tradizione autobiografica femminile (di lingua inglese) – attenzione su altri aspetti
della propria vita, ordine del discorso, legame madre-figlia senza dimenticare
come essa sia stata sempre ignorata e esclusa dal canone androcentrico. Ultima è
l’autobiografia letteraria cinese la cui esistenza è tutt’oggi controversa e lo sarà
finché continueremo a prendere come punto di riferimento i soli modelli della
cultura occidentale, costruiti sull’idea di individuo unico e indipendente, e a leggere
le altre culture come ‘mancanza’. Ho diviso la tradizione classica in due filoni per poi
parlare delle anomalie del testo di Shen Fu e, dopo un breve riferimento all’unica
autobiografia femminile, accennare alla tradizione moderna. La divisione geo-
culturale dei discorsi, nonché l’attenzione alle problematiche di genere, ha un
carattere estremamente schematico ed esemplificativo ma l’obiettivo è sicuramente
quello di mettere in discussione la monolitica identità occidentale che trova
nell’autobiografia il miglior strumento e la migliore espressione per la sua
costruzione e affermazione.
Nel momento in cui mi sono avvicinata a Wild Swans, invece, sono andata a vedere in
che modo l’autrice avesse costruito un testo autobiografico sul passato cinese, in
inglese. Mi sono chiesta non solo – come fa Lydia H. Liu cosa succede a una
parola o ad un discorso quando «viaggia»(travels) da una lingua all’altra
1
ma cosa
succede alla Storia e alle storie quando passano da una lingua all’altra, quale tipo di
operazioni ideologiche e culturali si compiono, perché c’è sempre qualcosa che si
perde (lost) e qualcosa che si acquista (gained) e, inoltre, cosa succede alla storia della
propria vita quando la si guarda da un altro punto di vista e su fondamenti culturali
diversi.
Nel secondo capitolo – dove ho cercato di concentrarmi sui presupposti di scrittura
di Wild Swans – oltre a discutere il punto di vista occidentale dal quale l’autrice
racconta le molteplici storie, mi sono occupata anche del problema della distanza e
della ri/costruzione. Per distanza intendo lo spazio/tempo che separa il passato dei
fatti dal presente della narrazione, l’esperienza di vita e il racconto della medesima,
ma anche l’universo storico-culturale cinese e lo ‘sguardo’ occidentale su di esso. Il
1
Lydia H. Liu, Translingual Practice. Literature, National Culture, and Translated Modernity - China 1900-
1937, Stanford, Stanford Univ. Press, 1995, p. 20.
termine ri/costruzione si riferisce all’operazione testuale che Jung Chang mette in
atto con Wild Swans. Si tratta di un vero e proprio ‘mosaico’ di storie dove la prima è
proprio LA STORIA della Cina, anch’essa inevitabilmente inclusa e coinvolta nel
processo di ri/lettura. Non ho tralasciato l’importanza delle ‘fonti’ di tale
ri/costruzione, in particolare il racconto materno dal quale scaturisce Wild Swans.
Esso nasce da una matrice orale e viene poi trascritto e tradotto – in senso linguistico
e culturale da Jung Chang e inserito nella narrazione attraverso un’innegabile
presa di possesso nella quale la voce materna scompare, ammutolita dall’autorità
della figlia-autobiografa.
Nel terzo capitolo ritorno a discutere il problema dell’auto/biografia conservando
però il concetto di distanza, che questa volta è vista come gap tra io narrante e io
narrato, smascherando strategie finzionali che il presupposto di veridicità
pretendeva di nascondere. Mostrerò come il racconto della vita di Jung Chang segua
un preciso orientamento legato a presupposti ideologici di partenza che vogliono
vedere la crescita del personaggio come cammino di consapevolezza verso la ‘verità’
rappresentata dall’idea di una Cina chiusa e dispotica e di un Occidente libero e
democratico. Cercherò di mostrare come la sua meticolosa e matura analisi del
passato non sia affiancata da un’ altrettanto profonda conoscenza/coscienza della
‘realtà’ presente.
