2
problemi contraddittori. Ma gli studi di psicologia e di psicanalisi, che
hanno scandagliato le profondità dello spirito umano, hanno messo in
crisi anche le asserzioni tradizionali della filosofia estetica, facendo
una specie di rivoluzione copernicana anche nella questione dell’arte.
Su questa strada si è messo anche uno studioso di attualità, che ha
voluto approfondire il problema estetico con criteri speculativi più
moderni, abbandonando le definizioni tradizionali dell’arte e
orientando le ricerche, in base ai dati della psicanalisi: Richard
Wollheim.
Egli estende il suo studio di estetica sull’arte, rifacendosi agli albori
della specie umana, quando l’uomo preistorico era in grado di
esprimere i primi sintomi di razionalità e ricostruisce, a suo modo, la
scoperta dell’arte pittorica. Nel suo libro “Dipingere come
arte”…Richard Wollheim espone infatti le sue teorie concernenti i
problemi di estetica circa i metodi di ricerca sulle origini della pittura
come prima forma di comunicazione scritta trovata dall’uomo.
L’autore asserisce che nei primordi della specie umana un ignoto
tracciò intenzionalmente sulla roccia un segno, senza pretese
rappresentative. Questo segno gli parve interessante. Da quel
momento quest’uomo sentì l’impulso a perfezionarlo. Si accorse che
con questo segno poteva riprodurre degli oggetti e cominciò a
disegnare delle forme di animali; le fece osservare agli altri uomini
per vedere se questi capivano le sue rappresentazioni, quindi
perfezionò questi disegni finché non nacque una tecnica pittorica ben
precisa.
Richard Wollheim sostiene che anche ora un artista è spinto a
dipingere dalla sua grande passione per la pittura stessa. Egli stesso,
infatti, confessa che già dall’infanzia sentiva l’impulso a dipingere e il
3
suo grande amore per quest’arte non si è mai spento. Due sono i suoi
grandi maestri di pittura Poussin e Picasso.
Appassionato tra l’altro di psicoanalisi, Wollheim tenta una
critica dell’arte pittorica prettamente secondo le teorie freudiane e
paragona il dipinto al sintomo nevrotico, facendo notare le due
importanti differenze: sia il dipinto e sia il sintomo nevrotico sono
attivati dalla fantasia, ma mentre per l’artista la fantasia è il punto di
partenza e l’inizio di un lavoro produttivo, per il nevrotico segna la
fine di un percorso fatto di tensioni che sfocia nell’abbandono del
mondo reale e il rifugio nella fantasia stessa. “L’artista vedrà per
mezzo del suo lavoro ricchezza, amore e fama; il nevrotico invece non
avrà nulla di tutto questo”
1
. Nel suo libro: “ Painting as an art”
Wollheim puntualizza proprio questo concetto e aggiunge che di
estrema importanza è capire le intenzioni dell'artista che produce
l’opera d’arte.
L’artista è insieme spettatore e agente delle proprie opere,
dipinge per comunicare innanzi tutto a se stesso, poi all’eventuale
spettatore, le emozioni che lo hanno spinto a comporre il quadro.
Wollheim vuol farci capire che ciò che distingue l’opera d’arte
dal comune dipinto è proprio la riuscita di questa comunicazione delle
emozioni provate dall'artista.
In altre parole l’opera d’arte si attua solo nel momento in cui
l’artista riesce a comunicare precisamente a se stesso, e quindi anche
allo spettatore, l’emozione che ha dato origine al dipinto.
1
Cit., R. Wollheim: Art and its objects - an introduction to Aesthetics ed. Haper and Row,
Publishers, New York, Evanston, London, 1968, .
Traduzione in Italiano di Enzo de Lellis, titolo Introduzione all'estetica, ed. Istituto Editoriale
Internazionale Milano, 1974, pag.127.
4
L’estetica, dunque, deve occuparsi del linguaggio delle forme
(concetto quest’ultimo di cui già si occupò Focillon
2
), forme che
comunicano emozioni.
Wollheim precisa che le figure e i colori che l’artista usa per
creare i suoi dipinti possono essere paragonati al linguaggio. Come
noi usiamo il linguaggio per esprimere pensieri ed emozioni, il pittore
usa le figure ed i colori per esprimere le stesse cose attraverso delle
immagini che la società ha già canonizzato in un certo modo. A questo
processo psichico di leggere le immagini, che noi impariamo sin da
piccoli a decifrare e a vedere in una determinata maniera, Wollheim
dà il nome di seeing-in.
