61
borghese e sopprimere il parlamentarismo, adottando una democrazia più completa con
istituzioni veramente rappresentative.
5
L’espressione della ‘democrazia borghese’ è, per
Lenin, il parlamentarismo, che serve alla borghesia per opprimere il popolo; la
‘democrazia proletaria’ crede nel principio della eleggibilità, ma vuole trasformare le
istituzioni rappresentative da mulini di parole in organismi che lavorino realmente. La
‘democrazia proletaria’ sostituisce il parlamentarismo venale e corrotto della società
borghese con altre istituzioni rappresentative senza divisione tra lavoro legislativo ed
esecutivo.
6
Quindi per Lenin la ‘democrazia proletaria’ è condizionata dalla dittatura
proletaria, e la dittatura proletaria è condizionata dal partito comunista; per lui gli
oppressori capitalisti non costituiscono il dissenso, ed in ogni caso la democrazia attuata
con la dittatura proletaria resta contraria alle istituzioni rappresentative e parlamentari.
Inoltre precisa che la democrazia è una tappa dal “capitalismo al comunismo”, infatti “la
democrazia significa soltanto eguaglianza formale”, vale a dire che essa è solo “il
riconoscimento formale dell’uguaglianza tra i cittadini”.
7
Trotsky nello scritto Terrorismo e comunismo del 1920, dove, polemizzando con
Kautsky, precisava che la dittatura del proletariato era diversa dalla democrazia: i
comunisti non credevano alla ‘metafisica della democrazia’ con i suoi principi di
‘sovranità popolare’, di ‘suffragio universale’, di ‘libertà individuale’; questi principi erano
stati utili al terzo stato per combattere il feudalesimo aristocratico, poi erano serviti alla
borghesia per affermare il suo potere sociale ed economico attraverso il
parlamentarismo.
8
Questa sfiducia nella ‘democrazia formale’ venne ribadita da Trotsky
in tutti i suoi scritti: le istituzioni democratiche non erano rispondenti alle esigenze della
rivoluzione proletaria: il sistema politico sovietico non era da identificare con la
‘democrazia formale’.
9
Dalle ricerche compiute da Ithiel de Sola Pool sul giornale “Isvetia”, risulta che dopo
il 1920 la parola ‘democrazia’ venne usata poco negli editoriali, e quasi sempre con
valore negativo; era convinzione comune della stampa bolscevica che la democrazia
avesse perduto il suo significato politico, e che prima o poi avrebbe fatto la fine del
capitalismo.
10
In Italia Antonio Gramsci su “Il grido del popolo” del 7 settembre 1918
affermava che la democrazia italiana era soltanto “una parola, una frase fatta, un figurino
5
Cfr. V.I. Lenin, Opere, op.cit., p. 373
6
Op.cit., p. 400
7
Op.cit., p. 433
8
V. L. Trotsky, Terrorismo e comunismo, 1920
9
Cfr. S. Mastellone, Storia della democrazia in Europa da Montesquieu a Kelsen, Torino, Utet, 1986, p. 314
62
alla moda anglo-americana”; egli credeva che la democrazia borghese era condannata a
morire “per la sua riluttanza ad accogliere e rispettare una disciplina politica di partito”.
Gramsci non credeva che fossero validi i sistemi delle democrazie liberali occidentali;
sarebbero state necessarie nuove forme rappresentative attraverso le quali esercitare la
sovranità popolare.
11
Gli operai europei condividevano il pensiero di Lenin che
bisognava abbattere il parlamentarismo sorto dalla finta sovranità del suffragio
universale, e liberarsi ‘dal culto della democrazia’; ma il rifiuto più categorico riguardava
la rappresentanza democratica, uno strumento falso ed ambiguo utilizzato dalla
borghesia per restare al potere e per impedire con i suoi accorgimenti e compromessi la
vittoria finale del proletariato.
12
Se il comunismo sembrava essere una soluzione politica realizzabile in Europa, il
nazionalismo prospettava una diversa ipotesi politica per uscire dalla paralisi nella quale
era caduta la ‘liberaldemocrazia’. Tutti i problemi del dopoguerra, da quelli
amministrativi a quelli economici, furono discussi dai nazionalisti nell’intento di operare
un cambio nella maniera di governare, poiché l’istituto parlamentare democratico non
sembrava capace di rispondere alle attese popolari; ma i movimenti nazionalisti, pur
diversi, avevano il denominatore comune nella critica delle dottrine democratiche.
