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I dati di seguito esposti risultano dai campionamenti svolti
dall’I.C.R.A.M. per conto del Ministero dell’Ambiente nel periodo che va
dal 27 al 30 settembre 1999. Le analisi eseguite sono state finalizzate ad
ottenere un quadro rappresentativo della qualità dei sedimenti, superficiali
e subsuperficiali, di spiaggia e di fondale dell'area in oggetto, attraverso la
determinazione dei caratteri fisici, chimici, microbiologici ed
ecotossicologici.
La valutazione di tali parametri, indispensabile per la pianificazione
di un progetto di bonifica, costituisce la premessa necessaria per
l’approfondimento, sia delle indagini relative agli aspetti più salienti
emersi dal presente lavoro, che gli studi relativi agli aspetti biologici.
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PARTE I
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CAPITOLO 1
I METALLI PESANTI NELL'AMBIENTE
MARINO
Solo agli inizi degli anni sessanta il continuo aumento
dell’industrializzazione e della urbanizzazione delle coste, l’espansione dei
traffici marittimi, l’inquinamento dell’aria e delle acque, e lo sfruttamento
irrazionale delle risorse, hanno fatto apparire in tutta la sua evidenza il
progressivo degrado dell’ambiente marino.
Secondo la definizione ufficiale dell’O.N.U. l’inquinamento marino
consiste nell’introduzione diretta o indiretta, da parte dell’uomo,
nell’ambiente marino di sostanze e di energie capaci di produrre effetti
negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività
marittime, e sulla qualità delle acque.
Una definizione di "inquinamento idrico", più rilevante, ci viene
data dal Decreto L.vo 15 Maggio 1999 n. 152 che così lo inquadra "Lo
scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di
sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute
umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le
attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque". Tale concetto appare
estremamente rilevante sia perché fornisce una definizione giuridica
ufficiale di quel fenomeno complesso che è rappresentato
dall'inquinamento in senso stretto, sia perché il nuovo decreto si propone
totalmente diverso dalla pregressa disciplina (c.d. Legge Merli), che non
proibiva l'inquinamento ma lo regolamentava a livello meramente
formale.
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Numerose sono le sostanze inquinanti che vengono introdotte in
mare mediante scarichi, esse si possono distinguere in quattro categorie
principali in base al loro comportamento nell’acqua:
1. rifiuti biodegradabili: la massa degli scarichi è costituita
principalmente da materiale organico, che viene ridotto attraverso un
processo ossidativo dovuto all’azione batterica, a composti inorganici
stabili, quali nitrati e fosfati, fino ad anidride carbonica, acqua ed
ammoniaca. Si tratta di sversamenti petroliferi provenienti da navi o da
raffinerie, scarichi provenienti da insediamenti urbani (cloacali e fognari),
da particolari industrie (cartiere, zuccherifici, mangimifici, ecc.) e dalle
campagne (acque di scolo, allevamenti). Se la velocità di immissione
supera quella della degradazione batterica, che dipende soprattutto dalla
temperatura e dalla disponibilità di ossigeno, il processo di
mineralizzazione continua fino a che vi è ossigeno disponibile disciolto
nell’acqua. La carenza di ossigeno nel corpo ricevente comporta un
accumulo di materiale e l’entrata in funzione di batteri anaerobi la cui
azione è lenta e porta alla produzione di metano e acido solfidrico (molto
tossico) in un ambiente definito anossico .
2. rifiuti che si disperdono: molti scarichi industriali, perdono
rapidamente le loro proprietà, una volta che raggiungono le acque e
pertanto le conseguenze rimangono limitate all’area di scarico con
un'estensione che è ovviamente in rapporto alla quantità immessa e al
grado di dispersione del corpo ricevente. Ad esempio le centrali elettriche
costiere utilizzano l’acqua marina per il raffreddamento dei circuiti e la
riversano ad una temperatura di circa 9° C superiore a quella
dell’ambiente; il grado di dispersione del calore dipende dalla profondità e
dalle correnti. Le sostanze acide o alcaline vengono rapidamente
neutralizzate, dato il potere tampone dell’acqua di mare. Anche i cianuri,
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che vengono utilizzati in metallurgia, si idrolizzano rapidamente, ed il
loro effetto è micidiale solo nell’immediata vicinanza del luogo di scarico.
