Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
2
di risorse disponibili che gli si pongono di fronte periodo dopo periodo.
Queste fluttuazioni aggregate sono attribuite principalmente a shock esogeni
che colpiscono la tecnologia e che, insieme a vari meccanismi di dinamica endogena,
come l’accumulazione del capitale fisico, le preferenze intertemporali degli agenti
per il consumo ed il tempo libero, i tempi di completamento dei progetti
d’investimento (Kydland e Prescott, 1982), la tecnologia di tipo “adjustment-cost”
(Mendoza, 1991) o l’indivisibilità del lavoro (Rogerson, 1984 e 1988, Hansen,
1985), determinano continue deviazioni del prodotto aggregato e delle altre variabili
economiche dal proprio valore (o sentiero di crescita, nel caso di modelli con
progresso tecnologico “labor augmenting”) di stato stazionario.
1.1 I primi passi della ricerca sul ciclo economico
La ricerca sulle fluttuazioni economiche si sviluppò sin dagli inizi del Novecento,
come diretta conseguenza dell’elevato grado di regolarità riscontrato nelle
caratteristiche dei cicli, a seguito di studi empirici sulle fluttuazioni del sistema
economico tra periodi di prosperità e fasi di relativo declino.
Studiosi quali Mitchell (1927), Mills (1936) e Kuznets (1966) documentarono
nei dettagli le caratteristiche delle fluttuazioni dell’economia sulla base dei dati
disponibili per gli Stati Uniti o per altri paesi, mettendo in luce la simultaneità dei
movimenti di alcune variabili lungo il ciclo, i comovimenti tra prezzi e quantità e la
relazione tra crescita e fluttuazioni, con lo scopo di prevedere i punti di svolta
dell’attività economica nel tempo e ridurre i costi sociali dei periodi sfavorevoli.
Gli anni ‘30 furono un periodo di intenso fervore in questo campo della ricerca,
grazie anche all’attività del “National Bureau of Economic Research” (NBER), tanto
da far emergere delle sorprendenti analogie fra le fluttuazioni economiche che
avevano interessato paesi diversi in periodi differenti. Nonostante l’esistenza di
queste importanti regolarità fosse presto riconosciuta dalla maggior parte degli
studiosi del ciclo, le spiegazioni avanzate furono diverse, con il risultato che in
quegli anni nascevano già un gran numero di modelli e teorie.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
3
La terminologia introdotta da Frisch (1933) per i meccanismi di impulso-
propagazione, propone l’utilizzo dell’approccio econometrico per lo studio del ciclo,
visto come una serie di oscillazioni smorzate provocate dall’assorbimento di shock
casuali che colpiscono il sistema economico. Frisch identifica il principale
meccanismo di propagazione degli shock nel processo di accumulazione del capitale
e nelle caratteristiche della tecnologia produttiva in generale, anticipando, da questo
punto di vista, l’idea dei sostenitori della teoria del ciclo reale.
D’altra parte, Slutzky (1937) mostra che le fluttuazioni caratterizzanti i cicli
possono essere originate dalla semplice somma di disturbi casuali che interessano
l’economia, cioè da un’equazione stocastica alle differenze di ordine basso (uno o
due al massimo) dinamicamente stabile
1
, attribuendo quindi tutta la responsabilità
della dinamica ad un meccanismo esogeno al sistema economico.
Altre teorie indagano il ruolo di fattori quali le innovazioni tecnologiche
(Kalecki, 1935 e Schumpeter, 1939), i disturbi di carattere monetario (Hayek, 1933),
la dinamica risparmio-investimenti (Cassel, 1924), il meccanismo moltiplicatore-
acceleratore (Samuelson, 1939) e l’andamento ciclico degli investimenti in scorte
(Metzler, 1941).
