6
europeo, dove le merci, i servizi, i capitali e le persone circolassero con la
stessa libertà che avrebbero avuto all’interno di un unico Stato.
Ci si è preoccupati quindi, inizialmente, soprattutto dell’abbattimento
delle frontiere doganali, trascurando altri settori non strettamente economici.
In questo modo la Politica sociale, nonostante fosse prevista nel Trattato
di Roma, è rimasta indietro sino all’Atto Unico Europeo (1986), cui sono poi
seguiti il Trattato di Maastricht (1992) e le conclusioni del Consiglio di
Amsterdam (1997).
Ma l’evoluzione stessa del processo d’integrazione ha rivelato
l’importanza di soddisfare esigenze non solo economiche, ma anche socio-
politiche. Il 1 gennaio 1999, infatti, si è conclusa la seconda fase dell’Unione
europea che, con la nascita dell’euro, ha permesso di dotare gli undici paesi
che attualmente fanno parte dell’Unione economica e monetaria, di un’unica
moneta.
Questa fase importante terminerà il 31 dicembre 2001, quando l’euro
entrerà concretamente nella vita del cittadino e, dopo un breve periodo di
doppia circolazione con le singole monete nazionali, diventerà l’unica moneta
europea. Il raggiungimento di questo obiettivo rende ancora più necessario
sottolineare i valori comuni che caratterizzano la storia dell’Unione europea e
7
lavorare per una sua piena realizzazione, soprattutto nel campo della coesione
economica e sociale, a favore delle regioni e dei cittadini più sfavoriti.
Abbiamo già accennato che al momento della costituzione della
Comunità Economica Europea (CEE), non erano previste specifiche
disposizioni relative agli aspetti economico-sociali, se non alcuni riferimenti in
tema di Politica agricola, dei trasporti, della concorrenza, delle funzioni di un
istituendo Fondo Sociale Europeo (FSE), che avrebbe dovuto migliorare la
mobilità dei lavoratori all’interno della Comunità.
Questo atteggiamento della Comunità era dovuto alla convinzione che da
un lato l’attuazione di un mercato unico (libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali), e dall’altro l’avvicinamento progressivo
delle politiche economiche degli Stati membri, avrebbero automaticamente
abolito anche le differenze regionali in seno alla Comunità. In sostanza veniva
accolto il modello neoclassico dello sviluppo: attraverso la flessibilità dei
prezzi dei fattori della produzione, l’automatico afflusso dei capitali nelle
regioni ove il costo del lavoro è minore e l’emigrazione dei disoccupati nei
territori più sviluppati, si sarebbe migliorata la distribuzione territoriale dei
fattori, garantendo un mercato concorrenziale omogeneo (Stefani, 1989).
Quanto queste rosee aspettative fossero irrealizzabili venne avvertito
abbastanza presto, tanto che dagli anni ’60 si iniziarono a tenere conferenze ed
8
incontri in materia di economia regionale. Infatti, contrariamente alle
previsioni, ci si accorse che molte differenze strutturali potevano essere
eliminate solo attraverso interventi adeguati e mirati.
Nel 1969, la Commissione metteva in luce che all’interno della
Comunità esistevano forti squilibri regionali, che necessitavano di interventi
specifici. Si trovano già, in questo documento
1
, espliciti riferimenti a regioni
in ritardo di sviluppo, a regioni in declino a causa dell’evoluzione delle attività
economiche prevalenti e regioni frontaliere colpite da disoccupazione
strutturale. La Commissione propose, in questo documento, di esaminare
periodicamente la situazione delle regioni in ciascuno Stato membro. Se
venivano registrate nel territorio delle situazioni di difficoltà nello sviluppo la
Commissione stessa assegnava un aiuto comunitario, inizialmente di modesta
entità, allo Stato membro che ne presentava richiesta, tramite l’approvazione
di un Piano di sviluppo nazionale.
