Mutamenti strutturali nell’organizzazione dell’impresa. Il caso Olivetti Lexikon
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evolutive dell’impresa studiata.
I successivi sei capitoli presentano un’evoluzione storica del
Gruppo Olivetti Lexikon, ponendo l’attenzione su vari fattori che
direttamente e indirettamente rientrano nel nostro campo di studio:
innanzitutto i cambiamenti organizzativi, commerciali e strategici, di
importanza primaria nello studio dei mutamenti strutturali dell’impresa;
in secondo luogo il ruolo della ricerca e sviluppo, elemento
fondamentale per un’impresa che opera nel campo della Tecnologia
dell’Informazione e che vuole rimanere competitiva in un mercato a
rapida innovazione; infine l’evoluzione dell’offerta e quindi del
fatturato e della concentrazione di mercato, elementi necessari per
valutare gli eventuali effetti dei mutamenti strategici effettuati dal
Gruppo Olivetti Lexikon.
Alla luce dell’evoluzione storica dell’impresa, nel nono capitolo
si affronta in modo più approfondito l’evoluzione del fatturato in
rapporto alle quantità di prodotti vendute e all’evoluzione dei costi
unitari di ogni singolo segmento di prodotto, all’interno dei quali
rientrano anche costi organizzativi come quelli dovuti all’asimmetria
delle informazioni e alla necessità di controllo sui dipendenti, costi che
dipendono direttamente dai mutamenti strategici nell’organizzazione
del Gruppo Olivetti Lexikon.
Nel capitolo decimo viene trattata l’evoluzione delle spese di
ricerca e sviluppo, affrontando l’argomento dapprima da un punto di
vista più generale, fornendo un’evidenza della consistenza di tali spese
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a livello mondiale, europeo e italiano, per entrare poi nel merito della
ricerca e sviluppo e dei costi ad essa associati per l’impresa osservata.
In particolare, poiché il Gruppo Olivetti Lexikon è l’unica impresa a
possedere i brevetti per la tecnologia ink-jet, si è dato risalto anche alla
suddetta tecnologia.
Nel capitolo conclusivo sono stati riassunti, infine, i mutamenti
nell’organizzazione dell’impresa nel corso degli anni oggetto di studio,
e sono state effettuate valutazioni sull’effetto di tali mutamenti alla luce
della teoria dell’organizzazione affrontata nel capitolo introduttivo,
dell’evoluzione del fatturato nelle aree geografiche in cui l’impresa
commercializza i propri prodotti, e della competitività nei mercati in
cui il Gruppo Olivetti Lexikon è presente.
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I dati riportati nella presente tesi di laurea sono dati
determinati in modo da rispettare l’evoluzione del Gruppo Olivetti
Tecnost nel corso degli anni, seppur non corrispondenti, per
esigenze di riservatezza, ai dati reali.
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1.
Teoria dell’organizzazione
1.1. – Introduzione
Fino a tempi recenti gli economisti basavano i loro studi su una
teoria dell’organizzazione dell’impresa piuttosto elementare: esiste
un’organizzazione che coordina gli scambi tra soggetti, il mercato, e
un’organizzazione che produce, rappresentabile come funzione di
produzione tecnica. Nel 1937 Coase
1
pone per la prima volta alla
riflessione degli economisti due interrogativi, che rappresentano il
dubbio dal quale si sviluppò poi la teoria economica delle
organizzazioni: perché esistono due modi diversi di coordinare le
transazioni? Non possono in realtà prefigurarsi anche altri modi di
coordinamento delle transazioni?
Solo due decenni dopo tuttavia, lo studio dell’organizzazione
entra nell’agenda di ricerca degli economisti, grazie a due contributi
fondamentali. H. Simon
2
e alcuni suoi collaboratori contrappongono
all’uomo perfettamente razionale e informato, ossia all’agente che stava
alla base della teoria economica, l’”uomo amministrativo”. Questo
1
R. H. COASE, 1937, The Nature of the Firm, Economica, n. 4
2
H.A. SIMON, 1952-53, A Comparison of Organization Theories, Review of Economic
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soggetto è mosso dal proprio interesse ma è dotato di razionalità
limitata, e le organizzazioni sono allora strumenti che servono a
semplificare decisioni complesse e ad aiutare i soggetti a prenderle in
condizioni di razionalità limitata. Il secondo contributo è quello di K.
