La presente tesi di laurea, infine, è corredata da un’appendice
normativa riguardante le principali disposizioni legislative in materia
contabile e fiscale proprie dell’indennità di fine rapporto.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
1
Capitolo Primo
LA DISCIPLINA GIURIDICA DEL T.F.R.: DALL’INDENNITA’
DI ANZIANITA’ AL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO.
Sommario: 1.1 Premessa. – 1.2 L’indennità di anzianità: origine e struttura. – 1.3 La
crisi dell’istituto dell’indennità di anzianità. – 1.4 Dall’indennità di anzianità al
trattamento di fine rapporto. – 1.5 L’istituto del trattamento di fine rapporto in seno
all’art. 2120 del Codice civile. – 1.6 Il trattamento di fine rapporto: natura e
funzione. – 1.7 Ambito soggettivo del trattamento di fine rapporto. – 1.8 Il Fondo di
garanzia del trattamento di fine rapporto: ambito soggettivo ed oggettivo.
1.1 Premessa
L’art. 2120 del Codice civile regolava l’indennità di anzianità ed è stato
radicalmente modificato dalla legge 29 maggio 1982 n. 297, che
disciplina il nuovo istituto del trattamento di fine rapporto.
Prima di passare ad analizzare le linee ricostruttive del trattamento di
fine rapporto, appare opportuno riepilogare le vicende dell’istituto
preesistente dell’indennità di anzianità per mettere a fuoco non solo le
ragioni che hanno determinato l’attuale trasformazione dell’istituto, ma i
diversi interessi che hanno soddisfatto nel corso del tempo istituti
1
pur
sempre consistenti nella corresponsione al lavoratore di una somma di
denaro alla cessazione del rapporto di lavoro dipendente.
1
Vedi Regio decreto del 9 febbraio 1919 n. 1112 e R.D.L. n. 1825/1924, disciplinanti
l’istituto dell’indennità di licenziamento preesistente all’indennità di anzianità.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
2
1.2 L’Indennità di anzianità: origine e struttura.
Il sistema del codice del 1942 prevedeva che in caso di cessazione del
contratto a tempo indeterminato spettasse al prestatore di lavoro
subordinato un’indennità proporzionale agli anni di servizio, salvo il
caso di licenziamento per di lui colpa o di dimissioni volontarie
2
.
Risultava escluso il personale assunto con contratto a termine.
L’ammontare di tale indennità era determinato dagli usi e secondo
equità, in base all’ultima retribuzione moltiplicata per gli anni di servizio
ed in relazione alla categoria di appartenenza del prestatore di lavoro
subordinato
3
.
Il Codice civile, nella sua originaria formulazione, aveva
sostanzialmente recepito l’istituto dell’indennità di anzianità derivante
dalla legge sull’impiego privato (R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825
4
).
Tale legge escludeva dal diritto all’indennità gli operai, mentre lo
riconobbe a tutti gli impiegati di qualsiasi anzianità
5
, e ne previde
l’ammontare in misura non inferiore alla metà dello stipendio mensile
per ogni anno di servizio.
I principali interventi legislativi, successivi al Codice civile, furono: la
legge 18 dicembre 1960, n. 1561 che stabilì inderogabilmente la misura
minima dell’indennità di anzianità (dovuta agli impiegati privati),
nell’importo di tante mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio
prestato. La medesima legge, introdusse anche il criterio del conteggio
2
Art. 2120 del Codice civile del 1942, comma 1°.
3
Art. 2120 del Codice civile del 1942, comma 3°.
4
La legge citata si riferisce all’istituto dell’indennità di licenziamento che spettava
indipendentemente da qualsiasi anzianità agli impiegati, con esclusione della
categoria degli operai.
5
Il Regio decreto n. 1112/1919 prevedeva l’indennità di licenziamento solo per gli
impiegati aventi una lunga anzianità di servizio.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
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per dodicesimi delle frazioni di anno e del computo come mese intero
delle frazioni di mese superiori a 15 giorni.
