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soggetti principali del diritto internazionale, “gli enti politici per eccellenza”:
appunto gli Stati. Secondo il Kelsen, ad esempio, un diritto internazionale
sarebbe del tutto inconcepibile se esso non determinasse in maniera
autonoma che cosa deve intendersi per Stato. In pratica, però, il diritto
internazionale non dichiara che cosa deve intendersi per Stato, al fine di
un più facile riferimento delle sue norme.
L’unica alternativa utile, allora, ai fini dell’individuazione dello Stato come
soggetto di diritto internazionale è quella tra Stato-comunità, da una parte,
e Stato-organizzazione dall’altra.
Per Stato-comunità si intende una comunità umana stanziata su di una
parte della superficie terrestre e sottoposta a leggi che la tengono unita.
L’insieme dei governanti, cioè degli organi che esercitano ed in quanto
esercitano il potere di imperio sui singoli associati, costituisce, invece, lo
Stato-organizzazione o Stato-governo.
Solo lo Stato-organizzazione può essere qualificato soggetto di diritto
internazionale.
L’attribuzione della personalità internazionale ad un ente comporta delle
conseguenze, tra le quali quella di essere centro di imputazione della
responsabilità internazionale. L’espressione “responsabilità internazionale”
è suscettibile di una pluralità di accezioni.
Secondo un modo di vedere che si è venuto gradualmente affermando in
epoca più recente, e che si trova riflesso nei lavori della Commissione del
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diritto internazionale delle Nazioni Unite (CDI), la responsabilità
internazionale avrebbe un contenuto complesso, comprensivo sia
dell’obbligo di un soggetto di riparare un pregiudizio causato ad un altro,
sia della sua soggezione all’altrui facoltà di infliggere ad esso una
sanzione.
La materia della responsabilità internazionale è regolata in primo luogo
da norme non scritte di carattere generale. Accanto alle norme generali
non scritte esistono norme pattizie. Ma manca a tutt’oggi, un accordo di
carattere generale che disciplini in modo unitario la responsabilità
internazionale. Dal lontano 1953 la CDI intraprese lo studio
dell’argomento, ma un progetto di codificazione completo non ha visto la
luce se non recentemente, nel 1996.
In questo anno, il Progetto è stato, infatti, completato con l’aggiunta di
una seconda parte relativa alle conseguenze dell’illecito e di una terza
parte sulla risoluzione delle controversie.
Sulla base dei rapporti presentati dal relatore speciale J. Crawford, la CDI
ha finalmente approvato – 3 agosto 2001 – il Progetto in seconda lettura,
apportando delle modifiche rispetto alla prima versione.
Bisogna, in conclusione, dare atto alla Commissione di diritto
internazionale di avere compiuto finora uno sforzo notevole di
codificazione e di unificazione della materia, del quale si deve tenere in
debito conto nel ricostruire il regime giuridico delle responsabilità
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internazionale previsto dalle norme generali non scritte. Dopo aver
esaminato la problematica relativa alle norme internazionali che si
occupano della responsabilità, possiamo passare ad individuare i
destinatari di tali norme.
Si deve premettere, che in tanto si può parlare di responsabilità
internazionale di un ente, in quanto questo sia persona di diritto
internazionale. Ciò mostra la connessione assai stretta che il problema
della responsabilità ha con quello della soggettività.
Per la dottrina dominante sono enti che possiedono una capacità
giuridica internazionale gli Stati, i movimenti insurrezionali, la Santa Sede,
le organizzazioni internazionali, in quanto organizzati in modo
indipendente. Soggetto autorizzato a far valere la responsabilità
internazionale, invece, non può mai essere la comunità internazionale
propriamente detta, tale comunità non essendo personalizzata, non
costituendo cioè un soggetto a sé, distinto dai suoi membri.
La responsabilità è un elemento chiave di un sistema giuridico, che ne
condizione l’efficacia, ma che, a sua volta, è condizionato dalle
caratteristiche istituzionali e normative del sistema cui appartiene.
