II
Per il caso dell’insolvenza internazionale, la situazione attuale
è invece meno soddisfacente. Con il presente lavoro mi propongo di
tratteggiare tale situazione e di esporre alcune riflessioni sulle
prospettive europee di ulteriore sviluppo. A questo scopo definisco
come insolvenza trasnazionale quella nella quale l’impresa in crisi è
titolare di stabilimenti e di beni patrimoniali in più di uno Stato. In
tal caso sorge la questione del se e del come i diversi stabilimenti e
beni possano essere sottoposti ad una procedura concorsuale.
Pertanto, i casi di dissesto commerciale suscettibili di
assumere rilievo in ambito internazionale, sono quelle procedure
concorsuali che presentano elementi di collegamento con più
ordinamenti. Nella discussione sulla regolamentazione giuridica
dell’insolvenza trasnazionale ho richiamato le opposte teorie della
universalità e della territorialità del fallimento. L’universalità
contraddistingue un sistema di procedura fallimentare, per il quale
non ha alcun significato il luogo in cui è situato il patrimonio del
debitore e che mira a colpire il complesso dei beni di questo. Essa
corrisponde al principio sostanziale che ispira ogni procedura
concorsuale, la quale persegue il riordinamento complessivo della
situazione patrimoniale del debitore. La territorialità invece,
comporta che la procedura fallimentare in corso in un determinato
III
Stato colpisce soltanto il patrimonio situato in quello Stato, per cui
al fine dell’apprensione della massa fallimentare dell’intero
patrimonio del debitore deve essere avviata un’autonoma procedura
fallimentare dovunque siano i beni del debitore.
È possibile, inoltre, individuare due ambiti distinti della
materia in esame: uno internazionale ed uno comunitario.
Per ciò che concerne il primo, risulta che i tentativi più lontani nel
tempo di dare una risposta sovranazionale ai problemi generati
dall’insolvenza transfrontaliera risalgono agli inizi del secolo
scorso. Peraltro, è intorno agli anni novanta che si registrano gli
sforzi più concreti ad opera di associazioni internazionali, quali
l’International Bar Association e l’Uncitral. Nel primo caso è stato
approvato, un concordato relativo all’insolvenza transnazionale di
chiara ispirazione anglosassone, il quale suggerisce una serie di
regole che gli ordinamenti nazionali possono adottare per la
soluzione di controversie in ambito concorsuale; nel secondo, si è
giunti all’approvazione di una “legge modello” finalizzata ad
assistere gli Stati nella predisposizione di leggi interne sulle
procedure di insolvenza. In entrambi i casi, tuttavia, non è stata data
una risposta esaustiva ai problemi sollevati da una procedura
IV
concorsuale le cui implicazioni coinvolgono la sfera di operatività
di più Stati.
In Europa tutti gli Stati hanno da sempre rivendicato
l’universalità della procedura aperta nel proprio territorio davanti ai
propri giudici, mentre si sono mostrati restii ad attribuire tale
universalità alle corrispondenti procedure straniere.
La realizzazione di un Mercato Comune, in cui gli operatori
economici dei vari Stati Membri dell’Ue possano operare in
condizioni analoghe a quelle di un mercato nazionale, esige che gli
obiettivi che si intendono perseguire con le procedure concorsuali
non vengano ostacolati dalla presenza di un elemento di estraneità.
L’Ue, infatti, prevede la costruzione di uno spazio comune in
cui sia garantita la libera circolazione delle persone e dei beni: una
persona fisica o giuridica, che faccia affari, possegga beni o diritti
nel territorio di diversi Stati membri, può trovarsi in una situazione
di insolvenza in uno o più Paesi con cui intrattiene relazioni
economiche.
