degni di nota. Un motivo è la leggendaria e spesso effettiva
arretratezza culturale del passato del Piemonte, per cui il concetto di
periferia (in riferimento all’Arte, ma facilmente generalizzabile),
formulato da Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg, si confà alla
valutazione che di questa regione si è data fino ad oggi; essa è stata
frequentemente assimilata ad una zona in ritardo rispetto a quella rete
di centri cittadini che dalle origini caratterizza la penisola italiana.
Lo scritto è nato con l’intenzione di esaminare e rivalutare la vita
e l’opera di una letterata di nascita e formazione culturale
piemontese; proposito sarebbe il riportarne in auge non solo le
specificità artistiche, un obiettivo è infatti di analizzarne tutti gli
scritti (anche se con notevole difficoltà poiché in parte inediti o
pubblicati soltanto nel XVIII secolo e nella quasi totalità ignorati
dalla critica), ma anche le concrete condizioni di vita.
1
G.NOVELLINO, Vie di Cherasco. Gli antenati sulle targhe delle strade, in La Stampa (edizione di Cuneo), 4
novembre 1998, p. 5.
2
La traversa che porta da corso Einaudi al balcone panoramico di via Vigne.
3
La “città delle paci” non è che Cherasco, cittadina appellata in tal modo per il passato denso di avvenimenti
guerreschi, a cui sono succedute altrettante riconciliazioni, che la caratterizza.
4
Su delibera del 12 ottobre 1998.
5
Si fa riferimento agli articoli di A.MANGO,“Gli Innominati, chi erano costoro?”. La prestigiosa attività
dell’Accademia degli Innominati, in “C.R.B. Notizie”, III (1987), n°1, p. 8-11 e F.B.GIANZANA, Benedetta Clotilde
Lunelli e la cultura al femminile del XVIII secolo in Piemonte, in “Cuneo Provincia Granda”, XXXIX (1990), n°2, pp.
57-63.
BENEDETTA CLOTILDE LUNELLI: LA VITA
Introduzione
Nel corso del Settecento il Piemonte acquisisce sempre maggior
peso e prestigio nella politica internazionale, seguendo un lento
processo che lo renderà, nel periodo successivo, partecipe dei
movimenti europei. Nel XVIII secolo letterati, storici ed eruditi
danno infatti il via a quella idealizzazione subalpino-italiana che
giunge a compimento nel periodo risorgimentale e che sostiene il
Piemonte quale guida verso l’unificazione dell’Italia. Il
rinnovamento settecentesco abbraccia tutti i campi di studio e di
indagine, grazie ad un articolato piano riformistico dei Savoia ed in
particolare di Vittorio Amedeo II, che con le Regie costituzioni del
1723 e 1729 conquista la reputazione di protettore delle lettere e
propulsore del risveglio culturale, riorganizzando l’università di
Torino e favorendo le accademie ed i centri di formazione
intellettuale che, già numerosi, crescono ulteriormente nella seconda
metà del secolo: dopo gli anni cinquanta nascono l’accademia Reale,
il Collegio dei Nobili, la scuola d’Artiglieria, la Società Privata,
l’accademia dell’Agricoltura, la Filopatria e la Sanpaolina.
In questo particolare contesto è comprensibile l’interessante
figura di Benedetta Clotilde Lunelli, che ripete lo schema già aperto
da altre donne nel XVII secolo e che trova appoggi nella politica del
prestigio filogovernativo; infatti, l’annoverare tra i propri cittadini
una donna di cultura fuori dalla norma, alla cui formazione
usualmente cooperano gli ordini religiosi, ritorna a gloria dello stato
e dei centri d’istruzione che in esso operano. Bisogna rilevare come
la mediazione maschile, nonostante l’appoggio del patronage
femminile, sia stata dato costante nella costruzione delle carriere
muliebri; Selvaggia Borghini rappresenta un analogo caso precoce
ed esemplare “di…strategia culturale orchestrata dall’esterno
1
”, non
in senso accademico, come quella più tardiva della bolognese Laura
Bassi, ma nell’ottica disciplinante arcadica.
La nascita: le famiglie
Nata il 6 ottobre 1700, durante quel ciclo atmosferico ventennale
che fu la causa di una grande carestia che interessò gran parte
d’Europa e che culminò nel rigidissimo inverno del 1709, Benedetta
Clotilde Lunelli è figlia di Maria Teresa Tapparelli di Cortemiglia e
del conte Giovanni Francesco Lunelli
2
di Cherasco, esponenti di due
importanti famiglie del ducato di Savoia. Già il giorno dopo la
nascita, il 7 ottobre (questo dato contribuisce a farci comprendere gli
orientamenti religiosi familiari, ma ci permette anche di ipotizzare
una possibile indisposizione della neonata), viene battezzata domi
per necessitatem.