Nel quarto ed ultimo capitolo ho discusso la ri/lettura filtrata della storia attraverso
le tre figure femminili – la nonna, la madre e la narratrice stessa – che rappresentano
le vere protagoniste del testo. In questo ambito le problematiche di genere si
intrecciano con quelle spaziali lungo il paradigma di chiusura-apertura che vede le
tre figlie come stereotipi di una condizione storica che va dalla donna rinchiusa, alla
donna androgina che entra nello spazio pubblico annullando la sua identità di
genere a quella libera e produttrice di un discorso, nonché padrona della versione
per eccellenza e dell’autorità testuale, ma che ormai vive in uno spazio ‘altro’,
lontano culturalmente dalla dimensione matrilineare. Mostrerò come la matri-
linearità sia anch’essa frutto di una operazione ideologica a posteriori e legata al filo
rosso della libertà, tema portante di Wild Swans ed elemento che lega le ‘three
daughters of China’.
Nel corso dell’analisi testuale ho tentato di spaziare in entrambi gli orizzonti culturali
(occidentale e orientale) mostrando come sia impossibile non considerare la duplice
prospettiva e, allo stesso tempo, cercando di non dimenticare mai le differenze e le
peculiarità delle due diverse tradizioni. Alla fine ho ripreso l’idea di traduzione
intesa come movimento di significati e ho riflettuto sull’importanza dialogica di tale
atto.
Ringrazio Alex Ruhemann, assistente di Jung Chang, per avermi spedito alcune
recensioni e interviste, Manuela Vastolo per il materiale portatomi dagli Stati Uniti
nonché per la costante disponibilità al confronto e Natasha Phun per le ricerche fatte
in Australia. Ringrazio anche il professore cinese Peng Lizhen per gli scambi di idee
su alcune problematiche del mio lavoro, Pei Wenhou per avermi aiutato nella ricerca
della versione cinese di Wild Swans e Luigi Cinque per pazienza e disponibilità.
Senza di loro il mio lavoro non sarebbe stato lo stesso.
AUTOBIOGRAFIA TRA OCCIDENTE E ORIENTE
Si je est un autre, ce n’est pas seulement parce que son énonciation cache des instances multiples : c’est
que tout récit de vie n’est qu’une reprise ou une transformation de vies préexistantes.
Philippe Lejeune – Je est un autre
1. Premessa
Lo studio del genere autobiografico è quanto di più esteso e complesso si possa
immaginare. La labilità e la problematicità dei confini geografici e storici, le
molteplici tradizioni, l’innegabile rapporto con altri generi (biografia, diario,
cronaca, romanzo...), i presupposti ideologici e culturali ad esso legati, le
contraddizioni dei dibattiti teorici e critici ..., fanno si che un’analisi non certo
esaustiva, ma almeno accurata, richieda comunque un lavoro ben più complesso del
mio.
In questo capitolo introduttivo mi occuperò della ormai consolidata tradizione
autobiografica moderna occidentale, e della ben più controversa e instabile
tradizione cinese accennando all’origine e alle principali problematiche del genere
nonché ad alcune caratteristiche formali.
Convenzionalmente si qualifica come “moderna” l’autobiografia successiva al 1770
2
mentre l’aggettivo “occidentale” si riferisce alla tradizione europea e, in parte,
americana. Tutt’oggi prevale l’opinione che l’autobiografia sia un genere
squisitamente occidentale soprattutto per i presupposti ideologici sui quali si fonda :
concetto di personalità, convinzione della capacità di creare e riflettere la propria
storia, supposizione che l’esistenza sia legata ad una qualche direzione e unità.
3
In
realtà se ci stacchiamo da tali radicate convinzioni e accettiamo che una storia di vita
possa essere costruita in modo diverso e, su fondamenti ideologici e culturali diversi,
2
Cfr. Francis R. Hart, “Notes for an Anatomy of Modern Autobiography”, New Literary History, 1970,
vol.1, pp. 485-511, p. 486 e Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique, Paris, Editions du Seuil, 1975, p.