Ciò dà conto delle notevoli trasformazioni che hanno caratterizzato la
materia della responsabilità, come riflesso dei profondi cambiamenti del
diritto internazionale contemporaneo rispetto al cosiddetto diritto
internazionale classico, anteriore al secondo dopoguerra. A partire da
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questo momento, infatti, il maggiore controllo della legalità internazionale
da parte degli Stati, ha contribuito all’incremento della prassi in materia di
responsabilità che oggi si estende a tutti i settori, inclusi i più delicati, quali
le violazioni dei diritti umani o del divieto dell’uso della forza.
I citati lavori della CDI, hanno evidenziato e consacrato il generale
consenso degli Stati, circa il mutato rilievo della responsabilità nel diritto
internazionale contemporaneo rispetto al diritto internazionale classico, ed
hanno costituito un formidabile strumento per mettere in luce la
complessità della materia di fronte alla semplificazione provocata
dall’identificazione con la questione dei danni agli stranieri.
Esaminando, in conclusione, il contenuto della responsabilità
internazionale, la dottrina tradizionale ritiene che il sorgere di una
situazione di responsabilità internazionale in capo ad uno Stato
presuppone la commissione da parte di tale Stato di un “fatto illecito
internazionale”.
La dottrina dominante indica generalmente due “elementi” come
costitutivi, appunto, di tale fatto illecito: quello soggettivo e quello
oggettivo. Per alcuni autori un terzo elemento dovrebbe aggiungersi ai due
menzionati: quello del danno, tanto materiale che morale, e dunque la
lesione di un interesse diretto e concreto dello Stato nei cui confronti
l’illecito è perpetrato.
La CDI ha preso posizione negativa al riguardo. Infatti ha sostenuto che
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se il danno, sufficiente perché sorga una responsabilità internazionale, è
necessariamente implicito nel comportamento che costituisce la
“violazione di un obbligo”.
Le dimensioni del fenomeno delle organizzazioni internazionali si sono
ampliate nel corso del tempo. Se nel secolo scorso, esse si contavano in
poche unità, successivamente il loro numero si è enormemente
accresciuto.
Gli Stati ricorrono sempre più spesso alle organizzazioni internazionali,
come “luogo” dove studiare i problemi comuni e le strategie per affrontarli.
Esse rappresentano la più importante tendenza verso
“l’istituzionalizzazione” della comunità internazionale mediante relazioni
organizzate fra Stati.
Per questo è necessario studiare questo fenomeno, e per farlo è
necessario innanzitutto vedere quali sono i caratteri salienti degli
organismi impegnati a “promuovere, intensificare e rendere più stabile,
continua ed operante la cooperazione internazionale”.
Le organizzazioni internazionali assumono, innanzitutto, forme sempre
diverse e più articolare, e contenuti e funzioni nuove; la dottrina è quindi
chiamata a prendere atto di questa continua evoluzione ed è pertanto
suscettibile di variazioni anche rilevanti.
La moltiplicazione delle organizzazioni internazionali è indubbiamente un
fenomeno recente nella storia delle relazioni internazionali: esso risale
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infatti al secondo dopoguerra.
Bisognò, infatti, attendere la Società delle Nazioni (1919) per la nascita di
un’organizzazione polifunzionale, caratterizzata dal trasferimento sul piano
internazionale di alcune funzioni esercitate dallo Stato costituzionale sul
piano interno. Lo scopo fondamentale della Società delle Nazioni era il
mantenimento della pace e della sicurezza, ma fallì nel suo compito
proprio perché non riuscì ad impedire lo scoppio della seconda guerra
mondiale. Anche se già in precedenza non era stata in grado di assumere
il ruolo di garante della pace per cui era stata creata.