13
Alla
fine del 1918 uscì il volume di Renè Johannet Le principe des nationalitès: era la difesa di
una ideologia che aveva una ruolo nella storia; il nazionalismo francese, comunque,
aveva una natura diversa da quello tedesco. Se il primo mirava ad ‘enrichir le patriotisme
français’, il nazionalismo di tipo tedesco insisteva sulla ‘idèe de race’ e poteva spingere i
popoli alla guerra.
14
Negli anni 1917-1921 il fenomeno nazionalista europeo fu espressione di un
profondo risentimento, che vedeva uniti, in un inedito interclassismo, impiegati e
professionisti, proprietari e commercianti, contadini ed operai. Secondo l’ideologia
fondante il nazionalismo la nazione aveva bisogno di una ‘minoranza disinteressata’,
capace di governare per il bene del paese; la Nazione non si poteva esprimere senza una
struttura statale, per cui lo Stato forte sembrava una necessità politica; la stessa
economia doveva essere subordinata alla politica, e si pensava ad un’economia nazionale
adeguata alle esigenze della nazione. Questi temi si ritrovano nella letteratura politica che
10
V. Ithiel de Sola Pool, Symbols of Democracy, Stanford University Press, Stanford, 1952
11
v. A. Gramsci, Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino, 1958
12
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 315
13
Op.cit., p. 316
14
V. R. Johannet, Le principe des nationalitès, 1918
63
circolò in Europa nel quinquennio 1917-1921, ma quello che più sorprende è la
convinzione che il nazionalismo fosse un fenomeno rivoluzionario, capace di superare la
democrazia parlamentare.
15
Questo fu un movimento vasto che si diffuse in tutta
l’Europa: esso ebbe fede nella violenza e nutrì avversione verso gli ordinamenti
rappresentativi; da destra si moltiplicarono le accuse contro la democrazia incapace di
risolvere i problemi sociali ed economici dell’età industriale. Osvald Spengler in un
volume pubblicato a Monaco nel 1918, dal titolo Der Untergang des Abendlandes Umrisse
einer Morphologie der Weltgeschichte, parlava della democrazia come di un ‘ancien règime’;
all’orizzonte appariva un nuovo cesarismo che avrebbe segnato la decadenza di tutta la
cultura liberale occidentale: se il destino della civiltà occidentale era segnato, bisognava
pensare che il tramonto avrebbe trascinato con sé tutti quei valori fondanti la civiltà
europea. E la sua predizione sembrava fondata, perché estreme ed opposte forze
popolari irrazionali stavano marciando contro la decadente ‘democrazia’.
16
Il
nazionalismo del dopoguerra non solo ebbe volontà rivoluzionaria contro i vecchi
regimi democratici, ma la sua possibilità di successo fu legata alla complessa situazione
politica, sociale ed economica della fine della guerra ed allo scoppio della rivoluzione
russa. Quindi bisogna distinguere tra “idea e coscienza di nazione fino alla prima guerra
mondiale” ed i “nazionalismi sorti dopo la prima guerra mondiale”.
17
Il problema della ‘antidemocratizzazione delle masse’ è fondamentale per capire il
periodo tra le due guerre mondiali. E’ questo il periodo in cui compare il fenomeno della
nazionalizzazione delle masse
18
, che sembra, a parer mio, un primo esempio di
mobilitazione popolare da parte della classe politica al potere, in appoggio ad un regime
autoritario, che presto sarebbe sfociato in soluzioni totalitarie, almeno nel caso tedesco.
