Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 81/97/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
6
nando quelle soluzioni di eccessivo garantismo e all’opposto disciplinare i casi di
flessibilità senza limiti e controllo (
1
).
Un metodo e non la soluzione per rendere compatibili le esigenze dei vari soggetti
che si incontrano nel mercato, predisponendo delle regole in grado di adattarsi ai mu-
tamenti del conteso economico e sociale.
Le opportunità che il part-time offre ai datori di lavoro di adattare la propria struttura
produttiva alle necessità di variazioni della produzione, devono accordarsi con le esi-
genze familiari, di formazione, maggiore tempo libero dei lavoratori, garantiti nei loro
diritti elementari di sicurezza e pari diritti rispetto ad lavoratore full-time, è questa la
strada tracciata dalla direttiva ed è questa la strada che i legislatori europei devono
seguire.
E’ questa la strada imboccata dal legislatore italiano, che, alle garanzie sviluppate ne-
gli anni precedenti, ha aggiunto quei caratteri di flessibilità ispirati dalla Direttiva, an-
che se in taluni casi ha inserito adempimenti non previsti in sede europea, mantenen-
do la disciplina contrattuale del rapporto a livello collettivo, lasciando poco spazio al-
la regolazione individuale.
A differenza, il legislatore inglese, pur garantendo i diritti minimi previsti dalle norme
europee, è riuscito a mantenere la disciplina del rapporto su un piano individuale, a-
dattando le norme vigenti ai precetti del diritto di non discriminazione.
Se nel formulare i principi generali le due soluzioni (italiana e inglese) si somigliano,
dato il punto di partenza comune (la Direttiva del ‘97), nella applicazione pratica si
discostano in diversi punti, tanto da sembrare troppo rigide, o troppo liberiste, ed è su
alcuni di questi punti che si sofferma l’esposizione del secondo capitolo.
Nel quale, verrà illustrato il approccio delle due norme ai mezzi di tutela, anche giu-
diziale, previsti per tutelare la parte debole, in cui la diversità dei due ordinamenti è
più marcata.
Sullo stesso piano di diversità, si trovano le norme introdotte per incentivare il pas-
saggio dal full-time al part-time (e viceversa), nonché in tema di orario di lavoro e
clausole elastiche, che nella formulazione italiana sono disciplinate in modo chiaro e
ben definito, tanto da poter sembrare troppo rigide, mentre al contrario la norma in-
glese vi fa solamente qualche accenno.
1
BROLLO M., “Il lavoro a tempo parziale”, IPSOA, 2001, p. 18, 19, 20.
Introduzione
7
Pur se ravvicinate nei tratti essenziali (era questo uno degli obiettivi della Direttiva)
(
2
), i due modelli (Italia e Gran Bretagna) mantengono evidenti le loro peculiarità. E‘
importante segnalare, tuttavia, la presenza, nella Direttiva, della clausola 6 comma 5
(
3
), che fa ben sperare per un evoluzione normativa tendenzialmente omogenea nei
due ordinamenti, la quale (clausola) impone la verifica delle condizioni di implemen-
tazione della normativa comunitaria nelle diverse discipline nazionali anche sul ver-
sante della loro ricaduta sull’occupazione.
2
Cfr. 3° considerando della Direttiva n° 81 del 1997, che riprende il punto 7 della Carta comunitaria dei
diritti sociali fondamentali, la quale stabilisce che “la realizzazione del mercato interno del lavoro deve
portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro del lavoratori europei. Tale processo av-
verrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni”
3
La clausola 6 comma 5, prevede che “Se una delle parti sociali ne fa richiesta, le parti firmatarie rive-
dranno il presente accordo cinque anni dopo la data della decisione del Consiglio”.
CAPITOLO PRIMO
LA NORMATIVA EUROPEA
1. Premessa
Nel presente capitolo si cercherà innanzi tutto di evidenziare le origini della Direttiva
del 1997, introducendo le prime norme che hanno ispirato la Commissione Europea e
le parti sociali (la CES, il CEEP e l’UNICE) nella redazione dell’Accordo quadro e
della sua assunzione a rango superiore, attraverso la sua attuazione da parte della Di-
rettiva n. 81.