Ella è la primogenita di sei fratelli: Giorgio Ottavio, futuro
cistercense e priore di Lucedio, nato il 12 agosto 1703 e morto il 26
settembre 1766; Carl’Antonio, erede del titolo nobiliare paterno, che
nasce il 17 agosto 1704, sposa nel 1731 Clara Ruffini di Diano nel
1731 alla presenza della principessa Isabella di Savoia Carignano e
muore il 5 settembre 1800; Giuseppe, nato il 9 febbraio 1709 e morto
sacerdote il primo giugno 1742; Francesca, nata il 20 novembre 1709
(ma la data è incerta), che il 9 giugno 1727 sposa il conte Flaminio
Vacca di S.Michele morendo due anni dopo forse per il parto
dell’unica figlia, che raggiunta l’età da matrimonio si congiunge con
l’allora conte Chiesa di Isasca; in fine Edvige, nata il 22 settembre
1715, che si sposa nel 1730 con il conte Bollens di Demonte e nel
1741, ad Asti, con Malabajla di Antignano, per poi morire il 17
agosto 1757.
I Tapparelli
I Tapparelli
3
ebbero come capostipite Chioffredo signore di
Maresco (vivente nel XII secolo), guelfo di probabile origine
bretone, che diede origine a tre discendenze ben distinte: i signori di
Maresco, i signori di Genola e infine i signori di Lagnasco, linea
originantesi da un certo “Pietrino”, di cui Maria Teresa faceva parte;
ella era la seconda o la quarta figlia (tali discrepanze sono
riscontrabili nei documenti conservati presso l’Archivio Tapparelli
d’Azeglio) della contessa Lucrezia Sasero e di Agostino Antonio,
sposatisi nel 1651 e genitori del conte Alessandro Tommaso,
probabilmente terzogenito, nato nel 1661; quest’ultimo sposò
Caterina Leone di Beinasco e alla morte del padre, come di norma in
una società che proibiva ad una donna di gestirsi autonomamente,
divenne tutore delle sorelle: fu lui, infatti, a firmare il documento
dotale che sanciva l’unione di Maria Teresa e del suo sposo.
Il casato, grazie a numerose prove di nobiltà che si succedettero
nel tempo dal lontano 1334 fino al 1812, agli studi relativi all’albero
genealogico svoltisi tra il 1358 ed il 1781, e alle ricerche attuate tra il
1614 e il 1747 riguardanti le armi gentilizie e il blasone,
controfasciato d’argento e rosso corredato dal motto mater dei
memento mei e dal grido d’arme dacord dacord
4
, mantenne nel corso
dei secoli un certo potere politico vantando ambasciatori (un Oddino
fu ambasciatore di Savigliano presso Cherasco nel 1300), beati,
governatori (un Giorgio Tapparelli di Genola venne nominato
potestà di Cherasco da Emanuele Filiberto di Savoia nel 1560 e
rimase in carica almeno fino al 1565), consiglieri e, unica donna di
cui ci rimanga una documentazione particolareggiata, Cristina, figlia
d’amore
5
della prima Madama Reale Maria Cristina di Francia
6
.
I Lunelli
I Lunelli ci appaiono come una dinastia di nobiltà ancora più
vetusta rispetto ai Tapparelli; originari di Lunello, insigne baronia
del contado di Tolosa, fuggirono dalla Spagna di allora perché
privati dei loro beni a causa di un saccheggio. Stabilitisi in Italia
presso Saluzzo, si trasferirono ben presto nella nascente Cherasco
del XIII secolo; numerosi loro esponenti presero parte ad affari
ragguardevoli della loro cittadina d’elezione
7
: ne troviamo i nomi nei
documenti relativi a partire dal 1228, con un Giorgio benedettino,
dottore di leggi e delegato apostolico, e nel 1271 e nel 1277 con un
Guglielmo “aderente” del comune, nel 1299 con un Anselmo
capitolatore, nel 1375 con un’Hippolita Lunella “nobilissima”
consorella della beata Margarita di Savoia nel Monastero di Santa
Maria Maddalena di Alba…E poi con priori, rappresentanti della
nobiltà, sindaci, consiglieri, podestà, cavalieri dei SS. Maurizio e
Lazzaro, fino ad un Gianfrancesco Lunello di Cherasco, omonimo
del padre di Benedetta Clotilde, autore di alcuni epigrammi latini
scritti nel 1618.
