economiche e demografiche che a partire dalla fine della seconda
guerra mondiale portarono negli anni 60 tutti gli Stati Colonizzati ad
essere indipendenti e sovrani.
*****
Se è chiaro che la mobilitazione dell’opinione pubblica non fu mai
immediata nè generale, i tratti molto particolari del conflitto algerino
hanno obbligato a delle scelte e a degli scontri di una durezza
sconosciuta dopo la liberazione.
I partiti politici, i sindacati, la chiesa, l’Esercito e gli intellettuali si
divisero e sovente si dilaniarono, combattendosi sulla questione
algerina. Certi francesi militari e civili, tentarono anche, per
disperazione, di scatenare una guerra civile contro i loro avversari
politici: nel nome dell’Algeria Francese, L'organizzazione
dell’Esercito Segreto, l’OAS, ricorse agli assassini e al terrorismo
collettivo stupido e cieco per perorare la sua causa.
3
La guerra d’Algeria fu in tutte le formazioni politiche di sinistra
all’origine di sconvolgimenti interni e persino di scissioni, più o meno
durevoli.
3
Molto importante per la conoscenza delle vicende dell’OAS è l’opera di Morland, Barangè,
Martinez, Histoire de l’Organisation Armée Secrète, Paris 1964.
I socialisti della SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia),
che diressero il governo nel 1956 con Guy Mollet, si divisero
drammaticamente quando il loro partito, dopo aver condotto una
campagna elettorale per la pace attraverso la negoziazione, scelse di
ricorrere alla soluzione militare.
4
Una parte dei militanti socialisti
raggiunse l’Unione della Sinistra Socialista, l’altra creò il Partito
Socialista Autonomo (PSA).
Anche l’MRP (Movimento Repubblicano Popolare) subì la stessa
sorte. Il punto di rottura fu la politica algerina di de Gaulle che,
tornato al potere nel giugno del 1958, prese sempre più decisamente
le distanze dalla politica di integrazione. Se la maggioranza si schierò
, senza molte reticenze, con de Gaulle, una minoranza influente difese
le tesi dell’Algeria Francese. George Bidault, ex presidente del MRP,
fondò un nuovo partito, la Democrazia Cristiana di Francia
5
, e più
tardi tentò di indirizare contro de Gaulle un Consiglio Nazionale della
Resistenza, a imitazione di quello che aveva diretto contro
l’occupazione nazista.
Anche all’interno del Partito comunista (PCF) i contrasti interni non
mancano. Il Partito si attiene alla linea politica di Maurice Thorez,
4
E’ nel novembre 1957 che si delinea la sraccatura, quando il SFIO deve dare il proprio assanso al
governo Gaillard, orientato a destra.
5
Questa opinione è sostenuta da Ch. R. Ageron, La décolonisation française, Paris 1991, pag., 161.
emersa già nel 1939 quando elaborò la tesi dell’Algeria quale
“Nazione in formazione”, crogiuolo di venti razze, nessuna delle quali
capace di appropriarsi della rappresentatività di tutte le altre. Così, la
soluzione migliore per l’Algeria era costituita dalla creazione di una
vera Unione Francese, cioè un libero contratto di associazione tra i
popoli di Francia e di Algeria.
6
Allo scoppio della guerra perciò il PCF non era per niente convinto
del principio di indipendenza algerina, tanto che entrò duramente in
conflitto con l’Unione degli Studenti Comunisti e con certi
intellettuali che intendevano, esso sosteneva, “allearsi
incondizionatamente sulle posizioni politiche e tattiche del FLN”.
7
Inoltre prese le distanze da quelli che istigavano l’insubordinazione o
la diserzione.
Bisognerà attendere il luglio del 1956 perché, con il XIV Congresso
di Le Havre, il PCF accordi all’Algeria il primo posto delle sue
preoccupazioni e si avvii a una revisione dottrinale
8
che lo condurrà
all’abbandono dei temi della “Nazione in formazione” e della vera
Unione Francese, per riconoscere l’esistenza e la legittimità del “fatto
nazionale algerino”.
6
Cfr. B. Droz-E. Lever, Histoire de la guerre d’Algerie, Paris 1982, pag. 157.
7
Cit. in CH. R. Ageron, op. cit., pag.161.
8
Prioritaria fino a quella data era la lotta contro il riarmo tedesco. Vedi Conforti.
Al centro, il Partito Radicale visse una divisione ancora più netta.
Nell’ottobre 1956 i radicali, contrari alla politica del loro Presidente
del Consiglio, il radicale Mendès France, si staccarono dal partito,
formando il Centro Repubblicano.