L’esistenza di normative nazionali diverse rispetto alle
procedure concorsuali, può dare luogo alla possibilità di riservare
trattamenti diseguali a situazioni eguali: la stessa situazione di
insolvenza di uno stesso debitore può dare luogo a trattamenti
V
diversi nei vari Stati membri. Non tutti i Paesi dell’Unione possono
vantare una disciplina internazionalprivatistica che affronti
direttamente il tema dell’insolvenza transfrontaliera; pertanto, in un
primo momento, si è cercato di affrontare il problema attraverso
una normativa di tipo convenzionale. La maggior parte delle
Convenzioni, tanto bilaterali, quanto multilaterali in materia o non
sono entrate in vigore, o hanno incontrato problemi per la loro
ratifica; inoltre hanno lasciato molti aspetti al potere sovrano dei
singoli Stati. E proprio questa reticenza degli Stati ad abbandonare
le loro prerogative sovrane ha fatto sì che tradizionalmente la
Comunità, per ciò che concerne il diritto concorsuale, più che
armonizzare le normative dei vari Paesi e creare un tipo di
“fallimento europeo”, ha cercato di risolvere problemi tipici del
diritto internazionale privato, quali quelli relativi a conflitti di leggi
e di giurisdizione. Anche il Regolamento comunitario 1346/2000
relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliere nell’ambito
della Ce, approvato dal Consiglio dell’Ue il 29 maggio 2000, e
destinato ad entrare in vigore il 31 maggio del 2000, ha seguito
questa linea tradizionale, ponendosi in linea di massima come
codice comunitario di diritto internazionale privato della materia
concorsuale ed offrendo, sporadicamente, una disciplina sostanziale
VI
degli istituti presi in considerazione. Il Regolamento è finalizzato ad
estendere a livello comunitario le stesse garanzie già applicate nei
singoli Paesi a difesa dei creditori: pertanto, così come già avviene
a livello nazionale, sarà possibile “congelare” i beni di un debitore
che risiede in un altro Paese della Ue. Inoltre, qualsiasi decisione
che apra una procedura di insolvenza, presa dall’organo
giurisdizionale dello Stato in cui si trova il centro degli interessi
principali del debitore, potrà, ai sensi dell’articolo 16 del
Regolamento, essere automaticamente riconosciuta in tutti gli altri
Paesi della Comunità. Nel momento in cui entrerà in vigore, il
Regolamento potrà riempire il vuoto legislativo che caratterizza
molti Paesi dell’Ue in materia, dal momento che soltanto pochi
Stati membri contengono una scarna disciplina delle fattispecie di
insolvenza che risultino collegate con più ordinamenti.
Nel corso della trattazione dimostreremo, infatti, come
soltanto la Germania e l’Inghilterra, possano vantare una disciplina
dell’insolvenza transfrontaliera, ancorché scarna ed inadeguata a
risolvere tutte le problematiche che può sollevare una procedura
concorsuale internazionale.
Inoltre ci soffermeremo sul nostro ordinamento, il quale si
presenta, almeno fino ad oggi, decisamente carente sull’argomento:
VII
la recente legge n.218 del 1995, di riforma del diritto internazionale
privato, non ha colto l’occasione per stabilire quali siano gli effetti
che le procedure di insolvenza aperte all’estero possano avere nel
on Italia e per tentare di effettuarne un coordinamento rispetto a
provvedimenti eventualmente aperti nello Stato. Pertanto, almeno
fino all’entrata in vigore del Regolamento, l’unica normativa
esistente nell’ordinamento italiano e finalizzata ad istaurare un
coordinamento con gli altri Paesi in materia di fallimento
transfrontaliero, è rappresentata dalle convenzioni bilaterali di cui
l’Italia è parte. Nonostante l’approvazione del Regolamento
comunitario, vedremo che in Italia si sta lavorando ad un progetto
di legge finalizzato all’elaborazione di una disciplina italiana sul
fallimento transfrontaliero. Ciò può risultare apparentemente in
contrasto con i principi del diritto comunitario, in quanto i
regolamenti Ce, ai sensi dell’art.249 del Trattato sono direttamente
applicabili in ciascuno degli Stati membri.
In realtà, lo stesso Regolamento relativo alle procedure di
insolvenza transfrontaliere necessita in alcune parti di integrazione
ad opera del diritto interno degli Stati contraenti; il progetto di
legge per una disciplina italiana dell’insolvenza transfrontaliera,
oltre ad assolvere a questa finalità, si pone come obiettivo quello di
VIII
colmare le lacune della legge di riforma del diritto internazionale
privato e di fornire una soluzione autonoma alle questioni che
possono sorgere a seguito dell’apertura di procedure di insolvenza a
carattere transfrontaliero relative a soggetti che abbiano il centro
degli interessi principali fuori dal territorio comunitario.