13.
3
Janet V. Gunn, “Autobiografia”, in Enciclopedia delle Religioni diretta da Mircea Eliade, Milano, Jaca
Book, 1993, vol. 3, pp. 44-48, p. 44.
ci accorgiamo come esistano anche tradizioni ‘altre’ e una di queste è quella cinese, di
cui parlerò nella seconda parte del capitolo.
Per quanto riguarda i testi che compongono il “canone” dell’autobiografia moderna
occidentale farò riferimento a : le Confessions di Jean-Jacques Rousseau, i Memoirs di
Edward Gibbon, l’Autobiography di Benjamin Franklin, Dichtung und Warheit di
Goethe e infine a The Education of Henry Adams dell’omonimo autore. Utilizzerò
questi testi solo in qualità di “pietre di paragone” nell’intento di analizzare i
principali aspetti formali e alcune delle problematiche del genere. Non mi soffermerò
quindi sull’analisi accurata di ognuno di essi.
Tutto ciò riguarda solo ed esclusivamente la tradizione maschile che non è però
l’unica esistente e l’unica degna di essere affrontata dalla critica. Sidonie Smith nota
che:
[The] theoretical speculation about the genre [...] seem to derive from
certain underlying assumptions : [...] that women’s autobiographies,
because they emanate from lives of culturally insignificant people, are
themselves culturally insignificant ; or that women’s autobiographies,
because they may not inscribe an androcentric paradigm of selfhood, are
something other than real autobiography.
4
Mi occuperò quindi, anche della tradizione autobiografica femminile (limitata ai testi
in lingua inglese) trattandola a parte dal momento che le tematiche affrontate e i
criteri di valutazione del genere sono diversi.
5
2. Origine del termine e cenni sulla nascita dell’autobiografia moderna occidentale
Il termine ‘autobiografia’ nasce tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento
dall’accostamento di tre parole greche : autos (sé) bios (vita) e graphe (scrittura)
6
. Esso
4
Sidonie Smith, A Poetics of Women’s Autobiography : Marginality and the Fictions of Self-Representation,
Bloomington and Indianapolis, Indiana Univ. Press, 1987, p. 15.
5
Estelle Jelinek, “Introduction : Women’s Autobiography and the Male Tradition”, Women’s
Autobiography Essays in Criticism, E. C. Jelinek., ed., Bloomington, Indiana Univ. Press, 1980, p. 6.
6
James Olney, “Autos - Bios - Graphein : The Study of Autobiographical Literature”, South Atlantic
Quarterly, Winter 1978, vol.17, n.1, pp. 113-123, p. 114.
viene usato per la prima volta da un articolista inglese, nel 1797
7
, e poi in maniera
sistematica nel corso del primo ventennio dell’Ottocento per definire un genere
letterario che si voleva “nuovo”. Lo stesso Rousseau, innalzato a capostipite di
questo nuovo genere, inizia le sue Confessions dicendo : “Je forme une entreprise qui
n’eut jamais d’éxemple, et dont l’exécution n’aura point d’imitateur”
8
. In realtà i
numerosissimi scritti autobiografici precedenti al XVIII secolo, che oggi vengono
inclusi negli studi sull’autobiografia, “appartenevano, all’epoca in cui furono
composti, a tradizioni specifiche, a nuclei generici diversi - confessioni, res gestae, vite
dei filosofi, apologie, ricordanze...”
9
Inoltre, contrariamente alle convinzioni di
Rousseau, l’autobiografia andò incontro ad un vero e proprio boom e moltissimi
furono gli scrittori a cimentarsi nel racconto della propria vita.