Di lì a poco, in occasione della Conferenza di Parigi nell’ottobre del
1972, gli Stati stessi, sottolinearono la necessità che la Politica sociale, che
iniziava così a delineare la sua valenza regionale, venisse considerata più
attentamente dalla Comunità, e suggerirono di creare un Fondo per lo sviluppo
1
Una Politica regionale per la Comunità, Commissione delle Comunità europee, Lussemburgo, 1969.
9
regionale, che fosse finanziariamente abbastanza robusto e che affiancasse la
sua azione a quella degli altri due Fondi a finalità strutturale che già operavano
nella Comunità.
L’istituzione del Fondo per lo sviluppo regionale avvenne nel 1975, ed
aprì una nuova fase della politica regionale della Comunità, che procedeva nel
senso di un sempre maggiore coinvolgimento della Commissione europea.
Inizialmente quest'organo fu deputato solo a fissare, anche per questo Fondo, i
requisiti e le modalità necessarie per utilizzare le risorse che erano messe a
disposizione esclusiva degli Stati membri, e di lì a breve iniziò a procedere, in
materia, con una certa autonomia dalle politiche degli stessi Stati
2
.
2
Nel 1984, venivano introdotte quote di finanziamento del Fondo per iniziative specifiche decise dalla
Commissione che potevano essere localizzate anche in aree differenti da quelle individuate dagli Stati
membri.
10
1.2 La Politica sociale regionale prima dell’Atto unico europeo:
strumenti e risorse
Il Fondo europeo di sviluppo regionale interviene, nell’ambito degli
obiettivi di riequilibrio delle politiche regionali, congiuntamente all’azione di
altri Fondi a finalità strutturale. Sebbene questi Fondi non esauriscano il
novero degli strumenti a disposizione delle politiche sociali regionali della
Comunità, sicuramente ne rappresentano la dimensione principale.
I Fondi strutturali rappresentano lo strumento ed il metodo con cui la
Comunità si pone e cerca di risolvere il problema dello sviluppo delle aree
deboli e marginali.
Strumento perché rappresentano le risorse finanziarie, garantite dai paesi
più ricchi, e che impegnano oltre il 30% del bilancio di spesa della Comunità,
con cui la Commissione Europea affronta le questioni inerenti lo sviluppo
delle aree strutturalmente arretrate o in declino industriale, unitamente alle
problematiche specifiche della disoccupazione. Ma anche metodo o politica
dello sviluppo, in cui la partecipazione dei vari livelli istituzionali e le diverse
forme di rappresentanza degli interessi, devono intervenire nella definizione
dei progetti di sviluppo ed al loro impiego nella maniera più efficace (Bruzzo
e Venza, 1998).
11
Dal Trattato di Roma (1957) all’Atto unico europeo (1986) i tre Fondi
strutturali erano così configurati:
• Fondo Sociale Europeo (FSE)
3
: istituito sin dagli anni ’60 con il
“compito di promuovere all’interno della Comunità la possibilità di
occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori”. Nel
primo periodo di attività, sintetizzabile nel periodo 1962-1975, il ruolo del
Fondo è stato soprattutto quello di sostenere la formazione professionale dei
lavoratori non occupati e di mantenere allo stesso livello retributivo i
lavoratori interessati dal fenomeno della riconversione. Venivano riconosciuti
rimborsi parziali alle azioni a favore delle categorie di lavoratori di cui sopra
promosse però esclusivamente da enti pubblici. Questo sistema ha favorito gli
Stati più “forti”, che con maggiore tempestività hanno saputo elaborare ed
attuare progetti formativi (ad es. la Germania). La disciplina del Fondo è stata
rivista a più riprese, con modifiche che hanno investito categorie sempre più
ampie di lavoratori.
In questo modo, nella seconda fase di gestione, che ha interessato gli
anni dal 1975 al 1983, l’intervento del FSE risulta maggiormente concentrato
nei comparti industriali delle regioni più arretrate o in declino della Comunità.
