i contenuti e le caratteristiche dei provvedimenti relativi alla prole 
nell’ipotesi di separazione tra i coniugi. Sarà poi fondamentale individuare il 
significato pratico del criterio dell’esclusivo interesse morale e materiale della 
prole, posto dalla legge alla base dei provvedimenti di cui sopra. Infine, verranno 
esaminate le diverse posizioni circa la rispondenza dei provvedimenti relativi alla 
prole al criterio dell’interesse morale e materiale, anche con riferimento ad alcune 
delle numerose proposte di legge in materia, volte essenzialmente a porre in 
discussione l’art. 155 c.c. 
CAPITOLO I: LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI 
CONIUGI E I PROVVEDIMENTI RELATIVI ALLA PROLE. 
 
1.1.1. La separazione personale dei coniugi: caratteri generali. 
 
La crisi che interviene nel rapporto coniugale è espressione della rottura 
della comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi. In seguito a tale 
frattura, riemerge in ciascuna delle parti l’aspirazione alla libertà, il cui sacrificio 
non trova più compenso e giustificazione in una unione spirituale che è venuta 
meno. Si viene così a creare un conflitto tra il valore dell’unità della famiglia, 
fondata sul matrimonio, e quello della libertà personale di ciascuna delle parti. 
Tale conflitto è stato risolto dal legislatore e dalla giurisprudenza in modi diversi 
nel tempo, privilegiando ora l’uno, ora l’altro valore. 
Attualmente, il nostro ordinamento prevede due istituti, entrambi volti a 
risolvere la crisi coniugale, ma in modi differenti: la separazione personale dei 
coniugi ed il divorzio. Il divorzio è stato introdotto nel diritto di famiglia come 
rimedio all’impossibilità di mantenere o ripristinare l’unità familiare. La 
separazione, che nel vecchio regime matrimoniale era concepita come una 
sanzione nei confronti del coniuge responsabile di ben specificate colpe 
(adulterio, abbandono, minacce…), è stata invece trasformata dalla riforma del 
diritto di famiglia del 1975 in rimedio alla intollerabilità della convivenza o al 
grave pregiudizio all’educazione della prole, in cui la colpa opera solo sul piano 
degli effetti di carattere patrimoniale, e non più su quello delle cause della 
separazione. 
La separazione personale differisce dal divorzio poiché sancisce una crisi 
che potrebbe essere reversibile, potendo anche concludersi con la riconciliazione 
dei coniugi. Ciò anche se, in base ai dati statistici, l’idea della separazione come 
situazione tesa alla riconciliazione sembra ormai superata. L’irreversibilità della 
separazione può essere costatata solo quando essa sia invocata da uno o da 
entrambi i coniugi quale causa di divorzio. Ed è ciò che sempre più 
frequentemente accade, tanto che la separazione ha ormai assunto la 
configurazione di “tappa” verso il divorzio, da cui deriva il sempre più sentito 
problema di rendere omogenei tra loro i provvedimenti assunti in sede di 
separazione con quelli assunti in sede di divorzio, soprattutto per quanto concerne 
l’affidamento della prole.  
La separazione personale dei coniugi si distingue in separazione legale e 
separazione di fatto. All’interno della prima categoria si opera l’ulteriore 
distinzione tra separazione giudiziale, oggetto di una sentenza del giudice, e 
separazione consensuale, le cui modalità sono contenute in un accordo dei coniugi 
soggetto all’omologazione del Tribunale.  
1.1.2. La separazione di fatto. 
 