Data la natura intrinsecamente dinamica di tali fenomeni, tuttavia, il vincolo
maggiore ad un rapido perfezionamento della ricerca in questo campo, è senza
dubbio da ricercarsi nella mancanza di un adeguato impianto teorico: la teoria
dell’equilibrio generale di Arrow-Debreu (1954), la teoria statistica delle decisioni, la
moderna teoria del capitale ed i metodi ricorsivi per il calcolo numerico non erano,
infatti, ancora a disposizione dei ricercatori. Da questo punto di vista, pertanto, i
progressi della teoria economica dinamica e le nuove possibilità offerte dall’impiego
dei calcolatori elettronici, hanno consentito agli economisti, negli ultimi anni, di
affrontare lo studio delle fluttuazioni con mezzi adeguati.
1
Se, ad esempio, si considera una variabile casuale
t
e che può assumere i valori –0.5 e 0.5 con
probabilità 0.5 e si pone
11
ttt
eyy Τ , si ottiene ricorsivamente
02
2
11
... yeeey
t
tttt
Τ Τ Τ
.
In altre parole,
t
y dipende dal disturbo corrente e da quelli passati. Dato un valore per
0
y , questa
equazione stocastica alle differenze finite del primo ordine genera un sentiero casuale per la variabile
y del tipo comunemente associato ai fenomeni di ciclo economico.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
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1.1.1 L’approccio keynesiano “di disequilibrio”
Con la cosiddetta rivoluzione keynesiana, seguita alla pubblicazione della “Teoria
Generale” di Keynes (1936), l’oggetto principale della ricerca economica non è più
lo studio del ciclo, ma la spiegazione delle forze che determinano il livello del
prodotto nei diversi periodi. Nell’approccio keynesiano, infatti, gli elementi di
dinamica vengono introdotti attraverso il meccanismo moltiplicatore-acceleratore e
non sono il risultato di un processo di massimizzazione, ma regole di comportamento
che caratterizzano gli agenti o i mercati in generale.
Nonostante non manchino alcuni punti di contatto tra la moderna visione
keynesiana delle fluttuazioni ed i modelli di ciclo reale (come il ruolo secondario
assegnato ai disturbi monetari a favore di quelli reali), le divergenze tra le due visioni
sono quanto mai evidenti e riguardano aspetti fondamentali del funzionamento del
sistema economico.
In prima analisi i meccanismi di propagazione degli shock esogeni sulle
variabili endogene sono alquanto diversi nelle due classi di modelli. Mentre gli
schemi keynesiani pongono l’accento sulle varie rigidità che impediscono la perfetta
flessibilità dei prezzi e delle retribuzioni e sull’esistenza di mercati incompleti, nei
modelli di ciclo reale di equilibrio un ruolo predominante, nella generazione della
dinamica, è riconosciuto alla specificazione della tecnologia e delle preferenze.
Una seconda distinzione, strettamente connessa alla precedente, riguarda il
ruolo assegnato agli interventi di stabilizzazione dell’attività economica, cioè
l’efficacia, oltre che la desiderabilità, delle politiche anticicliche attuate dalle autorità
centrali di politica economica. Infatti, se nell’approccio keynesiano non si riconosce
ai mutamenti inattesi della politica monetaria un ruolo determinante come fonte di
fluttuazioni, una politica monetaria attiva è generalmente vista come un importante
mezzo di stabilizzazione.
D’altra parte, date le assunzioni sul perfetto funzionamento dei mercati e sulla
flessibilità delle variabili nominali, nell’approccio di equilibrio allo studio delle
fluttuazioni cicliche, le allocazioni delle variabili reali sono ottimi paretiani. Da
queste considerazioni segue che, oltre a considerare trascurabili gli shock monetari
esogeni come fonte di fluttuazioni, non si riconosce alle regole seguite dall’autorità
centrale di politica monetaria un ruolo consistente nemmeno per quanto attiene alla
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
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propagazione dei disturbi di natura diversa.
