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CAPITOLO I
L’AMMINISTRAZIONE TERRITORIALE
DELLA V REPUBBLICA FRANCESE
Sommario: 1. Profilo storico sull’autonomia normativa delle collectivités locales. - 2.
Fonti normative primarie. – 3. Evoluzione storica del potere regolamentare locale. - 4.
Competenze e funzioni post-décentralisation. - 5 Gli enti locali francesi; la Regione. –
5.1. I Dipartimenti. – 5.2 I Comuni. – 6. Il modello amministrativo a due organi. – 7. Il
c.d. “presidenzialismo municipale”.
1. Profilo storico sull’autonomia normativa delle collectivités locales.
Nell’indagine sull’autonomia degli enti territoriali bisogna
preliminarmente individuare gli elementi che fondano la natura del potere
normativo nelle collettività locali.
Sulla natura del potere normativo degli enti minori la dottrina francese
odierna è fortemente divisa; secondo la gran parte di essa si tratta di una
competenza o di un potere “non originario” ma delegato dallo Stato (un
pouvoir condittionné), mentre la dottrina minoritaria sostiene invece che le
collettività territoriali dispongano liberamente del potere normativo a
prescindere dal trasferimento dei poteri amministrativi operato dallo Stato
agli enti locali, al precipuo scopo di assegnare a questi come fine primario
e ragione stessa della propria esistenza un obiettivo consistente nella
realizzazione di una missione particolare, di volta in volta delegata, ai
nuovi soggetti, ammettendo così implicitamente di non essere il solo
titolare delle funzioni e/o poteri così delegati.
Storicamente, le collettività locali francesi hanno sempre avuto
un’autonomia quasi piena; queste, infatti, disponevano di un potere
2
normativo, non solo particolare, ma anche generale e, in conseguenza di
ciò, parzialmente indeterminato.
In questa prospettiva il potere normativo non risulta essere conseguenza
d’alcuna concessione, in primo luogo perché questo potere di disporre uti
singuli e generalis causa è anteriore allo Stato.
Il processo d’emancipazione delle collettività locali, gravido di
vicissitudini storico politiche, in ogni tempo, è iniziato sin dall’undicesimo
secolo, cioè, appena gli enti locali fecero la propria apparizione nella storia
e si mostrarono, agli occhi di tutti, quali soggettività giuridiche alle quali,
prima di ogni altra cosa, era imputabile il perseguimento del fine del
benessere degli abitanti il territorio amministrato.
Sin da lungi, les collectivités locales, disponevano di un vero potere
normativo, infatti ciascuna di queste poteva non solo adottare misure
individuali e particolari, ma bensì anche e soprattutto deliberazioni generali
ed impersonali, in quanto il loro potere era fortemente variabile in ragione
delle loro proporzioni
1
.
Questo potere normativo pre-rivoluzionario non permette un’analisi
specifica per via della sua diversità e frammentarietà, d’altronde ciò esula
dall’oggetto della nostra trattazione.
Subito dopo la rivoluzione, i consolidati poteri normativi degli enti locali
sono stati costantemente messi in discussione in ragione delle
preoccupazioni teoriche e politiche sollevate dal moto rivoluzionario
avverso l’intero assetto organizzativo dell’amministrazione dello Stato.
In particolare si discusse vivamente sul potere regolamentare delle
autorità esecutive dello Stato nel Comune e nei Dipartimenti.
Da allora, a ciascuna di queste autorità saranno riconosciute potestà
amministrative proprie, non interferenti con il potere normativo degli enti
locali amministrati, ed i loro poteri saranno disciplinati espressamente dalla
legge 14 Dicembre 1789
2
.
Dalla legge rivoluzionaria in poi, l’assetto così delineato non subirà
modificazioni sostanziali apprezzabili sino alla Costituzione del 1958.
1
G. Lepoint, Manuel d’histoire des institutions et de fait sociaux, Paris, L.G.D.J., 1958, 270
ss.
2
M. Joyau, De l’autonomie des collectivitès territoriales francaises; essai sur la liberté du
poivoir normatif local, Paris L.G.D.J., 1998, 7 ss.