I coniugi sono obbligati a convivere, ma non anche contro la loro concorde 
volontà. Quando la convivenza tra due coniugi si interrompe in assenza di una 
pronuncia giudiziale, si instaura la separazione di fatto. 
In relazione alla separazione di fatto, vi sono due tesi: una, la meno 
diffusa, è quella che considera soltanto la separazione di fatto “determinata da 
deliberata e volontaria decisione di entrambi i coniugi”
5
. L’opposta tendenza
6
 è 
quella di ritenere che per aversi separazione di fatto sia sufficiente che il difetto di 
convivenza sia voluto anche da uno solo dei coniugi, a causa del venir meno 
dell’affectio coniugalis, purchè le sue intenzioni siano portate a conoscenza 
dell’altro coniuge, anche con un comportamento non equivoco. 
Quest’ultima definizione di separazione di fatto ha consentito alla Corte di 
Cassazione di inquadrare nella fattispecie anche una situazione di prosecuzione 
della coabitazione, ove questa si riduca ad una comunanza di indirizzo, ma non si 
inserisca nell’ambito di una normale vita matrimoniale
7
, mancando 
completamente la comunione spirituale tra i coniugi e la volontà di vivere e 
comportarsi come tali. 
In ogni modo la separazione di fatto non ha effetto senza l’omologazione o 
la sentenza del Tribunale (art. 158 c.c.). Con la sentenza che pronuncia la 
separazione giudiziale o con il decreto che omologa l’accordo di separazione 
                                                 
5
 Cfr. Cass., 4 giugno 1975, n. 2226, in Giur. It., 1976, I, 1, col. 254. 
6
 Cfr. Cass., 28 aprile 1983, n. 2903, in Giust. Civ. Mass., 1983. 
7
 Cfr. Cass., 9 giugno 1983, n. 3946, in Giust. Civ. Mass., 1983. 
consensuale si allenta, ma non si scioglie, il vincolo matrimoniale, e permane lo 
status di coniugi, pur uscendo fortemente inciso l’insieme dei doveri dei coniugi. 
In regime di separazione di fatto, invece, i doveri dei coniugi restano inalterati, 
pur se in concreto taluni di essi restino inadempiuti per effetto del solo venir meno 
di un’organizzazione domestica comune. 
 
 
1.1.3. La separazione consensuale. 
 
Lo stato di fatto diventa stato di diritto se il consenso alla separazione è 
omologato dal Tribunale sulla base di un ricorso dei coniugi e dopo l’esperimento 
di un tentativo di conciliazione da parte del giudice. Si passa così alla fattispecie 
della separazione consensuale (omologata). 
Qui i coniugi accedono alla separazione presentando ricorso congiunto 
dopo averne concordato le condizioni. Infatti, la separazione omologata trae 
essenzialmente la propria regolamentazione dai termini su cui i coniugi stessi 
hanno raggiunto un accordo. Tuttavia, la rilevanza della volontà dei coniugi in 
ordine ai possibili contenuti dell’accordo è diversa. Nel campo degli interessi 
patrimoniali, la volontà dei coniugi può essere esercitata in modo più ampio, con i 
soli limiti che sono comuni ad ogni negozio giuridico e con quelli che discendono 
dal fatto che i coniugi non possono assegnare allo stato di separato altro contenuto 
che non sia quello di legge. Quanto ai provvedimenti relativi ai figli minori, l’art. 
158, 2° c., c.c. restringe l’autonomia dei coniugi assoggettando l’accordo ad un 
più penetrante controllo del giudice, che ha il potere di indicare ai coniugi le 
modificazioni da adottare in relazione al mantenimento e all’affidamento della 
prole.  
Ove i coniugi non accolgano le modificazioni suggerite dal giudice, questi 
deve rifiutare l’omologazione, non disponendo del potere di modificare d’ufficio 
l’accordo. 
 