Il fatto che si sia giunti fino al 1997 per vedere realizzata una direttiva in materia di
lavoro a tempo parziale, non sta a indicare un tardivo interessamento del legislatore
europeo, il quale già dalla fine degli anni ’70 aveva avvertito la rilevanza del fenome-
no in questione, dapprima con la Risoluzione del Consiglio sulla ristrutturazione del
tempo di lavoro (
1
) e successivamente con due determinazioni del Parlamento euro-
peo (
2
); punti di riferimento delle prime direttive del 1982, che come vedremo in se-
guito non avranno esiti felici.
Altri avvenimenti intervennero nel frattempo ad incrementare l’interesse per una ri-
forma del part-time e dei c.d. lavori atipici in generale, basti pensare alla redazione
della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 (
3
), sol-
lecitazione che la Commissione sviluppo nella proposta di ben tre direttive nei primi
anni ’90.
I paragrafi che seguiranno, oltre a fornire una breve panoramica sulle norme interna-
zionali che hanno influenzato gli organismi europei nello stilare le proposte di diretti-
va, vogliono fornire una rassegna delle prime esperienze tentate dalla Commissione
nello sviluppo delle prime direttive in materia di lavoro atipico, e di lavoro a tempo
1
Si veda la “Risoluzione del Consiglio del 18 dicembre 1979 sulla ristrutturazione del tempo di lavoro",
in GUCE, 4 gennaio 1980.
2
Si tratta della Risoluzione sulla condizione della donna nella Comunità Europea del 11 febbraio 1981
e della Risoluzione sull’occupazione e sulla ristrutturazione del tempo di lavoro del 11 settembre 1981.
3
Si vedano i punti 7.1 e 5 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
10
parziale in particolare, degli anni ’80 e ’90; per giungere, a fine capitolo, ad analizza-
re gli aspetti salienti della Direttiva del 1997 che ha attuato l’Accordo quadro sul la-
voro a tempo parziale.
2. Le norme europee a carattere sociale
Come già accennato in premessa ci sono vari episodi che nel corso degli anni hanno
influenzato gli organismi comunitari nello sviluppo delle proposte di direttiva sul la-
voro a tempo parziale che si sono succedute dagli anni ’80 fino alla redazione defini-
tiva della Direttiva del 15 dicembre 1997.
Sin dalla fine degli anni ’70, come scrivono Rocella e Treu (
4
) si era avvertita
l’importanza dell’organizzazione dell’orario di lavoro come variabile che influenza la
dinamica del mercato del lavoro e la sua flessibilità, già con la Risoluzione del Con-
siglio sulla ristrutturazione del tempo di lavoro e successivamente con due risoluzioni
del Parlamento europeo (
5
), la Commissione aveva redatto una prima direttiva nel
1982, la quale non avrà un buon esito a causa di interessi di parte che ne hanno osta-
colato l’adozione.
Successivamente nel 1989 si può rintracciare, nella Carta comunitaria (
6
) dei diritti
sociali fondamentali, un doppio invito a intervenire sulla disciplina del lavoro atipico,
riscontrabile nel punto 7.1 riguardante il “miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro”, ma soprattutto nel punto 5 in tema di “occupazione e retribuzione”, sollecita-
zioni queste, che prontamente raccolte dalla Commissione, in concreto si sono svi-
luppate, nel 1990, con tre proposte di direttiva (
7
).
Gli obiettivi in esse contenuti sono ripresi nel Protocollo sulla politica Sociale allega-
to al Trattato di Maastricht, dove all’articolo 1, vengono definiti gli obiettivi da rag-
giungere con il sostegno della Comunità Europea che completa l'azione degli Stati
membri nei settori interessati quali:
- il miglioramento dell'ambiente di lavoro, per tutelare la sicurezza e la salute dei la-
voratori,
4
Cfr. ROCELLA M., TREU T., Lavori Atipici, in “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995.
5
Si veda la “Risoluzione del Consiglio del 18 dicembre 1979 sulla ristrutturazione del tempo di lavoro",
in GUCE, 4 gennaio 1980, la Risoluzione sulla condizione della donna nella Comunità Europea del 11
febbraio 1981 e della Risoluzione sull’occupazione e sulla ristrutturazione del tempo di lavoro del 11
settembre 1981.
6
Vedi la Carta sociale dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 9 dicembre 1989.
La normativa europea
11
- le condizioni di lavoro,
- informazione e consultazione dei lavoratori,
- parità tra uomini e donne per quanto riguarda le loro opportunità sul mercato del la-
voro ed il trattamento sul lavoro,
- integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro .
Va precisato che tale protocollo non era stato sottoscritto dalla Gran Bretagna e
dall’Irlanda del Nord; è durante il Consiglio europeo svoltosi ad Amsterdam il 16 e
17 giugno 1997 che si è notata la necessità di individuare uno strumento per attribuire
effetti giuridici alla volontà del Regno Unito di accettare le direttive già adottate in
base a tale accordo (
8
), pertanto è stata emanata la Direttiva 98/23/CE che renderà ap-
plicabile nel Regno Unito la direttiva 97/81/CE.
In considerazione del fatto che la non applicabilità della direttiva sul lavoro a tempo
parziale al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, esercita dirette conse-
guenze sul funzionamento del mercato interno e che l'applicazione in tutti gli Stati
membri dell'accordo quadro allegato a detta direttiva, in particolare del principio di
non discriminazione fra i lavoratori a tempo parziale ed i lavoratori a tempo pieno, ne
favorirà un miglior funzionamento.
Ad incrementare il numero di inviti a promuovere interventi a sostegno
dell’occupazione, è intervenuto il consiglio di Essen del 1994, le cui conclusioni han-
no sottolineato la necessità di provvedimenti volti a favorire l’occupazione e la parità
tra uomini e donne, richiamando l’esigenza di adottare delle misure atte a incremen-
tare l’intensità occupazionale, attraverso una organizzazione più flessibile del lavoro,
che sappia interpretare e coniugare le esigenze dei lavoratori e della competitività (
9
).
L’Accordo del 1997 inoltre, per suo esplicito riferimento nel preambolo, richiama la
Dichiarazione sull'occupazione del Consiglio europeo di Dublino del dicembre 1996,
nella quale il Consiglio sottolineava, tra l'altro, la necessità di rendere i sistemi di si-
curezza sociale più favorevoli all'occupazione, sviluppando “sistemi di protezione so-
7
Cfr. ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995.
8
L’accordo cui ci si riferisce è l’Accordo sulla politica sociale, allegato al Trattato CE.
9
ARRIGO G., Tutela e promozione dei lavori atipici, in “Diritto del lavoro dell’Unione Europea”, 2001.
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
12
ciale capaci di adattarsi ai nuovi modelli di lavoro e di offrire una tutela sociale ap-
propriata alle persone assunte nel quadro di queste nuove forme di lavoro” (
10
).
3. Le norme internazionali
L’Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 (tra le orga-
nizzazioni intercategoriali a carattere generale UNICE, CEEP e CES) come abbiamo
potuto constatare parte, nella sua elaborazione, dalla attuazione di alcuni orientamenti
attinti dalle norme comunitarie in materia di occupazione e flessibilità, inoltre, nella
enunciazione di alcuni principi si ispira ad analoghe norme dell’Organizzazione In-
ternazionale del Lavoro (di seguito OIL) (
11
), quali quelle contenute nella Convenzio-
ne del n. 175 del 1994 e quelle contenute nella Raccomandazione n. 182 del 1994.
L’OIL notando la rilevanza che avevano assunto, per i lavoratori assunti con contratto
a tempo parziale, le disposizioni contenute nella Convenzione del 1981 sulla parità di
retribuzione e sulle discriminazioni (nel lavoro e nella professione), sulla promozione
dell'occupazione e la protezione contro la disoccupazione della Convenzione del
1988, riconosceva l'importanza di un'occupazione liberamente scelta e rifletteva sul-
l'importanza, per l’organizzazione del lavoro, del part-time.
La necessità per le politiche attive dell’occupazione di ottimizzare il ruolo del lavoro
a tempo parziale nello sviluppo di nuove occasioni di impiego, assicurando nel con-
tempo la tutela dei lavoratori a par-time con riguardo all'accesso all'occupazione, alle
condizioni di lavoro e di sicurezza sociale, ha spinto l’OIL a pubblicare sia una con-
venzione, sia una raccomandazione ad integrazione delle norme enunciate nella prima
(Introduzione alla Convenzione OIL n. 178/94) (
12
).
Prima della Direttiva del ’97, l’art. 1 della Convenzione dell’OIL dava una definizio-
ne di "lavoratore a tempo parziale" come di colui che presta la sua attività “ad un ora-
rio di lavoro inferiore a quello dei lavoratori a tempo pieno che si trovino in una si-
tuazione comparabile”, riferendosi ad un lavoratore full-time che: a) abbia lo stesso
tipo di relazione di lavoro; b) sia assunto per svolgere un identico o analogo tipo di
10
Vedi 3° paragrafo del Preambolo all’Accordo Quadro stipulato tra la CES, il CEEP e l’UNICE, in ma-
teria di lavoro a tempo parziale.