A tale proposito, Long e Plosser (1983) affermano che tutti gli interventi
dall’esterno che comportano un sentiero di sviluppo diverso da quello che
l’economia avrebbe seguito in assenza di tali interferenze, finiscono col ridurre il
benessere dell’agente rappresentativo, risultando perciò controproducenti
2
. Secondo
gli autori (così come per la generalità dei sostenitori di questo approccio), infatti, la
presenza dei fenomeni ciclici nell’economia va interpretata come un fatto
perfettamente coerente con l’efficienza economica ideale. Emerge quindi il concetto
di ciclo come “scelta”, in contrasto con l’interpretazione di ciclo come “errore” che
caratterizza i modelli a schema nominale.
Dopo la “Teoria Generale”, bisogna giungere ai primi anni ‘70 per registrare
un nuovo e significativo progresso nello studio teorico ed empirico del ciclo
economico, grazie all’opera di Lucas e Sargent, che fondano lo studio delle
fluttuazioni economiche sulla teoria neoclassica della crescita, nell’ambito quindi di
un approccio di equilibrio, criticando l’assenza nell’impianto keynesiano di una
coerente fondazione microeconomica e di una teoria della scelta in particolare.
In effetti, un aspetto distingue in modo cruciale i due approcci alla spiegazione
del ciclo: mentre per i primi modelli (che potrebbero definirsi “di disequilibrio”) si
parte da considerazioni di carattere macroeconomico, le teorie più recenti si fondano
sull’analisi del comportamento ottimizzante degli agenti economici, alla ricerca di
migliori fondamenti microeconomici sui quali istituire una macroeconomia più
soddisfacente.
Questo nuovo modo di affrontare il problema segue, proponendosene anzi
come vero e proprio superamento, l’approccio econometrico o del “sistema-di-
equazioni” (secondo la terminologia di Kydland e Prescott, 1991b) per lo studio del
ciclo, nato all’inizio degli anni ’50 grazie al contributo di Koopmans
3
. La questione
centrale, in quest’ultima visione, consiste nella determinazione del valore dei
2
Esistono, tuttavia, alcuni recenti tentativi di estendere tale approccio anche a contesti non
perfettamente competitivi e con rigidità nei prezzi e nei salari, con la conseguenza che gli equilibri
cessano di essere pareto-efficienti ed emerge un ruolo per gli interventi di politica economica. Esempi
sono dati dai modelli di Danthine e Donaldson (1990, 1995), Rotemberg e Woodford (1991, 1995),
Hairault e Portier (1995) e Devereux, Head e Lapham (1996).
3
Koopmans (1949) fissa i caratteri fondamentali dei modelli econometrici prevedendo, tra l’altro,
che essi contengano al più quattro tipi di equazioni “strutturali”: identità, regole istituzionali, vincoli
tecnologici ed equazioni di comportamento.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
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coefficienti che compaiono nelle equazioni ricorrendo a stime ottenute dalle serie
storiche disponibili. Tale approccio diviene dominante negli anni ’60, ma solo un
decennio dopo è duramente messo in discussione dal progredire della teoria
neoclassica, che può finalmente contare su un coerente impianto teorico e su adeguati
mezzi computazionali.
Il nuovo bagaglio di conoscenze a disposizione degli studiosi rende possibile
estendere la teoria dell’equilibrio generale ai modelli dinamici stocastici, in cui i beni
sono distinti non solo per la categoria cui appartengono (durevoli, non durevoli,
servizi e d’investimento), ma anche per il momento in cui si rendono disponibili (il
consumo “oggi” non è equivalente al consumo “domani”, in termini di utilità per gli
agenti).