L’estetica, quindi, nella sua ricerca sull’arte pittorica deve
tenere conto del fatto che anche questa, come una poesia o un
romanzo (tutta l’arte letteraria in genere), va interpretata come se si
avesse a che fare con un motto di spirito che utilizza per la sua
formazione il simbolismo onirico, ma la sua somiglianza col sogno
finisce qui in quanto, mentre il sogno per sua natura tende a
nascondere un significato recondito, il motto di spirito questo
significato tende a svelarlo. Da qui l’importanza della conoscenza del
simbolismo onirico e della interpretazione dei sogni tipica della
psicoanalisi.
Le opere più importanti dell’autore, che vertono sui temi
dell’estetica, sono: “Pain as an art”, “Art and Its Objects - An
Introduction to Aesthetics”, “La svolta linguistica in filosofia” e “On
the emotions”.
2
Focillon Henri, storico dell'arte francese (1881-1943). Docente in Francia e negli Stati Uniti, ha
pubblicato importanti studi di storia dell'arte medievale: "L'arte degli scultori romanici" (1931),
"La vita delle forme" (1934), "L'arte dell'Occidente" (1938), "L'anno mille" (1942).
5
Nel primo capitolo farò una disamina del libro “Art and its
objects – An Introduction to Aesthetics” dove Wollheim spiega in
generale il suo pensiero riguardo ai problemi dell'estetica. Poi
cercherò di centrare e sviluppare, nei successivi capitoli, i punti
fondamentali e più innovativi del suo pensiero intorno agli argomenti
di cui sopra.
6
CAPITOLO I
ART AND ITS OBJECTS - AN INTRODUCTION TO
AESTHETICS
(L’ARTE E I SUOI OGGETTI – UN’INTRODUZIONE
ALL'ESTETICA)
1.1 Il problema dell’arte
Come metodo inquisitivo, prima di esternare le sue convinzioni
personali, Wollheim analizza le forme tradizionali dell’arte e inizia,
quasi come una provocazione al dialogo, ponendo il quesito: “Che
cos’è l’arte?”
Nel libro “Art and its objects – An introduction to aesthetics”
egli non parla solo della pittura, ma cerca un punto di incontro tra le
varie arti. Alla domanda di cui sopra, risponde riferendosi alla teoria
tradizionale, che poi criticherà, che è l’insieme complessivo delle
opere d’arte. L’opera d’arte può essere un componimento poetico, un
dipinto, un brano musicale e via dicendo.
Wollheim comincia la sua trattazione su questo argomento
affermando che l’opera d’arte è soggetta a una varietà di giudizi da
parte degli spettatori (tanti quanti sono i generi artistici).
Generalmente il giudizio non è univoco: “il problema dell’arte ha
sempre richiesto una soluzione unitaria, ovvero una risposta della
forma: ‘l’arte è...’, mentre ciò che ora ci si può attendere è al massimo
una pluralità di risposte, tante quanti sono i generi artistici che si sono
inizialmente distinti”
3
.Bisogna, secondo l’idea di Wollheim, trovare la
proprietà o l’insieme di proprietà che sono in comune con tutte le
forme d’arte.
3
R. Wollheim Introduzione all’estetica, cit. pag. 14
7
Partendo dall'ipotesi che le opere d’arte siano oggetti materiali,
Wollheim vede che tale ipotesi è un punto di partenza naturale in
quanto è plausibile presumere che le cose sono oggetti materiali, a
meno che non sia assolutamente chiaro il contrario.
L’ipotesi, però, che le opere d’arte siano oggetti materiali può
comunque essere messa in discussione, per quanto riguarda certe arti;
l’obiezione consiste nel rilevare che non sempre esistono oggetti
materiali che possano, con qualche plausibilità, essere identificati con
l’opera d’arte stessa: se esaminiamo un brano musicale o un romanzo
ci rendiamo conto che essi esistono solo nella mente dell’artista. Un
brano musicale o un romanzo non sono oggetti statici, fissi nello
spazio e nel tempo, (ciò che è requisito essenziale per poter
considerare materiale un oggetto).