3
La constatazione che le collettività locali esistevano anteriormente allo
Stato è la palese dimostrazione storica che il potere normativo di queste,
non deriva né da una delega, né da un’attribuzione operata dallo Stato.
La detenzione di un potere normativo, in capo alle collettività locali, non
dipende ineluttabilmente e necessariamente da una concessione del potere
centrale.
Purtuttavia, la questione del fondamento del potere normativo degli enti
locali francesi resta sino ad oggi irrisolta, anzitutto a causa della marcata
discordanza delle posizioni e della conseguente difficoltà della dottrina
francese a superarle.
Pertanto, non si può rispondere in maniera univoca all’interrogativo
principale, in altre parole se i poteri degli enti locali francesi siano originari
od otriati.
3
2. Fonti normative primarie
La Carta costituzionale francese del 1958, pur dedicando un intero titolo
agli enti locali, non fornisce che scarsissime indicazioni sulla loro
organizzazione di governo.
Omettendo di fornire indicazioni ulteriori, in merito ai rapporti
istituzionali tra assemblee elettive ed organi esecutivi monocratici degli
enti locali, la Costituzione ha lasciato un vuoto normativo la cui
determinazione è lasciata al legislatore ordinario e alla prassi
amministrativa.
Sulla falsariga dell’articolo 72 della Carta costituzionale
4
(che fissa
inequivocabilmente il principio di libera amministrazione per gli enti
3
Ibidem.
4
L’articolo 72 della Costituzione, il primo del titolo dodicesimo dedicato alle collettività
territoriali, dopo aver enunciato espressamente gli enti locali (Comuni, Dipartimenti e Territori
d’oltre mare) esplicita inequivocabilmente il principio di libera amministrazione (cardine del
titolo dedicato agli enti locali).
«Les collectivités territoriales de la République sont les communes, les départements, les
territoires d’Outre-Mer. Toute autre collectivité territoriale est créée par la loi.
4
territoriali), la riforma di decentralizzazione ha lasciato essenzialmente alla
prassi dei rapporti fra i diversi organi ed in parte all’influenza dei sistemi
elettorali la determinazione degli equilibri istituzionali all’interno degli
apparati di governo dei Comuni, Dipartimenti e Regioni.
Il Codice dei Comuni originariamente non prevedeva né disciplinava in
alcun modo l’adozione di un Regolamento consiliare, l’organizzazione dei
lavori del Consiglio comunale era tradizionalmente (lo è tutt’oggi per i
Consigli dei Comuni che hanno una popolazione inferiore ai 3500 abitanti
residenti, che non abbiano facoltativamente scelto di autodisciplinarsi)
affidata, a prassi consuetudinarie o convenzioni
5
.
Infine, l’articolo L.121-10-1 del codice dei Comuni, così come modificato
dall’articolo 31.-1.- della l. 125/92 relativa all’amministrazione territoriale
della Repubblica, ha stabilito che nei Comuni con popolazione residente
superiore o eguale a 3500 abitanti, i Consigli comunali debbano adottare un
Regolamento interno per il proprio funzionamento, e che la legittimità delle
statuizioni organizzative da questo previste, possa essere contestata davanti
al tribunale amministrativo.
L’articolo 39 della l. 213/82, così come modificato dall’articolo 31. -2.-
dell’anzidetta l. 125/1992, ha previsto che un Regolamento interno di
funzionamento sia adottato anche dai Consigli generali dei Dipartimenti.
L’articolo 32.-1.- e .-2.- della legge appena detta, è andato più nel
dettaglio, infatti, dopo aver enunciato che tutti i consiglieri comunali e
dipartimentali hanno diritto di esporre nelle sedute del Consiglio le
Ces collectivités territoriales s’amministrent librement par des conseil élus et dans les
conditions prévues par la loi.
Dans les départements et les territoires, le délégué du Gouvernement a la charge des intérêts
nationaux, du contrôle administratif et du respect».