Potendo finalmente disporre di una grande quantità di osservazioni, ad
esempio, Solow (1970) giunge all’individuazione di alcuni fatti caratteristici della
crescita (i cosiddetti “growth facts”), che vanno dalla costanza nel tempo delle quote
relative del prodotto destinate al consumo ed all’investimento, alla continua crescita
del salario e del prodotto pro capite, fino all’assenza di un significativo trend nella
serie dei profitti da capitale.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
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1.2 Il contributo di Solow per la misurazione del progresso tecnologico
Un aspetto cruciale nei primi modelli sviluppati per dare conto dei “growth facts” di
cui si è appena detto, è rappresentato dalla funzione di produzione, che rappresenta la
tecnologia attraverso la quale gli input impiegati nel processo produttivo vengono
trasformati nel prodotto finale. Lo stesso Solow (1956, 1957), infatti, ricorre al
modello neoclassico dell’accumulazione di capitale per decomporre la variazione del
prodotto pro capite nella parte dovuta al progresso tecnologico ed in quella che,
invece, è imputabile al cambiamento della quantità di capitale a disposizione di
ciascun lavoratore.
In altri termini, l’obiettivo di Solow è di isolare gli spostamenti della funzione
di produzione dai movimenti che invece avvengono lungo la stessa, senza che la sua
posizione cambi. A tal fine, analogamente ai modelli di ciclo reale che saranno
sviluppati negli anni successivi sotto l’assunzione di mercati perfettamente
concorrenziali, l’autore ricorre all’ipotesi per cui i fattori produttivi sono retribuiti
secondo la rispettiva produttività marginale.
1.2.1 Il modello neoclassico di crescita di lungo periodo
Nell’economia di Solow il prodotto aggregato è il risultato di una funzione di
produzione con rendimenti di scala costanti del tipo
tNKFY ,,
con t che, in questo caso, riassume le variazioni della tecnologia nel periodo
corrispondente (in seguito il termine t indicherà semplicemente il tempo). Il
progresso tecnologico è definito dall’autore come l’insieme degli spostamenti della
funzione di produzione dovuti a fattori di qualsiasi tipo, dall’invenzione di un nuovo
macchinario ad un diverso livello di formazione della forza lavoro. Le variabili K e
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
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N, invece, indicano gli input di capitale e di lavoro.
Il consumo segue una funzione di tipo keynesiano per cui, tralasciando
l’intercetta, può esprimersi come
YsYcC 1
dove c e s sono, rispettivamente, le propensioni marginali al consumo ed al risparmio
)1( sc , cioè le frazioni di ogni unità addizionale di reddito disponibile che sono
destinate ai due tipi di attività. Essendo interessato soprattutto alla crescita di lungo
periodo, poi, Solow assume che le decisioni degli agenti economici siano coordinate
in modo che la relazione risparmio/investimenti, rappresentata dall’identità
YsSI , sia valida ex ante come ex post. La domanda e l’offerta aggregate, di
conseguenza, saranno sempre uguali tra loro ed è assicurato l’equilibrio
dell’economia.
La legge d’accumulazione del capitale è
ttt
YsKK
Γ1
1
Come si vedrà più avanti, tale relazione viene impiegata anche nei modelli di ciclo
reale, con la differenza che in quest’ultimo caso il livello di consumo risulta dal
processo di massimizzazione degli agenti e non è semplicemente frutto di una regola
di comportamento stabile nel tempo, come quella utilizzata da Solow.
Grazie all’ipotesi di rendimenti di scala costanti, i cambiamenti della
tecnologia possono considerarsi neutrali, nel senso che i conseguenti spostamenti
della funzione di produzione non producono, a parità di rapporto tra gli input di
capitale e lavoro NK , alcuna variazione nel saggio marginale di sostituzione tra i
fattori. La stessa funzione può quindi scriversi come
KNFtAY ,
dove il termine moltiplicativo, tA , misura l’effetto cumulato degli spostamenti
della funzione di produzione che si sono verificati in passato, fino al periodo di
riferimento. Il termine A rappresenta, cioè, una misura dello stato della tecnologia
nell’economia e la sua crescita nel tempo riflette il progresso tecnologico che si
registra nella stessa.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
9
Passando al calcolo del differenziale totale dell’ultima espressione rispetto al
tempo e dividendo per il prodotto aggregato, si arriva alla relazione
Y
N
N
F
A
Y
K
K
F
A
A
A
Y
Y
&&&&
ω
ω
ω
ω
dove Y
&
indica la derivata dell’output rispetto al tempo ed un’analoga notazione vale
per le altre variabili. Ponendo, inoltre,
K
w
Y
K
K
Y
ω
ω
e
N
w
Y
N
L
Y
ω
ω
si ha
N
N
w
K
K
w
A
A
Y
Y
NK
&&&&
Il vantaggio di quest’ultima relazione sta nel fatto che è suscettibile di una precisa
interpretazione economica, poiché
K
w e
N
w rappresentano, rispettivamente, le
elasticità del prodotto aggregato rispetto al capitale ed al lavoro, cioè gli input
impiegati nel processo produttivo.