Per quanto, invece, concerne altre arti – in particolare la pittura
e la scultura – si obietta che, sebbene esistano oggetti materiali che
potrebbero essere identificati come opere d’arte, tuttavia tale
identificazione secondo Wollheim è scorretta.
Il primo tipo di obiezione, dice sempre Wollheim, è di gran
lunga più difficile da superare, ma è quello che dà meno problemi,
rispetto al secondo, per l’estetica.
Che ci sia, sostiene Wollheim, un oggetto materiale che possa
essere riconosciuto come l’“Ulisse” di Joyce o come il “Cavaliere
della rosa” di Strauss
4
è tesi che non resiste a lungo alle obiezioni che
si possono contrapporle.
“Esiste certamente la copia dell'Ulisse che si trova in questo
momento davanti a noi sul tavolo e copia e rappresentazione possono
essere considerati oggetti materiali”.
5
4
R.Strauss: Musicista, nato a Monaco di Baviera nel 1864 e morto Gramisch-Partenkirchen nel
1949.
5
R. Wollheim: Introduzione all’estetica pag. 17
8
Wollheim pensa che ci siano due modi diversi di definire le
opere create dagli artisti: uno come opere originali, l’altro come copie,
rappresentazioni, ecc. di opere d’arte.
Bisogna riconoscere però, aggiunge, che “è evidentemente
assurdo identificare l’Ulisse con la copia che abbiamo e il Cavaliere
della rosa con la rappresentazione che ci siamo fatti una sera, per cui
sembrerebbe erroneo identificare le opere d’arte con oggetti materiali.
Infatti, il critico che ammira l’Ulisse non deve necessariamente
ammirare il manoscritto e neppure si può sostenere che il critico che
ha visto o maneggiato il manoscritto si trova come tale in una
posizione di privilegio allorché passa a formulare un giudizio sul
romanzo.
Inoltre è possibile che il manoscritto vada perduto, mentre
l’Ulisse venga conservato; ma ci sono anche dei casi in cui il
manoscritto è stato perso e con lui anche il romanzo”
6
.
Wollheim ci fa poi notare che i critici tradizionalisti, come
ultimo disperato tentativo di salvare l’ipotesi dell'oggetto materiale
come opera d’arte, persistono nel sostenere che tutte quelle opere
d’arte, che non possono plausibilmente essere identificate con oggetti
materiali, vanno identificate con classi di oggetti materiali. Tesi
insostenibile, obietta Wollheim. “Così un romanzo, del quale esistano
copie, non è questo o quella copia, ma la classe di tutte le sue copie,
ma non è difficile immaginare obiezioni da opporre a questa tesi.
C'è poi da dire che la tesi in questione non rende affatto conto
del motivo per cui tutte le diverse copie dell’Ulisse sono considerate
come copie dell’Ulisse e di null’altro a tutte le rappresentazioni del
Cavaliere della rosa come rappresentazioni di quest’unica opera”
7
.
6
R. Wollheim: Introduzione all’estetica pag. 18
7
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 21
9
Questo vuol dire che: “Se un romanzo (rispettivamente
un’opera) è proprio la classe delle sue copie (rispettivamente, delle
sue rappresentazioni), allora non è possibile, allo scopo di procedere
all'identificazione delle copie di un romanzo (rispettivamente, delle
rappresentazioni di un’opera), riferirsi dalle copie al romanzo, dalle
rappresentazioni dell'opera.
Tutte le copie dell'“Ulisse” e, certamente, tutte le
rappresentazioni del “Cavaliere della rosa”, non sono perfetti
equivalenti.
Poi sembra strano riferirsi alla rassomiglianza fra le copie
dell'“Ulisse” e del “Cavaliere della rosa” come se si trattasse di un
dato di fatto”
8
.
In altre parole, Wollheim vuol sostenere che certe esecuzioni
sono esecuzioni del “Cavaliere della rosa” perché sono in reciproco
rapporto di somiglianza, ciò manifesta contraddizione in termini:
sembra capovolgere completamente l’ordine del pensiero: “La
somiglianza segue dal fatto che sono tutte copie o esecuzioni di un
medesimo romanzo o di una medesima opera e comunque deve essere
intesa in riferimento a questo fatto”.