3 rifiuti particellati :si tratta di particelle di grandezza variabile
costruite da materiali inerti delle più diverse provenienze (dragaggi,
materiali terrigeni, carbone, caolino, carbonati ecc.), che possono
danneggiare gli apparati respiratori e filtratori degli animali, modificare il
substrato, impedire la fotosintesi. A questi vanno aggiunti vari tipi di
materie plastiche che dal secondo conflitto mondiale hanno avuto una
sempre maggiore utilizzazione e sono diventate un serio problema per
l’ambiente, essendo altamente resistenti alla degradazione da parte dei
batteri o di altri agenti fisici. Le plastiche più usate appartengono ai gruppi
del polietilene, del polivinile, del polipropilene, del polistirene, delle fibre
poliamidiche (nylon) e del polietilentereftalato (terital). In mare si trovano
plastiche di tutte le dimensioni: recipienti vari, rivestimenti da costruzioni,
sacchi, sferule e filamenti che servono da isolanti negli imballaggi,
leggerissime strutture di polistirene espanso usate come galleggianti di reti
o di salvagenti, nastri da imballaggio ed infine attrezzi da pesca di nylon
(reti a strascico, tramagli, lenze, nasse, ecc.). Tutta questa massa di
materiali sintetici che arriva a mare dagli scarichi urbani, dai corsi d’acqua,
e soprattutto dalle navi, se non è galleggiante rimane sul fondo per anni
prima di essere completamente degradata.
4 rifiuti persistenti: molti materiali prodotti dalle industrie
permangono nelle acque senza subire la degradazione batterica con effetti
spesso molto gravi e permanenti sulle comunità biologiche. Si tratta di
metalli pesanti e di composti organoalogenati.
Con il termine “metalli pesanti” si intendono gli elementi di
transizione della tavola periodica, più piombo e stagno.
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1.1 I metalli nell'ambiente
I metalli sono tutti rappresentati nell'acqua di mare, e molti di essi
sono indispensabili per le attività vitali. In condizioni naturali i fiumi
provvedono al maggior contributo di metalli nell'ambiente marino, anche
se una buona parte, proveniente per lo più dalle attività vulcaniche e dai
fiumi industriali è trasportata attraverso l'atmosfera.
I metalli pesanti, come del resto molti altri elementi chimici,
possono esistere allo stato elementare (o metallico) o come ioni liberi, o
come parte di molecole più complesse. E' importante non fare
confusione tra questi tre stati, perché i loro effetti sull'ambiente marino
sono profondamente diversi. Allo stato elementare, o metallico di norma
nessun metallo è tossico. Non bisogna però dimenticare che numerosi
processi chimici e biochimici sono in grado di trasformare un elemento in
ioni, che invece hanno attività biologiche. Negli elementi di transizione,
tra le caratteristiche comuni derivanti dagli orbitali d, vi è quella di
presentare diversi stati di ossidazione con conseguente diversità di forme
chimiche. Lo stesso elemento quindi può essere presente come catione o
come anione, e con attività biologiche anche diversissime.
Un ipotetico elemento di transizione può trovarsi, quindi, sotto
varie specie chimiche, secondo il seguente schema:
Non combinato:
a) Stato elementare o metallico (insolubile)
b) Cationi (una o più cariche positive; solubile)
Combinato con l'ossigeno:
a) Ossidi ed idrossidi insolubile
b) Anioni (una o più cariche negative; solubili)
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In composti vari:
a) Inorganici (composti con silicio, insolubili)
b) Organici (composti col carbonio, idrosolubili o liposolubili)
La forma chimica sotto cui un elemento è disponibile è molto
importante dal punto di vista degli effetti biologici di quell'elemento.
La distribuzione dei metalli pesanti in traccia e delle concentrazioni
di materiale organico particellato è legata alla circolazione
I composti inorganici dei metalli di transizione tendono ad essere
meno solubili dei corrispondenti composti dei metalli alcalini, soprattutto
a pH>7, come appunto quello dell'acqua marina; in particolare poco
solubili sono idrossidi, carbonati e solfuri. Pertanto i metalli pesanti
tendono ad essere rimossi dall'acqua per essere immagazzinati nei
sedimenti, che in questo caso possono essere considerati come dei
serbatoi di queste sostanze. Sedimenti ricchi in metalli pesanti si trovano
così agli estuari ed in altre zone limitate.