L’ “autobiografia moderna” così some la definisce Lejeune, è però considerata un
genere “nuovo”, creato alla fine del Settecento inseguito alla riflessione sui generi e
sulla scrittura storiografica e al consolidarsi dei concetti di individuo e sviluppo
10
, dove
il primo delimita l’argomento della storia dando ad essa un’ “unità intrinseca”
11
,
mentre il secondo, legato ad un’idea di personalità che
cresce e matura nel tempo, fornisce la “legge (causale) della concatenazione”
12
.
Autobiografia, quindi, come genere nel quale l’individuo si costruisce, matura e si
afferma nel tempo cioè come “evolution of a man’s formula”
13
.
A Hume va il merito di attribuire alla storia, e alla biografia, la caratteristica di
“unità di azione” propria dell’epica, che permette un passaggio dal rigido modello
annalistico a quello retto da una relazione di causa-effetto.
14
7
Franco D’Intino, L’Autobiografia Moderna. Storia Forme Problemi, Roma, Bulzoni Editore, 1998, p. 15.
8
Oeuvres Complètes de Jean-Jacques Rousseau, Bernard Gagnebin et Marcel Raymond, ed., Paris,
Bibliothèque de la Pléiade, Editions Gallimard, 1959, vol. 1, p. 5. La grafia è quella originale (d’ora in
poi citato come OCJJR seguito dal numero di pagina).
9
F. D’Intino, op.cit., p. 16.
10
F. D’Intino, op.cit., p. 127.
11
Ibid.
12
Ibid.
13
Stephen A. Shapiro, “The Dark Continent of Literature : Autobiography”, Comparative Literature
Studies, March 1968, vol.5, pp. 421-454, p. 432.
14
F. D’Intino, op.cit., p. 128.
In quest’ottica l’anno di pubblicazione delle Confessions di Rousseau, 1770, può essere
sicuramente considerato un confine storico, prima del quale parlare di autobiografia -
così com’è intesa oggi (cioè moderna) - sarebbe anacronistico o poco pertinente.
15
In
realtà ‘novità’ non significa completa innovazione ma, almeno dal punto di vista
critico, nuova attenzione prestata a “un certo tipo di scritti”
16
e riformulazione dei
presupposti sui quali tali scritti si fondano.
3. Definizione
Prima di parlare in maniera più analitica dell’autobiografia moderna occidentale cito
la definizione datane da Philippe Lejeune in Le Pacte Autobiographique : “racconto
retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, mettendo
l’accento sulla vita individuale, e in particolare sulla storia della sua personalità”
17
.
Scomporrò questa definizione e ne utilizzerò le parti per parlare di chi racconta, come
racconta e che cosa racconta.
4. Alcune caratteristiche formali
Il primo problema da affrontare è quello di chi racconta la “propria esistenza”.
Lejeune parla di una “persona reale” dove l’aggettivo reale è di fondamentale
importanza perché distingue i presupposti di scrittura dell’autobiografia da quelli
del vicino romanzo autobiografico
18
. In entrambi il racconto è in ‘prima persona’ ma
la differenza, secondo Lejeune, sta più nel “contratto di lettura” che negli elementi
formali
19
. Questo contratto di lettura è, nel caso dell’autobiografia, un “patto
autobiografico” che ha come estremi l’ “autore” (socialmente responsabile e
15
P. Lejeune, op.cit., pp. 13-14. Secondo alcuni critici l’iniziatore della “tradizione autobiografica”
occidentale sarebbe Sant’Agostino, dal quale Rousseau prende il titolo della sua opera (Confessiones in
Sant’Agostino, Confessions in Rousseau).
16
F. D’Intino, op.cit., p. 15.
17
P. Lejeune, op.cit., p. 14. F. D’Intino, op.cit., traduzione in nota a p.253.
18
Per un confronto tra autobiografia e romanzo autobiografico vedi Pascal Roy, “The
Autobiographical Novel and The Autobiography”, Essays in Criticism, 1959, vol. 9, pp. 134-150.