L’insegna gentilizia dei Lunelli venne descritta nel 1685
dall’avvocato e giureconsulto Ottavio Lunello, nonno di Benedetta
Clotilde morto nel 1693, che provò in tal modo l’autenticità dello
stemma; essa consta di tre lune crescenti d’oro in campo azzurro con
elmo e aquila nera ad ali spiegate; il motto relativo è sub te rueor o
sub te tutior, a seconda della disciplina e dell’ambito a cui si fa
riferimento. Gianfrancesco fu il secondogenito di Anna Paola di
Galeazzo Scarampi di Roccaverano (appartenente ad una delle stirpi
fondatrici di Cherasco, fra le quali spiccano anche i Manzano, primi
abitanti del castello omonimo che con la sua mole domina la Stura)
investito con il signorato nel 1695; suo fratello Giuseppe era un noto
cavaliere.
La patria
Aspetti di Cherasco
La cittadina di Cherasco, a fine Settecento capoluogo di una
delle undici province del Piemonte proprio
8
, ebbe un passato
militare glorioso e ricco di avvenimenti che le valse il soprannome di
“baluardo del Piemonte”: ben sei furono gli assedi che i suoi abitanti
si trovarono a fronteggiare. Sorta per motivi strategici sull’estremità
di una terrazza che si protende dall’Alpe marittima di Mondovì fino
ai pendii cheraschesi, le cui pendici scoscese sono bagnate dai fiumi
Stura e Tanaro, fu prontamente circondata e difesa dalle mura
dell’antico castello dei Manzano quando, tra 1225 e 1259, rinnovata
la Lega Lombarda contro Federico II, ebbero luogo le lotte tra le
fazioni dei guelfi e dei ghibellini.
A Clarascum fu data pianta quadrata a castro romano, con ampie
vie dritte a pura croce latina, su cui si affacciano chiostri e palazzi
austeri ad un sol piano, come prescrivevano gli statuti della piazza
fortificata che non venne mai arricchita da costruzioni esteriormente
oltremodo eleganti proprio per le sue finalità militari e a causa dei
molti saccheggi a cui fu sottoposta (dal 1525 al 1527 fu presa sette
volte e razziata due), adorni di archetti in mattoni e fasce in
terrecotte e corredati da saloni ricchi ed affrescati; tra di essi si
distingue palazzo Salmatoris, in cui dimorarono Vittorio Amedeo I e
la prima Madama Reale nel 1631 con la corte, i magistrati ed i
tribunali per scampare alla peste da cui Cherasco rimase immune,
Vittorio Amedeo II e la seconda Madama Reale nel 1706 col seguito
ed i funzionari comunali recanti la Sindone (decorosamente riposta
nella saletta “del silenzio”) per fuggire i francesi che assediavano la
capitale sabauda
9
; quasi un secolo dopo anche Napoleone vi
soggiornò, per dettare al marchese Costa di Beauregard e al Barone
La Tour le condizioni di resa della monarchia sabauda.
Situazione politica
La giovane Cherasco perse presto l’indipendenza, nel 1260,
passando sotto il dominio degli Angioini; nel 1347, tuttavia, si diede
spontaneamente al conte verde, Amedeo XI di Savoia, che ne fu
privato l’anno successivo a favore di Luchino Visconti. Nel 1368
andò agli Orléans e transitò in ordine di tempo nei domini inglesi,
francesi, spagnoli e savoiardi; nel 1500 fu campo di guerra tra gli
eserciti di Francesco I di Francia e Carlo V di Spagna e con la pace
di Cateau-Cambresis tornò ai Savoia, in specifico ad Emanuele
Filiberto, ma sotto custodia della Spagna che ne elesse come suoi
rappresentanti i governatori de Luna, molto probabilmente
assimilabili ai Lunellus o Lunel, Lunello, Lunelli, che troviamo
quasi ininterrottamente alla reggenza della cittadina e che tra XVI e
XVII secolo raggiunsero l’apice di potere.