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1.2 Speciazione chimica, biodisponibilità, assunzione
da parte degli organismi
I metalli pesanti sono presenti nell'acqua di mare in svariate forme
chimiche, risultanti dagli equilibri tra gli ioni metallici stessi, anioni,
cationi e molecole organiche presenti nell' acqua di mare. La forma
predominante dipenderà quindi da tutta una serie di parametri quali la
concentrazione dello ione in questione, il tipo e la quantità di molecole da
esso incontrate nell'ambiente marino, il pH, la temperatura e la velocità di
rimescolamento delle acque.
Uno dei fenomeni ovviamente più diffusi per l'elevata
concentrazione in mare di ioni Cl
-
è la clorocomplessazione, la
formazione cioè di complessi chimici legati ad un certo numero di ioni Cl
-
da legami di coordinazione. Sono soggetti in particolare a questa reazione
il cadmio, lo zinco, il cobalto ed il mercurio, anche il rame è soggetto a
clorocomplessazione, ma presenta anche una forte affinità per sostanze
organiche, come, in particolare, gli acidi umici. Il suo stato chimico è
quindi fortemente influenzato dalla presenza di queste sostanze.
Essendovi dunque competizione tra le sostanze organiche ed i cloruri nel
legare il rame, la clorocomplessazione in questo caso è più rilevante in
acque oligotrofiche.
Gli studi sulla varietà di forme chimiche presentate da uno stesso
metallo è particolarmente importante per la valutazione della sua
biodisponibilità e della sua tossicità.
Per biodisponibilità s'intende la frazione di metallo rapportata al
totale presente nell'ambiente, che si rende disponibile per gli organismi
cioè che entra nella catena alimentare. Allo stato elementare nessun
metallo è in grado di penetrare nelle cellule; la forma chimica più
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generalmente diffusibile è quella ionica o di composti organometallici; un
composto solubile in genere, è più disponibile di uno poco solubile o
insolubile.
L'esposizione degli organismi ai metalli dipende dal loro habitat. I
filtratori e gli organismi planctonici assumono i metalli pesanti allo stato
disciolto o particolato; i detritivori e la meiofauna, ingeriscono particelle
di sedimento e l'acqua interstiziale con i metalli che vi sono associati. Nei
molluschi bivalvi l'incorporazione dei metalli in forma ionica avviene per
diffusione per lo più passiva: l'assorbimento iniziale a livello della
superficie esterna della membrana è seguito dalla diffusione all'interno
della cellula e dalla formazione di complessi con leganti intracellulari.
Questi leganti sottraggono ioni liberi dal lato interno della membrana,
mantenendo così inalterato il gradiente di concentrazione necessario alla
diffusione del metallo. L'attraversamento della membrana tuttavia non
sempre è un trasporto passivo: ad esempio il lamellibranco scavatore
Scrobicularia posto in acqua marina contenente ioni di zinco non incorpora
lo zinco dalla soluzione.
Un altro meccanismo importante è l'assunzione dei metalli pesanti
tramite il cibo: i molluschi bivalvi filtrano particelle tra 10 e 25 µg, di cui è
trattenuto circa il 70% e la capacità di ingestione è largamente determinata
dall'indice di filtrazione sul quale influiscono la tensione dell'ossigeno, la
salinità, la materia in sospensione, lo stato fisiologico, ecc. In questo caso
anche gli elementi allo stato metallico possono diventare disponibili,
perché vengono trasformati in ioni dagli acidi presenti nel sistema
digestivo dell'animale. L'assunzione di un metallo pesante può avvenire
anche per endocitosi, processo che richiede energia a spese dell'ATP.
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1.3 Tossicità dei metalli ed effetti sugli organismi
I metalli pesanti possono essere distinti qualitativamente in
essenziali e non: i primi comprendono Fe, Cu, Zn, Cr, Mn, Ni, e Co,
sono richiesti dall’organismo in quantità minime, e sono coinvolti in
molteplici funzioni biologiche come costituenti indispensabili di molti
enzimi. Esistono dei valori di concentrazione intracellulare ottimali, al di
sotto dei quali, l’organismo entra in sofferenza; tuttavia una
concentrazione eccessiva di tali ioni è decisamente tossica. Elementi come
Hg, Cd e Pb, non presentano alcuna funzione biologica finora conosciuta,
e vengono quindi definiti non essenziali, essi possono essere tollerati
dall’organismo entro determinate concentrazioni, al di sopra delle quali
diventano tossici.