9
Nelle mosse del movimento radicale, le posizioni algerine di François
Mitterrand, capo del UDSR (Unione Democratica e Socialista della
Resistenza), apparvero come straordinariamente caute: egli non
protestò mai publicamente, almeno fino al 1958, contro certe pratiche
di pacificazione, dichiarandosi sempre ostile ai negoziati e
subordinando ogni soluzione politica “all’annientamento dei
ribelli”.
10
Se i partiti di sinistra si trovano imbarazzati e incerti sulla linea
politica da adottare, per l’estrema destra la guerra costituiva il mezzo
per uscire dall’isolamento in cui vegetava dalla fine della Seconda
Guerra mondiale.
Questa guerra costituiva un eccellente trampolino per la sua
propaganda, da sempre improntata all’esaltazione tradizionale della
grandeur nazionale e dell’Esercito.
9
Sull’insieme della questione vedi J. T. Nordmann, La crise algerienne du Parti Radical, in
Histoire des radicaux, Paris 1974, pagg. 393-397.
10
Sulla questione vedi R. Cayrol, François Mitterrand 1947-1967, Fondation Nationales des
Sciences Politiques, pagg. 37-42.
Scoivinisti, anticomunisti, cattolici integristi, fascisti e un certo
anticapitalismo rivolto contro i trusts stranieri che “metteva gli occhi”
sul petrolio sahariano, si indirizzarono a una difesa risoluta
dell’Algeria Francese.
Collegato alla destra e all’estrema destra, un attivismo ben più
pericoloso si manifestò tra gli ambienti militari, i vecchi combattenti e
un certo gollismo.
Instancabile fu l’opera dell’avvocato Biaggi, che addestrava i suoi
seguaci alla formazione paramilitare, e del generale Cherrière e del
dottore Martin, capaci di mobilitare per la difesa dell’Algeria
Francese i vecchi combattenti dell’Indocina e le associazioni di ex-
allievi delle scuole militari. Con l’Algeria il collegamento è assicurato
dal colonnello Thomazo che comanda le UT (Unità Territoriali), nate
con la guerra d’Algeria per la protezione dei civili europei d’Algeria e
composte da Francesi d’Algeria convertiti all’attivismo.
Tutte queste formazioni associavano la difesa dell’Algeria Francese al
rovesciamento della Quarta Repubblica.
*****
Se gli ultras estremisti dell’Algeria Francese e i sostenitori di un
aguerra totale contro i ribelli algerini erano comunque una minoranza,
gran parte dell’opinione pubblica francese era tuttavia contraria a una
secessione dell’Algeria, che urtava con una certa concezione,
compiacentemente sfruttata, della grandeur nazionale.
11
L’idea, mai provata, secondo cui la perdita dell’Algeria avrebbe
condotto la Francia al rango di una potenza di terzo ordine, era una
delle più ripetute e diffuse dell’epoca. La diffusione
dell’informazione fu perciò influenzata da questo disequilibrio
flagrante che divise fautori e avversari della guerra d’Algeria. Per non
parlare della radio ufficiale, rimbombante delle chiacchierate
scoviniste di Jean Nocher
12
, dei grandi giornali parigini a forte tiratura
e della maggior parte della stampa provinciale
13
, che comunicavano
una visione manichea della ribellione e della “pacificazione”.
Se “La Croix” si atteneva alle posizioni umanitarie dell’episcopato e
se “Combat” univa, in maniera disorganica, una vigorosa critica della
politica governativa a posizioni risolutamente colonialiste, Paris-
Presse, Le Parisien Libéré, Le Figaro, L’Aurore, France Soir e Paris
Match, sostenevano, con qualche piccola sfumatura nella formazione
11
Per conoscere l’opinione dei Francesi nei confronti della guerra vedi CH. R. Ageron, L’opinion
française devant la guerre d’Algèrie, in Revue française d’Histoire d’outre-mer, avril-juin 1976,
pagg.256-284.
12
Cfr. B. Droz-E. Lever, op. cit., pag. 150.
13
Si annoverano anche i giornali con tradizione di sinistra, come il Dépeche du Midi.
dei commenti politici, le tesi tradizionali dell’Algeria Francese e
orientavano le loro informazioni di conseguenza.
14
La stampa sostenitrice di posizioni inverse era numericamente
inferiore Al di fuori di “Humanitè”, che rifletteva “le posizioni
ufficiali del partito comunista”, e di “Libération”
15
che esprimeva
opinioni simili, alcuni settimanali e periodici si segnalavano per un
anticonformismo che li esponevano a un fuoco di sequestri,
perquisizioni e condanne. Presentati uniformemente da Soustelle
come “i pilastri del tradimento”
16
, essi offrivano delle sfumature
diverse alla comprensione del problema algerino.
Mentre “France-Observateur”, con Roger Stéphane, Claude Bourdet e
Robert Barrat, e la rivista “Temps Modernes” aderirono molto presto
alle tesi indipendentiste del FLN, l’“Express”, informato con
autorevolezza da Jean Daniel
17
sulle realtà politiche e militari della
guerra d’Algeria, era più prossimo alle posizioni di Mendès France e
predicava la fine delle ostilità attraverso la ricerca di una soluzione
negoziata.