Con lo scoppio delle seconda guerra mondiale, i tempi erano ormai
maturi per un ulteriore passo avanti nel campo della cooperazione
internazionale multilaterale; infatti già nel 1942 si gettarono le basi del
nuovo sistema che poi si sarebbe concretizzato nell’ONU, che si trovò ad
operare in una situazione più facile da un lato, ma più difficile dall’altro. Il
futuro della politica internazionale è dunque sicuramente legato, oggi più
che in passato, alla questione dell’organizzazione internazionale, al modo
in cui la comunità degli Stati saprà governare se stessa e le sfide che ha di
fronte.
Possiamo esaminare il ruolo svolto, oggi, dalle organizzazioni
internazionali nell’ambito della politica internazionale, dato che a ruoli
diversi corrispondono funzioni di natura diversa.
Le organizzazioni internazionali possono essere, infatti, intese come
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strumenti a disposizione degli Stati, come luoghi dove l’attività diplomatica
ha modo di svolgersi, o protagonisti della scena internazionale; ruoli che
non si escludono reciprocamente: ciascuna organizzazione infatti, può
ricoprirli tutti e tre contemporaneamente, oppure passare dall’uno all’altro.
Inoltre le organizzazioni internazionali svolgono una funzione di garanzia
del rispetto delle norme internazionali disciplinanti qualsiasi settore.
Contribuiscono anche all’evoluzione del tessuto normativo, favoriscono la
definizione e la stabilizzazione dei diritti di proprietà. In conclusione, le
organizzazioni internazionali svolgono numerose funzioni al servizio della
comunità internazionale, sempre più spesso assumendo un ruolo attivo e
innovativo.
La comunità internazionale, storicamente, ha riconosciuto sempre, come
soggetti internazionali soltanto gli Stati, enti politici territoriali dotati di
piena sovranità. In tale situazione non vi era spazio per altri soggetti che
non fossero Stati.
Successivamente la necessità degli Stati di delegare la tutela e la cura di
determinati interessi collettivi ad enti distinti da essi, ha portato alla
formazione delle organizzazioni internazionali.
Quando viene creata mediante accordo internazionale una nuova
organizzazione, essa non acquista sin dal primo momento e per il fatto
della sua creazione una piena personalità giuridica internazionale. Infatti
questa è un fatto oggettivo che è constatabile soltanto in presenza di certi
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presupposti i quali, in genere, si realizzano gradatamente lungo l’arco di
sviluppo di un ente. In passato la dottrina è stata a lungo divisa in materia
di personalità giuridica delle organizzazioni internazionali. Si possono
individuare, infatti, tre scuole di pensiero diverse, ma che rispondono ad
una necessità pratica: infatti l’organizzazione internazionale ha bisogno
della personalità, di essere soggetto di diritto internazionale, di avere dei
poteri autonomi e di esercitarli, per raggiungere le sue finalità ed anche
per intrattenere rapporti con l’esterno.
Le organizzazioni internazionali oltre che operare nell’ambito della
comunità internazionale, però, svolgono attività negli ordinamenti interni
degli Stati membri. Perciò non bisogna confondere la loro personalità
internazionale con la loro personalità di diritto interno.
Quindi si vede come la nozione di personalità comprende una serie di
capacità, ossia di poteri, diritti ed obblighi dei quali l’organizzazione è
titolare, sia all’interno degli Stati membri che all’esterno.
Una questione di grande importanza per il diritto delle organizzazioni
internazionali, riguarda la responsabilità delle organizzazioni nei confronti
degli Stati e di altri soggetti internazionali.
Il concetto di responsabilità internazionale è stato oggetto di varie
interpretazioni, come si è visto, ma in questa sede i principi importanti
sono da un lato che le organizzazioni internazionali, come persone
giuridiche, sono soggetti di diritto internazionale; dall’altro che le violazioni
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del diritto internazionale da parte di un soggetto internazionale
comportano responsabilità.
Una volta, però, che la personalità di una organizzazione internazionale è
stata riconosciuta, non è difficile ricavare da ciò che essa può essere
considerata responsabile, perché ha degli obblighi nell’ambito del diritto
internazionale stesso.