11
Organizzazione internazionale del lavoro, è una Agenzia della Nazioni Unite, con sede a Ginevra, na-
ta nel 1919 vi aderiscono 179 stati, si occupa di diritto del lavoro e di tutela delle condizioni di lavoro.
12
Le Raccomandazioni dell’OIL sono indicazioni di principio, non vincolanti, le Convenzioni invece sono
vincolanti e devono essere ratificate dagli stati aderenti.
La normativa europea
13
lavoro o professione; e c) sia occupato nello stesso stabilimento o, nel caso in cui non
esista nello stesso stabilimento un lavoratore che si trovi in una situazione compa-
rabile, nella stessa impresa, nello stesso settore produttivo; specificando che non rien-
trano nella definizione i lavoratori che vedono diminuito il loro orario di lavoro a cau-
sa di una riduzione collettiva e temporanea del medesimo per ragioni economiche,
tecniche o strutturali dovute alla organizzazione dell’impresa (art. 1 Convenzione
OIL n. 178).
Al pari del principio di non discriminazione sancito dall’art. 4 dell’Accordo quadro,
gli articoli successivi (artt. 4 e 7 della Convenzione n. 178/94) introducono il mede-
simo principio, chiedendo di adottare misure tali da assicurare che i lavoratori a tem-
po parziale ricevano la stessa protezione di cui beneficiano i lavoratori a tempo pieno
comparabili, sia per quanto riguarda i diritti sindacali, sia con riguardo alla sicurezza
e alla salute sui luoghi di lavoro.
La convenzione esplicita in modo chiaro che i lavoratori a tempo parziale non devono
ricevere, per il solo motivo di essere lavoratori part-time, “una retribuzione di base
che, sia inferiore alla retribuzione di base dei lavoratori a tempo pieno che si trovino
in una situazione comparabile” (art. 5 Convenzione OIL n. 178/94), salvo il fatto di
rapportarla alla effettiva durata della prestazione per effetto del pro rata temporis; in-
fatti all’articolo successivo si ribadisce che i sistemi di sicurezza sociale dovranno es-
sere adattati in modo tale che i lavoratori a tempo parziale beneficino di trattamenti
equivalenti a quelli dei lavoratori a tempo pieno comparabili, determinati in misura
proporzionale alla durata dell'orario di lavoro, alle contribuzioni versate, alle re-
tribuzioni percepite, o attraverso altri metodi conformi alla legislazione e alle prassi
nazionali.
La Convenzione nel chiarire la portata del principio di non discriminazione specifica
all’articolo 7 che i lavoratori a tempo parziale devono ricevere un trattamento equiva-
lente anche con riguardo alle seguenti materie: a) maternità; b) cessazione del
rapporto di lavoro; c) riposi annuali e festività retribuite; d) malattia; sempre
mantenendo il criterio del proporzionamento alla durata dell'orario di lavoro.
Oltre all’esplicito riferimento ai casi compresi nell’ampia definizione del principio di
non discriminazione, vi sono alcuni casi esclusi, infatti, in deroga a quanto fino ad ora
previsto, la Convenzione dell’OIL all’art. 8, comma 1, prevede la possibilità di esclu-
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
14
sione dal campo di applicazione i lavoratori part-time che in riferimento all’orario e/o
alla retribuzione non superino determinati limiti, l’esclusione può riguardare uno dei
qualsiasi dei sistemi di tutela sociale, salvo nei casi di prestazioni dovute per infortuni
sul lavoro o per malattie professionali, oppure salvo si tratti di misure di protezione
della maternità, al comma successivo viene però specificato che tali “limiti dovranno
essere sufficientemente bassi in modo da non escludere una percentuale eccessiva-
mente elevata di lavoratori a tempo parziale” (art. 8 comma 2 Convenzione OIL
178/94).
La convenzione fa riferimento all’adozione di misure atte a facilitare l'accesso a un
lavoro a tempo parziale frutto di una libera scelta del lavoratore e che risponda alle
necessità di datori di lavoro e dipendenti; è fatto, perciò, invito agli stati aderenti di
vagliare le leggi e le regolamentazioni che potrebbero impedire o scoraggiare il ricor-
so a tale modalità di lavoro (art. 9).