Ma pur criticando il sistema liberale, il parlamento, e le istituzioni politiche
ottocentesche, i nazionalisti speravano con l’appoggio delle forze popolari patriottiche di
trasformarsi da movimento associativo in un partito dominante per operare la
rivoluzione dello Stato. Le idee di Federzoni, Coppola e Rocco dimostrano la nascita, e
l’affermarsi, di un nazionalismo italiano, e dell’involuzione autoritaria che prendeva
piede nel paese; il ‘partito nazionalista italiano’, che aveva in questi autori il suo
fondatore, infatti, non avrà più ragione di esistere all’affermarsi del regime unico, e si
15
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 316
16
V. O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, 1918
17
V. R. Romeo, Italia moderna tra storia e storiografia, Le Monnier, Firenze, 1977
18
V. G. Mosse, La nazionalizzazione delle masse: simbolismo e movimenti di massa in Germania (1815-1933), il
Mulino, Bologna, 1975
64
fonderà naturalmente nel ‘partito fascista italiano’ già all’inizio degli anni Venti. Secondo
Federzoni l’Italia non poteva essere retta da un sistema democratico parlamentare, ma
doveva essere guidata da un dominante partito nazionale, che avrebbe dato al governo
un forte potere esecutivo; un potere centralizzato avrebbe potuto risolvere i problemi
socio-economici, facendo ricorso al corporativismo; ed il corporativismo fu parte
integrante della dottrina nazionalista, e fu concepito come riorganizzazione della vita
economica nazionale mediante l’intesa tra capi d’impresa e lavoratori. Ma la
corporazione aveva una finalità antidemocratica.
19
La rivista “Politica”, diretta da
Alfredo Rocco e Francesco Coppola, era il manifesto del nazionalismo italiano. I punti
programmatici erano: negazione dell’individualismo liberale e dell’ideologia egualitaria,
affermazione dello Stato come forza, richiamo alle tradizioni del paese, ricostruzione
spirituale dell’unità nazionale; ed inoltre si dichiarava:
<<L’ideologia democratica’ è, per definizione, l’ideologia della sconfitta, ed è eminentemente
individualista ed antistatale; l’ordinamento democratico prepara la decadenza perché vuole l’abolizione
della gerarchia sociale; la Nazione non è, come insegna la filosofia politica ‘demo-liberale’, una semplice
somma di individui la quale si risolve nei suoi elementi costitutivi, ma è veramente un organismo, che ha
fini completamente distinti da quelli dei singoli; al ‘principio democratico ed individualista’ della ‘sovranità
popolare’ si contrappone il concetto del ‘governo dei più capaci’, ossia di coloro che sono in grado di
elevarsi al di sopra dei loro interessi contingenti della generazione alla quale appartengono , per realizzare i
grandi interessi storici dello Stato>>.
20
Nel gennaio del 1920 George Sorel esprimeva i suoi dubbi sulle funzioni delle
istituzioni democratiche e condannava quegli oratori ed intellettuali che continuavano a
credere nel riformismo tradizionale e nel parlamentarismo parolaio; Sorel affermava che
l’Europa s’orientava “verso un regime di potere personale esercitato da un grande uomo
politico”
21
; in altre parole egli vedeva all’orizzonte un regime politico ‘cesaristico’. Di
conseguenza bisognava emanciparsi dalla tutela dottrinale dei democratici ispirati alla
dottrina di Calvino; Sorel vede infatti un legame fra la teoria democratica ed il sistema di
stato sognato dai pastori protestanti. Così avveniva la dissacrazione morale della
democrazia.
22
Vilfredo Pareto tratta della questione democratica soprattutto dal punto di
19
V. L. Federzoni, L’Italia di ieri per la storia di domani, Mondadori, Milano, 1967
20
Cfr. A. Rocco, Politica, I, 1918, pp. 117 e ss.
21
V. G. Sorel, L’Europa sotto la tormenta, 1920
22
Cfr. S. Mastellone, Op.cit., p. 320
65
vista sociologico, e lo fa in un volumetto dal titolo Trasformazione della democrazia.
23
Egli
esamina la fenomenologia del potere dal punto di vista sociologico. In ogni collettività
umana, secondo Pareto, sono in contrasto due forze: una che si potrebbe dire
‘centripeta’, spinge alla concentrazione del potere, l’altra, che si potrebbe dire
‘centrifuga’, spinge alla divisione del potere. Inoltre ritiene che la società del dopoguerra
non ha nulla a che fare con la società inglese vittoriana: il problema era sapere, secondo
il sociologo torinese, se c’è uno ‘sgretolamento della sovranità centrale’, nel senso che il
concetto di sovranità inclina a diventare un concetto vuoto e privo di senso, oppure uno
spostamento verso il potere centrale a causa della forza ‘centripeta’.
24
Su queste
premesse Pareto critica la debolezza del Parlamento, e si duole nel vedere gli interessi
privati prevalere sull’interesse generale, il moto politico sottomesso alla forza
‘centrifuga’. Questo decentramento è da molti chiamato ‘democrazia’; in questo modo
egli giustifica, così, la centralizzazione di sinistra, ma ancor più quella di destra.