 
1.1.4. La separazione giudiziale. 
 
Gli effetti della separazione consensuale sui diritti e doveri nascenti dal 
matrimonio sono eguali a quelli scaturenti dalla separazione giudiziale, che può 
essere pronunciata su domanda di uno solo dei coniugi, quando si verifichino fatti 
tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave 
pregiudizio all’educazione della prole (art. 151, 1° c., c.c.). Questi fatti possono 
essere addebitabili a uno dei coniugi o ad entrambi, oppure indipendenti dalla loro 
volontà e, comunque, incolpevoli. 
Nella separazione giudiziale si devono distinguere tre fasi: presidenziale, 
istruttoria, decisoria. In ognuno di questi momenti il magistrato assolve a compiti 
diversi, ma sempre finalizzati ad attuare l’interesse del minore. 
a) Fase presidenziale. 
In questa fase il Presidente, dopo aver esperito il tentativo di conciliazione, 
deve emettere i provvedimenti urgenti necessari per risolvere, anche se solo 
provvisoriamente, i problemi più pressanti della famiglia in crisi. Anche per i 
provvedimenti provvisori è necessaria un’analisi approfondita del caso in esame: 
infatti tali provvedimenti non vengono poi facilmente modificati nelle fasi 
successive del procedimento. E’ lo stesso art. 708 c.p.c. che pone dei limiti alla 
modificabilità dei provvedimenti presidenziali, che rischiano di diventare quasi 
definitivi. Ciò anche se in alcuni casi viene privilegiata una interpretazione lata 
dell’art. 708 c.p.c., ed il giudice istruttore modifica “se si verificano mutamenti di 
circostanze”, intendendo con tale locuzione anche un più approfondito esame dei 
fatti, di fronte alla cognizione necessariamente sommaria del Presidente
8
. 
E’ bene sottolineare che non tutti i coniugi che accedono alla separazione 
giudiziale si contendono l’affidamento dei figli. Spesso il disaccordo verte su 
problemi diversi, e soprattutto su questioni economiche, quali l’assegno di 
mantenimento e l’assegnazione della casa familiare. Nel caso in cui i coniugi 
abbiano raggiunto l’accordo su alcune questioni, il Presidente deve tenerne conto, 
purché l’accordo stesso non sia contrario all’interesse del minore. 
 
                                                 
8
 Così, M. Dogliotti, Gli orientamenti del Tribunale di Genova, in L’affidamento dei minori nelle 
separazioni giudiziali. Ricerca interdisciplinare sui criteri di affido in alcuni Tribunali italiani, a 
cura di A. Dell’Antonio e D. Vincenzi Amato, Milano, 1992, pag. 20, a proposito della prassi 
seguita dal Tribunale di Genova. 
b) Fase istruttoria. 
Conclusasi la fase presidenziale con la pronuncia dei provvedimenti 
provvisori, la separazione passa alla fase istruttoria.  
Tale fase è caratterizzata dai molti colloqui, formali o informali, che 
avvengono tra le parti e il giudice istruttore, che deve cercare di mediare tra le 
posizioni dei genitori e suggerire (oppure imporre) le modifiche ai provvedimenti 
presidenziali, nel caso in cui essi si siano rivelati all’atto pratico inadatti. 
Il giudice istruttore cercherà di risolvere tali problemi sulla scorta degli 
elementi probatori forniti dalle stesse parti, delle proprie cognizioni, ma anche, se 
lo ritiene necessario, ricorrendo a consulenze tecniche o ascoltando i minori 
coinvolti. 
Una volta raccolto tutto il materiale probatorio necessario per la decisione, 
la causa di separazione viene portata al Collegio per la discussione. 
 
