comunitario a seguito di una Direttiva; ma, formalmente, va detto che lo Stato
italiano si è dotato di tale normativa poiché in grave ritardo nell’adeguamento
del diritto interno alla Convenzione del 28 gennaio 1981 n°108 del Consiglio
d’Europa, la c.d. Convenzione di Strasburgo, la quale obbliga ogni Stato
firmatario ad “adottare, nel suo diritto interno, le misure necessarie per dare
effetto ai principi fondamentali per la protezione dei dati enunciati ” nella
convenzione medesima (art. 4).
12
Il primo progetto organico, infatti, fu
presentato dal Deputato Falco Accade il 21 aprile 1981 e si intitolava “Norme
per la salvaguardia del diritto al rispetto della vita privata nei confronti dei
sistemi di trattamento ed elaborazione automatica dei dati e delle
informazioni”.
13
Ciò ha comportato, tra l’altro, un eccesso di zelo nel porre un
articolo, come l’art.1, che palesemente risente del vezzo dei preamboli,
peculiare del diritto convenzionale
14
ma che, inserito nel tessuto normativo,
acquista valore prescrittivo ed identificativo di quella ratio legis che l’art 12
delle Disposizioni sulla legge in generale individua come uno dei modi di
interpretazione delle norme.
15
Nel caso di specie, l’art.1 garantisce che il trattamento dei dati
personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché
della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza
e all’identità personale e così facendo rende l’opera dell’interprete quanto mai
complessa, perché si trova di fronte a categorie quali i diritti e le libertà
fondamentali, i cui confini sono poco netti; ovvero di fronte a concetti, quali
la riservatezza e l’identità personale, di derivazione giurisprudenziale, per la
cui individuazione non ha a disposizione precisi riferimenti normativi; o,
ancora, ad un’espressione quale la dignità della persona
16
che è al tempo
12
C. CASTRONOVO, Situazioni soggettive e tutela nella legge sul trattamento dei dati
personali, in Il trattamento dei dati personali a cura di V.Cuffaro e V.Ricciuto, Milano, 1998,
p.189 ss.
13
Secondo la relazione che lo accompagnava, esso si prefiggeva lo scopo di assicurare la
protezione de diritti e delle libertà fondamentali di ogni cittadino a fronte dell’incremento
della circolazione, sia nell’ambito dei singoli Stati, sia attraverso le frontiere, dei dati a
carattere personale soggetti a trattamento-elaborazione automatici; in altre parole si vuole
salvaguardare, nei confronti delle possibilità già offerte dalla tecnica, il diritto al rispetto della
vita privata.
14
Nonché, globalmente, della cultura anglosassone, dove, peraltro, si giustifica in quanto,
data l’origine tipicamente giurisprudenziale del diritto, ogni legge viene vista come atto
autoritativo del Parlamento e, per questo, bisognoso di essere ancorato a solidi ed espressi
principi.
15
Il rilievo è di C. CASTRONOVO, op. ult. cit., p.191-192.
16
Inciso aggiunto a seguito dell’emendamento proposto dai senatori Greco e Cantoro,
approvato il 24 settembre 1996. non fu accolto, invece, l’emendamento diretto ad aggiungere,
dopo la parola “riservatezza”, le parole “all’onore e alla reputazione”.
Secondo G.BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, op.cit., p.138 nota 1, il
riferimento alla dignità va collegato con i principi costituzionali che assegnano pari dignità
sociale a tutti i cittadini (art.3) e che prescrivono che l’iniziativa economica non si svolga in
contrasto con la dignità umana (art.41 Cost.) e va oltre la prevenzione dei fatti che
comportano umiliazione e sfruttamento.
A.CAUDELLA, Voce Dignità e riservatezza del lavoratore (tutela della), in Enciclopedia
giuridica, XI,Roma, 1989, p.1, l’ha definita, in modo pregnante, come “la condizione di
consapevolezza da parte del singolo e di rispetto nell’ambiente sociale delle qualità proprie di
ogni soggetto umano e di quelle che all’individuo vanno riconosciute in relazione ai suoi
meriti e al ruolo che svolge nella società”.
stesso un valore, un principio e una clausola generale, i cui contenuti debbono
di volta in volta essere definiti dall’interprete.
Prima di vedere se la tutela fornita al cittadino sia più forte o più
debole di quella che gli ordinari mezzi di tutela già offrivano al cittadino
anteriormente all’emanazione della legge 675/1996, occorre comprendere se,
ed in che modo, la nuova tutela rappresenti una ridefinizione della struttura
della privacy, attraverso una nuova comprensione del rapporto che intercorre
tra il diritto personale alla riservatezza e l’interesse alla sua violazione, che le
dinamiche sociali continuano a manifestare.
1.1. ASPETTI PROBLEMATICI DEL CONCETTO DI INFORMAZIONE.
L’attuale Garante
ha messo in rilievo come la tutela e la difesa della
privacy assumano contenuti storicamente determinati e, conseguentemente,
significati diversi a seconda di quale sia l’obiettivo perseguito attraverso la
raccolta di informazioni e soprattutto in ragione del valore sociale ed
economico che, nei diversi contesti storici ha assunto il concetto di dato
personale.
17
Non è difficile comprendere come in una società che si fondi e si
articoli su concetti come l’onore, la reputazione e il giudizio della società,
l’individuo senta esclusivamente la necessità di alzare un muro tra la sua sfera
intima ed il mondo esterno, perché un’eventuale diffusione provocherebbe
soltanto un danno; se è questo il ruolo assunto dai dati riguardanti un soggetto
determinato, l’ordinamento che ritenga di proteggere l’interessato non può
che riconoscere un rapporto di tipo proprietario, l’unico capace di evitare
concretamente qualsiasi interferenza con l’esterno. È in questa prospettiva,
infatti, che venne elaborato nell’ottocento il right to be left alone.
18
I repentini cambiamenti della società hanno, però, comportato
un’evoluzione della nozione di informazione che, gradatamente, ha acquistato
valore economico, soprattutto poiché è divenuta una risorsa chiave
dell’economia moderna. La trasformazione del sistema di produzione da
quello di massa, in cui la preoccupazione centrale era quella di convincere i
potenziali consumatori della bontà di un prodotto, a quello c.d. di
personalizzazione di massa
19
che si differenzia dal precedente in quanto le
ricerche di mercato si concentrano non sui gusti del cittadino medio, ma sulle
esigenze del singolo, ha, infatti, comportato una sempre più ampia domanda
di dati personali.