Per quanto concerne la Raccomandazione, essa è una integrazione della Convenzione,
dalla quale mutua i principi e le definizioni di base; infatti i primi articoli riprendono
e confermano ciò che la Convenzione aveva già chiaramente espresso, essa però vie-
ne integrata in alcuni punti; un esempio riguarda il dovere del datore di lavoro di con-
sultare (cfr. art. 4 Raccomandazione OIL n. 182/94) e informare (art. 5) le rappresen-
tanze dei lavoratori in merito all'introduzione o all'estensione del lavoro a tempo par-
ziale.
A differenza di quanto vedremo successivamente della direttiva, che sembra porre
come una mera eventualità, basandosi sulla lettera dei vocaboli utilizzati quali: “per
quanto possibile” e “dovrebbero” (cfr. Clausola 5 comma 3, dell’Accordo Quadro
1997), la possibilità di informare i lavoratori sulla disponibilità dei posti a tempo pie-
no e a tempo parziale, la Raccomandazione, all’apparenza, con l’inciso “dovranno”,
all’art. 4, sembra imputare in capo al datore di lavoro un vero e proprio obbligo di in-
formazione; inoltre fa riferimento alla consultazione delle rappresentanze aziendali,
pur non specificandone il contenuto, oltre che alla già citata informazione.
Infatti i datori di lavoro dovranno prendere in considerazione tutte quelle misure che
facilitino l'accesso al part-time in tutti i livelli dell'impresa, inclusi, i posti di lavoro
qualificati e manageriali (art. 17 Raccomandazione OIL), se ritenuto opportuno; inol-
tre dovranno tenere in considerazione le richieste dei lavoratori per il passaggio da u-
La normativa europea
15
n'occupazione a tempo pieno ad un'occupazione a tempo parziale e viceversa quando
questa si renda disponibile nell'impresa e dovranno fornire ai lavoratori, per tempo,
informazioni sulla disponibilità nell'impresa di posti di lavoro a tempo parziale e a
tempo pieno, in modo da agevolare la domanda e il passaggio da un'occupazione a
tempo pieno ad un'occupazione a tempo parziale e viceversa (art. 17, numeri 1 e 2).
Manca in questo caso un riferimento ad eventuali posti di lavoro che si rendessero di-
sponibili in altri stabilimenti o aziende dello stesso imprenditore, riferimento spaziale
che invece è contenuto nell’Accordo quadro.
Il rifiuto di un lavoratore, per esplicita previsione dell’art. 19, a passare da un posto di
lavoro a tempo pieno ad un posto di lavoro a tempo parziale, e viceversa, non potrà
costituire in quanto tale giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, senza che
questo comporti alcun pregiudizio circa la possibilità di licenziare il lavoratore, in
conformità alla legislazione vigente, per altre ragioni che possano emergere da esi-
genze oggettive che riguardano l’organizzazione e le esigenze produttive
dell’azienda.
Dove i presupposti interni o il contesto dello stabilimento lo rendano possibile, i lavo-
ratori dovranno essere messi in condizione di passare a lavori a tempo parziale nei ca-
si che lo giustifichino, come una gravidanza o la necessità di prendersi cura di un
bambino o di un componente portatore di handicap o ammalato del nucleo familiare
del lavoratore, con possibilità di ritornare in seguito al lavoro a tempo pieno (art. 20
Raccomandazione 182/94), soluzione questa che non è stata prevista né dalla norma
comunitaria, né da quella nazionale.
La Raccomandazione a differenza della Direttiva non manca di fissare alcuni paletti
in tema di orario; sia il numero, che la programmazione delle ore di lavoro di chi pre-
sta la sua attività a tempo parziale, dovranno essere definiti valutando sia gli interessi
dei lavoratori che le esigenze aziendali e per quanto possibile, le modificazioni dell'o-
rario concordato dovranno essere soggette a limitazioni e ad una preventiva comuni-
cazione; lasciando al legislatore o alla contrattazione la fissazione delle forme di
compenso per chi lavori oltre l’orario pattuito (art. 12, comma 2).