1
CAPITOLO I
L’INSOLVENZA TRANSNAZIONALE
1.1 L’insolvenza transnazionale: nozione e
problematiche giuridiche
In una dimensione giuridica internazionale, gli scopi del
fallimento e delle altre procedure analoghe non potrebbero essere
raggiunti pienamente qualora si facesse affidamento unicamente
sulle disposizioni vigenti nello Stato in cui il fallimento è stato
dichiarato
1
.
L’estensione al territorio di Stati diversi da quello del foro
fallimentare degli effetti attribuiti alla lex fori concursus ai
provvedimenti di apertura del fallimento o delle altre procedure di
insolvenza, al provvedimento di omologazione del concordato
preventivo e agli istituti stranieri ad esso assimilabili, è un problema
1
Sul tema del fallimento internazionale, v, A.LUPONE, l’Insolvenza transnazionale, Cedam,
1995
2
che da sempre ha costituito oggetto di discussione in dottrina ed in
giurisprudenza sia nazionale che internazionale
2
.
Le difficoltà nascono per lo più dal fatto che il fallimento e le
altre procedure concorsuali, così come fino ad ora prevalentemente
concepite e disciplinate dai singoli ordinamenti interni, sono istituti
in grado di raggiungere il loro scopo funzionale solo qualora
vengano rispettati determinati presupposti di unicità e di universalità.
Tali presupposti, facilmente realizzabili sul piano nazionale,
incontrano gravi ostacoli qualora ci si trovi di fronte a fattispecie
collegate con più ordinamenti
3
.
Venendo meno un controllo unitario la procedura rischia di rimanere
frustrata nei suoi scopi primari, che invece dovrebbero essere
salvaguardati perché sia garantita la par condicio di tutti i creditori di
un unico debitore in stato di dissesto.
E’ possibile pertanto individuare due problemi di natura
giuridica aventi una immediata rilevanza pratica rispetto alle
procedure di insolvenza caratterizzate dal fatto che parte dei beni del
debitore decotto siano siti nel territorio di un Paese diverso da quello
2
Cfr., L.DANIELE, Il fallimento nel diritto internazionale privato e processuale,Padova, 1987.
3
Cfr. A.LUPONE, L’insolvenza transnazionale,Procedure concorsuali nello Stato e beni
all’estero,Cedam, 1995.
3
in cui la procedura è stata avviata e risulti così sottratta
all’esecuzione fallimentare, o meglio al generale potere coercitivo
dello Stato del foro fallimentare.
4
La prima questione riguarda l’estensione dei poteri del
curatore(ovvero dell’organo previsto nei vari ordinamenti ancorchè
con diverso termine) oltre i confini dello Stato del foro fallimentare,
al fine di permettere la concreta acquisizione all’attivo del
patrimonio estero del soggetto insolvente. E’ ovvio pertanto, che tale
questione si pone solo rispetto a quei sistemi di diritto fallimentare le
cui norme estendono lo spossessamento del debitore a tutti i beni a
questi appartenenti, ovunque situati.
Il secondo problema attiene, invece, all’ambito di efficacia nello
spazio del divieto di procedere ad azioni esecutive individuali, posto
di norma dalla lex concursus a carico dell’impresa fallita
5
.
Muovendo dall’ipotesi di una procedura di insolvenza in atto in Italia
e rispetto al primo dei problemi individuati, è necessario chiedersi
quali siano gli ostacoli di carattere generale che impediscono
l’estensione automatica dei poteri del curatore oltre i confini dello
4
Sul tema,v. MORELLI, Studi di diritto processuale civile internazionale,Milano 1961.
5
Cfr. A.LUPONE,L’insolvenza trasnazionale, in particolare,cap.II, L’ambito di efficacia della
lex fori, Cedam, 1995.
4
Stato del foro fallimentare e quali siano i presupposti (quali il previo
riconoscimento del provvedimento di avvio della procedura
concorsuale) perché il curatore italiano, laddove non espressamente
escluso dalla lex rei sitae,o, viceversa, il curatore straniero possano
apprendere e acquisire al fallimento i beni del debitore fallito che si
trovino, a seconda dei casi, in Italia o all’estero.
Per quanto riguarda il secondo ordine di problemi occorre
sottolineare che le normative dei diversi Stati in materia fallimentare
estendono per lo più lo spossessamento del debitore al c.d patrimonio
estero.