In un quadro siffatto, il concetto di riservatezza in termini di assenza
di relazioni interpersonali, tipico di un individuo arroccato in una cittadella
17
S.RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p.25 ss.
18
Anche se vi sono voci discordi , la maggior parte della dottrina ritiene che all’origine della
storia della privacy ci sia l’articolo di D.Warren e L.D.Brandeis del 1890, pubblicato nella
Harvard Law Review. Costoro identificarono la privacy con il right to be let alone,
riconosciuto per la prima volta dal Giudice Cooley. Il primo schema logico è quello della
privacy-property. Secondo MILLER, Libertà, tradotto da Brunialti, Torino, 1890, “per quello
che non interessa che lui, l’indipendenza dell’uomo e di diritto assoluta. Sopra se stesso, sul
corpo o sul suo spirito l’individuo è sovrano”.
Nell’evoluzione successiva, fondamentale è stato il contributo di Westin, Privacy and
Freedom, New York, 1970 e di W.L.Prosser
18
(Privacy, in The law of Torts, Minesota, 1984,
prima ed. 1960) il quale, trattando dell’illecito civile, ha affermato che il diritto alla privacy
ricomprende quattro tipi di lesioni, di quattro differenti interessi della persona, i quali sono
assunti sotto la stessa denominazione ma che non hanno altrimenti niente in comune eccetto il
fatto di rappresentare un’interferenza con il diritto ad essere lasciato solo. Quindi, la privacy è
l’interesse tutelato, mentre le quattro modalità di lesione sono the unresable intrusion, the
appropriation of the name or likeness, the false light in the public eyes e the autonomy of the
individual to make certain important decision of a very personal nature.
19
V.GRIPPO, Analisi dei dati personali presenti su Internet. La legge n.675/1996 e le reti
telematiche, in Rivista critica di diritto privato, 1998, p.641. La definizione di “mass
customization” è di Samarajiva, Interactivity As Though Privacy Matter, in Agre-Rotemberg
Technology and Privacy: The new landscape, Massachusetts, 1997.
privata (my house, my castle
20
) non è più opportuno
21
, tanto che Taluni,
22
privilegiando le esigenze degli operatori economici rispetto a quelle del
singolo, hanno auspicato di considerare le informazioni come una materia
prima da sfruttare in regime di tendenziale deregualation.
Proprio per questo motivo il dato è diventato anche l’oggetto
istituzionale di attività professionalmente organizzate, le quali non si limitano
semplicemente a raccogliere e catalogare informazioni, come può fare, ad
esempio, un archivio anagrafico, ma attraverso l’elaborazione producono
merci, dello stesso genere, seppur diverse: dall’analisi delle abitudini dei
consumatori e delle loro esigenze si può dedurre, infatti, che genere di
prodotto è richiesto dal mercato, cioè una nuova informazione. Abitudini,
gusti, tendenze, opinioni, credenze religiose e convinzioni politiche,
diventano risorse di base da connettere tra loro, manipolare, trasformare e
restituire in una forma diversa, in modo da ottenere un prodotto dotato di un
valore economico enormemente maggiore e utile ad essere sfruttato in
contesti diversi tra loro.
In questo modo il dato personale manifesta la sua prima ambiguità:
esso è attributo proprio della persona e, come tale, elemento protetto del suo
patrimonio privato; ma nel momento in cui viene esternato, ceduto,
scambiato, il dato personale, come qualunque altro bene, diviene oggetto di
rapporti e, come tale, si sottopone alle regole che governano le relazioni
interpersonali, in particolare le regole del libero consenso e dell’autonomia
privata.
Sempre in ambito contrattuale, lo stesso individuo ha, inoltre,
bisogno di esternare le proprie informazioni, dal momento che nessuna
trattativa potrebbe mai iniziare se non mettendo a disposizione della
controparte i dati necessari a valutare il contenuto e la convenienza economica
dell’affare
23
. In questo specifico contesto, il diritto alla riservatezza, nella sua
visione più classica, si riduce ad operare in quegli spazi nei quali il dato
personale cessa di essere utile all’economia dell’affare, ma deve cedere di
fronte all’obbligo di informare, e al contestuale diritto di essere informati, che
sorge, in capo a chi possiede un ruolo nell’economia dell’affare, già nella fase
precontrattuale.
Da tempo, si è manifestata la tendenza a rendere talune opinioni
disponibili all’opinione pubblica; nella sua dimensione spiccatamente sociale,
la privacy è stata, quindi, fortemente ridimensionata per soddisfare altri tipi di
interessi di matrice squisitamente pubblica. In questa ottica rientrano non solo
il riconoscimento del diritto di informare e del diritto ad essere informati
24
di
20
G.CONETTI, Aspetti internazionali di una progettata normativa italiana sulla protezione
degli individui riguardo al trattamento automatizzato di dati di natura personale, in Le
banche dati in Italia: realtà normativa e progetti di regolamentazione, a cura di V. ZENO-
ZENCOVICH, Napoli, 1985, p.13.
21
G.BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, op. cit., p.XIX ss.
22
R.PAGANO, Aspetti economici e giuridici delle banche dati, in Informatica e diritto,
Milano, 1986, p.206
23
Sulla rilevanza dell’informazione nella formazione del contratto, ove essa non assume il
connotato di bene, bensì di obbligo imposto alle parti, v. G.VISINTINI, La reticenza nella
formazione dei contratti, Padova, 1972.
24
I due profili, attivo e passivo, del diritto all’informazione derivano dalla duplice valenza del
termine informazione, il quale si riferisce sia al momento della formazione, sia al momento
fatti di interesse sociale, ma anche tutte quelle esigenze di trasparenza, in
primis dei mercati, che si sono tradotte in altrettante norme che, non solo non
tutelano la privacy di certi soggetti ma addirittura impongono la
comunicazione di determinate notizie
25
a soggetti pubblici.
1.2. GLI SVILUPPI DELL’ ELETTRONICA E LA LIBERTÀ
INFORMATICA.