Il bioaccumulo, ha come conseguenza una sempre maggiore
concentrazione dell’inquinante lungo la catena alimentare, per cui i
predatori che si inseriscono ai vari livelli della piramide alimentare sono
soggetti ad accumulare le sostanze tossiche in una quantità sempre
maggiore quanto più alto è il livello che essi occupano.
Per quanto concerne gli effetti di questi vari tipi di rifiuti,
dobbiamo dire che le esperienze di laboratorio consentono di misurare in
ambiente controllato l’azione specifica di singoli agenti tossici sugli organi
e le funzioni di un organismo in relazione al grado di concentrazione della
sostanza immessa, in modo da evidenziare anche gli effetti subletali. Si
ottengono cosi validi test di confronto per interpretare su basi
sperimentali i danni che si riscontrano in piante e in animali di acque
inquinate.
La complessa situazione in cui l’organismo si trova, rende infatti
spesso difficile individuare l’azione di una determinata sostanza, a causa
delle interferenze di altre variabili ambientali, e degli effetti sinergici. Non
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è pertanto sempre possibile stabilire con sicurezza se i sintomi osservati
siano ecologicamente significativi. Le alterazioni ricorrenti a carico della
morfologia di individui appartenenti a una determinata specie,
costituiscono una buona base per individuare nell’ambiente la presenza di
determinati inquinanti, e di stabilire in laboratorio la loro azione specifica.
Le malformazioni di vario tipo che si possono riscontrare nei pesci
rappresentano un valido indicatore biologico. Sono noti vari gradi di
alterazioni a carico della colonna vertebrale, che si manifestano con
ripiegamenti dorsoventrali e dorsolaterali più o meno accentuati,
deformità delle vertebre e lesioni delle pinne. In laboratorio si sono
ottenute precise indicazioni sul rapporto tra malformazioni e inquinanti.
Il metodo si basa sull’allevamento in ambiente controllato di individui
appartenenti a più specie ittiche, messi separatamente in presenza di
metalli pesanti o di pesticidi. Si è visto, ad esempio, che lo zinco
determina ipocalcemia e diminuzione del potassio con conseguente
decalcificazione delle ossa, per cui si hanno deformità a carico della
colonna vertebrale. Il grado di sensibilità può essere differente nelle varie
specie.
I composti di stagno tributile, data la loro azione biocida, sono un
costituente delle vernici antifouling che vengono ampiamente usate per
impedire la crescita di alghe, e di altri organismi marini incrostanti, sugli
scafi dei natanti. Queste vernici sono applicate anche sulle maglie delle
gabbie per l’allevamento ittico, al fine di impedire la loro ostruzione. Lo
stagno tributile è molto tossico e tende a diffondersi nelle acque
accumulandosi nei tessuti animali. I gasteropodi prosobranchi (Nucella
lapillus, Nassarius reticulatus e Ilianassa obsoleta) sono estremamente sensibili
alla presenza di stagno nelle acque contaminate da vernici antifouling a
base di tributilstagno. Questo composto si accumula nei tessuti di questi
molluschi determinando nelle femmine la comparsa di un pene più o
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meno sviluppato. In casi di grave inquinamento anche il pene del maschio
risulta variamente deforme . Lo sviluppo di caratteristiche maschili nelle
femmine, denominato “imposex“, si rivela un valido indicatore di
inquinamento di stagno tributile. Al contrario altri metalli, come cadmio,
piombo, rame, zinco ecc. non hanno alcuna influenza sulla sessualità di
questi molluschi. Il grado di alterazione morfologica è facilmente
rilevabile al microscopio da dissezione, ma anche con l’aiuto di una
semplice lente, o, nei casi più appariscenti, addirittura ad occhio nudo. Lo
stagno tributile determina malformazioni anche in altri molluschi;
nell’ostrica Crassostrea gigas ad esempio ha effetti subletali sui meccanismi
di calcificazione della conchiglia che si manifestano con ispessimento
esterno delle valve e la formazione di spazi vuoti all’interno (camere). Le