c) Fase decisoria. 
Organo competente in questa fase è il Tribunale che, sentita la relazione 
del giudice istruttore, decide sulle istanze delle parti. Spesso le parti sottopongono 
al Collegio conclusioni conformi. Ma se la discordia prosegue, il Collegio assume 
i provvedimenti che allo stato sembrano essere i più opportuni. 
Con la pronuncia di separazione, il giudice emette i provvedimenti relativi 
all’affidamento della prole di cui all’art. 155 c.c., decidendo in base all’esclusivo 
interesse morale materiale dei figli, regola le questioni patrimoniali tra i coniugi e 
stabilisce l’eventuale addebito. 
Con la pubblicazione della sentenza il compito del Tribunale termina, ma 
non sempre cessa il conflitto tra i genitori, e spesso si pone il problema 
dell’attuazione dei provvedimenti. Comunque, in caso di contrasto e di 
sopravvenienza di fatti nuovi, le parti potranno sempre richiedere la revisione dei 
provvedimenti, aprendo così una seconda fase contenziosa. 
La temporaneità della crisi sancita dalla separazione conduce alla 
necessaria conseguenza che l’incidenza di essa sullo status di coniugi sia diversa 
rispetto a quella spiegata dal divorzio. Alcuni dei diritti e degli obblighi scaturenti 
dal matrimonio saranno sospesi, in quanto incompatibili con la pronuncia di 
separazione, altri saranno solamente attenuati. 
Oltre a cessare l’obbligo della coabitazione, termina per entrambi i coniugi 
l’obbligo dell’assistenza nei modi che presuppongono la convivenza, così come si 
attenua il dovere di fedeltà. Non viene completamente meno, invece, l’obbligo 
della collaborazione, che avrà modo di realizzarsi con riguardo ai figli, nei cui 
confronti permangono i doveri genitoriali, che non derivano dal matrimonio, ma 
dal fatto della filiazione. 
La situazione determinatasi con la separazione può poi evolvere per i 
coniugi secondo una triplice prospettiva: il periodo di separazione può concludersi 
con la riconciliazione, e quindi la ripresa della convivenza, facendo così venir 
meno gli effetti della separazione stessa; oppure può protrarsi per un tempo 
indefinito, non essendo nell’intenzione dei coniugi né riunirsi, né sciogliere il 
vincolo matrimoniale; infine può condurre al divorzio, sancendo così 
l’irreversibilità della crisi. 
 
 
1.2. Gli effetti della separazione giudiziale dei coniugi sulla prole: il quadro 
normativo. 
 
Gli effetti della separazione giudiziale sono previsti dagli artt. 155 e ss. 
c.c., i quali contengono le disposizioni relative ai provvedimenti riguardo ai figli, 
alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi e al cognome della 
moglie. In particolare, gli effetti che la separazione giudiziale dei coniugi ha sui 
membri più deboli della famiglia, i figli della coppia in crisi, sono previsti dall’art. 
155 c.c., così come sostituito dall’art. 36 della legge di riforma del diritto di 
famiglia, che ha dato alla materia una disciplina più estesa rispetto a quella 
dell’ordinamento precedente.  
In materia di affidamento della prole nel giudizio di separazione personale 
dei coniugi, il codice civile del 1865, nell’art. 154 disponeva: “Il Tribunale che 
pronuncia la separazione dichiarerà quale dei coniugi debba tenere presso di sé i 
figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione ed istruzione”. 
Analogamente, il codice civile del 1942, nell’art. 155 si limitava a stabilire che il 
Tribunale competente a pronunciare la separazione aveva il compito di assumere 
anche i provvedimenti relativi alla prole. Si era cioè preferito rimettere alla 
discrezionalità ed al prudente apprezzamento del giudice la valutazione 
dell’idoneità di ciascun genitore ad assolvere i propri obblighi verso i figli. 
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 l’art. 155 viene ad assumere 
una connotazione più dettagliata, che lascia minor spazio alla discrezionalità del 
giudice, seppure questa riemerga in relazione alla determinazione dell’interesse 
del minore nel caso concreto in esame. L’art. 155 c.c. contiene l’elenco dei 
provvedimenti che il giudice deve assumere nell’interesse della prole, e può 
ritenersi anche indicativo del contenuto minimo che devono avere gli accordi tra i 
coniugi nel caso della separazione consensuale. La collocazione dei 
provvedimenti riguardanti la prole per primi tra le norme relative agli effetti della 
separazione tra i coniugi non è probabilmente casuale, e può essere ritenuta 
sintomatica dell’importanza prioritaria dell’argomento sugli altri aspetti 
dell’istituto, per quanto complicati essi possano essere. Si tratta di disposizioni 
che determinano analiticamente, anche se “con espressione non sempre chiara ed 
univoca”
9
, i poteri di cui dispone il giudice nello stabilire le modalità 
dell’affidamento dei figli e della prosecuzione del loro rapporto con i genitori, 
soprattutto in relazione al luogo in cui la prole dimorerà stabilmente e al 
contributo del coniuge non affidatario al loro mantenimento e alla loro 
educazione. 
                                                 
