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Il manga presenta delle diversità sostanziali dal fumetto occidentale
anche per quanto riguarda la forma di pubblicazione: le storie infatti,
suddivise in episodi, sono pubblicate su delle riviste specializzate, che
possono contenere, in ciascun “numero”, episodi di manga diversi, a
volte prodotti da case di distribuzione diverse.
Ma le differenze più importanti le si riscontrano se si analizzano alcune
caratteristiche delle storie narrate. Intanto nel manga, a differenza di ciò
che avviene in molte produzioni occidentali, soprattutto quelle destinate
ad un pubblico più giovane, le storie hanno quasi sempre una situazione
iniziale che si evolve verso una situazione finale; ed i personaggi non
sono caratterizzati in modo immutabile per l’intera serie, ma durante il
racconto possono avvenire delle mutazioni nel loro carattere, più spesso
in senso positivo, ma a volte anche in senso negativo.
I fumetti ed i cartoni animati prodotti nel mondo occidentale si inscrivono
tutti, chi in un modo, chi in un altro, nel solco tracciato da Walt Disney.
I lavori di Disney erano destinati ad un pubblico per lo più giovane, e per
questo, senza nulla togliere al loro grande fascino che li ha
meritatamente portati ad un successo mai raggiunto da nessun altra
opera del settore, erano caratterizzati da un tipo di comunicazione
abbastanza esplicita, e da un livello di complessità delle vicende non
troppo elevato (questo discorso perde valore se si parla dei
lungometraggi di Walt Disney, i quali, per la complessità delle vicende
trattate, si avvicinano maggiormente alle produzioni nipponiche).
Questa tendenza è rimasta nelle produzioni successive a Walt Disney, sia
della sua stessa casa di produzione, sia di altre che dai suoi lavori furono
influenzate; nelle storie a fumetti e nei cartoni animati americani ci sono
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il buono ed il cattivo, il fortunato e lo sfortunato, il ricco ed il povero, nel
mondo raffigurato di solito il bene vince sul male, non c’è spazio per
l’ingiustizia efferata, se non a breve termine; l’intento è quello di divertire
e coinvolgere il lettore, e nello stesso tempo di comunicargli un
insegnamento in linea con la morale comune.
Anche le produzioni occidentali non disneyane e destinate ad un pubblico
adolescente, come i fumetti della Marvel, presentano questa stessa
concezione schematica dell’esistenza: i personaggi o rappresentano il
Bene, e quindi sono degli invincibili supereroi, o sono dei perfidi
rappresentanti del Male. In un caso o nell’altro non esiste
caratterizzazione psicologica profonda, né un minimo di indecisione o di
ambivalenza nei comportamenti dei soggetti.
Il manga giapponese invece, non è destinato solo ai bambini o agli
adolescenti, ma anche agli adulti, uomini o donne (anche il cartone
animato giapponese, il cosiddetto anime, presenta, in numero minore
rispetto ai fumetti, delle produzioni non destinate specificatamente ai più
piccoli); e per venire incontro ad un target spesso maturo le vicende
narrate sono dotate di un livello maggiore di complessità; nello stesso
tempo il manga rinuncia a raffigurare un mondo perfetto, ma piuttosto si
sofferma sugli aspetti più inquietanti e negativi dell’esistenza, sostituendo
in questo modo ai toni spensierati delle produzioni americane atmosfere
a volte drammatiche, a volte cupe (è significativo il fatto che nel fumetto
occidentale il tema della morte è quasi completamente bandito, quando
invece nel manga è una tematica addirittura inflazionata).
In questo modo l’intento pragmatico immediato di divertire educando
nello stesso tempo ai buoni sentimenti ma anche nascondendo gli aspetti
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più negativi dell’esistenza, tipico del prodotto occidentale, è messo da
parte, a favore di una comunicazione meno immediata ma più profonda,
a favore del racconto di una storia che evoca significati nascosti, che
vanno al di là del mero fatto raccontato.
Saranno proprio questi significati profondi celati nel fumetto giapponese
l’oggetto della nostra ricerca.
La letteratura, della quale il fumetto è una moderna espressione, è
sempre stato un veicolo privilegiato usato da scrittori e poeti per
raccontarsi, e raccontare esperienze che i lettori fossero in grado di
condividere.
Attraverso un testo letterario, come attraverso qualsiasi altra opera
artistica, è possibile esprimere l’inesprimibile, ciò che cioè non ha una
rappresentazione concreta nella coscienza, ma esiste soltanto come forza
che anima l’individuo dall’inconscio.
Secondo la teoria psicoanalitica nell’inconscio risiedono tutti quei desideri
il cui soddisfacimento è per l’Io inaccettabile, ed ai quali l’accesso nella
coscienza viene sbarrato; essi, dimorando nell’inconscio, continuano a
sollecitare l’individuo affinché vengano diretti verso un oggetto che ne
provochi il soddisfacimento.