Successivamente la l. 18 aprile 1962, n. 230, riconobbe a favore dei
lavoratori con contratto a tempo determinato, il diritto alla scadenza
dello stesso ad un premio di fine lavoro proporzionato alla durata del
contratto stesso, e pari all’indennità di anzianità prevista dai contratti
collettivi
6
.
Sempre sul piano normativo va, poi, ricordata la legge 15 luglio 1966,
n.604 intitolata “Norme sui licenziamenti individuali”, che all’art.9
disponeva: <<l’indennità di anzianità è dovuta al prestatore di lavoro in
ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro>>.
La legge 11 maggio 1990, n.108, recante la disciplina dei licenziamenti
individuali precisò che la disposizione normativa relativa all’art.9 della
l.n.604/1966 si applicava anche ai dirigenti.
Il sistema del Codice civile del 1942, attribuì all’indennità di anzianità
natura retributiva con funzione previdenziale, anzi più specificatamente
di retribuzione differita, essendo la sua erogazione rinviata alla
cessazione del rapporto di lavoro, mentre la precedente indennità di
licenziamento (definita anche <<premio di fedeltà>>) aveva natura
risarcitoria, in quanto collegata allo stato di bisogno del lavoratore in
seguito alla perdita del posto di lavoro
7
.
6
Art. 5, comma 2° della suddetta legge così recitava: <<Alla scadenza del contratto
verrà corrisposto un premio di fine lavoro proporzionato alla durata del contratto
stesso, e pari alla indennità di anzianità prevista per i contratti collettivi>>.
7
Romano De Blasi, “ Il trattamento di fine rapporto e la previdenza complementare”.
Milano 1997, capitolo primo, paragrafo terzo: << In definitiva l’istituto
dell’indennità aveva ormai perso la funzione di indennizzo compensativo per
acquisire natura retributiva, anzi più specificatamente di retribuzione differita,
essendo la sua erogazione rinviata alla cessazione del rapporto di lavoro>>.
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4
Da ciò, si deduce, che l’indennità di anzianità apparve più finalizzata alla
formazione di un risparmio e sempre meno finalizzata al sostentamento
del lavoratore disoccupato. Essa assolveva ad una duplice funzione:
costituiva una riserva finanziaria a vantaggio sia del prestatore di lavoro,
che ne poteva usufruire dal momento della cessazione del rapporto di
lavoro, sia del datore di lavoro per il quale era un mezzo costante di
autofinanziamento.
1.3 La crisi dell’istituto dell’indennità di anzianità.
L’indennità di anzianità, mediante il ricalcolo degli accantonamenti,
aveva portato ad un forte aumento del costo del lavoro, tanto che con la
legge n.91/1977, che traeva origine dall’accordo interconfederale del 26
gennaio 1977
8
, si escluse dalla base di calcolo gli aumenti dell’indennità
di contingenza
9
maturati successivamente al 1° febbraio 1977.
Gli effetti del provvedimento furono devastanti, poiché, a causa
dell’accelerazione del tasso di inflazione, si attuò, oltre all’erosione dei
fondi accantonati presso le aziende, una progressiva svalutazione
dell’indennità di anzianità.
La legge n.91/1977 venne, quindi, impugnata per illegittimità
costituzionale. La Corte Costituzionale, respingendo la questione di
legittimità, risolse il problema con la sentenza n. 142/1980, mediante una
scelta di “legittimità provvisoria”, avendo precisato che la normativa, al
momento della pronuncia, non arrecava <<offesa in misura
8
Accordo tra Confindustria e la Federazione Sindacale Unitaria Cgil – Cisl – Uil
<< sul costo del lavoro e produttività>>.
9
Gli anni 70, a seguito dello shock petrolifero, furono caratterizzati da un forte
aumento del livello medio generalizzato dei prezzi, tanto che per mantenere
inalterato il potere di acquisto derivante dalla retribuzione mensile, venne introdotta
l’indennità di contingenza.