In conformità alla legge e alla contrattazione collettiva, i lavoratori a tempo parziale
dovranno avere accesso per quanto possibile a condizioni equivalenti, ad ogni forma
di permesso concesso ai lavoratori a tempo pieno comparabili, come ad esempio: i
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
16
permessi pagati per l'istruzione, per motivi familiari e ai permessi in caso di malattia
di un figlio minore o di un altro componente del nucleo familiare; nonché di accesso
alle opportunità di formazione professionale, e di progressione in carriera (art. 13
Raccomandazione OIL).
In ambito previdenziale, le disposizioni che potrebbero disincentivare il ricorso o la
disponibilità ad accettare lavori a tempo parziale, dovranno essere aggiustate in modo
da favorire lo sviluppo di tale tipo di lavoro: non sarebbe ammesso il pagamento, in
proporzione, di contributi più alti per i lavoratori a tempo parziale, se non giustificati
da prestazioni proporzionalmente più elevate; oppure la riduzione, senza un motivo
ragionevole, dei sussidi di disoccupazione a quei disoccupati che accettino tempora-
neamente di svolgere una prestazione di lavoro a tempo parziale; o la riduzione del
reddito derivante da lavori a tempo parziale intrapresi nel periodo precedente la pen-
sione nel calcolare l’ammontare della prestazione di anzianità (art. 16).
Anche in tema di computo dei lavoratori la Raccomandazione non rinuncia a formula-
re delle indicazioni, stabilendo all’art. 21 che “laddove gli obblighi del datore di lavo-
ro varino a seconda del numero dei lavoratori occupati, i lavoratori a tempo parziale
dovranno essere computati come lavoratori a tempo pieno. Tuttavia, i lavoratori a
tempo parziale potranno essere computati, nei casi ritenuti opportuni, in proporzione
alla durata dell'orario di lavoro” (
13
), si ripropone in tal modo il problema del ripro-
porzionamento dei vari istituti, come ad esempio dei diritti di natura sindacale molto
spesso non scindibili, o nel caso di applicazione delle norme sul collocamento obbli-
gatorio, in cui il peso di un lavoratore a tempo parziale varia a seconda del criterio
che si intende adottare, se lo si considera come unità intera o in proporzione all’orario
effettivo di lavoro rapportato all’orario “normale”, definizione cara al nostro legisla-
tore.
In tal senso la Direttiva del ’97 non indica nessun criterio di computo, una soluzione
che si avvicina a quella appena prospettata è quella dell’art. 6 del decreto del 2000
(
14
), il quale specifica che “in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di con-
tratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i
13
Vedi l’art. 21 della Raccomandazione OIL n. 182 del 1994.
14
Vedi l’art. 6 del D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, dove il nostro legislatore nel recepire la Direttiva ha
introdotto tali indicazioni, basate sulla lettera della Raccomandazione, in quanto nulla ha espresso la Di-
rettiva in merito al computo dei lavoratori.
La normativa europea
17
lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in
proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno”. “Ai soli fini dell'applicabili-
tà della disciplina di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori a
tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro pre-
stazione lavorativa” (
15
), per dovere di completezza è bene rammentare che il titolo
terzo fa riferimento all’attività sindacale nei luoghi di lavoro, con riguardo ai diritti di
costituzione delle rappresentanze sindacali, di assemblea, di referendum.
Ad una attenta analisi sia la Convenzione, sia la Raccomandazione dell’OIL sembra-
no più complete rispetto alla Direttiva del ’97, soprattutto perché toccano aspetti
nemmeno sfiorati dalle parti sociali europee, come ad esempio la materia previdenzia-
le, l’orario di lavoro e le modalità di computo dei lavoratori; ed anche in riferimento
al principio di non discriminazione le norme internazionali appaiono più dettagliate di
quelle europee, quasi a scapito della flessibilità necessaria per adattarsi alle concrete
esigenze del mercato del lavoro e della sua organizzazione, flessibilità che la Diretti-
va nella sua indicazione di norme minime concede abbondantemente al successivo li-
vello di recepimento.
4. Le proposte di direttiva
Risalgono ai inizi degli anni ’80 le prime iniziative della Commissione in materia di
lavoro atipico, dapprima sul “lavoro volontario a tempo parziale” (
16
), poi allargate al
contratto a tempo determinato e temporaneo, pur se diverse nei contenuti, queste pri-
me proposte erano accomunate da una unica tecnica precettiva che legittimava atti di
armonizzazione diretti ad eliminare o ridurre le differenze normativa tra gli stati
membri reputate dannose per la concorrenza e produttive di fenomeni di dumping so-
ciale, tale obiettivo però richiedeva una decisione unanime del Consiglio (
17
).