9
Wollheim pensa che coloro che sono disposti a concedere che
alcuni generi di opere d’arte non sono oggetti materiali insisteranno
sul fatto che altri generi artistici lo sono. E per esplicitare la sua tesi fa
un paragone tra l’Ulisse di Joyce, il Cavaliere della rosa di Strauss, la
Velata di Raffaello e il S. Giorgio di Donatello: “L’Ulisse di Joyce e il
Cavaliere della rosa non sono forse oggetti materiali, ma la Velata di
Raffaello e il S. Giorgio di Donatello lo sono senz’altro…
8
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 22
9
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 22
10
A palazzo Pitti c'è una tela di cm. 85 x 64, al Museo Nazionale
di Firenze c'è un blocco di marmo alto 209 cm. È con questa tela e
questo blocco di marmo che vengono identificati La Velata e il S.
Giorgio da parte di coloro che ne affermano l’oggettualità e la
materialità”
10
.
Quest’identificazione di opere d’arte con l’oggetto materiale
che le informano può essere contestata, secondo l’autore, sia perché
l’opera d’arte nasce e si sviluppa nell’interiorità dell’autore e si
configura nella sua viva fantasia, sia perché gli oggetti materiali,
esterni all’artista, hanno proprietà del tutto diverse. L’autore dice: “Si
può cioè far rilevare sia che l’opera d’arte ha proprietà che sono
incompatibili con certe proprietà possedute dagli oggetti materiali, sia
che le sue proprietà sono di un tipo che gli oggetti materiali, in quanto
tali, non potrebbero avere.
In entrambi i casi l’opera d’arte non potrebbe essere l’oggetto
materiale… Diciamo che il S. Giorgio è pieno di vita (come afferma
Vasari), il blocco di marmo invece è inanimato; dunque non è
possibile identificare il S. Giorgio con il blocco di marmo.
Oppure diciamo che La Velata esprime nobiltà e maestà, ma è
inconcepibile che una tela abbia queste proprietà, dunque La Velata
non può essere identificata con la tela”
11
.
Wollheim chiama “proprietà rappresentative” l’incompatibilità
di proprietà fra opere d’arte ed oggetti materiali corrispondenti (primo
tipo di argomentazione), e “proprietà espressive” quelle che le opere
d’arte possiedono e che gli oggetti materiali non possono avere
(secondo tipo di argomentazione).
10
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 24
11
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 24
11
1.2 “Essere pieno di vita” ed “essere inanimato”
Wollheim a questo punto fa una disamina delle due
argomentazioni e comincia a parlare di quella che fa leva sulle
proprietà rappresentative, quella cioè che porta come esempio: “essere
pieno di vita” come opera d’arte e “essere inanimato” come oggetto
materiale. Queste argomentazioni non reggono perché vedono l’arte in
maniera troppo generale, nel senso che certe impressioni si destano in
noi solo in quanto certe particolarità del dipinto (che non è solo la tela,
ma anche la pittura) determinano le nostre argomentazioni.
“Si dice”, continua Wollheim proponendo un esempio, “che
Hans Hofmann, il decano della pittura newyorchese, fosse solito
chiedere agli allievi di fare una macchia nera su una tela bianca e poi
di osservare in che modo il nero stesse sul bianco. Analogamente, se
avesse chiesto di fare una macchia blu sul bianco, e in che modo stava
“dietro” il bianco.
Evidentemente, ciò che gli allievi di Hofmann dovevano
osservare non era il fatto che una macchia nera si trovasse
materialmente sopra una tela bianca”
12
. Wollheim spiega che, per
chiarire il concetto di rappresentazione, basta supporre che Hoffmann
avesse chiesto di guardare in che modo il blu stesse dietro al bianco.
Deduciamo che, se siamo inclini ad accettare la tesi per cui le opere
d’arte non possono essere oggetti materiali in quanto hanno proprietà
rappresentative, dovremo considerare l’invito a vedere il blu “dietro”
il bianco come una sorta di invito a negare che l’arte si identifichi con
la materialità della tela.
12
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 28
12
Wollheim è convito che se si pensa che sia la tela che la
macchia sono oggetti materiali viene a cadere l’obiezione all'ipotesi
dell'oggetto materiale, per cui “non sarebbe esagerato affermare che
tale modalità del vedere è presente nel modo in cui guardiamo un
qualunque oggetto materiale la cui superficie abbia un grado qualsiasi
di differenziazione.