La stessa espressione, inoltre, consente di ricavare tA per i vari periodi, a
partire dalle serie storiche per KK
&
e NN
&
N
N
w
K
K
w
Y
Y
A
A
NK
&&&&
così che diventa possibile dedurre alcune importanti proprietà statistiche dei residui
risultanti (ad esempio l’autocorrelazione e la deviazione standard). Questa possibilità
si rivela in tutta la sua importanza nel momento in cui, in un modello di ciclo reale, si
presenta la necessità di effettuare delle simulazioni per mettere in evidenza il
comportamento del modello in risposta alle diverse possibili realizzazioni per il
processo stocastico che rappresenta la produttività. L’osservazione della serie dei
residui di Solow, infatti, consente di indagare le caratteristiche del processo
generatore degli shock tecnologici da utilizzare nella fase della simulazione del
modello di ciclo reale.
Nel modello di Solow la quantità di lavoro aumenta esogenamente al tasso Κ,
mentre si assume che la produttività del lavoro dovuta al progresso tecnologico
cresca ad un tasso percentuale pari a ], così che il tasso di crescita dell’input di
lavoro misurato in termini di capacità produttiva è pari a ] Κ . L’economia, date
queste premesse, convergerà ad una condizione di crescita di stato stazionario nella
quale sia il capitale (al netto del deprezzamento) che l’input di lavoro effettivo (e
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
10
perciò anche il prodotto aggregato), aumentano al tasso ]Κ .
In questo contesto, è opportuno operare una distinzione tra equilibrio e stato
stazionario, particolarmente importante perché valida anche nel caso dei modelli di
ciclo reale che saranno presentati tra poco. Mentre il modello è sempre in equilibrio,
non necessariamente esso è anche allo stato stazionario: una variazione della
propensione al risparmio (il coefficiente s), per esempio, allontana l’economia dal
vecchio stato stazionario spingendola verso uno nuovo, caratterizzato da un diverso
tasso di crescita del capitale e del lavoro. Lungo il sentiero che porta da uno stato
stazionario all’altro, tuttavia, l’economia rimane sempre in equilibrio poiché
l’allocazione delle risorse è, in ogni momento, il risultato dell’interazione di un gran
numero di agenti razionali massimizzanti che agiscono in un mercato privo di
qualsiasi rigidità.
1.2.2 L’uso dei Residui di Solow come “proxy” per gli shock tecnologici nei
modelli di ciclo reale
Dal punto di vista del comportamento di lungo periodo, l’analisi di Solow
costituisce, unitamente ad altre informazioni di origine microeconomica, un valido
strumento da utilizzare per assegnare valori ai parametri che compaiono nella
specificazione dei modelli di ciclo reale, nati alcuni anni più tardi, secondo il modo
di operare divenuto conosciuto con il nome di “calibrazione”, che sarà illustrato
successivamente (pag. 35).