Arrow
3
, il quale costruisce un collegamento tra la teoria economica
“pre-organizzativa” e la teoria dell’organizzazione; al cuore delle
organizzazioni vi è un problema informativo: i soggetti non sono
perfettamente né simmetricamente informati sul comportamento e/o
sulle informazioni di cui dispongono gli altri, ma devono operare con
loro transazioni per la produzione e per lo scambio. Se tutti fossero
ugualmente e totalmente informati non ci sarebbe nessun problema
organizzativo. Da Arrow nasce la teoria dell’informazione, che è alla
base di quella dell’organizzazione, e ai suoi contributi si rifà la teoria
più recente dell’organizzazione elaborata dagli economisti.
Due sono i principali temi trattati dalla letteratura economica
contemporanea sull’organizzazione.
™ Efficienza dell’impresa. Mentre la logistica, cioè lo studio e
l’applicazione di procedure ottimizzanti del processo produttivo, è
lasciato allo studio della ricerca operativa, l’economia si concentra
sui problemi della trasmissione delle informazioni, il controllo e
l’elaborazione delle decisioni. Il problema, battezzato da H.
Leibenstein
4
come inefficienza-X, ossia inefficienza dovuta a fattori
interni alle imprese e non ai mercati, trova nella letteratura recente
Studies, 20 n. 1
3
K.J. ARROW, 1974, The limit of organization, Norton, New York
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la seguente impostazione: sia data una situazione in cui i soggetti
che sono parte dell’organizzazione vengono caratterizzati dalla
diversità delle informazioni di cui dispongono e degli interessi e
obiettivi. Tali soggetti interagiscono nell’organizzazione dando
luogo a relazioni la cui soluzione non è necessariamente efficiente;
il problema organizzativo è allora il seguente: scegliere un disegno
organizzativo a cui corrisponde la massima efficienza possibile.
Questo obiettivo può essere indicato, nell’impresa manageriale con
caratteristiche corporative, dall’insieme dei partners come
mediazione degli interessi di proprietari del capitale, managers e
lavoratori, e nell’impresa capitalistica o manageriale è indicato dal
titolare dell’organizzazione come profitto del proprietario del
capitale o utilità attesa dei managers.
™ Rapporto tra efficienza e dimensione dell’organizzazione. Il
crescere della dimensione di un’impresa implica l’aumento dei costi
organizzativi: ci si chiede allora fino a che punto gli eventuali
minori costi connessi alla maggiore scala di produzione sono
compensati dai maggiori costi organizzativi; in altri termini. fino a
che punto i costi medi totali, inclusi quelli organizzativi, sono
decrescenti.
4
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1.2. – Tempi moderni e paternalismo
Il problema di ogni organizzazione in cui i soggetti che ne sono
parte hanno interessi e informazioni diversi se non opposti, consiste
nell’imporre o stimolare comportamenti che consentano di perseguire
nel miglior modo l’obiettivo dell’impresa. Questo problema riguarda i
rapporti tra titolare e lavoratori dipendenti, e tra titolare e managers.
In realtà da un punto di vista organizzativo la natura del problema
nei due rapporti è analoga: si tratta di individuare strumenti efficaci per
ottenere il massimo impegno e la veridicità delle informazioni
trasmesse. La differenza nel rapporto tra il titolare e questi due tipi di
lavoratori sta nel fatto che i primi sono più lontani dalla diretta
osservazione del titolare, ma hanno uno spazio decisionale assai
limitato, mentre i secondi sono più direttamente osservabili, ma hanno
uno spazio decisionale decisamente maggiore.
I rapporti tra titolare e lavoratori o managers possono essere
caratterizzati da una delle tre seguenti tipologie:
1. rigido controllo delle azioni (“tempi moderni”);
2. incentivi monetari;
3. partecipazioni alle decisioni e/o al profitto globale dell’impresa
(tipico delle imprese cooperative).
Per tempi moderni si intende un tipo di controllo dei dipendenti
da parte del principale il cui obiettivo è convincerli che sono osservati,
e il quale utilizza una minaccia consistente in una penalità elevata, fino
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al limite del licenziamento, in caso di insufficiente impegno
nell’esecuzione del lavoro.
Il controllo presenta una serie di vincoli. In primo luogo è
costoso, dal momento che presuppone un ordine gerarchico;
l’affidabilità dei supervisori può essere aumentata limitandone il
numero oppure offrendo ad essi una condizione contrattuale più
favorevole rispetto a quella dei lavoratori direttamente produttivi. In
secondo luogo, se è sempre possibile controllare la quantità della
prestazione, più difficile è controllarne la qualità: il titolare riesce a
misurare l’impegno dei lavoratori solo dai risultati, ma questi
dipendono non solo dall’impegno. Infine si deve presupporre che ogni
lavoratore sia perfettamente fungibile, ossia che esista un mercato del
lavoro tale per cui il lavoratore eventualmente licenziato sia sostituibile
senza costo per il titolare.