Con il tempo il diritto alla privacy ha subito forti ridimensionamenti,
sollecitati in primis da un generale ripensamento circa la sostanza ed il valore
dei dati personali. Su un altro versante, si ritiene che la materia abbia subito
una involontaria, quanto inarrestabile, evoluzione in ragione degli incalzanti
sviluppi tecnologici, che hanno caratterizzato il secolo scorso, tanto che da
più parti era stata richiesta una normativa specifica
26
.
È stato sottolineato
27
come, in una prima fase, la dottrina sia stata
divisa nei confronti degli effetti dello sviluppo tecnologico. Alcuni Autori
28
,
confrontando le tradizionali classificazioni delle informazioni, hanno ritenuto
che il progresso tecnologico apportasse esclusivamente una differenza
quantitativa, consistente nella possibilità per il gestore di raccogliere un
numero maggiore di dati in tempi più rapidi.
Altri
29
, in senso contrario, hanno notato che l’informatica
30
comporti
effetti qualitativamente diversi sia rispetto al bene informazione
31
che al
della comunicazione, come riferisce V.FROSINI, Voce Telematica e Informatica giuridica,
in Enciclopedia del Diritto, 1992, p.63.
Per le problematiche relative al riconoscimento giuridico e al grado di tutela del diritto alla
informazione si veda C. CHIOLA, Voce Informazione (diritto alla), Enciclopedia del diritto,
Aggiornamento, Milano, 1999, p.1, il quale sottolinea come l’esigenza di un autonomo
riconoscimento uti singuli nasca anche dall’art.10 della Convenzione dei diritti dell’Uomo,
resa esecutiva in Italia con la l.848/1955, dove, accanto alla libertà di opinione viene
espressamente riconosciuta anche la libertà di ricevere informazione.
25
v. ad esempio la disciplina del Testo Unico della Finanza, n.58/1958.
26
G.GIACOBBE, Problemi civilistici dell’era informatica, in Banche dati e diritti della
persona, Atti del convegno di Sciacca-Agrigento, 9/10 novembre 1984, a cura di Fanelli,
Milano, 1986, p.26.
27
G.BUTTARELLI, op. cit., p. XIV.
28
D.MESSINETTI, Circolazione dei dati personali e dispositivi di regolazione dei poteri
individuali, Rivista critica di diritto privato, 1998, 345 ss, il quale si oppone ad una
unificazione tra informazione ed informatica, in quanto i problemi relativi alla prima
rimangono qualitativamente diversi da quelli della seconda.
29
E. GIANNANTONIO, Il progetto di legge sulle banche di dati personali e le normative
straniere, in Giurisprudenza italiana, 1985, parte IV, c.210.
30
il termine, che deriva dalla contrazione, in un solo vocabolo, delle parole “informazione” e
“automatica”, è stato coniato nel 1962 da Philippe Dreyfus e recepito dall’Académie
Francaise nel 1967 con la definizione: “L’informatica è la scienza del trattamento razionale,
in particolare per mezzo di macchine, dell’informazione, considerata come il supporto delle
conoscenze e delle comunicazioni nei settori tecnico economico e sociale”.
31
Nell’ambito della teoria dei beni, V. ZENO-ZENCOVICH inquadra l’informazione tra le
nuove entità, voce Cosa, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, vol.III, 1988,
p.453 ss, pur concludendo che “l’informazione non è in genere tutelata in quanto tale bensì in
via mediata, quando assume rilievo per la personalità del soggetto oppure assurge al rango di
bene, già tutelato dall’ordinamento”.
Ascrivono all’informazione i due fondamentali attributi dei beni che gli economisti usano
chiamare public goods, in quanto non esiste rivalità a livello di consumo, poiché è
concepibile in un numero elevato di fruitori senza che nessuno debba dolersi dell’uso altrui, e
soggetto cui questa si riferisce. Quanto al primo aspetto sono state poste in
evidenza le differenze tra il bene-informazione nella sua qualità originaria e il
nuovo bene informatico, che si riferisce al dato automatizzato, cioè
memorizzato, elaborato e trasmesso col ricorso alla tecnologia elettronica;
quest’ultimo infatti può essere alienato dalla persona fisica o giuridica cui
inerisce così da consentirne lo sfruttamento economico.
32
Inoltre, l’era informatica ha comportato che le informazioni fornite
dal singolo potessero essere, non solo incorporate in supporti magnetici, tali
da rendere la circolazione molto più rapida, ma anche elaborate in modo da
ottenere risultati conoscitivi più ampi dei singoli dati. La creatività intrinseca
dei sistemi informatici
33
permette, infatti, di colmare lacune e di comporre
masse inorganiche di notizie in unità armoniche, tanto da poter raggiungere
risultati persino esuberanti rispetto agli scopi perseguiti.
I pericoli insiti in tale situazione sono almeno due: da un lato, si
segnala la maggiore difficoltà per l’interessato di poter decidere il destino dei
dati che lo riguardano, i quali si trovano a circolare e ad essere trasferiti a terzi
senza il proprio consenso; dall’altro si può osservare come la sviluppo
dell’informatica faccia crescere esponenzialmente le occasioni di possibile
distorsione di notizie, attraverso una trasferimento faticosamente
controllabile.
Per questi motivi, la maggior parte della dottrina si è assestata
sull’ultimo degli orientamenti descritti, individuando nella disponibilità dei
dati personali l’esistenza di un “potere informatico capace di diminuire il
raggio d’azione dell’individuo o di sopraffare quest’ultimo in ogni sua
esplicazione”.
34
A questa nuova forma di potere, di cui è un’evoluzione il “potere
telematico” della gestione delle reti automatizzate, è stata contrapposta una
nuova forma di libertà personale, basata sulla pretesa giuridica del rispetto
dell’intimità privata, la c.d. libertà informatica.
i costi necessari per il escludere dal godimento coloro che non paghino, risultano molto
elevati, R.PARDOLESI-C.MOTTI, L’idea è mia! Lusinghe e misfatti dell’economics of
information, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1990, 347.
32
C. CHIOLA, op. ult. cit., p.64, che, a tal proposito, pone l’esempio di una banca dati di
informazioni cliniche raccolte da un medico con l’ausilio di un computer, che diviene, perciò,
di proprietà del medico stesso, il quale risulterebbe danneggiato da una manomissione o da un
furto di quei dati, per indicare la novità e la complessità dei rapporti giuridici sorti sui terreni
d’indagine riferiti all’informatica e alla telematica, avvertendo che esse crescono in misura
esponenziale con l’avvento dei servizi telematici. L’esigenza di riservatezza, la tutela
giuridica dell’intangibilità e il valore economico dell’archivio magnetico verrebbero, dunque,
a coincidere con la stessa esistenza del bene.