5
Ancor prima dell’intervento della legge 125/92, da alcune ricerche risultava che il 25%
circa dei Consigli comunali esaminati avevano già adottato un Regolamento interno, il cui
contenuto disciplinava essenzialmente, i tempi di parola, il regime degli emendamenti, la
possibilità d’iscrizione d’argomenti aggiuntivi all’ordine del giorno ecc.
D. Ammirante, L’organizzazione del governo delle collectivités territoriales, in S. Gambino
(cur.), L’organizzazione del governo locale, Rimini, Maggioli, 1992, 251ss. «tali indicazioni
lasciano intravedere un embrionale processo di procedimentalizzazione dell’attività del
Consiglio che, se non serve da una parte ad inquadrare entro precisi limiti le possibilità di
espressione delle minoranze, assicura certamente, dall’altra, uno status, sia pur minimo, alle
opposizioni, a tutto vantaggio della vitalità dei lavori assembleari».
5
questioni orali aventi ad oggetto qualsiasi alterco concernente gli affari del
Comune e del dipartimento, stabilisce espressamente che nei Comuni con
3500 abitanti e più e nei Dipartimenti il Regolamento interno
dell’assemblea deliberativa debba necessariamente fissare la frequenza
delle sessioni, le regole di presentazione delle questioni da sottoporre
all’organo deliberativo e la disciplina di svolgimento dell’esame delle
questioni così presentate. Lo stesso articolo prevede anche che in mancanza
di un Regolamento interno delle assemblee comunali e provinciali, le
modalità di presentazione, discussione ecc., siano fissate previa
deliberazione dell’assemblea.
Per i Comuni con popolazione inferiore (come abbiamo visto, la
stragrande maggioranza) ai 3500 abitanti residenti, la legge nulla dice,
rendendo facoltativa l’adozione di un protocollo interno di
regolamentazione del funzionamento dell’assemblea o lasciando alla prassi
e, nella maggior parte dei casi, alla discrezionalità del Sindaco-Presidente
dell’assemblea la direzione e regolamentazione del funzionamento
dell’organo deliberante, in realtà, la mancanza di un Regolamento che dia
una disciplina formale all’attività del Consiglio, può, di fatto, trasformarsi
in un ulteriore e conveniente vantaggio per il Sindaco che, in qualità di
Presidente dell’assemblea deliberante, può esercitare senza nessun limite
stabilito i suoi già estesi poteri in materia di organizzazione e direzione dei
lavori consiliari e di polizia delle sedute.
Alcuni punti fermi sono, in ogni caso, contenuti nel codice dei Comuni
così come modificato dalle numerose leggi intervenute dal 1982 ad oggi.
Le statuizioni, seppur minime, della legge statale possono essere derogate
dagli Statuti
6
e dai Regolamenti di funzionamento solo se la legge stessa lo
prevede.
6
Il termine “Statuto” tradotto dal francese “statut” non ha lo stesso significato (anche se
hanno la medesima etimologia, derivando ambedue dal termine latino “statuere” che significa
“stabilire” essendo una forma flessa di questo di origine tarda “statutum”), di fonte normativa
locale, che gli viene attribuito nella lingua italiana; infatti:
“Le statut” (al singolare) significa modo di essere (l’equivalente del termine latino status che
viene utilizzato nella lingua italiana con la stessa accezione) oppure «testo o insieme di testi che
fissano le garanzie fondamentali accordate ad una collettività, a un organismo» ma mai “fonte
normativa”; invece:
6
La polizia delle sessioni di lavoro del Consiglio municipale e
dipartimentale è sempre, ed in ogni caso, affidata all’organo monocratico
dell’istituzione considerata.
La legge prevede che i Consigli comunali si riuniscano obbligatoriamente
almeno una volta ogni tre mesi, anche se, nonostante la previsione
normativa alquanto restrittiva, secondo i dati forniti da un’inchiesta
riguardante una ventina di città dell’ovest della Francia, l’attivismo delle
opposizioni, nonostante l’omogeneità dell’assemblea rispetto all’esecutivo
garantita dal nuovo sistema elettorale, ha egualmente influito sulla
frequenza delle riunioni dei Consigli comunali. Il Sindaco è autorizzato
dalla legge a riunire il Consiglio ogniqualvolta lo ritenga utile o necessario,
essendo la convocazione, delle riunioni del Consiglio, obbligatoria solo se
richiesta, senza motivazioni, almeno dalla metà dei componenti
l’assemblea.