Il palazzo dei Lunel di Cortemiglia
La cittadina di Cherasco è attraversata da quelle strade che fin
dagli albori ne sono state le arterie principali, anche se nel corso dei
secoli i nomi di esse sono mutati: via Cavour, via Garibaldi e la
centrale via Vittorio Emanuele su cui si affaccia, al numero 21, il
palazzo dei “Lunel” di Cortemiglia
10
, in cui nacque Benedetta
Clotilde Lunelli; edificato nel XIV secolo, venne rimaneggiato più
volte fino ad assumere l’aspetto attuale nel Seicento.
La parete esterna conserva ben poco dell’antico splendore,
essendo decorata da un sobrio trompe-l’oeil a finte finestre ormai
quasi completamente scomparse poiché erose dalle intemperie e
scolorite dal sole. All’interno è invece intatto il porticato tipico delle
abitazioni nobiliari cheraschesi, come il primo dei due giardini che
tradizionalmente le adornavano; il secondo, o jardin potager,
appartiene da tempo al terreno di un altro stabile.
L’infanzia
Agli albori del Settecento, la famiglia di Benedetta Clotilde sta
attraversando una lenta decadenza parallela alla perdita di potere
degli spagnoli in Piemonte: altri sono ormai i popoli ed i casati che
governano queste ricche terre. I Lunelli non si arrendono al
trascorrere del tempo che li priva a poco a poco dei loro antichi
privilegi, ma si adoperano al fine di conservare e rinforzare le
prerogative che di diritto gli spettano. Per mantenere “alto” il proprio
nome urge un repentino avvicinamento alla dinastia dei Savoia con
cui essi cercano di moltiplicare gli opportuni contatti. Nel caso
specifico, pretesto ottimale si dimostra la decisione circa la carriera
verso la quale avviare il prescelto giovane erede, da investire del
titolo nobiliare di conte, dignità che nella stragrande maggioranza
delle volte si tramanda dal padre al figlio maschio, specialmente in
una situazione come questa, in cui non sembrano esistere altri parenti
stretti papabili o interessati ad accollarsi tale presunto beneficio. Uno
sbocco opportuno, tradizionale in Piemonte, è rappresentato dalla
professione militare, esplicantesi nell’adesione ad almeno un ordine
di cavalleria (i più ambiti sono quello di Malta, l’ordine supremo
della Santissima Annunziata e, per concludere, l’ordine dei santi
Maurizio e Lazzaro di cui, fin dalla fondazione, molti Lunelli fanno
parte); un’altra possibilità è assicurare al giovane una sistemazione
presso la corte sabauda, per permettergli di entrare nelle grazie dei
duchi o di altri personaggi di spicco, tramite una studiatissima
gestione dell’etichetta da parte della famiglia ed eventualmente di un
assoldato esperto. In questo caso, però, il primogenito, che spesso
veniva indifferentemente dal sesso formato al fine di poter gestire il
patrimonio in caso di necessità, è una bambina, e aspettando che il
secondogenito Carl’Antonio cresca, i conti cercano di predisporre
congiunture favorevoli ad approntare una propria personale intesa
con i Savoia
11
. Al tempo è nota la munificenza di Madama Reale
Giovanna Battista di Savoia-Nemours che, anche dopo essere stata
costretta a lasciare la reggenza a favore del figlio Vittorio Amedeo
II, onora della sua protezione le lettere e le arti. La sovrana segue la
giovane consuetudine del patronato femminile
12
, inaugurata da
Cristina di Svezia nel 1690 con la fondazione dell’Arcadia, che
proprio in questi anni si arricchisce di nuove esponenti quali la
granduchessa Maria Vittoria della Rovere, che da fine Settecento
protegge l’accademia senese esclusivamente femminile delle
Assicurate e la poetessa Maria Selvaggia Borghini, di Maria
Casimira di Polonia che, insieme alla principessa Cesi Ruspoli,
ospita l’Arcadia nel suo palazzo una volta l’anno ed è mecenate
teatrale, e infine, ma questo esiguo elenco potrebbe essere
notevolmente arricchito, di Beatrice Violante e Anna Maria Luisa di
Baviera, che sostengono l’illetterata improvvisatrice Menichina della
Legnaia (oltre che la già citata Selvaggia Borghini).