Quando si sceglie di utilizzare i residui di Solow per misurare gli shock
tecnologici, si attribuisce alle variazioni della produttività qualsiasi cambiamento del
prodotto aggregato che non può essere spiegato in termini di un diverso livello dei
fattori produttivi impiegati. Ciò ha suscitato molte questioni sull’opportunità di
impiegare una misura così ottenuta per quantificare un fenomeno non direttamente
osservabile come i disturbi tecnologici.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
11
Nel modello standard di ciclo reale (pag. 22), così come nella quasi totalità dei
modelli proposti nell’ambito di questo approccio, viene adottata una funzione di
produzione Cobb-Douglas
Τ Τ
1
,
tttttt
knznkfz
e la legittimità dell’uso dei residui di Solow in questo ambito dipende in larga misura
dalla bontà di questa scelta (e quindi di una funzione di produzione aggregata a
rendimenti costanti di scala) quale rappresentazione della reale tecnologia produttiva.
Una misura della variazione percentuale del livello della tecnologia (cioè del
progresso tecnologico) è calcolabile come
tttt
knyz log1logloglog ∋ ∋ ∋ ∋ ΤΤ
dove ∋ rappresenta l’operatore “differenze prime”, cioè
1
logloglog
∋
ttt
xxx e,
ricordando che
ttttt
xxxxx
11
log
# , tutte le quantità sono espresse in termini
di variazioni percentuali (come si vedrà in seguito, ciò costituisce una necessità nella
fase della soluzione e simulazione di un modello di ciclo reale).
Definendo le serie
ttt
kya ,
ttt
nkb e sfruttando le proprietà elementari
dei logaritmi, si calcola
ttt
baz logloglog ∋ ∋ ∋ Τ
da cui, a partire dalle serie storiche del prodotto, y, del capitale, k, e delle ore di
lavoro, n, si ottiene la serie
t
zlog ∋ .
É ora chiaro che, nel caso in cui la funzione Cobb-Douglas fosse scarsamente
coerente con la reale funzione di produzione, i residui di Solow calcolati utilizzando
tale assunzione finirebbero con il riflettere, più che i veri e propri disturbi alla
produttività ricercati, i significativi errori di specificazione commessi nella loro
quantificazione.
Diversi autori, tra i quali Summers (1986) e Lucas (1988), hanno ipotizzato che
una frazione consistente della variabilità dei residui di Solow sarebbe, in realtà,
l’effetto del fenomeno denominato “labor hoarding”. Con tale termine si intende
l’impossibilità (o, più in generale, la non convenienza) per le imprese, a variare il
livello della forza lavoro impiegata in risposta ai mutamenti percepiti nelle
condizioni della domanda o della tecnologia produttiva, qualora questi ultimi non
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
12
abbiano una consistenza tale da giustificare (più che compensare) i costi che
l’assunzione o il licenziamento dei lavoratori comportano.
L’idea degli autori è che l’andamento dei residui di Solow sia il risultato di tale
fenomeno piuttosto che della realizzazione di veri e propri disturbi esogeni, con la
conseguenza che, quando questi vengono utilizzati come “proxy” per gli shock
tecnologici, si finisce inevitabilmente per sopravvalutare la loro importanza nella
spiegazione delle fluttuazioni del prodotto aggregato.
Lo stesso Prescott (1986), tra i principali sostenitori dell’approccio di Solow
per misurare le variazioni del parametro tecnologico, mette comunque in guardia
contro le distorsioni che possono provenire dagli errori di misurazione delle variabili
(sia gli input che il prodotto aggregato) considerate nel calcolo degli stessi. I
problemi, in particolare, sarebbero dovuti alla misurazione del lavoro, visto che le
variazioni del capitale sono meno significative ed il peso di questo fattore nella
funzione di produzione, pari a Τ 1 , è minore di quello dell’input di lavoro
32 #Τ . A tal fine, Prescott utilizza due misure indipendenti delle ore lavorate, una
ricavata dall’indagine sugli occupati e l’altra da una ricerca sulle famiglie e stima la
deviazione standard delle ore di lavoro con la covarianza tra le variazioni che il
lavoro ha subito, periodo per periodo, nelle due serie.
L’unica conclusione che l’autore ritiene di poter trarre sugli shock tecnologici,
è che questi sono caratterizzati da un’elevata persistenza, mentre non può dirsi nulla
di certo sull’esatta dimensione della loro volatilità, poiché il valore della deviazione
standard dipende in modo cruciale dalla qualità delle misure a disposizione per il
calcolo dei residui di Solow.