Contra D.MESSINETTI, Circolazione dei dati personali.., op.cit., p.346, il quale nega la
possibilità di ragionare in termini di appropriazione, in quanto, l’avvento dell’informatica
“…non ha modificato il tipo di problema che la tutela di questi interessi pone al sistema
giuridico. Esso è ancora correttamente ascrivibile come problema della tutela della
riservatezza e quindi, di tutela della persona.”. Secondo l’Autore, a tale ricostruzione non si
oppone il fatto che dati e vicende personali possano divenire oggetto di transazioni
economiche, le quali si possono agevolmente spiegare con “la rimozione negoziale di quel
dovere di astensione che garantisce in generale la persona.” Finché, infatti, le informazioni
sono legate alla persona, mancherebbe la necessaria oggettività per una eventuale
qualificazione in termini di beni giuridici.
33
G.BUTTARELLI, op. cit., p. XV-XVI.
34
G.BUTTARELLI, op. cit., p. XVI.
In una prima accezione, tale situazione giuridica veniva riferita a
colui al quale si riferivano i dati trattati in una banca dati; pertanto si parlò,
più specificamente, di libertà dall’’informatica
35
. Con questo termine si
indicava, in realtà, una duplice facoltà spettante all’interessato: nella sua
visione più classica, esso si configurava come un diritto a non rendere di
pubblico dominio determinate notizie, un diritto soggettivo alla riservatezza
dei dati, quindi, esteso nei confronti dei trattamenti automatizzati
36
e parte
integrante della libertà personale garantita dalla Costituzione; da un altro
punto di vista, preso atto della difficoltà di limitare la tutela ad una semplice
pretesa di carattere negativo, consistente nel diritto di rifiutare di fornire
informazioni sui propri dati, con il termine in questione, con esso si
identificava anche il diritto all’autotutela e all’autodeterminazione su dati non
appartenenti alla sfera della privacy, o per la presenza di un equiordinato
diritto ad informare, o perché le informazioni erano divenute elementi di un
programma elettronico, diritto, questo, che avrebbe consentito un controllo
continuo sull’attività del gestore della banca dati.
37
Lo stesso termine è stato, però, utilizzato dalla dottrina anche in
senso completamente opposto, per contrassegnare il principio della libertà
della raccolta e dell’elaborazione delle informazioni. Tale situazione, più
propriamente descritta in termini di libertà dell’’informatica,
38
implicherebbe
sia la possibilità di utilizzare liberamente il computer per informare ed essere
informati, per raccogliere documentazione di vario tipo e trasmetterla ad altri,
che la facoltà di consultare le banche dati create da altri.
Questa principio fu affermato già nel disegno di legge n.1657/C del
1984, meglio noto come “ Progetto Mirabelli”, nella norma che assoggettava
la creazione di una banca dati a notificazione anziché autorizzazione
preventiva (art.1), ma ottenne una più esplicita enunciazione con il “Mirabelli
bis”, che all’art.2, rubricato “Libertà informatica”, sanciva il diritto di
chiunque di raccogliere dati, di assoggettarli ad elaborazione informatica e di
utilizzarli allo scopo di soddisfare interessi personali nell’ambito della vita
privata e dell’attività professionale ed imprenditoriale. Inoltre, con una
formula ampia, l’utilizzazione dei dati per scopi personali era stata tutelata
anche in riferimento al ruolo svolto dai “soggetti che esercitano, unitamente al
titolare della banca, attività professionale o imprenditoriale” (art.2, co.2).
39
Peraltro, questa libertà era limitata alla sola fase della raccolta, con esclusione
della comunicazione e diffusione: il terzo comma dello stesso art.2 imponeva,
infatti, al titolare della banca di prendere tutte le misure occorrenti per evitare
la conoscibilità delle informazioni da parte di terzi.
35
R.BORRUSO, Computer e diritto, in Problemi giuridici dell’informatica, Milano, 1988,
p.302.
36
V.FROSINI, Banche dati e tutela della persona, in Banche dati e tutela della persona a
cura di Pagano, Camera dei Deputati, Quaderni di documentazione, 4, Roma, 1983, p.9 e 11.,
il quale individua, come corollario, il diritto di diporre dei propri dati, un “habeas data”, al
pari del corpo e del pensiero.
37
In questo senso S.RODOTÀ, La Privacy tra individuo e collettività, in Politica del diritto,
1974, p.545 ss.
38
R.BORRUSO, Computer e diritto, op.cit, p.302.
39
G.BUTTARELLI, op. cit., p.141.
2. GLI INTERESSI GIURIDICI PROTETTI DALLA LEGGE 675/1996.
Nell’ambito della menzionata diatriba trova la luce la legge del 31
dicembre 1996, n.675; occorre chiedersi, pertanto, quale sia stato il destino
delle libertà teorizzate sotto il comune denominatore “libertà informatica”, a
partire da un’analisi globale degli interessi ritenuti meritevoli.
La risposta a tale interrogativo non è agile posto che il legislatore,
preso atto del dibattito dottrinale, se ne è discostato, evitando di aderire
esplicitamente all’una o all’altra ricostruzione
40
, ma appare di vitale
importanza, dato che da essa deriva la comprensione del significato
complessivo di una legge, che si pone astrattamente tra due fuochi: libertà di
trattamento e diritto alla riservatezza, che con riferimento al settore
informatico hanno assunto la comune denominazione “libertà informatica”.
È stato osservato
41
come nel testo normativo siano, in realtà presenti
elementi a sostegno di entrambe le tesi. L’art.3, sul trattamento per fini
personali, e il fatto che per la messa in opera del trattamento sia sufficiente la
mera notificazione (art.7), relegando la necessità di una autorizzazione solo ai
dati sensibili, condurrebbero a ritenere accolti nel nostro ordinamento i diritti
ad informare ed ad essere informati in termini universali.