Il prefetto può in casi urgenti, sempre se lo ritiene opportuno, ordinare al
Sindaco la convocazione del Consiglio o prescriverne egli stesso la
riunione.
Tutte le convocazioni, o avvisi di riunione, devono essere fatte almeno tre
giorni franchi (non festivi) prima della data fissata per la riunione, tranne
che per motivi gravi e urgenti, questa disposizione può essere derogata
dagli Statuti o Regolamenti solo in melius, ovverosia fissando un termine
maggiore.
“Les statuts” (al plurale e pronunciando la “e” dell'articolo in modo aperto) significa: «atto
costitutivo di un'associazione, di una società o di un ente o organo, che ne fissa legalmente le
regole di funzionamento».
Come può vedersi il termine che in italiano designa entrambe le funzioni (carta fondamentale
dei diritti/status o “modo di essere”) in francese si declina al singolare per la prima definizione e
al plurale per la seconda.
Per la verità anche nell' italiano colto esisterebbe la differenza, si dovrebbe infatti dire " gli
statuti di un ente" per indicare le fonti locali del diritto di un’ente e lo "statuto di un ente" per
indicare la sua posizione giuridica (e non l'atto costitutivo).
Comunque in Italia la differenza è meno marcata.
Si noti che alcuni autori usano il termine statuto (tradotto dal francese) per indicare
indifferentemente le due accezioni del termine (fonte/status), si cfr. ad esempio:
Y. Meny, Profili di amministrazione locale;la riforma francese, Padova, CEDAM, 1983, 32
ss.
7
Il quorum funzionale dell’assemblea è fissato dalla legge, invero, affinché
le deliberazioni del Consiglio comunale siano valide, è necessaria la
presenza in aula di almeno la metà dei consiglieri eletti.
3. Evoluzione storica del potere regolamentare locale.
La tradizione multisecolare dell’autonomia comunale in Francia impone
la ricerca delle origini di un potere normativo locale al di là dalle istituzioni
attuali.
La fine dell’Impero carolingo, e conseguentemente della
“centralizzazione” dei poteri amministrativi, aveva condotto al sostanziale
ampliamento dei poteri regolamentari degli enti locali, infatti, molti studi
sulla dècentralisation spesso rinviano agli esordi dell’Ancien Régime, vale
a dire a quando la società incominciò a strutturarsi in «raggruppamenti
spontanei portatori di interessi comuni».
7
Il potere regolamentare di queste aggregazioni sociali durante l’Ancien
Regim non era limitato per l’importanza delle funzioni da disciplinare,
infatti, già allora le autonomie locali disponevano sul diritto di guerra per la
regolamentazione di una milizia assimilabile ad un’arma privata del
Comune, del diritto di rendere giustizia e del diritto d’imposizione
tributaria necessaria e funzionale all’esercizio dell’autonomia finanziaria.
Solo con l’affermazione dello Stato unitario vi è il pieno riconoscimento
di un potere regolamentare locale, infatti la presenza formale di un siffatto
potere non può essere distinta dalle nozioni di ente locale e di
decentralizzazione rientranti nel più ampio concetto di controllo
amministrativo centralizzato, in realtà, l’autonomia normativa sarà vieppiù
evidente, nei Comuni, con l’apparizione e lo sviluppo della tutela (tutelle)
finanziaria dello Stato centrale, infatti, paradossalmente, è in questo
contesto di centralizzazione che nascerà il potere regolamentare locale (per
gestire la “tutelle” economico-finanziaria dello Stato).
7
J.L. Mestre, Historique des collectivitès locales, in Encyclopèdie Dalloz n° 18.3, Paris, 1976
453 ss..