Unanimità difficile da trovare a causa del veto di Stati membri come la Gran Bretagna
che tutelavano poco nulla il lavoro atipico, tali proposte, inoltre, si scontravano con
l’ostilità delle organizzazioni imprenditoriali e con l’opposizione di alcuni settori del
Parlamento europeo (
18
).
15
Cfr. l’art. 6 del Decreto legislativo 2000, n. 61, Criterio di computo dei lavoratori a tempo parziale.
16
ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995, p. 206.
17
ARRIGO G., Il Diritto del lavoro dell’Unione Europea, 2001.
18
ROCELLA M., TREU T., Lavori atipici in “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995, p. 206.
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
18
Come scrivono Rocella e Treu (
19
), è in seguito alla stesura della Carta comunitaria
dei diritti sociali fondamentali dell’89 che la Commissione riprende la sua attività
propositiva in materia di lavoro presentando non una, bensì tre proposte di direttiva,
in materia di condizioni di lavoro, di rapporti di lavoro con riguardo alla distorsione
della concorrenza e riguardo alle misure volte a promuovere il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori temporanei.
L’orientamento della Commissione non ha mancato di essere criticato (
20
), a differen-
za delle proposte degli anni ’80 il risultato è stato una mera considerazione delle for-
me di lavoro atipico senza una riforma precisa della normativa vigente, è pur vero che
un approccio indifferenziato al lavoro atipico risulta inevitabilmente poco incisivo.
Per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale gli orientamenti della Commissione si
concentrano soprattutto nelle prime due proposte di direttiva, le quali definiscono il
lavoro a tempo parziale come “quel rapporto di lavoro che comporta un orario di la-
voro inferiore a quello stabilito da leggi, contratti collettivi o usi”, definizione alquan-
to generica, tuttavia meno indeterminata di quella del 1982 in quanto ai criteri di ac-
certamento del normale orario di lavoro, che, come nella proposta di direttiva del
1990, è individuato come quello stabilito da legge, contratto collettivo, usi.
Definizione tutt’altro che criticabile se si pensa che doveva adattarsi alle molteplici
figure di part-time presenti nei vari ordinamenti, tra i quali alcuni privi di una defini-
zione precisa come quello inglese, dove per lavoro part-time si intende quello che
prevede un orario inferiore alle trenta ore settimanali (
21
).
Le proposte sono formulate in modo tale da escludere quei lavoratori con orario infe-
riore alle otto ore settimanali, un tentativo di rendere più accettabili le norme comuni-
tarie a paesi come la Gran Bretagna, il cui ordinamento condiziona l’applicabilità del-
le norme protettive
22
al superamento di determinate soglie di orario e/o anzianità di
servizio: sedici ore di lavoro settimanale con due anni di servizio oppure otto ore di
lavoro, ma con cinque anni di anzianità di servizio (
23
).
19
Cfr. ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995.
20
ROCELLA M., “Comunità europea e rapporti di lavoro atipici”, in QL, n. 10 /1991.
21
ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995, p. 209, 210.
22
Con riguardo alla tutela contro i licenziamenti illegittimi, di indennità conseguente ad un licenziamen-
to collettivo, ai trattamenti per malattia e maternità. DEAKIN S., “Labour Law”, Butterworths, 1995.
23
DEAKIN S., Continuity of employment and qualifying thresholds, in Deakin S., “Labour Law”,
Butterworths, 1995, p. 179.
La normativa europea
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Altro punto critico, come rilevano anche Rocella e Treu (
24
), è rappresentato dalle
norme che disciplinano il computo dei lavoratori part-time ai fini dell’applicabilità di
altre norme, ad esempio quella contro i licenziamenti illegittimi, la proposta dell’82
conteneva una previsione più aperta, stabilendo che dei lavoratori a tempo parziale,
nella determinazione dell’organico aziendale, si sarebbe dovuto tenere conto “per lo
meno in proporzione all’orario svolto” (
25
).
La proposta del 1990 sembra non porsi tale problema forse per non entrare in colli-
sione con ordinamenti che in determinate materie, come ad esempio i licenziamenti,
non consentono di includere i part-timers che non raggiungono un determinato nume-
ro di ore settimanali.
L’effetto più dirompente dev’essere riconosciuto nelle disposizioni previdenziali, le
quali tendono a garantire ai lavoratori a tempo parziale e ai lavoratori atipici in gene-
rale, un trattamento comparabile a quello dei lavoratori standard.