A tale ricostruzione si oppongono, però, tutta una serie di altre
disposizioni che inducono a ritenere il contrario: l’art.9, co.1 lett.d), che
sembra riconoscere il diritto all’oblio
42
, l’art.13 co.1, lett.e), che impone di
circoscrivere il trattamento dei dati personali agli scopi per i quali sono
raccolti, o ancora l’art.13, co.1 lett.d) ed e) e l’art.29 che consentono di
opporsi al trattamento, sembrano invece manifestare un’intenzione legislativa
di segno opposto, più attenta alle esigenze di riserbo della persona che alla
libera circolazione dei dati personali.
La stessa intitolazione della legge e l’art.1, con il quale vengono
chiarite le finalità del testo normativo, manifestano, da ultimo, un intento del
legislatore improntato ad offrire uno strumentario a tutela della persona in
tutte le sue manifestazioni.
Occorre, comunque, chiedersi se i valori enunciati in tale norma di
apertura, in particolare la riservatezza, esauriscano lo spettro degli interessi
soggettivi presi in considerazione dalla legge.
43
È stato rilevato come, già
dalla lettura dell’articolo in esame, non si possa affermare che la riservatezza
costituisca il punto esclusivo di incidenza della legge, presentandosi, al
contrario, come uno dei diritti da prendere in considerazione, come una
40
Scelta criticata da chi ha ribadito la necessità di un espresso riconoscimento della libertà
dall’informatica mentre era in corso l’esame del d.d.l. n. 1256/C, V.FROSINI, Banche dati e
tutela della persona, in Banche dati e tutela della persona a cura di Pagano, Camera dei
Deputati, Quaderni di documentazione, 4, Roma, 1983, p.9 G.BUTTARELLI, Banche dati e
tutela della riservateza, op.cit., p.144 sottolinea che “l’intesa per giungere ad una o più
definizioni avrebbe sicuramente aggravato il già tormentato iter parlamentare.
41
G.BUTTARELLI, op.ult.cit., p.145-6.
42
È l’opinione di G.BUTTARELLI, op.cit., p.146
43
Mostra piena consapevolezza di ciò G. ALPA, La normativa sui dati personali, op. cit.,
p.717 ss.
specificazione in un quadro caratterizzato dalla specifica rilevanza attribuita al
complesso dei diritti e delle libertà fondamentali.
44
Una lettura unicamente in termini di riservatezza sarebbe, inoltre,
riduttiva anche perché, dall’esame globale dell’impianto normativo, appare
palesemente che il legislatore abbia inteso apprestare una serie di strumenti
atti a difendere la persona dagli effetti nocivi che derivano dalla acquisizione
e dalla utilizzazione delle informazioni.
La scelta di fondo non sembra, quindi, consistere nel reprimere il
fenomeno della diffusione, ormai connaturato nella società moderna,
divenuta, in antitesi a tutti gli auspici, “orwelliana” in modo irreversibile,
45
ma piuttosto nel sancire la libertà della organizzazione delle informazioni e
della loro utilizzazione, ancorché a determinate condizioni e con precisi limiti.
Coerentemente con il modello europeo
46
, che si prefigge
principalmente una disarticolazione della generale categoria “dati personali”,
in funzione della individuazione di tutele graduate a seconda dei valori più o
meno forti che il generico riferimento alla privacy necessariamente sottende,
47
mano a mano che la privacy risulta funzionale alla salvaguardia di valori
particolarmente forti
48
la tutela si fa gradatamente più incisiva; quando invece
essa diviene “fine a sé stessa” o, comunque, tenda a configgere con un diritto
di rango pari a quello dell’interessato
49
la tutela si attenua, risultando
predominante, invece, una “dimensione relazionale”,
50
in coerenza con chi
ritiene che la privacy sia divenuta, ormai, un “elemento costitutivo della
cittadinanza”.
51
“Se si vuole stabilire una scala delle durezze della protezione
dei dati personali, si deve considerare uno spettro che va da un massimo di
trasparenza ad un massimo di opacità”.
52
La recente normativa, dunque, rappresenta innanzitutto il
superamento della vischiosità di una persistente lettura della privacy in
chiave individualistica
53
attraverso un approccio qualitativamente diverso, di
tipo costituzionale, in cui i valori vengono confrontati e graduati
54
.
44
G. ALPA, op.ult.cit., ivi, sottolinea che l’aggettivo “fondamentali” debba necessariamente
essere riferito anche alla parola “diritti”. Se così non fosse, la menzione sarebbe pleonastica,
posto che qualunque attività, pubblica o privata, non può che svolgersi nell’ambito di una
complessa schiera di diritti e di limiti.
45
S.RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995.
46
F.D. BUSNELLI, Spunti per un inquadramento sistematico, Le nuove leggi civili
commentate, 1999, p.229 ss.
47
c.d. Sphäretheorie.
48
F.D. BUSNELLI, op.ult.cit., p.231 ss., si riferisce a tal proposito alla categoria dei “dati
particolari”.
49
cfr. Art.22, co.4, l.675/1996.
50
F.D. BUSNELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, op.cit, p.230. Secondo l’Autore,
la dimensione relazionale del modello, nel postulare un bilanciamento di interessi configgenti,
implica una valutazione ex post del conflitto e, quindi, un approccio “remediale”. Ciò,
sostiene V. ZENO-ZENCOVICH, Una lettura comparatistica della legge 675/1996 sul
trattamento dei dati personali, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1998, p. 742,
“offre sostegno, in un sistema di civil law, ad uno dei più classici brocardi di common law
“remedies precede rights.”.
51
S.RODOTÀ, Persona, riservatezza, identità, op.cit., p.591.
52
S.RODOTÀ, op.ul.cit., p.591.
53
S.RODOTÀ, op.ult.cit., p.590.
54
Tale scelta risulta meritevole di un giudizio positivo ove si osservi che, in concreto, “non
esiste, infatti, una classificazione astratta dei rischi legati all’utilizzo dei dati personali”
La legge 675/1196 rappresenterebbe, allora, un punto di equilibrio tra
opposti radicalismi: da una parte la difesa della sfera personale intesa come
isolamento individuale, dall’altra un tipo di protezione che sancisca
apertamente la mercificazione dei dati e voglia solo regolare la circolazione di
tali beni.
55
In nessun caso, infatti, ci si trova di fronte un’assoluta assenza di
tutela o ad una impossibilità, anch’essa assoluta, di trattare i dati, ma le
modalità di tutela variano in funzione del contesto nel quale il “dato” è
collocato.