25
Sembrano agire a favore del potere centrale due partiti, tra loro molto diversi, il ‘partito
dei nazionalisti’, ed il ‘partito dei socialisti’ di tipo marxista: nazionalismo e bolscevismo
si sarebbero affermati a causa dello sgretolamento del potere centrale dei paesi europei
coinvolti nel sistema plutocratico. A suo giudizio “nei ‘regimi liberaldemocratici’ il
remissivo volere, la debolezza dei governanti hanno per contrapposto il fiero operare e
la violenza degli avversari, fatti forti dalla viltà di coloro che ad essi potrebbero
opporsi”.
26
Pareto è convinto che “il potere dei parlamenti decade, e che si fanno ognora
più stentatamente ubbidire”.
27
Di plutocrazia demagogica e di corruzione dei sistemi parlamentari in quegli anni
parlava Roberto Michels.
28
Egli proponeva la soppressione del Parlamento
‘liberalcostituzionale’ per avere dalle masse un diverso consenso. Il nazionalismo nella
sua tendenza ‘antiparlamentare’ citava Pareto, secondo il quale per governare occorreva
il consenso delle masse, ma non la loro collaborazione; e citava anche Michels, che
criticava la maggioranza parlamentare troppo esposta al pericolo di una dissociazione
per formare un saldo governo.
29
L’azione politica successiva al 1917 tese, da parte del
23
Cfr. V. Pareto, Trasformazione della democrazia, in Scritti sociologici, G.Busino, a cura di, Utet, Torino, 1966,
p. 939
24
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 320
25
Cfr. V. Pareto, op.cit., pp. 964 e ss.
26
Op.cit., p. 999
27
Op.cit., p. 1013
28
V. R. Michels, Problemi di sociologia applicata, Bocca editore, Torino, 1918
29
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 321
66
comunismo e del nazionalismo, a svuotare di significato l’istituto del suffragio
universale, e privò di valore il meccanismo politico della maggioranza e della minoranza;
soltanto la minoranza attiva, energica, decisa, faceva la storia; ed essa soltanto poteva
decidere delle sorti della maggioranza. Quest’azione sulle masse venne compiuta dal
comunismo e dal nazionalismo con una propaganda razionale e capillare, con un sistema
di coinvolgimenti collettivi, e con un imponente apparato coreografico.
30
Comunismo e
nazionalismo erano su posizioni dottrinali antitetiche, ma avevano modi comuni di
azione politica; tanto il comunismo quanto il nazionalismo si posero in maniera chiara il
problema del partito: il partito era concepito dal comunismo in rapporto con il
proletariato, ed era concepito dal nazionalismo in rapporto con la Nazione; ma tanto
l’uno quanto l’altro pensavano ad una unificazione dei movimenti esistenti. Tanto il
partito ‘egemone’, quanto quello ‘guida’, non potevano essere organizzati in maniera
democratica, ma secondo criteri ‘centralistici’ di efficienza. In questo modo il partito
‘egemone’ ed il partito ‘guida’, una volta al potere, avrebbero avocato quei poteri
decisionali che in passato erano attribuiti al Parlamento.
31
I problemi del paese erano
molto gravi, ed andavano dai rapporti con le potenze vincitrici alle difficoltà
economiche. Il processo di radicalizzazione spingeva il paese alla guerra civile: da sinistra
si voleva l'insurrezione della classe operaia, da destra si chiedeva una energica azione per
ristabilire l’ordine; e secondo molti studiosi della storia della Germania nel Novecento,
la caduta dell’impero germanico fu principalmente un fatto di disgregazione interna, non
il risultato di una rivoluzione.
32
Alle elezioni per l’assemblea nazionale costituente (19
gennaio 1919) la ‘Sozialdemokratische Partei Deutschlands’ riportò undici milioni e
cinquecentomila voti. La vittoria delle forze socialdemocratiche sembrò giustificata: esse
per un cinquantennio erano state all’opposizione e si erano battute per un governo di
tipo popolare; ma quando la nuova assemblea nazionale si riunì a Weimar il 6 febbraio
1919, la soluzione migliore sembrò la repubblica democratica, fondata su istituzioni
rappresentative. Era opinione comune che non si sarebbe arrivati ad un sistema bipolare
di stampo anglosassone, ma che si sarebbe certamente andati verso la formazione di
pochi grandi partiti. I democratici continuavano a credere che, dopo le elezioni del
gennaio 1919, intorno al partito di maggioranza socialdemocratico si sarebbero
aggregate, prima o poi, le altre forze repubblicane, sia da destra, sia da sinistra.