19
P. Lejeune, op.cit., p. 8 (le traduzioni sono mie).
produttore di un discorso)
20
e il lettore. Condizione fondamentale del “patto
autobiografico” è l’identità del nome dell’autore (così come appare sulla copertina) e
del narratore-personaggio
21
.
L’autobiografia comporta anche un “patto referenziale” la cui pretesa è quella di dare
informazioni ‘vere’ sulla “ ‘realtà’ esteriore al testo”
22
ma vedremo come il carattere
di racconto ulteriore o retrospettivo dell’autobiografia renda tale pretesa
assolutamente paradossale, non solo per la distanza tra narrazione ed eventi, ma
anche per la inevitabile ri/costruzione dei medesimi. Del resto, anche Rousseau
dopo aver giurato di dire tutta la verità e nient’altro che la verità, giustifica alcune
sue operazioni stilistiche con : “s’il m’est arrivé d’employer quelque ornement
indifférent, ce n’a jamais été que pour remplir un vide occasioné par mon défaut de
mémoire”
23
.
Il lettore a questo punto si sentirà autorizzato a verificare entrambi i presupposti di
veridicità e, eventualmente, a metterli in discussione. Egli ha un ruolo fondamentale
perché le dichiarazioni d’intenti e gli appelli alla veridicità abbiano un senso, ed è
vero che “in nessun altro genere, forse, la presenza del lettore condiziona altrettanto
profondamente le strategie narrative.”
24
Una delle prerogative dell’opera letteraria
‘moderna’ è proprio quella di avere come destinatario un pubblico di lettori ed è per
questo motivo che alcuni critici considerano Rousseau, e non Sant’Agostino, il Padre
del genere autobiografico. Sant’Agostino, infatti, nelle sue Confessiones si rivolge
all’interlocutore supremo, cioè Dio, mentre Rousseau prima dice “Je veut montrer à
mes semblables un homme dans toute la vérité de la nature ; et cet homme, ce serait
moi. Moi seul”
25
e poi aggiunge “je viendrai ce livre à la main me presenter devant
le souverain juge”
26
. Il pubblico di lettori quindi, assume un’importanza primordiale
e la ‘confessione’ si distacca dal contesto religioso di partenza per entrare in quello
squisitamente letterario. Ma, dal momento che l’autobiografo “prende la penna in
mano” quasi esclusivamente “per imporre o per definire la propria versione dei
20
P. Lejeune, op.cit., p. 23.
21
P. Lejeune, op.cit., pp. 23-24.
22
P. Lejeune, op.cit., p. 36.
23
OCJJR, p.5.
24
F. D’Intino, op.cit., p.105.
25
OCJJR, p. 5 (corsivo mio).
fatti”
27
, il lettore deve ‘credere’ a tale versione e per guidarlo verso una “corretta
comprensione dell’opera”
28
l’autobiografo usa spesso la funzione metanarrativa, il
dialogo aperto o la disgressione esplicativa.
Alcuni autobiografi scelgono invece di non presentarsi apertamente al lettore,
usando il codice autobiografico classico, dove il rapporto con se stessi è interno, ma di
raccontarsi dall’esterno usando l’ ”ambiguità romanzesca”
29
della terza persona. Uno
di questi è Henry Adams che nell’Education prende le distanze dal proprio
personaggio accentuando l’intento autocelebrativo e creando un esplicito effetto di
“sdoppiamento e distanza ironica”
30
. (Le autobiografie dell’antichità classica, quelle
medievali e religiose usavano di frequente la terza persona così che i confini tra
storiografia, biografia e autobiografia erano più labili e incerti).
Una volta discusso il problema di chi racconta è necessario vedere come sia sul piano
formale che delle strategie stilistiche, volte, come sappiamo, a costruire una storia il
più possibile vicina al ‘reale’.
La forma prediletta dall’autobiografia è la prosa e, benché vicino nei contenuti o negli
obbiettivi, il poema autobiografico, rigorosamente in versi, è da considerarsi diverso
o comunque appartenente ad un’altra categoria letteraria.