56
Ciò esclude, comunque, che le espressioni utilizzate nell’art.1,
comma 1, ancorché non oggetto esclusivo dell’attenzione del legislatore,
siano un mero richiamo a doveri fondamentali che debbano essere rispettati da
quanti, facendo uso dell’informazione, siano potenzialmente lesivi di interessi
altrui,
57
ma ad esse occorre dare un significato pregnante
58
in quanto
rappresentano l’interesse contrapposto alla libertà d’informazione, alla libertà
di circolazione dei dati, alla libertà di iniziativa economica e alla libertà di
organizzazione della Pubblica Amministrazione.
Gli stessi poteri riconosciuti all’individuo si vengono a mostrare
funzionalizzati non ad interessi che immediatamente si riferiscono ai dati
stessi, ma piuttosto a quelli, relativi alla persona, la cui tutela si traduce,
appunto, nel riconoscimento di situazioni giuridiche fondamentali.
59
Tra questi spicca tra tutti lo strumento del consenso dell’interessato,
posto dal legislatore come condizione necessaria e sufficiente per la
legittimità del trattamento (art.11), il quale, almeno apparentemente,
rappresenta l’espressione di quella libertà positiva di controllare i dati, riferiti
alla propria persona ed usciti dalla sfera di riservatezza, in cui si sostanzia la
libertà informatica intesa come diritto all’autotutela della propria identità
personale.
60
In questa ottica, il requisito del consenso appare lo strumento per
arginare il già menzionato “potere informatico”, astrattamente capace di
arginare l’inevitabile invasione della sfera personale.
61
S.SIMITIS, Il contesto giuridico e politico della tutela della privacy, Rivista critica di diritto
privato, 1997, p.575.
55
In questo senso C.CAMARDI, Mercato delle informazioni e privacy,in una Facoltà nel
Mediterraneo. Studi in occasione dei trent’anni della Facoltà di Scienze Politiche
dell’Università di Catania, Milano, 2000, p.51, secondo la quale “la l.675 si atteggia come un
sottosistema legislativo volto a regolare ed a legittimare l’attività di soggetti che svolgono
attività di raccolta ed elaborazione dei dati”; S.SIMITIS, Il contesto giuridico e politico della
tutela della privacy, op.cit, p.575.
56
Ciò indica che la valutazione del legislatore, il quale non ha preso posizione sul dibattito
libertà della/dalla informatica, evitando di fornire una definizione esplicita, rappresenta la
volontà di evitare, anche in punto di tutela, una scelta definitiva nell’uno o nell’altro senso.
57
R. GALLI, Alcune note sulla Privacy, Foro Padano, 2000, parte seconda, p.121.
V.FRANCESCHELLI, Art.3, in La tutela dei dati personali. Commentario alla legge 31
dicembre 1996, n.675, a cura di E.Giannantonio, M.G.Losano e V. ZENO-ZENCOVICH,
op.cit., p.29 ss.
58
G. ALPA, La normativa sui dati personali, op.cit., p.719.
59
P.M.VECCHI, Art.1, in Commento della legge 675/1996 a cura di C.M. BIANCA e F.D.
BUSNELLI, op.cit., p.241.
60
G.COMANDÈ, Art.11-12, in La tutela dei dati personali. Commentario alla legge 31
dicembre 1996, n.675, a cura di E.Giannantonio, M.G.Losano e V. Zeno-Zencovich, op.cit,
p.133.
61
C.CAMARDI, Mercato delle informazioni e privacy. Riflessioni generali sulla l. 675/1996,
op.cit., p.51.
La sua previsione all’interno dell’assetto normativo confermerebbe
l’opinione che il diritto alla privacy tende a spostarsi dall’originario “diritto ad
essere lasciati soli”, rispetto al quale la prestazione del consenso poteva
apparire come la conseguente libertà di scegliere le informazioni che si è
disposti a cedere, verso un più moderno e dinamico diritto “a controllare l’uso
che altri faccia delle informazioni che riguardano la propria persona”.
62
Le differenze della normativa in esame rispetto al “classico” diritto
alla riservatezza
63
non possono, certamente, essere negate e appaiono in tutta
la loro evidenza già dal confronto tra l’ambito di applicazione della 675 e la
porzione di realtà sociale presa in considerazione dalla giurisprudenza, nella
creazione del diritto medesimo.
Ciò sta a significare, ancor prima di prendere posizione in merito al
grado di tutela offerto dalla normativa in esame, che il legislatore ha
affrontato il problema del riserbo da un’ottica diversa rispetto ai noti e
tormentati diritti della personalità, concentrandosi, invece, sulla
regolamentazione di un’attività: il trattamento dei dati personali.
62
S.RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p.80.
A tal proposito la C.CAMARDI, op.ult.cit., p. 51, parla di “ristrutturazione del diritto alla
privacy”.
63
L’attenzione verso l’interesse del singolo a “vivere per conto suo” è di origine americana,
come già sottolineato (cfr. nota 18). Quando il dibattito è approdato in Italia, il termine
“privacy” fu tradotto con “riservatezza” da A. DE CUPIS, Il diritto all’onore e alla
riservatezza, Milano, 1948, e dallo stesso autore fu definita come “quel modo di essere della
persona, il quale consiste nella esclusione dall’altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla
persona medesima” (A. DE CUPIS, voce Riservatezza e segreto (diritto a), in Novissimo
Digesto, vol.XVI, 1969, p.115. In Italia, quindi, mediante il termine riservatezza veniva
individuato l’interesse alla non conoscenza, alla non pubblicazione delle vicende personali, in
una visione di stampo individualistico, succube di un modello ricostruttivo di tipo
proprietario. Pertanto, nonostante con il termine riservatezza si intendesse tradurre quello di
privacy del common law, i due concetti sostanzialmente avevano due contenuti diversi: la
riservatezza italiana, trasportata nel sistema di common law avrebbe, infatti, identificato una
delle modalità di lesione di ciò che gli americani chiamavano privacy.