33
Il
30
Op.cit., p. 322
31
Ibid.
32
Op.cit., p. 351
33
Op.cit., p. 352
67
biennio 1918-1919, che va dal crollo dell’impero alla repubblica socialdemocratica, viene
sovente indicato come “die deutsche Revolution”; molti furono coloro che accompagnarono
con fiducia il trapasso dal vecchio sistema autoritario al nuovo ordine democratico, e
molti condivisero le linee di sviluppo indicate da Hugo Preuss, che affermava:
<<Lo Stato popolare tedesco non può venire creato da una classe, da un gruppo, da partiti o da
corporazioni isolate; esso deve essere costruito dall’intero popolo tedesco rappresentato da un’assemblea
nazionale, uscita da elezioni democratiche; la sua base politica non potrà essere la lotta di classe, oppure
l’oppressione di uno strato sociale ai danni di un altro; le inevitabili lotte socio-politiche del futuro
dovranno essere condotte nei limiti di una Costituzione democratica>>.
34
Il nuovo partito comunista tedesco e parecchi ‘massimalisti’ denunciarono l’assemblea di
Weimar come l’organo della controrivoluzione. Così, in seguito a tumulti di piazza, da
gruppi armati furono uccisi Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg; l’impressione fu grande
nel paese, ma si rafforzò l’opinione che il partito socialdemocratico avrebbe funzionato
in un sistema parlamentare rappresentativo da ‘partito dominante’. Sindacati ed
industriali, liberali e moderati, si mostrarono sinceramente disposti a sottoscrivere la
costituzione democratica, il cui testo venne approvato il 31 luglio 1919: la Costituzione
della Repubblica di Weimar venne giudicata come lo strumento giuridico-politico
idoneo per realizzare la ‘sovranità del popolo’.
35
I socialdemocratici tedeschi, in gran
parte pubblicisti, erano impreparati ad assumere la direzione degli affari dello Stato; ma
la S.P.D. accettava la repubblica come forma di istituzionale di governo, ma la
repubblica, concepita in opposizione alla monarchia, avrebbe dovuto permettere la loro
prevalenza per realizzare la emancipazione sociale dei lavoratori, ed a teorizzare la via
democratica al predominio del proletariato. Alla fine del 1918 Kautsky aveva sostenuto
che Marx, quando aveva parlato di dittatura del proletariato, aveva pensato alla
maggioranza degli operai: rispettosa dei diritti civili e sociali, la ‘democrazia proletaria’
non sfociava quindi nel comunismo, ma restava democrazia dei lavoratori avversi alla
borghesia capitalistica minoritaria; dunque i socialisti democratici distinguevano la
‘socialdemocrazia’ dalla ‘liberaldemocrazia’, e speravano di giungere alla rivoluzione
sociale in Germania attraverso le istituzioni repubblicane.
36
Rusconi ha osservato che la
S.P.D. si trovò a dover essere ‘partito operaio’ (Arbeitpartei) e ‘partito popolare di
governo’ (Volkpartei) ed a dover scegliere tra classe operaia e campo borghese. Il partito
34
V. G. Ritter, Die deutsche Revolution 1918-1919, Fischer Bücherei GmbH, Frankfurt am Main, 1968
35
Op.cit., p. 353
36
Ibid.
68
socialdemocratico ebbe la confusa coscienza di dover svolgere una funzione dominante,
e sperò di divenire ‘partito di stato’, ma da un canto guardò troppo agli equilibri interni,
e dall’altro formulò critiche al sistema governativo come un partito d’opposizione.
L’ordinamento costituzionale di Weimar era stato immaginato come un sistema
democratico guidato da un ‘partito dominante’, il quale avrebbe esercitato, per un
periodo limitato, una dittatura costituzionale. Invece il ‘partito socialdemocratico
tedesco’ non riuscì ad imporsi come partito dominante nelle coalizioni governative, né
seppe svolgere il ruolo di guida del paese uscito dalla guerra.
37
I risentimenti nazionali
erano vivissimi, le forze militari speravano di riprendere prestigio, i conservatori
rimpiangevano il passato regime: in tale situazione, non essendo efficiente il governo,
divennero più attivi i movimenti antidemocratici. La scelta drammatica era quella tra
‘democrazia’ o ‘dittatura’.