Dall’altra parte, Hall (1987, 1988) fa notare che per “calibrare” i parametri
della funzione di produzione utilizzata, cioè i valori Τ e Τ 1 , come le quote del
lavoro e del capitale nel prodotto aggregato, non si può prescindere dall’assunzione
di concorrenza perfetta, che garantisce che i fattori produttivi sono retribuiti secondo
i rispettivi prodotti marginali. Se le imprese non operano in un mercato perfettamente
competitivo, allora i prezzi eccedono i costi marginali, le quote dei fattori non
coincidono più con i parametri della tecnologia Τ e Τ 1 ed i residui di Solow
finiscono per includere, oltre ai veri e propri shock tecnologici, anche le variazioni
del mark-up lungo il ciclo.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
13
L’assenza di concorrenza perfetta nel reale funzionamento dell’economia viene
anche indicata da Hall (1988) come la causa principale della correlazione osservata
tra la serie dei consumi pubblici (con particolare riferimento alle spese militari) e
quella dei residui di Solow. Poiché, secondo l’autore, in un mercato perfettamente
competitivo gli shock esogeni devono essere ortogonali rispetto alle diverse misure
della politica fiscale e monetaria, tale correlazione non nulla rappresenterebbe un
argomento contro l’ipotesi di concorrenza perfetta e, di conseguenza, contro
l’utilizzo dei residui di Solow quale misura dei disturbi tecnologici in un modello di
ciclo reale.
I risultati conseguiti da Hall, portano l’autore alla conclusione che la sola
presenza del “labor hoarding” non sarebbe sufficiente a produrre significativi
movimenti prociclici nei residui di Solow, qualora i mercati fossero effettivamente
caratterizzati da perfetta competizione e da prezzi perfettamente flessibili.
Prescott difende comunque la validità delle conclusioni raggiunte utilizzando i
residui di Solow, sostenendo la robustezza dei risultati rispetto alle variazioni di
alcune delle ipotesi ritenute, al contrario, imprescindibili. L’autore (1998) richiama, a
tal fine, il lavoro di Devereux, Head e Lapham (1996), nel quale si prendono in
considerazione, rispettivamente, i rendimenti crescenti di scala (per l’esistenza di
costi di produzione fissi) ed un mercato monopolistico, caratterizzato da rendimenti
di scala o di specializzazione crescenti. Il risultato è che, con ipotesi non troppo
estreme ed irreali sul funzionamento dei mercati, l’importanza degli shock alla
produttività totale dei fattori nella spiegazione delle fluttuazioni economiche è ancora
primaria.
Anche Evans (1992) critica l’idea secondo la quale gli shock tecnologici sono
ben rappresentati dai residui di Solow, citando a tal fine l’osservazione per cui il
valore di questi ultimi può essere in qualche modo previsto grazie alla loro elevata
correlazione con alcune misure degli aggregati monetari e quindi essi non possono
essere considerati realmente esogeni.
Per quanto riguarda la spesa pubblica, in effetti, si potrebbe supporre che le sue
variazioni possano generare un miglioramento della produttività marginale del
lavoro, per esempio attraverso il miglioramento delle vie di comunicazione che
agevoli il trasporto delle merci. Una politica monetaria accomodante, inoltre,
potrebbe agire nella direzione opportuna in previsione di un’espansione dell’attività
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
14
reale, ma in quest’ultimo caso si tratterebbe di un’anticipazione degli “shock”, i cui
effetti non comprenderebbero la componente dovuta alla sorpresa.
Burnside, Eichenbaum e Rebelo (1993) (BER(93) d’ora in poi) si prefiggono di
analizzare le conseguenze del “labor hoarding” sui risultati cui conduce un modello
di ciclo reale per quanto riguarda il peso attribuito agli shock tecnologici nella
spiegazione delle fluttuazioni cicliche di un’economia perfettamente competitiva
caratterizzata da mercati completi.