Il percorso verso l’affermazione giurisprudenziale circa l’esistenza dei diritti della
personalità, tra i quali è annoverabile anche la riservatezza, non è stato, però, né semplice né
breve. Com’è noto, infatti, soltanto nel 1975, trovandosi a pronunciarsi sul “caso Soraya
Esfandiari” (Cass. 2129/1975), la Corte di Cassazione ammise definitivamente l’esistenza di
un diritto alla riservatezza.
L’evoluzione giurisprudenziale è compiutamente tratteggiata da C. COSSU, Dal caso Soraya
alla nuova legge sulla riservatezza, in Contratto e Impresa, 1998, p.55 ss.
3. L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE E IL DIRITTO
ALLA RISERVATEZZA.
3.1 IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA NELL’ULTIMA PRONUNCIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
Successivamente all’entrata in vigore della l.675/1996, la Corte di
Cassazione si è pronunciata sul diritto alla riservatezza con la sentenza del
9.6.1998 n. 5658
64
, dopo 20 anni di silenzio.
La sentenza prende spunto da una richiesta di risarcimento danni, a
seguito dell’indicazione dei nomi dei protagonisti di una vicenda giudiziaria,
sui titoli di testa di un programma televisivo
65
, per ripercorre il cammino
giurisprudenziale verso la riservatezza ed arricchirlo di contenuti nuovi dopo
più di trent’anni senza particolari innovazioni.
Particolarmente interessante è proprio la completa e precisa
collocazione sistematica che della riservatezza viene fatta. Infatti, come
precisa anche la Corte, della sua esistenza ormai più nessuno dubita essendo
“(…) la posizione giuridica soggettiva avente come suo primario contenuto la
tutela della vita privata del soggetto ormai acquisita dalla elaborazione della
giurisprudenza di merito e di legittimità (…)”
66
, tanto da poterla considerare
ius receptum.
Quando, invece, la Cassazione si trova a enunciare il fondamento
normativo del diritto, la sentenza si fa innovativa, almeno in subjecta materia.
Occorre, infatti, precisare che la ricostruzione che la Cassazione fa nel 1998
combacia alla perfezione con la sentenza n.978 del 1996
67
in tema di identità
personale, della quale ricalca la logica del ragionamento.
64
Sentenza pubblicata in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1999, p.39 ss.
65
La vicenda è abbastanza complessa. Nell’ambito di un processo di separazione tra coniugi,
la moglie, il 27 dicembre 1988, ottenne dal Pretore un decreto (pubblicato in Temi Romani,
1989, p.380 ss.) inaudita altera parte che vietava la messa in onda di un programma
televisivo (art. 700 c.p.c.) avente ad oggetto il giudizio; il 5 gennaio 1989 nell’ambito
dell’udienza di convalida, il Pretore emise due distinti provvedimenti: autorizzava, senza
alcuna restrizione, le riprese (e quindi la successiva messa in onda) dell’udienza di convalida
e revocava il decreto, autorizzando la trasmissione del programma televisivo relativo al
giudizio di separazione, previa adozione di tutte le misure idonee ad assicurare l’anonimato
dei protagonisti (provvedimento pubblicato in Diritto dell’informazione e dell’informatica,
1989, 496 ss.). L’azienda televisiva non mandò mai in onda le riprese del giudizio di
separazione, bensì quelle effettuate nell’udienza del 5 gennaio, avente ad oggetto il conflitto
tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza. Nei titoli di coda della trasmissione
comparivano nomi della moglie e del figlio minorenne, e, per tale motivo, la donna ricorse in
giudizio, lamentando la violazione del proprio diritto alla riservatezza e chiedendo una
somma di L. 400 milioni a titolo di risarcimento danni. Ritenuta parzialmente vittoriosa in
primo grado, la Corte di Appello rigettò definitivamente la domanda della donna, in quanto il
provvedimento autorizzatorio del Pretore legittimava la trasmissione senza alcun tipo di
limitazione.
66
Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1999, p.41.
67
Foro Italiano, 1996, I, p.1260. Il diritto all’identità personale fu riconosciuto per la prima
volta in Cassazione con la sentenza n.3769/1985 (“caso Veronesi”, Foro Italiano, 1985, I,
p.2214 ss.) La Corte definì l’identità personale come “quel diritto a non vedersi all’esterno
alterato, travisato, offuscato, contrastato il proprio patrimonio intellettuale politico, religioso,
ideologico o professionale”.
Secondo la Suprema Corte la riservatezza è un diritto soggettivo,
costituzionalmente garantito, perché ascrivibile ai valori riconosciuti ex art.2
Cost.
68
ed in esso trova il proprio fondamento normativo, senza, quindi, dover
interpretare analogicamente le norme ordinarie; a queste spetta, invece, il
compito di individuare gli effettivi strumenti di tutela.
La Corte non manca di sottolineare che nell’inquadramento dei diritti
della personalità
69
sposa la concezione “monistica”
70
, avendo l’accortezza di
precisare che i vari diritti non sono che singoli aspetti della rilevanza che la
persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione.
Trattasi, dunque, di diritti omogenei, essendo unico il bene protetto
71
.
Dicendo di aderire alla teoria monistica, dovrebbe sostenere, quindi, che vi è
un unico diritto della personalità, ma, contemporaneamente ribadisce
l’esistenza di “vari diritti”, dotati tutti di propria autonomia, ancorché
omogenei, stante l’unicità del bene oggettivizzato.
72
Con queste considerazioni la Suprema Corte si è sottoposta alle
critiche di chi
73
ha ravvisato poca coerenza nel suo iter logico. Si è detto che
se la Cassazione riconosce unitarietà al valore della persona, deve poi trarne la
naturale conseguenza, cioè affermare l’esistenza di un unico diritto della
personalità. Ma così non fa: nella medesima proposizione, infatti la Corte
68
La Corte sostiene, infatti, che la considerazione del diritto alla riservatezza quale diritto
della personalità consente nel contempo di individuare il correlativo fondamento giuridico,
ancorandolo direttamente nell’art.2 Cost.: inteso quale “clausola generale, aperta
all’evoluzione dell’ordinamento e per ciò suscettibile di apprestare copertura costituzionale ai
nuovi valori emergenti”. La pronuncia ricalca, sul punto, quanto già affermato nel 1996 a
proposito dell’identità personale (Foro Italiano,1996, I, p.1262.).