Il metodo “tempi moderni” è in generale integrato o parzialmente
sostituito da regole di etica del lavoro. La motivazione morale a
lavorare con impegno e serietà è una delle regole di comportamento
individuale più tradizionali e radicate, il cui valore consiste soprattutto
nel fatto che riduce il costo dei controlli esterni.
Il paternalismo è appunto una modalità con cui all’interno
dell’impresa è esercitata una pressione volta a conservare l’etica del
lavoro, e il cui obiettivo è l’avvicinamento degli obiettivi dei lavoratori
e del titolare, con l’effetto di ridurre fino ad eliminare i problemi
organizzativi che nascono appunto da una divergenza degli interessi. Il
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“paternalismo” presuppone una visione olistica dell’impresa: il
rapporto tra titolare e dipendenti non è regolato solo da contratti che
definiscono il contenuto della prestazione e la retribuzione, ma è
guidato da un interesse più generale e comune che coinvolge le parti
come persone, anche al di là del compito definito contrattualmente.
1.3. – Teoria dell’agente-principale
L’alternativa alla modalità “tempi moderni” e al paternalismo è
rappresentata dagli incentivi, ossia dall’utilizzazione dell’interesse
stesso dei lavoratori come strumento per ottenere da essi un impegno
nell’interesse del titolare; il problema è quello di trovare un
meccanismo di compensazione che induca il lavoratore al massimo
impegno possibile. Il rapporto principale-agente si crea tutte le volte
che c’è qualche tipo di decentramento decisionale, e si genera in tipi di
situazioni diverse.
Si distingue innanzitutto tra situazioni di adverse selection e di
moral hazard. Nel primo caso l’agente differisce dal principale per il
fatto di disporre, al momento del contratto, di informazioni
asimmetriche rispetto al principale; per esempio, nel caso di un datore
di lavoro che vuole assumere un lavoratore, quest’ultimo conosce le sue
capacità nell’espletare la prestazione richiesta dal contratto, ma tale
capacità non è nota al datore di lavoro. Il problema quindi in questo
caso è che il contratto non riesce a definire correttamente l’impegno
dell’agente. La seconda situazione è quella in cui principale ed agente
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hanno uguali informazioni al momento del contratto. Il caso di moral
hazard può a sua volta essere ulteriormente diviso per rappresentare due
diverse situazioni. La hidden action, che è la situazione in cui l’agente
deve compiere un’azione comportante un impegno che gli genera
disutilità ma che allo stesso tempo ha valore per il principale, poiché
produce un risultato che dipende dall’agente; il principale non riesce
tuttavia a distinguere se il risultato ottenuto è frutto dell’impegno
dell’agente o da fattori diversi, e in particolare dalle condizioni in cui
l’agente ha dovuto agire. Un esempio tipico è quello del datore di
lavoro che, dopo aver assunto un dipendente, non è in grado di
osservare l’impegno con il quale il lavoratore svolge la sua mansione e
non può dedurre l’impegno di quest’ultimo dal risultato prodotto in
quanto questo è influenzato anche da altri fattori. La seconda situazione
è quella di hidden information (o hidden knowledge) in cui l’agente
dispone di informazioni diverse dal principale al momento in cui deve
assumere le decisioni e il principale non è in grado di sapere se egli si è
comportato nel suo interesse. Se, per esempio, la retribuzione del
lavoratore dipende dalla quantità prodotta e dallo “stato del mondo” al
momento della prestazione, quest’ultima variabile sarà nota all’agente
ma non al principale; l’agente allora invierà un messaggio al principale
sullo stato del mondo, ma naturalmente sarà indotto a mentire a proprio
vantaggio.
Possiamo rappresentare la teoria dell’agente-principale
5
con una
5
A. A. ALCHIAN, H. DEMSETZ, 1972, Production, Information Costs and Economic
Organization, “American Economic Review”, n. 62, dicembre.