8
Indi, come per la tutela finanziaria, il potere regolamentare locale nasce e
si sviluppa in un contesto storico di centralizzazione.
La problematica della nascita di un potere regolamentare locale
corrisponde sostanzialmente a quella dell’integrazione dei raggruppamenti
autonomi alle strutture amministrative dello Stato centrale.
8
Tale integrazione, lenta e progressiva, ha condotto l’originaria autonomia
ad uniformità, ossia all’emergere di un diritto comune degli enti locali che
cela definitivamente, in un passato non troppo remoto, le diversità locali,
«quest’integrazione, lenta e progressiva, ha condotto all’uniformizzazione e
alla scelta di un diritto comune»
9
.
L’affermazione dello Stato centrale e la tutela statale, hanno comportato
la “comparsa formale” di un potere degli enti locali francesi di darsi una
disciplina regolamentare, ma, da quel momento i preesistenti poteri
sostanziali degli enti locali hanno perso in energia e qualità divenendo solo
“poteri del volere”
10
.
La fine dell’ancien régime aveva già conosciuto alcune riforme
decentralizzatici che avevano riguardato, principalmente, lo sviluppo delle
strutture rappresentative locali e l’alleggerimento della tutela finanziaria
centralizzata dello Stato sulle collettività territoriali
11
.
Sotto la rivoluzione la costituente aveva determinato, con l’affermazione
del “sacro” principio di eguaglianza, l’uniformizzazione definitiva delle
strutture locali.
I poteri regolamentari degli enti locali francesi sono un prodotto della
nascita delle collettività amministrative e la loro affermazione è dovuta alla
redistribuzione territoriale del potere che prende avvio in epoca pre-
8
B. Faure, Le pouvoir réglementaire des collectivités locales; Historique du pouvoir
réglémentaire local, Paris, L.G.D.J, 1998, 7 ss.
9
ibidem.
10
M. Joyau, De l’autonomie des collectivités territoriales francaises, cit., 164.
11
Ad esempio, durante l’ancien regim, le diverse assemblee comunali e dipartimentali erano
state abilitate a procedere alla ripartizione delle imposte dirette e alla gestione, attraverso
l’utilizzo degli introiti derivanti dalle imposte dirette, degli interessi locali, come l’esecuzione
dei lavori pubblici, la realizzazione degli interessi collettivi, le infrastrutture economiche (fiere e
mercati) e l’erogazione dell’acqua corrente.
9
rivoluzionaria con la legge 14 Dicembre 1789 e culmina con la legge del 5
Aprile 1884.
Dal 1884 sino alla riforma di decentralizzazione del 1982 non sembrano
esservi stati cambiamenti sostanziali apprezzabili.
Il ruolo degli enti locali, era ed è, a titolo generale, l’esecuzione degli
ordini di governo attraverso un potere generale di applicazione della
normativa nazionale in merito agli oggetti trattati.
Oggi la strada auspicata dalla dottrina giuspubblicistica francese è quella,
già intrapresa in Italia, della ripartizione delle competenze tra lo Stato e gli
enti locali, o la strada, meno drastica, del trasferimento delle competenze,
c.d. “devolution”, in modo che l’atto regolamentare, sarebbe null’altro che
un procedimento di completamento delle “missioni” così conferite.
La nascita di un “vero” potere regolamentare dovrebbe essere, ad avviso
di gran parte della dottrina, storicamente contestuale all’apparizione di una
ripartizione di competenze non fittizia.
Una parte della dottrina osserva che, a dispetto dell’apparente stabilità, il
sistema locale si è modificato: « i governi che si sono succeduti dal 1958 ad
oggi hanno agito per tappe progressive e più per sovrapposizioni ed
aggiunte che per soppressioni o razionalizzazioni
12
».
Le principali innovazioni legislative (introdotte principalmente con la
legge di decentralizzazione 213/82) che hanno determinato uno spazio
maggiore di autonomia degli enti locali sono:
a. la soppressione dei controlli preventivi in materia finanziaria e
amministrativa;
b. il rafforzamento del controllo successivo affidato ormai, su iniziativa
del rappresentante dello Stato;
- al tribunale amministrativo, competente per il controllo di legittimità
degli atti ammistrativi;
- alla Camera regionale dei conti (Chambre régionale des comptes)
13
.