È possibile che nel 1706, quando Madama Reale si trova
costretta ad allontanarsi da Torino per motivi di sicurezza dettati dal
pericolo costituito dall’esercito francese (che proprio in quell’anno
assedia la capitale), e ad abitare a Cherasco, per quanto ci è dato di
sapere, almeno nel periodo che intercorre tra maggio ed ottobre,
abbia approfondito la propria superficiale conoscenza della famiglia
Lunelli. La provvisoria residenza della duchessa, palazzo Salmatoris,
si innalza vicino alla dimora di Benedetta Clotilde e mille sono i
destri in grado di fungere da appigli per gli oculati genitori che
ordiscono una presentazione della bimba all’anziana sovrana la
quale, forse, accorgendosi di una sua presunta superiorità
intellettuale rispetto ai coetanei, la esorta ad applicarsi all’indefesso
studio e all’“esercizio di tutte le virtù morali, e civili
13
”, che
effettivamente caratterizzano la gioventù della cheraschese e ne
influenzano i futuri scritti. Proprio in quegli anni la gran dama cerca
di dare un indirizzo moralizzante alla vita di corte: dopo un’esistenza
considerata da molti non proprio esemplare, la duchessa vive
l’ultimo periodo della sua vita movimentata come un lento
riavvicinamento alla religione, recandosi sempre più frequentemente
nel convento delle Carmelitane Scalze di Torino per pregare e
meditare anche intere giornate. Mary Wortley Montague, moglie
dell’allora ambasciatore inglese in Turchia, è testimone d’eccezione
dell’ondata di spiritualizzazione che investe i nobili savoiardi; nei
primi anni del Settecento ella viaggia in tutta l’Europa e nel 1718
visita Torino ammirandone palazzi e piazze, ma anche rilevando che
“la grande devozione in cui è caduta (l’affermazione acquisisce per
l’uso del verbo “cadere” una chiara negatività) la corte sabauda, non
permette al principe Vittorio Amedeo II “alcuno degli intrattenimenti
adatti alla sua età
14
”.
Non è da escludersi che Madama Reale, durante la suddetta
obbligata permanenza a Cherasco, si sia impegnata con la famiglia
Lunelli a prendere, in un futuro non lontano, la geniale piccina sotto
la propria protezione; tale vincolo farebbe parte di un disegno più
complesso della dama a favore di una sua tutela personale del
territorio che corrisponde all’attuale provincia granda
15
, progetto che
al tempo si sta verificando.
La giovinezza
L’Accademia degli Innominati
È proprio a Cherasco che la seconda Madama Reale patrocina il
conte Guerra, nella cui dimora prende posto parte della corte nel
1706, fondatore dell’Accademia degli Innominati di Bra e Cherasco,
così chiamati perché dichiarano sia sufficiente l’ombra della sovrana
a proteggerli (secondo il famoso detto di Lucano sat magni nominis
umbra) e poiché aborrono gli strani nomi accademici tanto in voga;
essi scelgono la cifra della duchessa, sormontata dalla corona reale
in campo azzurro, come impresa e Teresa di Gesù come santa
patrona.
Questo cenacolo di vita culturale, dal nome di gusto
“manzoniano” e in verità perfettamente aderente alla moda
dell’epoca di conferire ai circoli appellativi bizzarri e stravaganti, ha
un forte ascendente sulla futura opera poetica di Benedetta Clotilde
Lunelli, che sarà la prima donna a prendervi parte; in seno ad esso
ella compie le sue iniziali esperienze poetiche.
La suddetta accademia è una della più rilevanti d’Italia
considerandone i seri propositi, le pubblicazioni ed i soggetti ascritti
ed è la più rinomata dell’attuale provincia di Cuneo, in cui, a dispetto
di quanto sta succedendo in Piemonte, nascono pochi circoli
culturali; essa ha già avuto dal 27 Luglio 1702 come proprio fautore
e primo Principe il conte Bobbio Pier Ignazio della Torre,
soprannominato l’“Incostante
16
”, consigliere di M.R., giudice
saluzzese molto colto, aderente a numerose e note istituzioni
sapienziali tra le quali l’Accademia della Crusca e l’Arcadia romana.
Giovanna Battista di Savoia Nemours reitera la fondazione della
stessa “società”, il 15 ottobre 1703, al seguito della sua chiusura
obbligata dovuta a motivi di forza maggiore: la guerra di successione
spagnola infatti colpisce il Piemonte direttamente dal 1703 e non
permette alla sua gente di dedicarsi alle “opere di pace”.