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situazione molto semplificata. Supponiamo che, se il risultato
dell’impresa è “successo”, il titolare retribuisce l’agente con una
somma w
1
, e se il risultato è “insuccesso” la retribuzione è w
0
; l’utilità
del titolare è data dal profitto dell’impresa, ossia dalla differenza tra
guadagno e retribuzione dell’agente, mentre l’utilità dell’agente
dipende dalla differenza tra il salario e la disutilità della sua azione. Il
titolare è neutrale rispetto al rischio, mentre l’agente è avverso al
rischio. La strategia del principale coincide con la sua mossa, ossia con
l’annuncio del tipo di incentivo; la strategia dell’agente è invece una
regola di decisione che determina la sua azione in corrispondenza
dell’incentivo annunciato. L’equilibrio di questo “gioco” è
rappresentato da una coppia di strategie tali che l’agente sceglie
l’azione che massimizza l’utilità e il principale, conoscendo il
comportamento ottimizzante dell’agente, sceglie il sistema di incentivi
che massimizza il profitto atteso
6
.
Il problema agente-principale unisce in modo inestricabile due
problemi, quello della diversità delle informazioni e dell’attitudine al
rischio. Se eliminiamo quest’ultima, supponendo che l’agente sia
neutrale, vi sarebbe allora una soluzione efficiente qualora il principale
trattenesse sempre una somma fissa lasciando all’agente il residuo.
L’asimmetria informativa non interferisce più con la distribuzione del
rischio: la parte più informata è incentivata a utilizzare la propria
informazione al meglio ed esiste un sistema di incentivi che consente
6
M. RISPOLI, L’impresa industriale. Economia, tecnologia, management, il Mulino, Bologna,
1992
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questa soluzione.
Se invece l’agente è avverso al rischio la soluzione incentivante
migliore è quella secondo cui la retribuzione è almeno in parte una
funzione del risultato, e vi è quindi una certa ripartizione del rischio. Se
l’agente è effettivamente in grado di influenzare l’evento, il suo
comportamento si avvicinerà, ma non raggiungerà, quello ottimale per
il principale se questi fosse perfettamente informato. Infatti il suo
risultato dipende anche da fattori stocastici e, poiché egli è avverso al
rischio, preferirà avere comunque una parte della sua retribuzione non
legata al risultato, anche se il valore di quest’ultima è inferiore rispetto
a quello atteso dell’incentivo.
1.4. – Le forme organizzative
L’emergere dell’organizzazione, e cioè di un insieme di
provvedimenti che congiuntamente definiscono e regolano
l’attribuzione delle attività alle diverse unità e i rapporti di
collegamento tra di esse intercorrenti, rappresenta un momento
essenziale nello sviluppo storico dell’impresa industriale e quindi dei
sistemi economici contemporanei.
L’organizzazione assume rilievo non solo nella sua proiezione
esterna di divisione sociale del lavoro, ma anche nella sua proiezione
interna come strumento per regolare la complessità derivante
dall’aumento delle dimensioni, dall’ampliamento dell’ambito
geografico di operatività, dallo svilupparsi dell’integrazione a monte e a
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valle, dall’ampliamento dei mercati attraverso la differenziazione e
diversificazione. L’individuazione delle diverse soluzioni organizzative
all’interno di una prospettiva di tipo dinamico e storico richiede la
definizione delle caratteristiche delle imprese, in modo tale da
differenziarle secondo linee che siano rilevanti rispetto alle modalità di
direzione e di organizzazione.
1.5. – L’organizzazione unidivisionale (U-form)
1.5.1. – Le caratteristiche
Secondo A. Chandler
7
le trasformazioni organizzative sono una
variabile importantissima nell’evoluzione dell’industria. Gli archetipi
organizzativi sono due: il modello funzionale o unidivisionale (U-form)
e il modello multidivisionale (M-form).
7
A. D. CHANDLER, 1966, Strategy and Structure, Doubleday & Company, Anchor Books
Edition
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(FIGURA 1) – MODELLO ORGANIZZATIVO
UNIDIVISIONALE
Nel modello organizzativo unidivisionale (Figura 1) le diverse
attività operative fanno capo a unità che sono distinte per funzione. Ad
ogni unità compete una funzione produttiva o di servizio che svolge per
tutta la produzione dell’impresa, sia essa rappresentata da un unico o da
più output; vi è un responsabile a capo di ogni unità che risponde
direttamente alla Direzione Generale, che tiene le fila di tutta l’attività
dell’impresa coordinando le varie unità. I managers dell’impresa sono
organizzati in modo gerarchico: al vertice della piramide vi è un
direttore generale da cui dipendono direttamente i responsabili delle
varie funzioni aziendali. La specializzazione ottenuta da ogni unità
consente di sfruttare le economie che ne possono derivare, discendenti
soprattutto dalla specializzazione nei relativi servizi e dalla loro
combinazione unitaria.
DIREZIONE
GENERALE
PRODUZIONE
VENDITE ACQUISTI R&D FINANZA
PERSONALE