38
Max Adler ripresentò il problema dell’alternativa Politische oder
soziale Demokratie
39
; ormai all’orizzonte c’era il pericolo del ‘Faszismus’, ed il proletariato
non poteva accontentarsi di una formale ‘democrazia parlamentare’; Adler sapeva bene
che d’intorno s’alzava il coro: <<Weg mit dem Parlamentarismus!>> e che alla ‘democrazia’
si preferiva la ‘Führerschaft’; proprio per questo bisognava puntare sulla democrazia
sociale per risolvere ‘das problem der Majorität’.
40
Ma la ‘democrazia parlamentare’ non
assurse in Germania al ruolo di ideologia dominante: i difensori di questa forma di
governo erano considerati da alcuni traditori del ‘proletariato’, per altri della ‘nazione
tedesca’.
41
La sinistra trovò gli elementi della polemica antiborghese in Korsch e Bloch,
in Lukàcs e Brecht, ed ebbe voce attraverso l’Institut für Sozialforschung di Francoforte,
fondato nel 1923. La destra derise i ‘piccoli borghesi’ di Weimar, inneggiò allo stato
forte, e auspicò una cultura veramente tedesca contro il ‘Kulturbolscewismus’; Spengler
sembrava rispondere alle esigenze della Germania sconfitta che rifiutava la mediocrità
del vivere quotidiano, in nome della rivoluzione nazionale; Carl Schmitt forniva le armi
giuridiche per criticare l’ordinamento parlamentare di Weimar e le debolezze della
repubblica democratica.
42
Alle elezioni del 1924 per il Reichstag la ‘coalizione
democratica’ scese dal 76% al 49,5%, le tendenze autoritarie salirono al 36%, mentre il
partito comunista raggiungeva il 10%; la disaffezione nei confronti del parlamentarismo
si determinò indipendentemente dall’agitazione nazista, e fu in parte la conseguenza del
37
V. G. Rusconi, La crisi di Weimar, Einaudi, Torino, 1977
38
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 355
39
V. M. Adler, Politische oder soziale Demokratie, Berlin, 1926
40
V. O. Bauer, Bolschewismus oder Sozialdemokratie, Wien, 1920
41
V. W. Laqueur, La repubblica di Weimar, Rizzoli, Milano, 1979
69
moltiplicarsi dei piccoli partiti. Il partito di maggioranza relativa, ossia la S.P.D., per
timore della concorrenza comunista non rinunciava alla tematica della lotta di classe.
Nell’estate del 1927 si tenne a Berlino nella ‘Deutsche Hochschule für Politik’ un
seminario sui problemi della democrazia al quale parteciparono diversi docenti, e dal
dibattito emerse soltanto il senso negativo del concetto di democrazia: la ‘democrazia’
era troppo legata al ‘liberalismo borghese’ e non possedeva una teoria organica dello
Stato, secondo l’interpretazione di Carl Schmitt.
43
Sempre secondo quest’autore tedesco
l’ordinamento statuale della Costituzione di Weimar era definibile non solo pluralista,
vale a dire come un’associazione politica in concorrenza paritaria con altre associazioni,
quanto addirittura in senso marxista, come il prodotto della autorganizzazione della
società, e delle forze in questa attive, determinate soprattutto economicamente, che
hanno conquistato tutte le posizioni politiche e statali di rilievo, e, da sole, esercitano
l’influsso decisivo sulla volontà statale.
44
Carl Schmitt ha caratterizzato un tale quadro,
dominato solamente da apparati di potere sociali, come un’espressione dello ‘Stato
totale’, rappresentante la chiave di volta di un processo che conduce “dallo ‘Stato
assoluto’ del 17° e 18° secolo, passando per lo ‘Stato neutrale’ del 19° secolo, allo ‘Stato
totale’, quello dell’identità di Stato e società”.
45
Nelle elezioni del 1928 si affermò la
‘Nationalsozialistische Deutsche Arbeitpartei’ (N.S.D.A.P.), che ottenne il 2,6% dei voti; due
anni dopo, nelle elezioni del 1930 balzava al 18,3% dei voti. Questo partito si presentava
come partito socialista, ma a carattere nazionale; rifiutava il sistema parlamentare, ma
attraverso la ‘democrazia parlamentare’ intendeva divenire il partito dominante; i metodi
di azione di questo partito parevano giustificati dalla confusa situazione politica.