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censurabile>> al principio della retribuzione sufficiente, garantita dall’
art.36 della Costituzione Italiana, ma che in futuro tale esclusione poteva
determinare squilibri più gravi di quelli in atto, che , ove non si fosse
provveduto tempestivamente da parte del legislatore agli adeguati
bilanciamenti, avrebbe portato violazione non solo degli art.3 e 36 Cost.,
ma anche dell’art.38 Cost.
E’ noto che, successivamente, vi fu la richiesta di referendum abrogativo
della disciplina del 1977, ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale
con decisione n.26 del 10 febbraio 1982, che fu evitato pochi giorni
prima della data prevista del 13 giugno 1982, solo con l’emanazione
della legge n.297 del 29 maggio 1982.
Tale legge, come sottolineano diversi autori, ha profondamente innovato
la disciplina preesistente, ma è priva di sufficiente chiarezza ai fini
applicativi, avendo dovuto racchiudere, a causa della corsa contro il
tempo per evitare il referendum, una complessa disciplina in pochi
articoli.
1.4 Dall’indennità di anzianità al trattamento di fine rapporto.
La legge 29 maggio 1982, n.297 cambia radicalmente, i criteri di
computo dell’indennità: infatti l’importo della stessa non è più calcolato
moltiplicando l’ultima retribuzione per gli anni di servizio, bensì
sommando per ciascun anno di servizio quote di retribuzione annua,
ottenute dividendo quest’ultima per 13,5. Le quote via via maturate sono
rivalutate ogni anno, con esclusione della quota maturata nell’anno,
secondo misure previste dalla stessa legge.
Il T.F.R. costituito dalla somma di quote di retribuzione annuale
determinata a sua volta in funzione di somme corrisposte dal datore di
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6
lavoro durante l’anno, diversamente dall’indennità di anzianità, non
misura l’anzianità di servizio bensì riflette la storia retributiva del
dipendente
10
.
Il sistema di computo supera la distinzione tra quota ordinaria e quota
pregressa della indennità di anzianità che viceversa caratterizzava il
sistema precedente.
Secondo quel sistema alla quota ordinaria, che maturava per ciascun
anno e che corrispondeva ad una mensilità o a quote dell’ultima
retribuzione mensile, si dovevano aggiungere le quote c.d. pregresse,
ossia quote aggiuntive, necessarie per commisurare ed adeguare
l’indennità di anzianità all’ultima retribuzione.
La misura del divisore fisso 13,5 per il quale deve essere divisa la
retribuzione annua dovuta è evidentemente frutto di un compromesso tra
opposte esigenze e riflette comunque il punto intermedio tra la 13 e
14esima mensilità in cui è generalmente articolata la struttura della
retribuzione in Italia.
Il divisore fisso 13,5 non può essere derogato neppure in melius dalla
contrattazione collettiva, attraverso la previsione di un coefficiente
inferiore a 13,5, altrimenti verrebbe meno una delle caratteristiche più
vistose della nuova legge: e cioè la sua funzione calmieratrice e
perequatrice.
10
Vedi G. Santoro Passerelli, “il trattamento di fine rapporto”, Torino 1995. Cap. 1°,
par.6°, pag. 16.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
7
1.5 L’istituto del trattamento di fine rapporto in seno all’art. 2120
del Codice civile
L’art. 2120 del Codice civile al 1° comma recita: “In ogni caso di
cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha
diritto a un T.F.R. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun
anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo
della retribuzione dovuta per lo stesso anno divisa per 13,5”. Da tale
comma si deduce che la quota di retribuzione annuale ai fini del t.f.r.
deve essere determinata per ciascun anno di servizio, è possibile perciò
determinarne l’esatto ammontare in ogni momento di svolgimento del
rapporto, con l’avvertenza che la rivalutazione, come dispone la legge,
non viene calcolata sulla quota maturata nell’anno.