Ciò ammesso, sembra certamente assurdo tener fermo che il
vedere rappresentativo, e i giudizi tipici cui esso dà origine,
presuppongano implicitamente un rifiuto della materialità sia della
stessa rappresentazione sia di ciò su cui essa si trova”
13
.
Per confermare la sua tesi che l’arte non si può identificare solo con
un oggetto materiale, Wollheim si rifà a un passo del “Trattato della
pittura
14
”, dove Leonardo da Vinci raccomandava all’aspirante pittore
di “ravvivare l’ingegno inventivo” osservando pareti macchiate di
umidità o pietre dalla superficie variegata per scoprire in esse paesaggi
mirabili, scene di battaglia, forme bizzarre in movimento turbinoso.
Per Wollheim questa intuizione è molto importante, in quanto trova
molte conferme sia in psicologia che in filosofia dell'arte, materia
questa che è importante soprattutto perché ci fa capire come la
fantasia dell'artista abbia un ruolo fondamentale nella costruzione di
quelle immagini simboliche che poi daranno origine all'opera d'arte.
13
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 29
14
Leonardo Da Vinci, stampato nel 1651, a cura di Du Fresne.
13
1.3 Il vedere rappresentativo
Wollheim associa strettamente la nozione di rappresentazione
con quella di “vedere come” ovvero “vedere rappresentativo”.
Egli usa il termine “rappresentazione” in senso lato: nel senso in
cui, per esempio, la figura che si trova in un comune manuale di
geometria, in testa al Teorema XI di Euclide, si potrebbe descrivere
come una configurazione di linee che s’intersecano, ma si potrebbe
anche considerare come la rappresentazione di un triangolo.
Viceversa, quando dice “vedere come” in senso stretto, egli
intende riferirsi unicamente all’ambito della rappresentazione.
In altre parole l’autore vuole escludere dalla discussione casi
eterogenei, del tipo di quelli che si hanno quando vediamo la luna non
più grande di una moneta o la regina di cuori come la regina di quadri.
Ma già egli pensa a due obiezioni che gli si possono muovere,
una di queste è una semplificazione eccessiva del problema: “Si
potrebbe sostenere che se ci vien mostrata una rappresentazione di
Napoleone vedremo in essa Napoleone”.
15
Il motivo per cui una cosa ne rappresenta un’altra, sostiene
Wollheim, trova la sua spiegazione nel semplice fatto della
somiglianza: un ritratto o un disegno rappresentano Napoleone perché
gli somigliano.
Wollheim continua la trattazione affermando che: “La nozione
di rassomiglianza è dipendente dal contesto, ed è difficile rendersi
conto del modo in cui la rassomiglianza esistente fra un dipinto o un
disegno e ciò che essi rappresentano si manifesterebbe, o potrebbe
15
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 31
14
anche solo essere indicata, a chi ignorasse totalmente la norma o la
pratica della rappresentazione.
Talvolta di fronte ad un disegno esclamiamo: ‘Sembra proprio
A’ ma l’attribuzione della somiglianza si pone già sul terreno della
rappresentazione e pertanto non può valere a spiegarla in quanto è
possibile affermare di un disegno “assomiglia a Napoleone”, ma non
si può affermare, salvo in particolari contesti, “Napoleone è identico a
questo disegno” o “Napoleone assomiglia a questo disegno”.
16
Wollheim sostiene che in un disegno, o in un’opera d'arte in
generale, che deve rappresentare una certa cosa, è molto importante il
concetto di intenzione (l’intenzione dell'artista) infatti è necessario che
il pittore abbia appunto inteso rappresentare quella certa persona nel
dipinto perché questo rappresenti la cosa che il pittore vuole
rappresentare: “Se un disegno deve rappresentare Napoleone, è
necessario che l'artista abbia appunto inteso con esso rappresentare
Napoleone; di più, se l'artista si prefigge che il disegno rappresenti
Napoleone, ciò è sufficiente a far sì che lo rappresenti veramente”
17
.
Cercherò ora di approfondire questo concetto d’intenzione nel
prossimo paragrafo.
16
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 31
17
R. Wollheim: Introduzione all’estetica cit. pag. 31