3
Previsto dalla Politica sociale del Trattato di Roma agli art. 3 lettera j e artt. 123-127. Le disposizioni
del Trattato sono state attuate con il Regolamento del Consiglio C. E. n. 9 del 6 maggio del 1960, in
12
Con la progressiva riduzione degli interventi negli Stati più ricchi a favore dei
più bisognosi, l’Italia arriva ad essere il maggior beneficiario del Fondo in
questi anni, potendo usufruire del 30% delle risorse stanziate.
Il terzo periodo interessa gli anni che vanno dal 1984 al 1987, quando gli
interventi cambiano in un certo qual modo finalità, orientandosi verso la lotta
alla disoccupazione giovanile, alla quale viene destinato il 75% delle risorse
disponibili.
• Fondo Europeo per il settore Agricolo (FEOGA): composto da due
sezioni di cui la prima, creata nel 1962, denominata sezione garanzia, riguarda
il funzionamento del mercato agricolo e il sostegno dei prezzi attraverso il
finanziamento diretto della Politica agricola comune (PAC); a partire dal
1964, le si è affiancata la sezione orientamento, che prevedeva interventi di
tipo strutturale per incrementare lo sviluppo agricolo e fondiario nelle regioni
in difficoltà, da attuare attraverso sistemi di finanziamento decentrato. Anche
questo Fondo, al pari del FSE, ha versato inizialmente i suoi contributi come
rimborsi agli Stati membri, ed è stato oggetto nei primi anni di una sorta di
integrazione, avvenuta con l’istituzione di particolari misure denominate
“Programmi Integrati Mediterranei” (PIM), istituiti con il Regolamento n.
origine destinato, per quanto riguarda l’Italia, alle regioni meridionali, che maggiormente avrebbero
risentito della realizzazione del mercato unico.
13
2088/85 del luglio 1985, con la finalità precisa di rafforzare l’economia di
alcune regioni del mediterraneo danneggiate dall’ingresso in Europa della
Penisola iberica.
• Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR): istituito nel marzo
1975 (Reg. n. 724/75), unitamente al Comitato per la Politica regionale, con il
compito di “correggere i principali squilibri regionali della Comunità, in
particolare quelli risultanti dalla prevalenza delle attività agricole, dalle
trasformazioni industriali e da una sottoccupazione strutturale” (art. 1 Reg.
cit.). L’erogazione del Fondo era basata su quote fisse direttamente concordate
tra i governi nazionali. Due sono state le modifiche che hanno
successivamente caratterizzato questo Fondo: la prima nel 1979, per introdurre
il principio del coordinamento tra la Commissione e le autorità nazionali; la
seconda nel 1984, caratterizzata dall’abbandono del sistema delle quote fisse
nazionali e dall’introduzione di un sistema misto basato su una quota minima,
prestabilita nel Regolamento, più un rimanente ammontare da contrattare con
la Comunità.
La ripartizione dei loro finanziamenti fra gli Stati membri antecedente
alla programmazione 1989-1993 è riportato nella tabella 1 (Stefani, 1989, pag.
262):
14
Tabella 1 - Ripartizione per Stati dei finanziamenti dei Fondi strutturali, 1986
(in milioni di ecu).
Stati Membri
FEOGA –
Orientamento
FSE
FESR
Totale
%%% %
Germania 117,6 14,8 133,8 5,9 92,6 3,7 344 6,2
Belgio 20,9 2,6 72,6 3,2 29,5 1,2 123 2,2
Danimarca 21,9 2,8 80,4 3,5 18,9 0,8 121,2 2,2
Spagna 3 0,4 176 7,8 314,3 12,7 493,3 8,9
Francia 188,6 23,7 331,5 14,6 219 8,8 739,1 13,3
Grecia 89,9 11,3 102,8 4,5 309 12,4 501,7 9
Irlanda 65,2 8,2 198,9 8,8 79,3 3,2 343,4 6,2
Italia 173,8 21,9 452,1 19,9 712 28,7 1337,9 24,1
Lussemburgo 2,3 0,3 1,4 0,1 0,1 0 3,8 0,1
Olanda 20,6 2,6 48,9 2,2 13,1 0,5 82,6 1,5
Portogallo 4 0,5 109,1 4,8 188,8 7,6 301,9 5,4
Regno Unito 86,9 10,9 561,5 24,7 506,7 20,4 1155,1 20,8
Totale 794,7 100 2269 100 2483,3 100 5547 100
Fonte: Commissione Europea.
