3
scenario molto spesso creato da lui medesimo, che lo ha
accompagnato fino alla follia e alla morte.
Per quanto riguarda il de Pisis scrittore, ho voluto tener
presente e dare importanza particolare a quelli che riguardano la
critica dell’arte antica e del suo tempo. Anche se il Nostro non scevro
alle volte di maniacale grafomania riesce ad avere spesso illuminanti e
intelligenti intuizioni su un argomento, la storia dell’arte, che fu parte
integrante e preponderante dei suoi interessi.
Anche nel suo sfrenato modo di collezionare oggetti di ogni
sorta si manifesta la sua personalità di artista.
Ho cercato nei nuclei museali di Ferrara e di Cortina, questi
aspetti della personalità del Nostro, perché nei percorsi espositivi deve
emergere il maggior numero di informazioni possibili riguardanti non
solo la sua arte, ma anche sulla sua vita, su come la condusse, e quali
furono gli interessi che la costellarono.
A questo proposito ho raccolto molte informazioni dal dottor
Buzzoni direttore del Museo d’Arte Contemporanea “Filippo de Pisis”
di Ferrara, e dal professor Balsamo direttore della Galleria d’Arte
Contemporanea “Mario Rimoldi” di Cortina d’Ampezzo. Ho cercato
di approfondire la conoscenza delle personalità dei due maggiori
collezionisti che tanto amarono de Pisis: Manlio Malabotta e Mario
Rimoldi, parlando con la signora Franca Fenga, moglie di Malabotta,
e con Romano Rimoldi, nipote ed erede dell’illustre collezionista
ampezzano.
Questi due musei sono profondamente diversi tra loro, anche
se entrambi custodiscono molti capolavori di de Pisis. Diversi per la
loro storia, le vicende che li contraddistinguono, e per i collezionisti
che hanno permesso la nascita degli stessi musei con le loro
donazioni.
4
PARTE I
Ferrara, Roma, Parigi
Capitolo I: gli anni giovanili
Infanzia e adolescenza a Ferrara: studente e autodidatta
Filippo da Pisa fu l’antenato illustre al quale Luigi Tibertelli,
meglio noto come Filippo de Pisis, si ispirò per il suo nome d’arte.
L’antenato condottiero alla fine del Trecento scappò dalla città natale
e si rifugiò a Ferrara dove il marchese Nicolò III d’Este ripagò i suoi
servigi con terre, cariche e titoli
1
. Il conte Ermanno, il padre di de
Pisis, viveva nella memoria di questo glorioso passato e fu una delle
poche cose che tramandò ai suoi figli, in particolar modo a Luigi e ad
Ernesta, la sorella maggiore, colei che ricostruì la vita dell’antenato e
che tanto affascinò il fratello da fargli scegliere lo pseudonimo che
portò per tutta la vita.
I genitori erano religiosissimi e vivevano appartati dalla società
ferrarese. Il padre viveva di rendita e si dedicava alle opere pie e alla
politica. Nobiltà e religione erano i principi fondamentali del padre.
Luigi, nato l’11 maggio del 1896, era il terzo di sette figli. E
nonostante la numerosa famiglia trascorse un’infanzia e soprattutto
1
N. Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Torino, 1991, p. 7
5
un’adolescenza solitaria, prima (fino al 1906) nel “palazzone” di
famiglia in Via Mortara 61, poi nel Palazzo Calcagnini di proprietà del
conte Grosoli in via Montebello 33. Il conte Grosoli Pironi era un caro
amico d’infanzia del padre Ermanno. Grosoli fu un personaggio di
spicco nell’ambiente politico cattolico, senatore del Regno, si batté
per l’entrata in politica dei cattolici. Occupava gli appartamenti al
piano terra del palazzo
2
, e quindi era una presenza importante nella
vita dei Tibertelli. Quando Filippo deciderà di andare a Roma dopo la
laurea, sarà Grosoli ad aiutarlo a trovare un alloggio, lo stesso che
utilizzava lui quando era a Roma per le sedute in Senato.