Tuttavia, come rilevato da parte della dottrina e, per quanto
concerne l’Italia, di recente confermato dalla Corte di Cassazione
6
,
l’estensione dello spossessamento del fallito ai beni che questi
possieda all’estero non comporta, a carico dei creditori, il divieto di
azioni esecutive individuali su tali beni, né si può ritenere sempre che
la situazione muti nel caso in cui il provvedimento dichiarativo di
6
Cfr. Cass. s.u., 19 dicembre 1990 n.12031, in Giur.it., 1991,I, 909 ss. La sentenza sulla quale si
avrà occasione di tornare nel corso del lavoro, risulta di grande interesse costituendo essa una
sorta di compendio chiaro e sintetico sullo stato attuale di alcuni aspetti delle procedure
concorsuali nei rapporti internazionali quali, per l’appunto, l’estensione degli effetti del
fallimento all’estero, i poteri del curatore straniero nell’ordinamento di situazione dei beni e la
possibilità di procedere ad azioni esecutive individuali sul patrimonio estero del debitore in
pendenza di procedure concorsuali in Italia.
5
fallimento o di apertura della diversa procedura concorsuale sia stato
oggetto di un formale giudizio di delibazione nell’ordinamento di
situazione dei beni.
Sulla base di una prassi abbastanza diffusa pare addirittura
potersi affermare che l’effetto immediato della delibazione, non
accompagnata, ove ammesso, dalla contemporanea apertura di un
procedimento concorsuale secondario nel forum rei sitae, in questi
casi sia per lo più unicamente quello di autorizzare il curatore ad
attivarsi per acquisire, eventualmente in concorrenza con i creditori,
il patrimonio estero del debitore.
Tutto ciò a scapito della par condicio, la quale rispetto alle
insolvenze in ambito internazionale, e in assenza di adeguati
strumenti convenzionali, rischia di essere gravemente frustrata
7
.
7
V. Il fallimento nel diritto internazionale privato e processuale,Cedam, 1987.
6
1.1.1 Il problema della qualificazione della legge
regolatrice del fallimento: le opposte teorie della
universalità e della territorialità
Proprio rispetto al problema della delimitazione nello spazio
dell’ambito di efficacia della lex fori si è a lungo cercata una
soluzione nelle teorie, che traggono origine dai più antichi tentativi
di qualificare la legge regolatrice del fallimento; mi riferisco in
particolare alle opposte teorie della universalità e dell’unitarietà del
fallimento da un lato, e della territorialità e della pluralità dello
stesso dall’altro
8
.
L’adesione all’una piuttosto che all’altra teoria permetterebbe di
dare una risposta sicura a tutti quegli interrogativi che un fallimento
internazionale può sollevare; pertanto, secondo coloro che si
dichiarano per l’universalità del fallimento, solo il giudice del luogo
nel quale si trova la sede dell’impresa o del domicilio del debitore
non imprenditore eventualmente sottoposto alla procedura
concorsuale, sarebbe competente ad aprire il concorso; il fallimento
si estenderebbe a tutti i beni del fallito, ovunque si trovino e a tutti i
8
Cfr. A. LUPONE, L’insolvenza transnazionale, Cedam, 1995.
7
creditori dello stesso, qualunque ne sia la nazionalità; la sentenza
dichiarativa esplicherebbe i suoi effetti ovunque.
Al contrario, per coloro che sostengono la teoria della
territorialità del fallimento, competente a dichiarare il fallimento
sarebbe il giudice di qualunque Stato in cui si trovano i beni del
fallito; il fallimento così dichiarato riguarderebbe solo i beni siti nel
territorio dello Stato cui appartiene il giudice adito, e i creditori
nazionali; infine la sentenza dichiarativa non produrrebbe alcun
effetto all’estero
9
.
Anche riguardo alla legge applicabile al fallimento, le due teorie
offrono soluzioni chiare, ma in un certo senso contrapposte. Se,
infatti, entrambe postulano l’applicazione al fallimento di un’unica
legge, quella del foro fallimentare, la seconda teoria, dando per
scontata la possibilità di fallimenti plurimi a capo dello stesso
soggetto, implica che a ciascuno di questi fallimenti sia applicabile
una legge diversa, quella cioè, di ciascuno dei fori nei quali i
fallimenti sono stati dichiarati.
9
V., per tutti, GIULIANO, Il fallimento nel diritto processuale civile internazionale, Milano,
1943.