L’Accademia degli Innominati è l’unica società letteraria
riconosciuta come colonia arcadica in Piemonte dal Custode
Generale dell’Arcadia Giovan Mario Crescimbeni
17
, con un diploma
controfirmato il 23 settembre 1717 da sedici Innominati: letterati,
medici, avvocati, teologi, quasi tutti nobili. Decisiva è
l’appartenenza ad essa di intellettuali di un certo livello come
Andrea Valfrè, accademico Apatista a Firenze e Incolto a Torino che
traduce, tra le altre cose, i tre libri “De partu Virginis” del
Sannazzaro, i “Farsalia” di Lucano e “Il Cid” di Corneille.
Anche il noto Tommaso Operti è un Innominato e pubblica un
poema latino atto ad esaltare San Giovenale: l’ “Africanus Antistes
seu Juvenalis africani gesta”.
Giovan Battista Bonino, secondo Principe accademico, è uno dei
più importanti accademici braidesi, stimato sia a corte che negli
ambienti religiosi, egli copre diverse cariche ecclesiastiche. Come
appartenente all’Accademia dei Fulminati e a quella degli Incolti di
Torino, pubblica una raccolta di sue poesie in italiano, “I Gigli di
Parnaso”, citata da storici della letteratura italiana al livello di
Tiraboschi e Crescimbeni. Muore nel 1706, quando ancora è
investito del titolo di Principe accademico.
Altri noti accademici sono il teologo Giovanni Antonio Brizio
(Geresco Chemario), il Protonotario Apostolico Antonio Zorgnoto
ed il senatore Domenico Martinengo Coppa d’Alba.
Il periodo di massimo splendore per l’Accademia degli
Innominati è quello compreso tra il 1713, nel 1720 essa raggiunge il
maggior numero di aderenti cioè ben 140, e il 1724, anno di morte
della Protettrice; nonostante una continua e costante decadenza,
l’attività dei suoi membri è testimoniata fino al 1741, quando alcuni
di essi dedicano una corona poetica all’Innominato Giuseppe Filippo
Porporato, appena nominato vescovo di Saluzzo, e non si chiude che
a fine secolo, conseguentemente ai moti francesi e agli avvenimenti
che la Rivoluzione del 1789 porta con sé.
Le sedute degli Innominati si tengono in una sala del palazzo
degli Operti, in via “Mendicità Istruita”, ma nel 1717, a riprova
dell’accresciuta importanza dell’accademia, la loro sede viene
trasferita nella villa “del Belvedere”, in cui risiede l’abate
protonotaio Bartolomeo Reviglio che conserva un misterioso, in
quanto oggi ignoto, indice dei nomi dei pastori, e al cui posto ora
non v’è che il Giardino della Rocca. Le “ragunanze” più solenni si
svolgono da tale anno al 1720 e vertono su problemi o argomenti
sacri, politici, morali o letterari; memorabili sono l’adunanza in
occasione della morte del principe Vittorio Amedeo a cui è dedicata
la raccolta di prose e poesie intitolata “Le lacrime delle muse
Innominate di Bra” e quella atta a celebrare la vittoria riportata a
Zenta contro i turchi da Eugenio di Savoia.
Prova della fama dell’accademia braidese è l’aderenza ad essa di
illustri scrittori non solo piemontesi, ma italiani, quali il fiorentino
Antonio Maria Salvini ed il bolognese Pier Iacopo Martelli o come
Gerolamo Gigli, scrittore ed erudito settecentesco che raccoglie e
pubblica le opere di Santa Caterina nel Dizionario Cateriniano e che
si rivolge agli Innominati per avere un’opinione attendibile circa le
locuzioni della donna e, ricevuta una dotta risposta dal Conte
Reviglio, la inserisce nel testo citato.
Gli studi
Addentriamoci nella vita di Benedetta Clotilde: non abbiamo
nessun documento che ci dia notizie su di lei prima del 1714. Il 28
ottobre di tale anno ella viene cresimata dal vice curato della sua
città natale Berale, alla presenza dei parenti Giuseppe Francesco
Guerra e Lucrezia Genna di Cocconato; quindi, dopo aver studiato
privatamente, seguita dal lettore pubblico di Cherasco frate
Arcangelo Motta le materie del corso di filosofia, approfondimento
corrispondente al periodo terminale di quella che più tardi sarà
chiamata scuola secondaria, ne sostiene a Torino l’esame pubblico.
Ricordiamo che proprio del Settecento è il dilettantismo
18
,
modus vivendi che ha come maggiori rappresentanti il pastore arcade
che coltiva la sua passione per la poesia, il bello spirito e la preziosa
che si dedicano all’apprendimento di quella che allora si chiamava
genericamente filosofia, cioè una superficiale cultura enciclopedica.