Il punto che più di ogni altro va indagato, è se le norme di diritto
internazionale generale sulla responsabilità, obblighino anche le
organizzazioni internazionali. In linea di principio la risposta dovrebbe
essere positiva.
Le difficoltà che si incontrano nel pervenire a delle conclusioni,
provengono dal fatto che il problema della responsabilità delle
organizzazioni internazionali è un fenomeno “in fieri”, dovuto anche
all’origine recente delle organizzazioni stesse. Allora l’esame di alcuni casi
di responsabilità per illeciti di organizzazioni internazionali potrà servire a
chiarire meglio questo fenomeno. Due riguardano l’individuazione del
responsabile per gli inadempimenti di un’organizzazione, verso terzi: e
sono il caso dell’International Tin Council e della Westland Helicopters.
Un terzo invece riguarda l’individuazione del soggetto cui imputare la
responsabilità per gli illeciti commessi, nei confronti di uno Stato membro,
nell’ambito delle operazioni di peace-keeping costituite dall’ONU, e quindi
si inquadra nel tema della responsabilità per attività dell’ONU.
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Per quanto riguarda i primi due, nel caso dell’ITC, si trattava di decidere
se gli Stati membri di tale organizzazione, creata per stabilizzare i prezzi
dello stagno, dovevano rispondere dei debiti che erano stati contratti
dall’organizzazione e che questa non era più in grado di onorare; nel
secondo lo stesso quesito si poneva con riguardo all’Organizzazione per
l’Industrializzazione Araba, creata da alcuni Stati arabi per lo sviluppo
dell’industria delle armi e poi messa in liquidazione. In entrambi i casi, le
sentenze che li hanno decisi, sono partite dalla constatazione che gli
statuti delle due organizzazioni non risolvessero il problema e che le
norme statutarie attributive della capacità di diritto interno alle
organizzazioni medesime, non fossero decisive al fine di negare la
responsabilità sussidiaria degli Stati membri, e ciò in quanto l’assoluta
limitazione di responsabilità, non è una conseguenza necessaria della
personalità. Ma mentre nel primo caso, si è ritenuto che non vi fossero
norme internazionali applicabili e si è deciso comunque il caso alla luce
dell’ordinamento in cui si trovava il giudice adito (in questo caso quello
inglese), pervenendo ad escludere la responsabilità degli Stati membri; nel
secondo si è ritenuto che la responsabilità sussisteva in base ad un
principio generale di diritto secondo cui “chi si impegna in affari di natura
economica deve rispondere delle obbligazioni che ne derivano”.
Per quanto riguarda il terzo caso, bisogna innanzitutto partire da un
importante parere della Corte internazionale di giustizia, con il quale essa
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ha riconosciuto che l’ONU è un ente dotato di personalità giuridica
internazionale, il che presuppone che essa è titolare di quei diritti e di quei
doveri che le sono necessari per poter esercitare in concreto le funzioni
che le sono attribuite dallo Stato.
Inoltre essa ha affermato che, avendo l’ONU delle finalità di carattere
universale, è dotata di personalità obiettiva, cioè che non dipende da
riconoscimento che ad essa danno gli Stati membri.
Questo vuol dire che l’ONU può esercitare i diritti che sorgono sul piano
internazionale dal rapporto di responsabilità: per quanto riguarda, quindi,
l’aspetto attivo della responsabilità, la risposta, nell’ambito
dell’ordinamento dell’ONU, è positiva.
Tuttavia, maggiore rilevanza ha il problema dell’aspetto passivo della
responsabilità dell’organizzazione, che consiste nell’accertare se uno
Stato può invocare la responsabilità dell’ente, in conseguenza o in
relazione agli atti illeciti ad esso imputabili.