I ragazzi Tibertelli sono educati nell’osservanza dei valori
morali cristiani e i loro primi studi si svolgono sotto la guida di
sacerdoti e precettori. Ma Luigi manifesta un’insofferenza per
quest’ambiente severo e rigido, e rivela già da piccolo una personalità
particolare. Ama le stravaganze e nei ricordi dei fratelli è colui che
inventava nuovi giochi nei quali assumere una parte speciale di primo
piano
3
. Sembra che i suoi divertimenti non siano quelli dei suoi
coetanei. Disprezzava le cose che gli apparivano comuni e banali,
come lo stare seduti a tavola a consumare i pasti
4
, e apprezzava tutto
ciò che uscisse dagli schemi e che gli sembrasse originale. Il padre dal
carattere severo male accetta le stranezze del figlio, d’altro canto la
madre piena di delicate attenzioni con grandissimo amore cerca di
capire l’animo sensibile e dolce del piccolo Gigino, come lei lo
chiamerà per tutta la vita
5
.
Si chiude nella sua solitudine studiando moltissimo. Una sete
di conoscenza fuori dal comune lo spinge a divorare libri di letteratura
e poesia, di storia della sua città, di botanica, di entomologia, di storia
dell’arte. Perde ore nel lavoro certosino del miniatore. Vuole
2
Ibidem, p. 6
3
Pietro Tibertelli, Mio fratello de Pisis, Milano, 1957
4
Ibid.
5
N. Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Torino, 1991, p. 8
6
approfondire ogni ramo del sapere per diventare un erudito. Il suo
modello è Leopardi
6
: anche lui proveniva da una famiglia della nobiltà
di provincia, anche lui poeta, anche lui passava le ore in solitudine
isolato negli studi, anche lui approfittava della biblioteca di famiglia,
anche lui non godeva della compagnia dei coetanei. Dunque de Pisis
ricercava, fantasticava, ambiva a questo paragone, ma le differenze col
conte di Recanati sono più delle somiglianze.
Il giovane de Pisis trova, grazie alla valida guida della sorella
maggiore Ernesta, proprio all’interno del palazzo il modo di realizzare
la sua identità di erudito e di letterato. È lì che egli ricrea come in un
gioco quell’esterno che sentiva ostile ma dal quale era profondamente
affascinato.
L’infanzia e l’adolescenza a Ferrara fuori dalle mura della casa
paterna gli lasciano il ricordo di un passato insignificante segnato
dalla tristezza di squallidi pomeriggi domenicali, tra le messe, le
monotone feste familiari, le noiose visite nei salotti degli amici dei
genitori, e i circoli cattolici
7
.
Le uscite fuori porta lo divertono. Preferisce i soggiorni nella
villa de la Croara dei cugini Donini sulle colline bolognesi dove
durante lunghe passeggiate scopre l’appennino emiliano-romagnolo,
dove può andare a caccia di farfalle o di rane. O al mare sulla riviera
romagnola dove i Tibertelli passano le vacanze estive
8
. Lì può
raccogliere conchiglie per le sue collezioni, foglie e fiori per i suoi
erbari, cocci, sassi, e oggetti che raccatta da terra ossessivamente
(caratteristica che manterrà per tutta la vita) per il suo “museo”
9
, un
luogo che aveva ricavato da una delle soffitte del palazzo col
permesso dei genitori, e che aveva adibito a studio privato, dove poter
6
Ibidem, p. 5
7
Ibidem, p. 9
8
Ibidem, p. 9
9
P. Tibertelli, Mio fratello de Pisis, Milano, 1957
7
collocare gli oggetti raccolti e le collezioni, dove stare in solitudine a
studiare, a scrivere, a dipingere.
È un osservatore attento della natura, passa molte ore quando il
tempo glielo consente, nel giardino del palazzo ad osservare la foglie
degli alberi e i cambiamenti di stagione per poi soddisfare il piacere di
rinchiudersi nel suo studio polveroso per catalogare ciò che aveva
raccolto fuori.
Le elementari e le medie le supera studiando a casa con i
fratelli con la guida di alcuni precettori e con la supervisione della
madre, poi affronta la scuola pubblica sostenendo l’esame di quarta
ginnasio al liceo di Cento
10
. A scuola è uno scolaro imprevedibile
lunatico e svagato alterna ottimi risultati in geografia, scienze naturali,
italiano ad altri poco brillanti in geometria o algebra
11
. Il tentativo di
frequentare il Liceo Classico statale fallisce miseramente
nell’incomprensione dei compagni e dei professori costringendolo a
proseguire gli studi privatamente come aveva fatto prima di approdare
alla Quarta Ginnasio.
Prende lezioni di disegno e di pittura come si usava nelle
famiglie benestanti dell’epoca per l’educazione dei ragazzi.