12
Y. Meny, Profili di amministrazione locale; la riforma francese, cit., 31 ss.
13
ibidem.
10
4. Competenze e funzioni post-dècentralisation.
Questione preliminare allo svolgimento della ricerca, oggetto di questa
dissertazione, è l’individuazione del grado d’emancipazione che le
collettività territoriali
hanno raggiunto nell’ordinamento della V
Repubblica Francese.
La risoluzione della questione della ripartizione di competenze fra i tre
livelli territoriali (Regioni, Dipartimenti e Comuni) e lo Stato costituisce il
fulcro sostanziale della riforma di dècentralisation avviata in Francia sin
dal 1982.
L’analisi e lo studio del percorso evolutivo delle competenze negli enti
locali a partire dai dati normativi offerti dall’ordinamento, richiede per
quanto concerne la Francia, oltre allo studio delle norme di riferimento,
l’analisi di altri fenomeni istituzionali, quali, ad esempio, il panorama delle
forme di cooperazione tra enti locali, la provenienza dei finanziamenti che
permettono l’esplicarsi delle competenze assegnate, ecc., ambiti di studio
questi, tutti esulanti dall’oggetto principale di questa ricerca che, a ben
vedere si incentra sul modus operandi democratico di esercizio
dell’autonomia normativa o amministrativa in genere, gestionale e
deliberativa in species negli enti locali francesi
14
, pur avendo come
premessa necessaria la consistenza dell’autonomia normativa stessa e la sua
evoluzione storica.
I livelli d’amministrazione locale nella Francia della V Repubblica sono
essenzialmente tre: Comuni e Dipartimenti, che insieme ai territori d’oltre
mare trovano una disciplina diretta
nella Carta costituzionale del 1958, e le
Regioni che invece sono state istituite da leggi ordinarie
(l. n. 16/86 e l. n.
14
Infatti questa è una ricerca tipicamente microcomparatistica sincronica (che si propone cioè
di confrontare due o più istituti di una stessa epoca), come osservato da L. Pegoraro in L.
Pegoraro – G. Pavani (cur.), la forma di governo locale in alcuni ordinamenti europei, Roma,
S.S.P.A.L., 2002, 7 ss. «la microcomparazione ha per oggetto singoli istituti, atti, procedimenti,
funzioni, enti, diritti, poteri, doveri, ecc., che operano e sono previsti in due o più ordinamenti
giuridici diversi».
Mentre, «lo studio macrocomparativo si propone finalità completamente diverse, come diversi
sono i presupposti» infatti qui si confrontano sistemi giuridici complessi e non singoli istituti.
11
692/85) pertanto prive di fondamento costituzionale
15
.
Tutti gli enti locali francesi, indipendentemente dalla natura e dalla forza
normativa della fonte che li ha istituiti, sono dotati di poteri di natura
amministrativa ed esercitano i compiti attribuitigli attraverso l’azione degli
organi elettivi previsti dalla legge
16
.
Questi sono privi di competenze di tipo normativo, infatti, la ripartizione
di competenze amministrative tra centro e periferia è avvenuta mediante
leggi ordinarie (l. n. 8/83 e l. n. 213/83) che nel determinare le competenze
hanno fatto ampio ricorso al criterio del “blocco delle competenze” che
assegna a ciascun ente territoriale un ambito operativo proprio di compiti
gestiti in via esclusiva tenendo in debito conto le specificità di ciascun
livello e dell’idoneità dei mezzi di cui questo dispone.
Il suddetto criterio del blocco delle competenze, viene configurato, dalla
legge e dalla dottrina francese, come baluardo garantistico atto ad
assicurare la potestà normativa da sconfinamenti ingiustificati di
competenze nelle relazioni istituzionali tra centro e periferia e tra gli enti
territoriali stessi.