La casistica che tipicamente riflette l’ipotesi della responsabilità passiva è
emersa dalle operazioni che l’ONU ha condotto, in varie occasioni, per il
ristabilimento della pace. Basti pensare che il mantenimento della pace è
la condizione da cui dipende, oltre che la sopravvivenza stessa
dell’organizzazione, quella evoluzione degli Stati e dei loro rapporti che è
diretta a rimuovere già parte delle cause di fondo delle tensioni
internazionali.
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La prima operazione di “peace-keeping” venne organizzata
dall’Assemblea generale nel 1956, attraverso la costituzione dell’UNEF I la
United Emergency Force nel Sinai. Essa costituì il modello di riferimento
per le successive operazioni dello stesso tipo all’epoca della guerra
fredda, comunemente definite come operazioni di pace della prima
generazione, tutte poste in essere dal Consiglio di Sicurezza.
Successivamente queste sono state affiancate o sostituite da operazioni
c.d. della seconda e terza generazione.
Le operazioni della seconda generazione, la cui data si fa appunto
coincidere con il 1989, sono quelle in cui la componente civile e le attività
da essa svolte acquistano un peso praticamente equivalente rispetto alle
attività di carattere militare: ciò al fine di collegare l’obiettivo del
mantenimento della pace con quelli della prevenzione dei conflitti e del
soddisfacimento di più generali finalità di carattere politico-sociale .
In relazioni a tali attività dell’ONU, si pone il problema se questa sia
destinataria delle norme internazionali che stabiliscono l’obbligo di riparare
le conseguenze di un illecito, o se unici destinatari di tale obbligo siano gli
Stati membri, oppure se via sia un concorso di obblighi fra questi e l’ONU.
Sarà necessaria, però, per risolvere questo problema, un’indagine, volta
per volta diretta a stabilire se prevalga l’autorità esclusiva degli Stati, nel
qual caso la realizzazione dei compiti per i quali la Forza agisce deve farsi
risalire a questi, che ne saranno i veri responsabili; se invece il controllo e
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il comando effettivo viene esercitato dall’ONU, quest’ultima deve
considerarsi responsabile.
Considerando la missione della Nazioni Unite in Somalia (UNOSOM I, poi
trasformata in UNOSOM II) che è particolarmente importante per il
coinvolgimento diretto del nostro Paese viste le accuse che sono state
rivolte ad alcuni componenti il contingente italiano che ha operato nel
quadro dell’intervento umanitario svoltosi, appunto in Somalia nel 1993,
bisogna dire che, innanzitutto le vicende dell’UNOSOM II hanno fatto della
Forza in esame un’esperienza isolata, che si è rivelata un fallimento. Ad
aggravare questa situazione, già di per se fallimentare, si sono aggiunti
appunto, i gravi fatti di violenza commessi sulla popolazione somala da
appartenenti ai contingenti di vari Paesi, tra cui l’Italia. Sicuramente le gravi
accuse rivolte ai componenti del contingente italiano impongono molta
cautela, fino a quando tutte le autorità competenti non avranno fatto
completa luce sui fatti denunciati. Però si può sottolineare che i problemi
giuridici che si pongono sono: quello della qualificazione dei fatti denunciati
e quello della loro eventuale attribuzione ad un soggetto internazionale che
risponderà sul piano del diritto internazionale.
In una situazione, quindi, che vede coinvolti nei fatti denunciati uno Stato
e organi di uno Stato diverso da quello sul territorio del quale i fatti
sarebbero realizzati, nonché l’ONU, in virtù della risoluzione autorizzativa
dell’operazione “Restore Hope”, o direttamente per l’opera del contingente
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italiano parte dell’UNOSOM, sarebbe auspicabile che i fatti denunciati
siano oggetto di un accertamento non solo ad opera di meccanismi interni
ma anche con un’inchiesta decisa ed organizzata dai due Stati coinvolti,
oppure decisa ed organizzata dall’ONU, su richiesta o su semplice
consenso dell’Italia e della Somalia.