9
 Così, C. Grassetti, Provvedimenti relativi alla prole, in Commentario al diritto italiano della 
famiglia, a cura di G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, I, Padova, 1992, pag. 298. 
L’elenco contenuto nell’art. 155 c.c. è da ritenersi non esaustivo, potendo 
il giudice assumere, ai sensi della seconda parte del primo comma dell’articolo in 
esame, tutti i provvedimenti che riterrà necessari caso per caso nell’esclusivo 
interesse morale e materiale della prole. Allo stesso modo, si ritiene che il giudice 
possa non provvedere in relazione ad alcune questioni, lasciandone la soluzione 
all’accordo tra i coniugi, senza comunque incorrere nel vizio di omessa 
pronuncia
10
. 
I provvedimenti relativi alla prole tendono a coprire tutti gli ambiti della 
vita del minore e della sua relazione con ciascuno dei genitori, ed hanno una loro 
caratteristica morfologia: da un lato si trovano le decisioni circa l’affidamento dei 
figli, dall’altro quelle relative alle provvidenze che i genitori devono prestare per 
concorrere agli obblighi del mantenimento. Il primo provvedimento richiamato 
dall’art. 155 c.c. riguarda la dichiarazione di quale dei due coniugi otterrà 
l’affidamento della prole. Da tale prima decisione sono fatte discendere tutte le 
altre, a partire da quelle relative al contributo del genitore non affidatario al 
mantenimento, all’educazione e all’istruzione della prole, per arrivare alla 
disciplina dell’esercizio della potestà genitoriale, dell’abitazione della casa 
familiare, dell’amministrazione dei beni dei figli e della loro rappresentanza.  
Alcune delle soluzioni accolte nel testo del codice civile ricalcano la 
disciplina anteriore in materia di separazione personale dei coniugi e codificano 
gli orientamenti prevalenti in dottrina; altre, invece, sono di carattere 
                                                 
10
 Cfr. Cass., 31 ottobre 1978, n. 4969, in Rep. Foro It., 1978, voce Separazione dei coniugi, n. 52. 
completamente innovativo. Anzitutto, diventa esplicito il principio, già 
consolidato in dottrina e giurisprudenza, per cui ogni provvedimento in materia 
deve avere esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole (art. 
155, 1° c., c.c.). 
Coerentemente con questo principio, il comma 6° dello stesso articolo 
stabilisce l’espressa preferenza, nel caso in cui gravi motivi impongano di non 
affidare i figli ad alcuno dei genitori, per l’affidamento ad una terza persona 
rispetto al collocamento in un istituto di educazione, che appariva come prima 
indicazione nel testo previgente (la stessa preferenza permane nonostante i 
cambiamenti alla materia dell’affidamento a terzi determinati dalla legge n. 
184/1983 e dalle sue successive modificazioni). 
Lo stesso criterio dell’interesse della prole può essere visto alla base delle 
disposizioni contenute nel 7° comma dell’art. 155 c.c., che riconosce una limitata 
rilevanza agli accordi tra i coniugi circa la sorte della prole ed attribuisce al 
giudice il potere di verificarne la rispondenza all’interesse dei figli, anche 
disponendo d’ufficio l’assunzione di mezzi di prova, laddove, per i provvedimenti 
patrimoniali, l’autonomia dei coniugi ha valore decisivo
11
. 
 
                                                 
11
 Cfr. R. Tommasini, Rapporti personali e governo della famiglia nei regimi di separazione e di 
divorzio, in Trattato di Diritto Privato, diretto da M. Bessone, IV, 1, Torino, 1999, pag. 157: “in 
questo senso, mentre gli accordi circa l’attribuzione di beni in sede di separazione o divorzio sono 
lasciati alla piena libertà dei coniugi e non sono più modificabili, il sistema adopera, viceversa, un 
costante controllo per le determinazioni inerenti all’affidamento ed al mantenimento dei figli”.