Altro elemento fondamentale è l’orientamento retrospettivo del racconto che mostra,
volente o nolente, la distanza tra il presente della narrazione e il passato dei fatti,
distanza che rappresenta un “requisito irrinunciabile della scrittura autobiografica”
31
ma che, come ho già accennato prima, crea non pochi problemi ad un genere che si
vuole fortemente legato alla ‘realtà’ extra-testuale. Pur contribuendo a differenziare
l’autobiografia dal diario e dalla cronaca, è proprio l’ottica retrospettiva,
inevitabilmente costruita, a riaprire il dibattito sulla distinzione tra l’autobiografia e il
romanzo, tra il presupposto di realtà e le strategie della finzione. La ricostruzione a
posteriori di eventi passati, oltre a giustapporre due prospettive temporali e a creare
26
Ibid.
27
F. D’Intino, op.cit., p. 104.
28
F. D’Intino, op.cit., p. 105 (corsivo mio).
29
F. D’Intino, op.cit., p. 147.
30
P. Lejeune, op.cit., p. 16.
31
F. D’Intino, op.cit., p. 130.
distanza ironica tra l’esperienza di oggi e l’innocenza di allora
32
, pone i medesimi in
una cornice paradossalmente finzionale e carica di implicazioni ideologiche. Proprio
per questo Hart parla dell’autobiografia non come un “processo creativo” ma bensì
come un “atto ri/creativo”
33
.
Al discorso sull’orientamento retrospettivo si collega quello sull’ottica o punto di
vista. E’ possibile distinguere tra ottica biografica o autobiografica, oggettiva o
soggettiva. L’ottica biografica è solitamente esterna, oggettiva e teleologica ed è usata
da coloro che “trattano se stessi con il dovuto distacco” o che hanno già deciso qual è
il ‘punto finale’ della propria vita o l’esito che la spiega.
34
L’ottica autobiografica,
decisamente soggettiva, nasce nel momento in cui l’autobiografo guadagna un
“punto di vista personale” e “pone l’accento più che sui fatti narrati, sulla prospettiva
presente dalla quale quei fatti sono narrati”
35
.
Se collochiamo il genere autobiografico in un contesto di rottura, allora l’
“indecidibile ‘finzionalità [...] è espressione del diritto ad una versione dei fatti
radicalmente soggettiva e creatrice”
36
. L’autobiografia, infatti -- e questo sembra essere
estremamente importante per il discorsi che andremo a fare -- “emerge e si diffonde
rapidamente là dove il legame con la tradizione è o diventa debole, dove si mette in
discussione l’autorità costruita in cerca di una identità”.
37
In questo caso la storia e la
biografia rappresentano la voce incontestabile dell’ufficialità mentre quella
autobiografica diventa una voce ‘altra’ alla ricerca di uno spazio proprio.
32
S. Shapiro, op.cit., p. 437.
33
F. R. Hart, op.cit., p. 491 (traduzione mia).
34
F. D’Intino, op.cit., p. 133.
35
F. D’Intino, op.cit., p. 273 (corsivo mio).
36
F. D’Intino, op.cit., p. 50 (corsivo nel testo).
37
Ibid (corsivo mio).
5. Argomento
Per restare nei termini usati da Lejeune l’argomento dell’autobiografia è “la propria
esistenza” dove propria si riferisce alla “persona reale”, che è allo stesso tempo
quella che pubblica e scrive fuori dal testo e quella che racconta e di cui si racconta
dentro il testo
38
.
Prima di parlare dell’ordine del racconto e dell’ottica è opportuno notare che non
solo l’oggetto è un solo uomo, il “moi seul” di Rousseau, colui che afferma “je ne suis
fait comme aucun de ceux que j’ai vus ; j’ose croire n’etre fait comme aucun de ceux
qui existent”
39
, ma anche che l’accento cade sulla “vita individuale”, e in particolare
sulla “storia di una personalità”. Mentre l’idea di una vita individuale sottolinea
l’intento, prettamente occidentale, di vedere se
stessi e di conseguenza la propria vita come unica e indipendente, quella di ‘storia’
indica l’evoluzione, il cammino di consapevolezza, conversione o miglioramento che
si attua nel corso del tempo e che modifica l’individuo e il suo modo di rapportarsi a
se stesso, agli altri e al ‘mondo esterno’ .