La Cassazione precisa, però, che la ricerca dei contenuti normativi che alla riservatezza si
riferiscono deve essere compiuta operandosi sulle norme ordinarie. Il riferimento all’art.2
comporta che “l’interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della persona, è legittimato a
costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell’ordinamento
positivo, ad ogni proiezione della persona nella realtà sociale.”, Diritto dell’informazione e
dell’informatica, 1999, p.44.
69
L’espressione “diritti della personalità” viene solitamente attribuita a OTTO VON
GIERKE, Deutsches Privatrecht, I, Leipzig, 1895.
Nella dottrina italiana si segnalano, senza pretesa di completezza, A. DE CUPIS, I diritti
della personalità, in Trattato di diritto privato diretto da Mengoni, IV, Milano, 1959 e 1982,
p.32 ss.; D.MESSINETTI, Personalità (diritti della), in Enciclopedia del Diritto XXXIII,
Milano, 1983, p.355; P.RESCIGNO, Personalità (diritti della), in Enciclopedi Giuridica
Treccani, XXIII, Roma, 1989, p.1 ss.; E.ONDEI, Le persone fisiche e i diritti della
personalità, Torino, 1965; V.ZENO-ZENCOVICH, Personalità (diritti della), Digesto delle
discipline privatistiche, sez. civile, XIII, p.430 ss.; M.BESSONE-G.FERRANDO, Persona
fisica (diritto privato), in Enciclodeia del Diritto, XXIII, Milano, 1983, p.193 ss.,
M.DOGLIOTTI, Le persone fisiche, in Trattato Rescigno, II, Torino, 1982 e 1991; P.
PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972.
70
Primo sostenitore fu A. DE CUPIS, op. cit., 1953.
71
Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1999, p.44.
72
Sulla stessa linea si pone la recente sentenza della Corte di Cassazione, sez.III, del 10
maggio 2001, n.6507, in corso di pubblicazione, avente ad oggetto la lesione del diritto alla
reputazione.
73
A.ORESTANO, La riservatezza ancora una volta in Cassazione: fondamento, contenuti e
limiti all’indomani dell’entrata in vigore della l.675/1996 , in Danno e Responsabilità, 1998,
p.869 ss.; precedentemente G.FERRI, Persona e privacy, in Persona e Formalismo giuridico,
Rimini, 1985, p.241 ss., il quale sottolinea come l’adesione alla teoria unitaria implica che i
vari aspetti della personalità espressamente considerati dal legislatore non vengano intesi
quali autonomi oggetti di tutela.
sostiene: “(…) quest’ultima puntualizzazione (ndr. art.2 Cost. inteso come
clausola generale), che presuppone l’adesione ad una concezione monistica
dei diritti della personalità, aiuta a definire in termini di diritto soggettivo
perfetto la situazione (…)”
74
, il che è parso un minimo contraddittorio. Dallo
stesso Autore
75
è stata, invece, sottolineata la linearità della pronuncia del
1963 la quale, nel riconoscere valore unitario e rilevanza costituzionale alla
persona, aveva conseguentemente escluso la possibilità di configurare un
autonomo diritto alla riservatezza.
Tra l’altro non è privo di conseguenze sposare l’una o l’altra
ricostruzione.
76
Seguendo l’impostazione pluralistica
77
, infatti, nel momento
in cui emergano nuovi aspetti rilevanti o, anche, nuove prospettive di lesione,
deve essere costruito un nuovo e corrispondente diritto soggettivo da parte del
legislatore
78
. La lettura unitaria del fenomeno, al contrario, dovrebbe
consentire di rispondere agevolmente alle nuove istanze, costituendo esse
nient’altro che diversi aspetti di un valore unitario, oggetto dell’unico diritto
già riconosciuto all’individuo, in quanto il compito di “adeguamento”
potrebbe essere affidato direttamente all’interprete, cioè ai giudici.
Invero, analizzando attentamente la sentenza in questione, è possibile
notare che, il punto dove il ragionamento si rivela poco plausibile, sta
nell’aver dedotto dall’ identificazione dell’art.2 Cost. quale “clausola
generale”, l’adesione alla teoria monistica. Tra le due conclusioni non c’è,
invece, un nesso di dipendenza logica, anche se, effettivamente, la dottrina
“monistica”
79
, nel dare un fondamento normativo alle proprie convinzioni, si
richiamava alla citata disposizione costituzionale, rinvenendo in essa la
manifestazione della tutela accordata dall’ordinamento alla persona tout court.
I sostenitori della teoria monistica, volendo ricostruire un diritto soggettivo,
dovevano cercare una norma dalla quale poter desumere l’oggettivazione di
un entità, in species la persona.
La Corte, invece, assume l’art.2 come clausola generale, che
riconosce come bene unico la persona, oggetto, però, di una pluralità di
situazioni soggettive.
74
Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1999, p.44.
75
A.ORESTANO, op. ult.cit., p.879.
76
“Da un lato si sostiene che la personalità sarebbe tutelata nella misura in cui sia possibile
individuare singole e specifiche situazioni protette le quali prendono il nome dai vari attributi
i quali appunto costituiscono i diritti della personalità. Dall’altro si sostiene l’esigenza di un
unico, generale, diritto della personalità la quale verrebbe tutelata nel suo complesso” V.
ZENO-ZENCOVICH, Personalità (diritti della), op. cit., p.435. I termini del dibattito sono
riferiti anche da D.MESSINETTI, Personalità (diritti della), op.cit., p.356.
77
P.RESCIGNO, Personalità (diritti della), op. cit., p.6.
78
“(…) nettamente differenziata da quella pluralista che tendenzialmente conosce tutela
giuridica solo alle manifestazioni della persona oggetto di intervento legislativo specifico o,
comunque, è costretta al ricorso alle regole dell’estensione analogica, ove applicabili, per
attuare la protezione di valori diversi (…)” A.ORESTANO, La tutela della riservatezza negli
orientamenti della giurisprudenza, in Rivista critica del diritto privato, 1991, p.443.
79
V. ZENO-ZENCOVICH, Personalità (diritti della), op. cit., evidenzia come “la maggior
attrazione verso un’impostazione monistica coincide con il processo di
costituzionalizzazione della personalità, il quale tende ad offrire una tutela globale”. Contro la
coincidenza tra “diritti inviolabili” e “diritti della personalità” v. P.RESCIGNO, Personalità
(diritti della), op. cit., p.3.