46
Il 30
marzo 1930 il presidente della ‘repubblica socialdemocratica’ insediò il governo del
cancelliere Heinrich Brüning senza consultare i partiti e senza preoccuparsi della
maggioranza parlamentare; secondo Karl Dietrich Bracher era la crisi più vistosa della
‘democrazia’, in quanto veniva a mancare quell’impegno di collaborazione dei partiti che
è fondamentale nel regime ‘democratico rappresentativo’.
47
La socialdemocrazia tedesca
si reggeva ormai solo sulle decisioni del presidente della Repubblica, legittimato dalla
42
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 356
43
Op.cit., p.357
44
Cfr. G. Leibholz, La dissoluzione della democrazia liberale in Germania e la forma di stato autoritaria, F.
Lanchester, a cura di, Giuffrè, Milano, 1996, p. 57
45
Cfr. C. Schmitt, Hüter der Verfassung, Dunker & Humblot, Berlin, 1931, p. 79
46
Ibid.
47
V. K.D. Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazionalsocialismo , il Mulino, Bologna,
1973
70
elezione plebiscitaria; al governo parlamentare si sostituì una sorta di governo
presidenziale indipendente dai partiti. Il presidente Hindemburg nel giugno 1932
nominò come nuovo capo del governo von Papen, ma, prima che questo governo
potesse ricevere un voto di sfiducia, sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni. In
queste elezioni la N.S.D.A.P. ottenne il 37,2% dei voti e divenne il partito di
maggioranza relativa; la ‘socialdemocrazia’ non era più in grado di funzionare, era quasi
finita prima ancora dell’arrivo al potere del nazismo; il generale von Schleicher, che fu
nominato cancelliere il 3 dicembre 1932, non amava il regime democratico, anche se
non aveva la forza di imporre un regime autoritario.
48
Il disfacimento del sistema
democratico tedesco appare ben chiaro il 30 gennaio 1933, quando il vecchio generale
Hindemburg nominò cancelliere del Reich Adolf Hitler della ‘Nationalsozialistische
Deutsche Arbeitpartei’. Il nuovo governo nazionalsocialista nella sua azione repressiva
contro i partiti dell’opposizione democratica puntava ad imporre al paese un partito
unico; in base all’articolo 48 della Costituzione fu limitata la libertà di espressione, di
stampa, di riunione e di associazione. Alle elezioni del 5 marzo 1933 al 44% dei voti del
partito nazionalsocialista si aggiunse l’8% del ‘partito tedesco-nazionale’, così Hitler
raggiunse quella maggioranza assoluta che gli lasciò nelle mani i pieni poteri: la
maggioranza parlamentare il 24 marzo 1933 non solo conferì al governo una potestà
legislativa, ma anche una potestà costituzionale.
49
Questa legge divenne la Costituzione
definitiva della Germania. Carl Schmitt giustificò questa legge della nuova Germania che
faceva cadere la separazione tra potere legislativo e potere esecutivo, e dava priorità
assolute alle direttive politiche del governo.
50
I ‘partiti weimariani’ tentarono di difendere
la propria legalità all’interno del nuovo regime nazionalsocialista, ma nel corso di pochi
mesi essi furono disciolti; il ‘partito socialdemocratico tedesco’ fu soppresso con l’accusa
di tradimento contro il governo legittimo della Germania.
51
Enzo Collotti ritiene che il processo di liquidazione del sistema pluripartitico si
concluse con la legge del 14 luglio 1933, che vietava la formazione di nuovi partiti e
affermava esplicitamente:
<<In Germania esiste quale unico partito politico il partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori>>.
48
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 358
49
Op.cit., p. 359
50
V. C. Schmitt, Principi politici del nazionalsocialismo, Firenze,1933
51
Cfr. S. Mastellone, op.cit., p. 359
71
Era questo il passo decisivo verso ‘l’unità di partito e Stato’ fissata con la legge del 14
dicembre 1933. La dottrina giuridica nazionalsocialista avrebbe teorizzato lo ‘Stato
totale’ nella sua triplice articolazione: Stato, partito, popolo.
52
52
Cfr. E. Collotti, La Germania nazista. Dalle repubblica di Weimar al crollo del Reich hitleriano, Einaudi, Torino,
1962, p. 88