A giudizio di questi autori, il “labor hoarding” avrebbe conseguenze
significative sulle implicazioni quantitative dei modelli di ciclo reale, tanto che la
capacità degli shock di tipo tecnologico, nella spiegazione della variabilità del
prodotto aggregato, risulta molto ridimensionata quando nella specificazione
dell’economia artificiale si tiene conto di questa caratteristica del mercato del
lavoro
4
.
Contrariamente a quanto sostenuto da Hall (1987), inoltre, BER(93) affermano
che un modello che consideri un’economia priva di deficienze e rigidità sia del tutto
capace di generare una correlazione fra i residui di Solow e la spesa pubblica
coerente con le osservazioni. Di conseguenza, l’uso di tali residui comporta
un’accentuazione della variabilità dei disturbi che colpiscono la produttività
marginale dei fattori, implicando una sistematica sovrastima del livello della
tecnologia nelle fasi di boom ed una sua sistematica sottovalutazione durante le fasi
di declino.
Commentando i risultati di BER(93), Prescott (1998) afferma che le ipotesi
necessarie a rendere il “labor hoarding” un fattore importante nella spiegazione delle
fluttuazioni economiche, sono così estreme
5
da dimostrare esattamente il contrario di
quanto sostenuto da questi autori, cioè il ruolo del tutto secondario di tale fenomeno
per la questione in esame. L’autore riconosce che il “labor hoarding” può avere
conseguenze di una certa entità soltanto quando gli shock tecnologici sono transitori,
ma non quando hanno un’elevata persistenza, come in effetti sono quelli da lui stesso
individuati come i principali responsabili dei fenomeni di ciclo economico.
4
Rispetto al caso in cui non si tiene conto del “labor hoarding”, nel modello in esame la frazione
della variabilità del prodotto implicata dal modello su quella ricavabile dai dati è minore di un
ammontare che varia dal 28% al 63%, a seconda dell’intervallo temporale considerato.
5
In particolare, Prescott (1998, pag. 16) si riferisce al fatto che nel modello di Burnside,
Eichenbaum e Rebelo (1993) i lavoratori fissano quella che sarà la propria offerta di lavoro per i tre
mesi successivi, mentre nella realtà le ore lavorate non restano fisse per periodi così lunghi.
Capitolo 1. Lo studio delle fluttuazioni economiche e la teoria del ciclo reale
15
Anche Mankiw (1989) avanza dubbi sul fatto che i residui di Solow possano
essere effettivamente interpretati come la manifestazione di disturbi tecnologici
esogeni, prospettando la possibilità che le variazioni della produttività risentano in
modo significativo di fattori al di fuori della funzione di produzione, uno dei quali è
appunto rappresentato dal “labor hoarding” appena menzionato.
Secondo questo approccio, quindi, la produttività sembra diminuire nelle fasi di
recessione perché le imprese mantengono una certa quantità di lavoro inutilizzato, in
quanto non necessario per fare fronte ad una scarsa domanda di beni. Quando
l’economia sperimenta un periodo di boom, poi, quegli stessi lavoratori aumentano le
proprie prestazioni, determinando un aumento del prodotto a fronte di una modesta
variazione dell’occupazione.
Nell’ambito dei modelli di ciclo reale, uno dei principali inconvenienti
originati dalla presenza dei costi associati agli spostamenti degli individui dentro e
fuori dall’occupazione, è rappresentato dal fatto che il numero di ore di lavoro non è
una buona misura dell’input di lavoro. Poiché il valore di quest’ultima variabile entra
direttamente nel calcolo dei residui di Solow (nella relativa espressione a pag. 9
compare infatti il termine N), si capisce come la stima dell’entità dei disturbi di
natura tecnologica porti a conclusioni poco attendibili sulla quantificazione
dell’importanza di tali shock nella determinazione della dinamica del sistema
economico.