17
15
Anche per questo nuovo ente istituito con leggi ordinarie si e gradualmente affermato (al
pari delle altre collettività costituzionalizzate) il principio della libera amministrazione.
Il primo comma dell’articolo 72 della Costituzione francese del 1958 dopo aver enunciato
espressamente le collettività territoriali riconosciute «Les collectivités territoriales de la
République sont les communes, les départements, les territoires d’Outre-Mer. Toute autre
collectivité territoriale est créée par la loi.», prosegue affermando che le altre collettività sono
create con legge ordinaria.
La mancata costituzionalizzazzione dell’ente locale Regione, fa sì che questo sia considerato
dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie un “ente debole”, mentre ad avviso di certa
dottrina sotto il profilo amministrativo la Regione appare come un livello supplementare di
dècentralisation, complementare agli altri, sufficientemente vasto per esercitare i compiti di
gestione, sviluppo e coordinamento e sufficientemente vicino per restare sotto il controllo dei
cittadini. Sull’argomento, per tutti, Cfr. P. De Bruycker – M. Nihoul, L’impact de la
regionalisation, in Ann. Col. Loc., Paris, 1996.
16
Per la Regione, il Presidente del Consiglio regionale ed il Consiglio regionale, per i
Dipartimenti, il Presidente del Consiglio generale ed il Consiglio generale, per i Comuni, il
Sindaco ed il Consiglio comunale.
17
La dottrina maggioritaria ritiene che, nell’eventualità di conflitti di competenza (in Italia si
chiamerebbero di “attribuzione” se fossero tra Stato e Regioni e la risoluzione dei quali
spetterebbe in via esclusiva alla Corte costituzionale) tra enti locali, allo Stato spetti il ruolo di
arbitro.
12
Gran parte della dottrina costituzionalistica francese, ritiene che la
dècentralisation del 1982 e la normativa statale di settore successiva, non
sembrano aver dato piena attuazione al criterio del “blocco di competenze”
a causa di una timida e frammentaria definizione delle stesse che ha reso
ancora più incerto l’assetto dei rapporti tra centro e periferia.
Secondo alcuni autori non va infine trascurata l’astrattezza del criterio in
esame che, pretende di tracciare sulla carta confini di competenze lineari e
rigidamente prestabiliti, senza tener conto delle esigenze di flessibilità
operativa che una tale operazione comporta, ma nel concreto svolgimento
dei compiti che l’attività di ciascun ambito territoriale comporta trova la
sua forma d’esercizio ottimale.
5. Gli enti locali francesi; La Regione.
La legge di decentralizzazione del 2 marzo 1982 ha previsto la creazione
ex novo di una collettività locale: la Regione.
Le Regioni francesi sono enti locali, non costituzionalizzati come gli
omonimi italiani, caratterizzati dall’essere costituiti da un insieme di
Dipartimenti raggruppati in funzione degli interessi economici e culturali.
I 96 Dipartimenti francesi sono raggruppati in ventidue
18
Regioni alle
quali si aggiungono le quattro c.d. Regions d’outre-mer
19
.
Il Consiglio regionale è l’organo deputato a disciplinare gli affari della
Regione attraverso le sue deliberazioni.
Sul punto vedi anche, F. Baudin-Culliere, Principe de subsidiaritè, Paris, L.G.D.J., 1993, 7 ss.
L’A. ritiene che la carenza di una definizione operativa di “Blocchi” di competenze da parte
del legislatore, non abbia consentito un uso realmente efficace di siffatto strumento
18
Le ventidue Regioni francesi che raggruppano più Dipartimenti sono: Alsace, Aquitanie,
Auvergne, Bourgogne, Bretagne, Centre, Champagne Ardennes, Corse, Franche-Comté, Ile-de-
France, Languedoc-Roussillon, Limousin, Lorraine, Midi-Pyrénées, Basse-Normadie, Haute-
Normandie, Nord-Pas-de-Calais, Pais de la Loire, Picardie, Poitou-Charentes, Provence-
Alpes-Côte-d’Azur, Rhône-Alpes
19
Le quattro Regioni d’oltre mare che in quanto tali non raggruppano nessun dipartimento
sono: la Guadalupe, Guyane, Martinique e Réunion.