Il lavoratore, quindi, mentre è in grado di conoscere quanto ha maturato,
non è in grado di sapere quanto maturerà alla cessazione del rapporto di
lavoro dipendente. Ogni anno deve essere accantonata (contabilmente)
per ogni lavoratore una data percentuale della retribuzione
(1/13,5=7,41%), tenuto conto da parte del datore di lavoro, alla fine di
ogni anno, del contributo di cui all’art. 3 della legge n. 297/1982,
attualmente pari allo 0,50% dell’imponibile previdenziale
11
.
Tale contributo, a carico del datore di lavoro, è previsto quale fondo
miglioramento pensioni per i prestatori di lavoro subordinato, la cui
finalità è quella di favorire un trattamento pensionistico ai lavoratori pari
all’80% della retribuzione mensile dopo 40 di contribuzione. Il datore di
lavoro ha diritto di rivalsa per tale contributo sulla quota annua di
trattamento di fine rapporto, che deve essere decurtata dello 0,50% da
11
L’imponobile previdenziale è costituito dal Monte Salari e Stipendi lordo maturato
a fine anno.
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calcolarsi sulla retribuzione presa come parametro per determinare la
quota annuale lorda di t.f.r.
La precisazione, nella parte finale del 1° comma, art. 2120 che << la
quota è proporzionalmente ridotta per frazioni di anno, computandosi
come mese intero le frazioni uguali o superiori a 15 giorni >>, si riferisce
al computo dei periodi lavorativi inferiori al mese, difatti, ne esclude il
calcolo nel caso di frazione di mese inferiore a 15 giorni, mentre
considera mese intero, le frazioni pari o superiori a 15 giorni.
Il 4° comma dell’art. 2120 c.c. novellato recita: “Il trattamento di cui al
precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell’anno,
è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con
l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e del 75%
dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai
ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre
dell’anno precedente”. La norma fa riferimento al cosiddetto
“meccanismo di indicizzazione delle quote annuali di t.f.r.”, al 31
dicembre di ogni anno la somma complessivamente accantonata (F/do
TFR di Bilancio), con esclusione della quota annuale netta di t.f.r., deve
essere rivalutata mediante un meccanismo di indicizzazione a base
composta
12
costituito da 2 componenti: un tasso a misura fissa dell’1,5%
ed un tasso a misura variabile pari al 75% dell’aumento, rispetto al mese
di dicembre dell’anno precedente, del suddetto indice ISTAT.
Tale rivalutazione si dimostra a coprire il processo inflativo solo quando
l’inflazione non supera la soglia del 6%
13
.
12
Nel senso che non solo le quote, ma anche gli incrementi sono oggetto di
rivalutazione.
13
Infatti il 75% del 6%, è 4,5% che addizionato all’1,5% fisso, dà il 6%.
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9
Pertanto, il valore reale del t.f.r. tende ad aumentare con un’inflazione
inferiore al 6% (come avviene dal 1990) ed a diminuire quando è
superiore (come è stato dal 1982 al 1989)
14
.
L’art. 2120, al 5° comma dispone: “Ai fini dell’applicazione del tasso di
rivalutazione, di cui al precedente comma, per frazioni di anno,
l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di
cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno
precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si
computano come mese intero”.
Questa disposizione normativa riguarda la rivalutazione (in misura
variabile) del fondo t.f.r. per quei rapporti di lavoro che cessano nel
corso dell’anno, ipotesi, peraltro, comunemente più ricorrente. In questi
casi l’incremento dell’indice ISTAT da considerare è quello rilevato nel
mese di cessazione del rapporto di lavoro che registra le variazioni
intervenute a decorrere dal mese di dicembre dell’anno precedente: per
esempio, se il rapporto di lavoro cessasse nel mese di marzo 1998, il
fondo al 31/12/1997 verrebbe rivalutato dell’indice ISTAT risultante nel
mese di febbraio o marzo dell’anno 98, a secondo che il giorno di
risoluzione del contratto venisse a cadere prima del 15/03 o dopo il
15/03.