Un passaggio, questo, che ha messo in luce una divaricazione presente, seppur in mi-
sura diversa, in tutti i paesi europei fra diritto del lavoro e diritto della previdenza: il
primo che tenderebbe a staccarsi dal modello standard, mentre il secondo costruirebbe
le sue regole attorno ad esso, determinando effetti discriminatori sul lavoro atipico in
genere (
26
).
Oggi tale principio di non discriminazione e di divieto di trattamento meno favorevo-
le si può ricavare dall’art. 4 dell’Accordo quadro in materia di lavoro a tempo parzia-
le attuato dalla Direttiva del 1997 e nel nostro ordinamento all’articolo 4 della legge
25 febbraio 2000 n. 61, la quale stabilisce che “il lavoratore a tempo parziale non de-
ve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno com-
parabile”.
In tal modo, come fanno notare Rocella e Treu (
27
), le proposte del ’90 hanno finito
con l’allontanarsi dall’impostazione del 1982, sostituendo la maggiore flessibilità in
materia previdenziale e una più ampia gamma di diritti sul piano del rapporto di lavo-
ro, con una impostazione che pone l’accento sul principio di parità in materia
previdenziale, attorno al quale sono inserite delle disposizioni che dettano solo un
24
ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995.
25
Come oggi previsto all’articolo 6 comma 1° del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, unica ec-
cezione in materia di diritti sindacali in cui i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere.
26
Vedi supra nota 15.
27
ROCELLA M., TREU T., “Diritto del lavoro della Comunità Europea”, 1995, p. 215, 216.
Il lavoro a tempo parziale: recepimento della Direttiva 97/81/CE nell’ordinamento giuridico italiano e
della Gran Bretagna
20
denziale, attorno al quale sono inserite delle disposizioni che dettano solo un nucleo
minimo di diritti, ne è un esempio il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo
pieno (dei lavoratori a tempo parziale) previsto dalla proposta di direttiva del 1982, il
quale risulta degradato a mero diritto di informazione nella versione del 1990.
Va ricordato che la formulazione del diritto di precedenza dell’82 è stata ripresa nella
Direttiva del ’97 come mera possibilità concessa al datore di lavoro, ed ha acquistato,
per effetto della trasposizione nell’ordinamento italiano il grado di “… diritto di pre-
cedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità pro-
duttive site entro 100 km dall’unità produttiva interessata dalla programmata assun-
zione, … dando priorità a coloro che già dipendenti, avevano trasformato il rapporto
di lavoro da tempo pieno a tempo parziale” (cfr. art. 5 comma 2 D. Lgs. 61/2000).
Ed è proprio alla fine degli anni ’90 che, grazie all’influenza di nuovi fattori, si giun-
ge ad un esito più significativo: le nuove procedure di dialogo sociale istituzionalizza-
te nell’Accordo sulla Politica Sociale (APS), allegato al Trattato di Maastricht, che
consentono deliberazioni a maggioranza qualificata per adottare direttive in materia di
condizioni di lavoro e la mutata ratio delle nuove proposte della Commissione, volte
al miglioramento delle condizioni di lavoro, inquadrate nella strategia europea per
l’occupazione (
28
).
In linea con l’orientamento approvato dal Consiglio di Essen (dicembre 1994) che
coniugava esigenze di flessibilità, principi di non discriminazione e obiettivi di cresci-
ta occupazionale, gli stati membri infatti condividono la necessità di promuovere
l’occupazione e la parità tra uomini e donne, nonché aumentare l’intensità occupazio-
nale attraverso la flessibilità del lavoro.
Il Consiglio inoltre invitava le parti sociali a sfruttare la possibilità di stipulare con-
tratti, perché più vicini alla realtà sociale e ai problemi sociali e così, in coerenza con
l’orientamento di Essen e privilegiando la concertazione sociale, la Commissione in-
formava le parti sociali del possibile orientamento di promuovere un’azione comuni-
taria relativa alla flessibilità dell’orario di lavoro e alla sicurezza dei lavoratori (
29
).
28
ARRIGO G., Tutela e promozione dei lavori atipici, in “Diritto del lavoro dell’Unione Europea”, Giuffre
Ed., 2001.
29
ARRIGO G., “Diritto del lavoro dell’Unione Europea”, Giuffrè Ed., 2001, p. 270 e seg.