14
Vedi J. P. Rioux, op. cit., pagg. 63-78.
15
Liberation era un quotidiano di tendenza progressista diretto da Emmanuel D’Astier de la
Vigerie.
16
Cfn. J. Soustelle, Aimèe et souffrante Algérie, Paris 1956.
17
Le sue riflessioni sulla guerra d’Algeria in J. Daniel, La Ferita e il tempo che viene, Italia 1992.
Quanto a “Le Monde”, esso offriva un esempio interessante di
evoluzione in seno a una redazione in principio molto schierata.
Favorevole nel 1958 all’invio del contingente in Algeria e a una
politica di repressione della ribellione, il giornale si segnalava per una
sensibile differenza tra gli articoli molto incisivi dei suoi reporters e la
prudenza dei suoi commentatori politici.E’ solo a partire dal 1957 che
il giornale adotta una linea ostile alla politica governativa e prende
nettamente posizione contro il prolungamento della guerra e gli
eccessi della pacificazione.
18
*****
La divisione dell’opinione pubblica riproduceva quella degli
intellettuali, che, seppur marginalmente, giocarono la loro parte in
questa guerra.
La maggior parte degli intellettuali di sinistra, reclamando la fine
della guerra d’Algeria, intendeva difendere il diritto del popolo
algerino a disporre di se stesso.
Dalla parte di un Jean Paul Sartre, di un Vidal-Naquet e d’uno
Schwartz, il cui impegno a sinistra è innegabile, si schierarono anche
personalità di altre tendenze politiche, come il romanziere Georges
18
Vedere per l’insieme della questione J.-N. Jeanneney e J. Julliard, Hubert Beuve-Mery ou le
Métier de Cassandre, Paris 1979, pagg. 232-233.
Arnaud e un sociologo deliberatamente antimarxista come Raymond
Aron, capace di una fredda ed implacabile analisi della questione
algerina già nel 1957, quando, contro la quasi totalità dell’opinione
pubblica francese, annunciava l’ineluttabilità dell’indipendenza
algerina e il sopraggiungere di una nuova era storica:la
decolonizzazione.
19
In campo opposto, altri intellettuali, che non erano tutti di destra,
difendevano l’Algeria Francese, l’unità della nazione, il lieralismo,
che ritenevano minacciato dalla sovversione comunista, e la civiltà
occidentale e cristiana aggredita dal panislamismo.
Importante era anche la posizione di Albert Camus, nato a Mondovì,
in Algeria, e così attaccato alla sua terra natia da rifiutarsi di prendere
posizione per l’uno o l’altro schieramento. Si fece invece promotore
di un progetto di tregua civile
20
, capace di fermare il massacro delle
19
Così Jean Daniel su Aron.”Io che rileggo oggi i due pamphlet di Aron sulla guerra d’Algeria,
scritti a caldo nel 1957... non posso fare a meno di ammirarne la pertinenza, la chiarezza, la
resistenza al tempo. Oggi, nel 1991, non c’è da cambiare una sola riga a quei testi che pure non
hanno avuto un eco. In questa nuova lettura scopro che Aron parlava già di indipendenza nel
momento in cui Mendes France parlava ancora di impero, per quanto entrambi la pensassero allo
stesso modo, ossia non si facessero illusioni sul destino dell’Algeria...Il volontarista Mendes
France pensava che l’inelluttabile potesse essere corretto, articolato o mitigato intervenendo sulle
condizioni del suo irrompere. (Invece )Aron non ha mai capito, vissuto o sentito l’importanza dei
vincoli carnali che univano la Francia all’Algeria, e imponevano una gestione prudente,
progressiva e senz’altro manovriera nella conduzione del Paese verso la concessione
dell’indipendenza ai territori francesizzati. Non è un caso che durante il processo di
decolonizzazione nessun paese abia provocato crisi, tumulti e sangue quanto l’Algeria in guerra.Il
verdetto di Aron era inconfutabile”. Cit. in J. Daniel. op. cit., pagg. 336-338.
20
Il 22 gennaio 1957 lancia il suo “Appello per una tregua civile”, che resta senza eco.
Sull’argomento vedi la dettagliata opera di R. Quillot, Albert Camus, Essais, Paris 1981, pagg.
991-999.
popolazioni civili delle due comunità contrapposte, quella musulmana
e quella francese.
La guerra degli intellettuali fu una guerra di scritti, perché
ignoravano, o semplicemente rigettavano, l’uso della radio e il potere
della televisione.