Relativamente al secondo elemento di rivalutazione, cioè al tasso fisso
dell’1,5%, va sottolineato che è opinione prevalente che, così come
previsto espressamente dalla legge per l’indice ISTAT, vada
commisurato, nei casi di cessazione di rapporto di lavoro in corso
d’anno, in ragione di tanti dodicesimi quanti sono i mesi considerati per
14
Romano De Blasi, “Il trattamento di fine rapporto e la previdenza complementare”,
Milano 1997. Pag. 31 del capitolo terzo.
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10
il t.f.r., quindi, corrisponderebbe in misura percentuale allo 0,125%
mensile (1,5%/12=0,125%)
15
.
Volendoci ricollegare all’esempio precedente, l’indice di rivalutazione
fisso che verrebbe applicato, sempre sul fondo accantonato al 31/12/97,
sarebbe dello 0,25% o dello 0,375%, da aggiungere ovviamente
all’indice di rivalutazione variabile.
Il 6° comma dell’art. 2120 c.c. dispone: “Il prestatore di lavoro, con
almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere,
in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70%
sul trattamento cui avrebbe diritto in caso di cessazione del rapporto alla
data richiesta”. La normativa, nell’attuare una mediazione tra l’interesse
del lavoratore, volto a rivendicare la corresponsione dell’anticipazione, e
quello del datore di lavoro, interessato a mantenere nella sua
disponibilità fondi utili all’autofinanziamento, circoscrive l’esercizio del
diritto in ambiti ristretti, limitandolo a scopi socialmente apprezzabili. La
prima condizione dettata dalla legge per usufruire dell’anticipazione è
che il prestatore di lavoro, al momento della richiesta, abbia maturato
almeno 8 anni di servizio
16
presso lo stesso datore di lavoro, quindi, da
ciò si deduce che non possono usufruire dell’anticipazione sul t.f.r. i
lavoratori dipendenti a tempo determinato.
15
Romano De Blasi, “Il trattamento di fine rapporto e la previdenza complementare”.
Milano 1997. Vedi cap. 11° par. 3.4 e 3.5.
16
Romano De Blasi sottolinea: “Al riguardo non viene chiarito se per <<servizio>>
debba intendersi l’attività effettivamente svolta dal lavoratore, o il periodo utile per
la maturazione delle quote di accantonamento del t.f.r., o ancora l’anzianità di
servizio”. Si potrebbe ritenere che il legislatore, negli otto anni di servizio abbia
voluto ricomprendere tutti i periodi utili al fine del computo del t.f.r. medesimo.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
11
Occorre, ovviamente, che il prestatore di lavoro abbia lavorato in
costanza di rapporto presso uno stesso imprenditore
17
, in quanto i periodi
lavorativi svolti presso diversi imprenditori non sono cumulabili tra di
loro ai fini dell’anticipazione.
Dalla legge è stato fissato anche un tetto massimo di anticipazione
concedibile, pari al 70% del trattamento economico di liquidazione,
spettante al lavoratore al momento della presentazione della domanda.
Il suddetto massimale va determinato sulla base dei seguenti elementi:
1. Indennità di anzianità maturata al 31 maggio 1982, più il fondo
t.f.r. di bilancio accantonato (e rivalutato) alla fine dell’anno
precedente a quello della richiesta di anticipazione;
2. Frazione di quota di t.f.r. inerente al periodo che va dall’inizio
dell’anno in cui è stata presentata la domanda alla data della
domanda stessa.
Il comma 7 dell’art. 2120 c.c. prevede che “le richieste siano soddisfatte
annualmente entro i limiti del 10% degli aventi diritto, e comunque del
4% del numero totale dei dipendenti”.
Il doppio limite del 10% e del 4% viene stabilito a favore del datore di
lavoro, con la conseguenza che il numero delle richieste da soddisfare
annualmente non dovrà essere superiore al minor valore tra le 2
percentuali.