Esistono dei legami “tra i contenuti di fantasie inconsce (o “fantasmi”)
dell’artista e l’ “oggetto” estetico da questi prodotto o prescelto: tale
oggetto, così come il sogno, il lapsus linguae, il “motto di spirito”, si può
configurare come una particolare forma espressiva e nello stesso tempo
difensiva, rispetto a quel materiale inconscio, generalmente “rimosso”.
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Tale materiale viene espresso non direttamente, ma attraverso simboli,
che contribuiscono a realizzare un’esibizione e nello stesso tempo un
mascheramento.
Nella misura in cui questa duplice funzione viene efficacemente ottenuta,
la configurazione percepita risulta gradita ed affascinante per uno
spettatore dotato di caratteristiche di personalità analoghe “
1
.
In questo senso l’opera d’arte costituisce l’appagamento simbolico del
desiderio, tanto per l’artista quanto per il destinatario.
E’ molto interessante a questo punto il discorso che fa Jung sul
cosiddetto inconscio collettivo, che sarebbe quella porzione dell’inconscio
che contiene strutture psichiche identiche per ogni essere umano.
Queste strutture vengono da lui chiamate archetipi. Per la precisione
l’archetipo è una predisposizione a determinate prestazioni psicologiche
innata e non rappresentabile. Secondo Jung esso si può far risalire ad
una particolare conformazione del sistema nervoso.
L’immagine archetipica invece consiste nell’ “aspetto fenomenico
condizionato dalla storia e dalla cultura da cui si può desumere per via
ipotetica l’esistenza di una struttura archetipica della psiche”
2
.
L’archetipo è il sedimento delle esperienze collettive di tutta l’umanità, e
viene trasmesso da una generazione all’altra per via ereditaria con un
meccanismo di tipo lamarckiano.
Un esempio di immagine archetipica è la polarità Dio-Diavolo, presente
nella dottrina cristiana, che altro non è se non l’espressione di un
1
Bonaiuto, Batoli, Giannini: Contributi della psicologia dell’arte e dell’esperienza estetica pagg. 21-22 – Edizioni
psicologia, Roma, 1994
2
Carotenuto: Trattato di psicologia della personalità pag. 205 - Raffaello Cortina Editore,1991
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desiderio presente nell’inconscio di ciascuno di noi, quello di separare
nettamente il Bene dal Male, e conferire ad essi un’essenza metafisica.
A proposito della separazione tra Bene e Male, desiderata inconsciamente
da ogni uomo, Jung distingue all’interno dell’inconscio di ogni individuo
gli archetipi della Persona e dell’Ombra, che rappresentano
rispettivamente il lato della personalità giudicato buono e mostrato in
pubblico, ed il lato cattivo del proprio essere, tenuto nascosto fuori dalla
coscienza.
E’ stato ampiamente dimostrato da studiosi e psicologi come con le opere
artistiche e letterarie spesso si sia data voce all’inconscio, tanto
all’inconscio individuale dell’autore, quanto a quello collettivo,
quest’ultimo attraverso l’espressione di un archetipo all’interno di
un’opera d’arte.
Anche per quanto riguarda il manga si può ipotizzare che le storie
raccontate, al di là delle evidenze, frequentemente trasmettano
esperienze psichiche profonde identificabili con gli archetipi.
Un altro concetto che non possiamo trascurare in quanto strettamente
legato a quello di rimosso e di inconscio è quello di “valore”.
I valori di un individuo indirizzano la censura degli elementi psichici
inaccettabili, mentre i valori comuni di una società o dell’umanità intera
operano una censura uguale per tutti, dando vita così all’inconscio
collettivo.
Nella società giapponese i valori sono molto rigidi, la vita sociale è
fortemente strutturata, e gli individui hanno difficoltà a trovare un libero
appagamento dei propri desideri nel mondo esterno; essi vivono in uno
stato di forte inibizione per quelle che sono le loro aspirazioni più
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personali, più vere, che però li porterebbero a discostarsi da come li
vorrebbe la società e la morale comune.
Nella vita sociale per un individuo in Giappone è già tutto scritto, è già
deciso, e viene lasciato pochissimo spazio all’inventiva personale.
Nel mondo dei manga invece è permessa la violazione delle regole e di
fronte al fumetto la società non ha mai dimostrato un atteggiamento
eccessivamente repressivo; piuttosto per certi versi si identifica con esso,
giustificando le frequenti e radicali deviazioni dalla norma che spesso in
esso sono raccontate con la dimensione fantasiosa e lontana dalla realtà
che lo caratterizza, e magari riconoscendogli l’importante ruolo di valvola
di sfogo, che indirettamente permette un più facile mantenimento
dell’ordine nel mondo reale.
Da questo ragionamento è logico dedurre che il manga sia uno strumento
che permetta l’espressione della dimensione inconscia dell’individuo
giapponese, censurata nella realtà quotidiana, e che consenta di allargare
i confini della sua esperienza psichica al di là dei rigidi condizionamenti
che nella vita di tutti i giorni gli sono imposti.
Attraverso l’analisi di alcuni tra i più famosi manga giapponesi si cercherà
di dimostrare come le loro storie tradiscano dei significati latenti,
riconducibili alle strutture archetipiche dell’inconscio collettivo.