13
La guida politica e amministrativa di quest’organo è affidata al Presidente
della Regione che, oltre ad essere l’organo esecutivo dell’ente locale,
presiede l’assemblea del Consiglio guidandone il dibattito, il
funzionamento e conseguentemente i procedimenti deliberativi.
I consiglieri regionali sono eletti in ciascun dipartimento componente la
Regione, per sei anni a suffragio universale diretto.
Il numero dei consiglieri regionale e le modalità di ripartizione dei seggi
sono stabilite dalla legge primaria.
Le competenze principali del Consiglio regionale sono anch’esse stabilite
dalla legge statale, tra esse v’è anzitutto l’approvazione del bilancio
annuale regionale, la competenza deliberativa sugli affari regionali
assegnatigli dallo Stato centrale e l’approvazione del piano regionale che
concorrerà insieme con gli altri alla formazione del piano (rectius:
programmazione economico-finanziaria) nazionale.
Il Presidente del Consiglio regionale è organo di rappresentanza indiretta,
in quanto viene eletto dal Consiglio regionale e non direttamente dai
cittadini, come avviene in Italia (dall’entrata in vigore della l. 83/93), egli
presiede le riunioni del Consiglio regionale, è direttamente responsabile
dell’esecuzione delle decisioni e delle deliberazioni del Consiglio, dirige i
servizi amministrativi della Regione avvalendosi della consulenza tecnica
obbligatoria del comitato economico e sociale
20
per i problemi concernenti
le sue competenze.
20
Il comitato economico e sociale è un’assemblea consultiva, che deve essere
obbligatoriamente consultata dal Presidente della Regione e dal Consiglio regionale ogni volta
che vi sia bisogno o che la legge lo richieda.
I membri del comitato sono designati dalle organizzazioni professionali, economiche,
scientifiche e culturali della Regione.
14
5.1. I Dipartimenti.
La Francia è divisa in 96 Dipartimenti metropolitani e 5 Dipartimenti
d’oltre mare, ciascun dipartimento è diviso in cantoni in un numero
variabile per ciascuno (dai 14 del territorio di Belfort ai 76 del dipartimento
del nord).
I cantoni sono una divisione (non un’ ente) territoriale intermedia tra il
dipartimento ed il Comune, questi costituiscono, infatti, le circoscrizioni
elettorali per l’elezione dei consiglieri generali del dipartimento
21
.
Il testo più importante relativo all’amministrazione dipartimentale e la
legge del 10 agosto 1871, che ad oggi, nonostante le svariate modifiche ed
integrazioni, rimane la normativa di riferimento.
Il Consiglio generale è l’assemblea deliberante del dipartimento,
composta – in ragione di un rappresentante per cantone – di consiglieri
generali eletti per 6 anni
22
.
A seguito della riforma delle collectivités territoriales francesi del 1982 il
Dipartimento è l’ente locale che, pur non avendo subito sostanziali
modifiche del proprio ruolo istituzionale, è stato oggetto delle maggiori
trasformazioni dal punto di vista dell’organizzazione di governo giacché
sino all’entrata in vigore della riforma l’organo esecutivo del dipartimento
era il “Prefetto”, rappresentante locale e longa manu dello Stato, e non il
Presidente del Consiglio generale.
La dottrina d’oltralpe è concorde nel sottolineare la “solidità”
dell’istituzione dipartimentale, che è indicata oggi come il livello
amministrativo dotato delle maggiori competenze, oltre che l’ente
territoriale finanziariamente più potente.
21
I consiglieri dipartimentali sono eletti in ogni cantone a suffragio universale diretto, (sino al
1945 solo gli uomini potevano votare) con un sistema elettorale maggioritario a due turni, per
un mandato di 6 anni, anche se possono essere rinnovati per metà ogni 3 anni.
22
Y. Meny, Profili di amministrazione locale; la riforma francese, cit., 49 ss.