Con qualche esempio si chiarirà meglio la norma:
“ Azienda con un totale di dipendenti pari a 200, di cui 60 con almeno 8
anni di servizio”. In questo caso il numero degli aventi diritto
all’anticipazione è pari a 6 (difatti 4% di 200=8 e 10 % di 60=6).
17
La costanza del rapporto presso uno stesso imprenditore si mantiene anche nel caso
di successione di un nuovo soggetto nella proprietà dell’azienda, come nel caso di
trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 del c.c.
Capitolo primo La disciplina giuridica del T.F.R
12
Si nota come la norma, come già sottolineato, sia posta nell’interesse del
datore di lavoro, volto a mantenere congrui fondi per
l’autofinanziamento.
Come recita l’8° comma dell’art. 2120 c.c. le cause che giustificano
l’anticipazione sono:
1. eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari
riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche
18
;
2. Acquisto della prima casa per sé o per i figli, documentato con
atto notarile
19
.
L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto
di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine
rapporto.
1.6 Il trattamento di fine rapporto: natura e funzione.
Una delle questioni più largamente dibattute è quella della natura e della
funzione giuridico-sociale del trattamento di fine rapporto. E’ noto che,
per quanto concerne l’indennità di anzianità, si ritiene generalmente che
l’istituto abbia avuto, attraverso passaggi successivi, una evoluzione che
ne ha inizialmente evidenziato il carattere risarcitorio o di “premio di
fedeltà”, per passare poi a quello di retribuzione differita.
Per quando riguarda la natura del trattamento di fine rapporto, già
inizialmente la stessa commissione Giugni, nell’affrontare il problema
18
La straordinarietà non si identifica con l’eccezionalità della terapia o
dell’intervento, bensì nella particolare importanza che riveste, caso per caso, il
trattamento terapeutico o l’operazione chirurgica.
19
Per prima casa di abitazione deve intendersi “quella destinata a dimora stabile della
famiglia”, con esclusione della casa per le vacanze. Si discute, in dottrina ed in
giurisprudenza, se essa debba essere rilevante ai fini dell’anticipazione del t.f.r.
Sembra, però, che i contrapposti orientamenti abbiano trovato una valida soluzione
solo nei contratti collettivi di lavoro.
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13
della riforma, indicò quale “ipotesi di lavoro” quella dell’evoluzione
dell’istituto verso la natura di “risparmio forzoso del lavoratore”, fruibile
nel momento della cessazione del rapporto di lavoro, salvo il caso
dell’anticipazione.
La tesi trova riscontro nelle varie relazioni al disegno di legge: ad
esempio in quella del 17 marzo 1982
20
si parla di “risparmio vincolato”,
mentre nella relazione Romei si accoglie il termine “risparmio forzoso”
precisando che si tratta di abbandonare il criterio della retribuzione
differita sostituendolo con quello della retribuzione risparmiata
obbligatoriamente e si aggiunge che “il lavoratore matura anno per anno
il corrispettivo monetario globale della sua prestazione di lavoro, ma è
obbligato a risparmiare una determinata percentuale, che presta al
proprio datore di lavoro dietro remunerazione”. In termini analoghi si
esprime, infine, la relazione Cristofori “risparmio che viene rivalutato e
che si può in parte percepire in anticipo con vincoli rigidi e definiti dalla
legge”.
Nel dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, che è seguito alla
promulgazione della legge, sono emerse varie definizioni, non tutte
concordi nel riconoscere al trattamento di fine rapporto la predetta natura
di risparmio forzoso, sembrando, invece, prevalente la conferma di
quella di retribuzione differita.
20
L’iniziale disegno di legge, presentato dal Capo del governo in data 17 marzo 1982
al Senato che constava di 13 articoli, successivamente ridotti a 5, fu corredato da
relazioni parlamentari rivolte a mettere in evidenza le ragioni della riforma e le
caratteristiche essenziali del nuovo istituto.