15
1.3 Dalla Politica sociale regionale alla Coesione economica e
sociale: l’azione dei Fondi strutturali
Si arriva quindi, il 17 febbraio 1986, alla firma dell’Atto unico europeo,
che modifica il Trattato di Roma introducendo la Coesione economica e
sociale, artt. dal 130 A-130 E (ora artt. 158-162), la cui realizzazione, si
sottolinea con maggior incisività, è affidata all’azione dei “Fondi a finalità
strutturale”. La norma cardine del Trattato, che apre la strada alla prima
Riforma dei Fondi strutturali, entrata in vigore nel gennaio del 1989, è
contenuta nell’art.130 D (161), in cui si prevede che il “Consiglio, deliberando
all’unanimità su proposta della Commissione, previo parere conforme del
Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato delle Regioni,
definisce i compiti, gli obiettivi prioritari e l’organizzazione dei Fondi a
finalità strutturale, elemento quest’ultimo, che può comportare il
raggruppamento dei Fondi”.
A partire da questa Riforma, si è cercato di garantire efficacia dei Fondi,
non più lasciando decidere quasi esclusivamente agli Stati membri le modalità
di impiego delle risorse stanziate, ma guidando le loro azioni attraverso lo
strumento dei regolamenti comunitari, con cui la Commissione ed il Consiglio
fissavano le modalità tassative con cui si prevedeva chi e per cosa si poteva
16
richiedere l’intervento dei Fondi. L'avvio della Riforma si è avuto con
l'approvazione di cinque Regolamenti
4
.
Da questo momento in poi, ogni periodo di programmazione legato al
funzionamento dei Fondi verrà guidato, nella sua realizzazione, da specifici
Regolamenti comunitari
5
.
Sulla base dei Regolamenti del 1988 e con i successivi, revisionati per la
programmazione seguente
6
, la Commissione ha selezionato sei obiettivi
prioritari di intervento, su cui dovrà concentrarsi l’azione dei Fondi strutturali
e degli altri strumenti finanziari per il ciclo di programmazione 1994-1999. È
abbastanza chiaro che l’attenzione delle politiche nazionali, di conseguenza,
dovrà convergere verso queste “indicazioni”.
Tali obiettivi sono espressamente indicati nell’art.1 del Reg. n. 2052/88,
così come ripresi e rafforzati dal Reg. n. 2081/93 modificativo dello stesso, e
vengono schematizzati nel Regolamento in riferimento alle “missioni”
attribuite ai Fondi, nel modo seguente:
4
Al Regolamento n. 2052/88, hanno fatto seguito, nel successivo dicembre, il Reg. di esecuzione (n.
4253/88) ed i tre Regolamenti specifici per ciascun Fondo (nn. 4254/88 per il FESR, 4255/88 per il
FSE, 4256/88 per il FEOGA-orientamento).
5
Ai sensi dell’art. 130B (159), la Commissione ha l’obbligo di presentare alle altre istituzioni ed
organi della Comunità, ogni tre anni, una relazione sulla realizzazione della Coesione economica e
sociale, corredandola di “appropriate proposte”.
6
Cioè il n. 2080/93, che istituiva un nuovo Strumento finanziario per la pesca (SFOP) privo però di
una puntuale fisionomia di fondo ed i Reg. nn. 2081/93, 2082/93, 2083/93, 2084/93 e 2085/93.
17
• Obiettivo 1: promozione della crescita economica delle regioni il cui
sviluppo risente maggiormente dei ritardi strutturali; alla realizzazione di
questo obiettivo sono preposti il FESR, il FSE e il FEOGA-orientamento.
• Obiettivo 2: riconversione delle regioni e delle aree gravemente
colpite dal declino industriale e facilitazione della ristrutturazione dei settori
industriali in declino; qui agiscono il FESR e il FSE.