Spesso l’attenzione è focalizzata più sull’interiorità che sui fatti esterni, interiorità
che, oltre a dare importanza allo spazio della psiche e della coscienza, rappresenta,
probabilmente, una delle tante strategie per ovviare al forte impulso ‘investigativo’
dei lettori, che fanno costante riferimento al patto. Rousseau afferma che perché il
suo racconto sia ‘reale’, non c’è bisogno di rifarsi alla memoria o tanto meno ai
documenti basta ‘guardarsi dentro’ (“il me suffit [...] de rentrer au dedans de moi”
40
).
38
P. Lejeune, op.cit., p. 23.
39
OCJJR, p.5.
40
OCJJR, p. 278.
6. Ordine del racconto
Il primo punto con il quale dobbiamo confrontarci è l’inizio. La maggior parte delle
autobiografie moderne iniziano con la nascita del personaggio, strategia che
sottolinea che la storia riguarda principalmente la vita di un solo individuo che non si
distacca completamente dal contesto familiare, sociale e storico ma si pone al centro
di esso, oscurando tutto il resto. Il continuo riportarsi a sé, l’insistenza costante sul
singolo, sull’unicità, sull’individualità, rappresentano, come vedremo anche più
avanti, una caratteristica culturale e non ‘naturale’. Il soggetto monolitico e
omogeneo assolutamente indipendente e pensante è il risultato della costruzione
culturale occidentale, e basterà confrontarsi con quella cinese per vedere come il self
si identifichi in maniera assolutamente diversa.
Non mancano però le autobiografie che iniziano con la storia della famiglia
(Autobiography di Franklin ) o la ricostruzione genealogica (Memoirs di Gibbon) e in
questo caso l’intento di legarsi o identificarsi con un contesto più ampio è più forte.
Questo accade solitamente quando la famiglia o l’epoca rappresentano un marchio di
identità.
Per quanto riguarda l’ordine, il più comune è sicuramente quello cronologico. “If a
book fails to narrate the events of a lifetime -and to narrate them more or less
seriatim- then you call it what you like but it is no autobiography”
41
– dice Olney- e
con lui concorda anche Lejeune secondo il quale nove autobiografie su dieci seguono
questo ordine
42
. Il legame molto stretto all’ossatura cronologica (come nel caso di
Henry Adams che segnala nei titoli dei capitoli gli anni trattati) caratterizza, di solito,
quelle autobiografie in cui “l’idea di individuo è meno forte, o subordinata a
strutture sociali e familiari dominanti”
43
. Infatti, e lo vedremo più avanti parlando
delle fonti, gli autobiografi che danno maggiore centralità e indipendenza al sé,
costruiscono il proprio personaggio facendo riferimento solo ed esclusivamente alla
memoria, selettiva e frammentaria per definizione, mentre coloro che sentono più
forte il legame con il contesto pubblico o con le istituzioni (sociali e familiari) trovano
41
J. Olney, op.cit., p. 116 (corsivo mio).
42
P. Lejeune, op.cit., p. 197.
43
F. D’Intino, op.cit, p. 162.
in esse la legittimazione della propria identità e, all’atto di narrazione della vita
passata, sentono il bisogno di ricostruire, sulla basi di documenti, l’impalcatura
contestuale inevitabilmente legata alla scansione temporale. Apparentemente il
primo caso, cioè quello di un’autobiografia di base più intimistica e soggettiva, può
sembrare il più lontano dai rigidi paradigmi di veridicità, ma, la ri/costruzione in
vitro di un sé passato e del suo contesto così incredibilmente preciso, non è forse
indice di un atto manipolativo e di montaggio ancora maggiore ?