Mai tante petizioni e manifesti apparvero nella stampa come tra gli
anni 1956 e 1960. Il giornale Le Monde pubblicò tra il 1958 e il 1962
da solo ben 67 manifesti, di cui solo 11 erano favorevoli al
manteninento dell’Algeria nella Repubblica. Tra questi, il manifesto
del 1960, detto dei “121”, che celebrava l’insubordinazione e la
diserzione, anche se molto poco rappresentativo dell’opinione
pubblica metropolitana, scandalizzò profondamente gli ambienti
tradizionalisti e l’Esercito, tanto da essere lodato dal FLN come “il
risveglio dell’intelligentija francese”.
21
*****
E’ guardando a questa complessità, a questo passionale e vivace
trasporto dei suoi protagonisti che mi sono avvicinato alla
comprensione del generale de Gaulle, al quale fu offerta per una
seconda volta la possibilità di essere venerato come il salvatore della
21
Cit. in Ch. R. Ageron, op. cit.., pag., 162.
Francia, quando ormai sembrava che gli “avvenimenti di Algeria”
trascinassero la Francia nel baratro di una guerra civile.
De Gaulle nel 1958, anno in cui assurge al potere dopo un esilio
volontario di 10 anni, non sapeva certo come avrebbe risolto la
spinosa questione algerina, ma aveva una certezza; che niente lo
avrebbe fermato nel salvaguardare gli interessi della Francia. Sapeva
benissimo che l’epoca storica in cui si trovava ad operare era quella
della decolonizzazione, della fine degli Imperi Coloniali costruiti
dalle grandi potenze per affermare la loro bramosia di potenza, a
partire dal XIX secolo.
L’Algeria per lui, prima che un dipartimento francese, un amato luogo
di Francia, era un problema da eliminare, per il bene della Francia.
In questa tesi ho cercato di analizzare il modo in cui il generale de
Gaulle è riuscito a far accettare ai Francesi l’ineluttabilità della Storia,
che negli anni ‘60 reclamava il riconoscimento del diritto di ogni
popolo a disporre di se stesso.
Per questa analisi mi sono attenuto alle dichiarazioni fatte da de
Gaulle nelle numerose conferenze stampa da lui tenute negli ultimi
quattro anni di guerra da lui vissuti al potere, oltre che a quelle fatte
nelle sue opere autobiografiche, prima tra tutte i “Memoires d’espoir”,
editi nel 1970.
Ho cercato poi di avere una prospettiva più ampia sugli avvenimenti,
di far parlare autori di ogni tendenza politica, come, tra gli altri, i
liberali Vidal-Naquet e Ageron, gli anticolonialisti Pervillè e Julien,
gli storici Bouche, Buron e i misurati e competenti Droz e Lever,
autori della più completa sintesi sulla guerra d’Algeria fino ad ora
circolante, nonché i giornalisti De la Gorce e Rioux, capaci di rendere
perfettamente gli stati d’animo dei Francesi di fronte alla guerra. Sono
poi presenti, attraverso le loro azioni, i principali nemici della
decolonizzazione, come Challe, Massu, Soustelle, Bidault e Zeller.
Per cogliere delle sfumature differenti, attraverso una prospettiva non
francese, mi sono avvalso, per l’inquadramento della figura di de
Gaulle, della lettura di autori stranieri, in special modo anglossasoni,
come Horne, Tillion e sopratutto Lord Charles Williams, storico
inglese da sempre legato al partito laburista che, da uomo di sinistra,
tesse le lodi del Generale, presidente conservatore.
Quanto alla comprensione dell’universo musulmano,ho attinto le mie
informazioni da autori africani, come Mohammed Harbi, Saadi,
Brahini, il politologo Spero Adotevi, Abbas, Senghor,e autori francesi
come Fevrod, capaci di una sintesi accurata ed estesa sugli aspetti
psico-sociologici della nascita del nazionalismo algerino.
Vorrei infine citare le parole di Jean Daniel che ben testimoniano la
dolorosa separazione della Francia dalla prediletta terra algerina: ”Sul
dramma algerino ho volto uno sguardo francese, uno sguardo da
intellettuale francese, di sinistra, anticolonialista. Uno sguardo carico
di rammarico verso quella gente che si smarriva al punto da voler
abbandonare la fortuna di appartenere al destino francese. Uno
sguardo carico di pietà verso gli Algerini cui taluni Francesi avevano
dato il bisogno, l’obbligo, l’imposizione di combattere la Francia. Mi
dispiaceva vedere la Francia minacciata di rimanere amputata di una
sua parte, la provincia algerina, mentre trovavo logiche, normali,
auspicabili tutte le indipendenze (Tunisia, Marocco, Africa Nera
ecc.). La Francia non aveva saputo restare intera. Aveva avuto il
sopravvento l’Islam. Occorreva rassegnarsi.
22
22
Cit. in J. Daniel, op. cit., pag. 191.