• Obiettivo 3 e 4: lotta contro la disoccupazione di lunga durata e
facilitazione dell’inserimento professionale dei giovani e delle persone che
rischiano l’esclusione dal mercato del lavoro, promozione delle pari
opportunità per uomini e per donne nel mondo del lavoro, unitamente
all’impegno per migliorare l’adattamento dei lavoratori ai mutamenti
industriali ed all’evoluzione dei sistemi di produzione; la realizzazione di
questi due obiettivi è affidata al solo FSE.
• Obiettivo 5: accelerazione dello sviluppo rurale, che si articolava
nelle azioni tese all'adeguamento delle strutture agricole nell’ambito della
riforma della Politica Agricola Comunitaria (PAC), e nell'ammodernamento e
ristrutturazione della pesca e Sviluppo ed adeguamento strutturale delle zone
rurali. A questo duplice obiettivo sono preposti il FEOGA – orientamento, il
FESR e il FSE.
18
• Obiettivo 6: sviluppo ed adeguamento strutturale di regioni a
scarsissima densità di popolazione (densità pari od inferiore ad 8 abitanti per
Km²); questo obiettivo è stato introdotto nel 1995 dall’atto di adesione di
Austria, Finlandia e Svezia, ed anche qui, come nel primo obiettivo, converge
l’azione di tre Fondi: FESR, FSE, FEOGA – orientamento.
L’impegno finanziario della Comunità, per questo sessennio, è stato pari
a 141,471 miliardi di ecu, il cui ammontare è così ripartito fra gli Stati
membri:
Tabella 2 – Ripartizione per Stati dei finanziamenti per obiettivi, 1994-99
(in milioni di ecu).
Stati Ob.1 Ob.2 Ob.3 Ob.4 Ob.5a
agric.
Ob.5a
pesca
Ob.5b Ob.6 Totale
B 730 341 396 69 170 25 77 - 1808
DK - 119 263 38 127 140 54 - 741
D 13640 1566 1681 260 1070 75 1227 - 19519
GR 13980 - ----- 13980
E 26300 2415 1474 369 326 120 664 - 31668
F 2190 3769 2562 641 1746 190 2236 - 13334
IRL 5620 - ----- 5620
I 14860 1462 1316 399 681 134 901 - 19753
L - 15 21 1 39 1 6 - 83
NL 150 650 923 156 118 47 150 - 2194
P 13980 - ----- 13980
UK 2360 4580 3377 - 186 89 817 - 11409
A 162 99 329 60 386 2 403 - 1432
FIN - 179 254 83 331 23 190 450 1503
S - 156 342 170 90 39 135 247 1178
EUR-15 93991 15352 12938 2246 5270 885 6860 697 138201
% 68 11,1 9,4 1,6 3,8 0,6 5 0,5 100
Fonte: Commissione Europea, Relazione sullo stato della Coesione fra gli Stati membri,
Bruxelles, 1996.
19
Nonostante però l’impegno finanziario della Comunità fosse aumentato
sensibilmente, il divario fra le aree più povere dell’Unione ed i paesi più
prosperi, non accennava a diminuire ed addirittura, paradossalmente, proprio i
secondi, grazie a sistemi di governo più efficienti, finivano per risultare i
maggiori beneficiari dei Fondi.
Si pensò allora, di creare un apposito fondo di intervento per gli Stati
membri più poveri. Lo strumento in questione è il Fondo di coesione, e
rappresenta una fra le novità interessanti introdotte dal Trattato di Maastricht
del 1992.
1.3.1 Il Fondo di coesione
Il Fondo di coesione è un ulteriore fondo specifico, che contribuisce
finanziariamente alla realizzazione di progetti nel settore delle reti di
infrastrutture dei trasporti ed in quello dell’ambiente, promossi nei paesi meno
prosperi dell’Unione, allo scopo di diminuire la pressione sui loro debiti
pubblici e favorire con maggior incisività la loro integrazione a livello
europeo.