Ultimo problema è quello del finale. A differenza della biografia che
tradizionalmente finisce con la morte del personaggio, l’autobiografia “essendo il
racconto di una vita, [...] non può mai considerarsi finita se l’autore è in vita”
44
, di
conseguenza, la struttura aperta del testo, fa si che la trama termini con “gli schemi
(anche estetici) e i valori che fondano l’opera. L’autobiografo è liberissimo di non
morire come vuole”
45
. Anche il finale quindi, risente fortemente del disegno generale
sul quale l’opera è costruita, disegno che, nonostante le dichiarazioni d’intenti
dell’autore, non potrà mai essere un ‘rispecchiamento fedele della realtà’ ma solo una
delle tante strategie per (ri)crearla.
7. Fonti
Come ho parzialmente accennato prima, due sono i tipi di fonti alle quali
l’autobiografo fa riferimento : la memoria e i documenti,
che possono essere orali o
scritti.
46
Solitamente nelle autobiografie con un’ottica tendenzialmente esterna di tipo storico-
biografico, dove l’elemento del bios prevale sugli altri due (autos e graphe)
47
, si fa
maggiore uso di materiale documentario, a scopo di : provare la veridicità degli eventi
raccontati, far conoscere un punto di vista contemporaneo o giustificare le proprie
decisioni.
48
In questo caso l’autobiografo oltre a vestire i panni del letterato, creatore
44
F. D’Intino, op.cit., p. 227.
45
F. D’Intino, op.cit., p. 228 (corsivo nel testo).
46
F. D’Intino, op.cit., pp. 216-217.
47
J. Olney, op.cit., pp. 115-116.
48
F. D’Intino, op.cit., p. 218.
della storia della propria vita, veste anche quelli dello storico. Eakin pensa che questa
doppia faccia sia una caratteristica peculiare agli autobiografi e afferma che :
Autobiographers [...] perform willy-nilly both as artists and historians,
negotiating a narrative passage between the freedoms of imaginative
creation on the one hand and the constraints of biographical fact on the
other
49
La maggior parte delle autobiografie moderne sono però di carattere introspettivo, e
l’elemento dominante è quello dell’autos
che si racconta facendo riferimento
soprattutto alla memoria, che rende l’autobiografo decisamente più unreliable (una
rottura del patto ?) ma che costituisce l’ “unica via d’accesso all’ ‘io segreto’”
50
. Così
ci ritroviamo al procedimento di Rousseau di “rentrer au dedans de moi”
51
l’unico
attraverso il quale si può arrivare al ‘truth’ che è allo stesso tempo personale, perché
legato alla propria coscienza, e universale perché della ‘natura umana’ e perché,
come ricorda Montaigne , “chaque homme porte la forme entière de l’humaine
condition”
52
. La presunzione occidentale che esista un universale concetto di ‘uomo’
o di ‘condizione umana’ è fortissima nella costruzione del genere autobiografico che,
non a caso, nasce in un contesto culturale che fa dell’UOMO il fondamento e il fulcro
di qualsiasi discorso. Parlando, anche se in maniera non esaustiva, della tradizione
femminile prima e cinese poi cercherò di mettere in discussione i presupposti di tale
radicata convinzione.
49
Paul J. Eakin, Fictions In Autobiography - Studies in the Art of Self-Invention, Princeton, Princeton Univ.
Press, 1985, p. 3.
50
F. D’Intino, op.cit., p. 219.
51
OCJJR, p. 278.
52
Les Essais de Michel de Montaigne, ed. Pierre Villey, Paris, Felix Alcan, 1922, vol. II, p. 443. Citato in
James Olney, “The value of Autobiography for Comparative Studies : African vs. Western
Autobiogrphy”, African American Autobiography : A Collection of Critical Essays, William L. Andrews,
ed., Englewood Cliff, New Jersey, Prentice Hall, 1993, pp. 212-223, p. 215