malformazioni conchiliari hanno quindi una notevole importanza per
stabilire il grado di inquinamento da stagno nelle acque
Dal 1977, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti ,
nella regolamentazione degli scarichi a mare includeva nella lista delle
sostanze vietate quelle ben note come cancerogene, mutagene, teratogene,
o comunque sospette di esserlo. Molti degli inquinanti presenti nelle
acque marine, infatti, hanno attività mutagena: includono cioè la
frequenza di mutazioni genetiche, cromosomiche e genomiche in piante
e in animali. Si possono cosi determinare nuovi processi di adattamento
negli organismi marini, ed avere al tempo stesso un effetto cancerogeno,
dovuto a mutazioni di cellule somatiche. L’uomo può essere colpito sia
attraverso il consumo di animali che hanno accumulato queste sostanze,
sia per quanto riguarda le popolazioni costiere, attraverso l’aerosol
marino. Tra i più frequenti agenti mutageni presenti in mare, sono da
segnalare oltre gli idrocarburi policiclici e le ammine aromatiche, proprio i
vari metalli pesanti come cromo, mercurio, piombo ecc. insieme ai
pesticidi, con particolare rilievo ai composti organo-clorurati.
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Tutti questi composti possono agire sia a livello di catena del
DNA, provocando delezioni e/o mutazioni delle basi azotate, sia a livello
della cromatina, spezzettandola, sconvolgendo l’organizzazione delle
proteine cromosomali, o comunque danneggiando le strutture di ordine
superiore nel cromosoma. In particolare i metalli pesanti e i composti
organoclorurati sono più specificamente clastogeni metalli. Quest’ultimi
accumulati nei tessuti adiposi possono esplicare la loro azione patogena in
periodi più o meno dilazionati secondo le attività metaboliche, come ad
esempio la necessità da parte dell’organismo di utilizzare i grassi
accumulati: l’effetto di questi composti si manifesta con maggiore
incidenza quando l’animale utilizza come fonte di energia le riserve di
grasso. cellulari.
Ne risulta che la distribuzione in mare di questi composti non è
uniforme potendo essere trasportati dalle correnti e dagli organismi stessi
in aree lontane dalle fonti di inquinamento. Gli organismi, tollerano la
tossicità di metalli pesanti, non solo alle basse concentrazioni che si
trovano nell’acqua di mare, ma anche a concentrazioni più alte; si verifica
pertanto un accumulo nei tessuti, in quanto i meccanismi di
incorporazione comportano l’assorbimento di microelementi in quantità
superiori a quelle di cui necessita l’organismo. Se i processi di escrezione
non sono sufficienti, gli elementi tossici possono essere trasformati in
elementi non tossici, e immagazzinati nel fegato e nel rene o anche in
altre parti del corpo (peli, penne, gusci, ecc.). Ciò permette che organi
estremamente sensibili, come il cervello, siano protetti da una
concentrazione eccessiva.
L’effetto tossico consegue ai danni che gli ioni possono indurre a
livello cellulare. Gli effetti citotossici possono derivare dall’azione
stimolante di alcuni metalli, come ad esempio il rame, sui processi di
perossidazione lipidica delle membrane biologiche, con formazione di
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prodotti (lipofuscina) che si accumulano nel sistema lisosomale; dal
danneggiamento della funzionalità dei lisosomi, tramite alterazioni del
contenuto enzimatico; dall’aumentata velocità di fusione di questi
organuli con formazione di lisosomi giganti; dall’inibizione o il
rallentamento di molte attività enzimatiche essenziali (Viarengo, 1985;
Hamer, 1986). Questi processi alterativi possono avere un effetto
deleterio sullo status nutrizionale di un organismo. L’avvelenamento da
metalli pesanti può essere acuto o cronico. Viene detto acuto quando
l’organismo riceve una dose elevata del veleno e ne subisce
immediatamente i danni relativi. L’avvelenamento cronico è invece più
subdolo, è consiste nel progressivo accumulo nell’organismo di piccole
dosi dell’agente tossico, ciascuna delle quali da sola non è in grado di
provocare i sintomi dell’avvelenamento acuto.