Passa più tempo possibile nelle soffitte adibite a studio
scrivendo e disegnando. Inizia la sua pratica di miniatore illustrando
testi letterari, dipinge ad acquerello fiori variopinti che raccoglieva in
giardino o durante le sue passeggiate in campagna e scriveva i loro
nomi volgari e latini tratti da Linneo con un’acribia da botanico.
È questo il periodo nel quale sente più vicina la somiglianza
con Leopardi: recluso nel suo palazzo, che altro non fa che ergere una
barriera di libri, un recinto di cose certe per respingere le emozioni e
le incertezze del mondo di fuori. Questa sua formazione da erudito e
la stessa imitazione del Leopardi altro non sono che uno scenario
10
N. Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Torino, 1991, p.10
11
Ibidem, p. 10
8
adatto alle sue esigenze di teatralità. È il protagonista indiscusso del
suo mondo nascosto recluso e isolato. E come un vero attore di teatro
si traveste
12
, assume varie personalità a seconda degli stati d’animo o
della preferenza di un personaggio su un altro. È il gusto bizzarro del
travestimento che spinge Gigi a cambiare costume, scenario, secolo,
più volte al giorno, ogni qual volta cambiava argomento di studio:
nelle fotografie che lo ritraggono dal 1909 al 1916 lo incontriamo
travestito da umanista, da cacciatore di farfalle, da monaco buddista,
da pittore bohémien, da naturalista, da paggio ottocentesco, “alla
Balzac”, da nobile quattrocentesco (forse Filippo da Pisa il suo
antenato), quasi da creare un falso bersaglio a chi lo volesse ferire
difendendo così la sua intimità sensibile e dolente. Questi
travestimenti provocano la derisione e la diffamazione di chi non lo
comprende al di fuori dell’ambito familiare.
Figura 1 De Pisis vestito "alla Balzac"
12
Ibidem, p. 15
9
È circondato dall’affetto dell’amorevole madre, della sorella
maggiore, della cugina Maria Clotilde di Bologna, che evidentemente
percepiscono il suo animo sensibile dolce e bisognoso di delicate
attenzioni. Queste stravaganze giovanili provocano dei contrasti che
sono appianati in famiglia dalla dolcissima madre che forse predilige
questo figlio strano e con il quale intrattiene un epistolario segreto
13
,
ma fuori casa è considerato un originale un illuso un fallito. Uno che
parla troppo in maniera arguta e astrusa, ma soprattutto parla solo di
se stesso. È impotente di fronte alla volgarità dei ferraresi che lo
deridono e lo insultano. Tenta quindi di nascondere il suo
temperamento di ragazzo mite, timido, gentile, sensibile, pronto alle
lacrime, colto, aperto all’amicizia, poco pratico e spesso goffo
presentando un volto completamente diverso dal suo.
Prime prove artistiche e letterarie
Nelle sue stanze private ricrea un mondo bizzarro e personale.
Lo riempie di oggetti cari: fiori, piante, insetti, minerali, fossili,
conchiglie, sassi, costumi, drappi, anticaglie da rigattiere monete
antiche, collezioni di tabacchiere, di vetri, di ventagli. In una parola di
ricordi. Ed è lì che de Pisis scrive. Scrive tantissimo, tanto che é
indotto a pensare di essere scrittore poeta piuttosto che pittore: pezzi
di critica letteraria, commenti ad alcuni passi di Virgilio, studia codici
antichi, rimesta documenti su un ignoto pittore ferrarese del
Cinquecento
14
. Legge autori antichi e moderni. Tenta di imparare
l’antico ebraico e il sanscrito. Scrive le ricerche erudite sui pittori
ferraresi più oscuri e dimenticati che poi farà pubblicare sotto forma di
13
Ibidem, p.
14
N. Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Torino, 1991, p. 17
10
opuscoli. Questi studi alimenteranno la sua passione per la critica
d’arte che gli permetteranno di giungere negli anni ad una competenza
di prim’ordine. La sua fama di erudito di storia artistica cittadina si
diffonde a metà degli anni dieci con le prime conferenze nei circoli
cattolici e le prime pubblicazioni.
È un po’ un énfant prodige anche se non ha ancora scelto tra i suoi
molti interessi.
Già abbiamo accennato ai suoi vari interessi e sarebbe vano
cercare una preminenza di quelli pittorici sugli altri. Anzi la
preferenza va alla penna, alla letteratura, alla poesia, alla botanica, alla
storia locale, all’arte antica ferrarese, piuttosto che alla pittura. De
Pisis prende lezioni di pittura a Ferrara dal 1907-8 e poi dal 1916 da
Odoardo Domenichini e da Giovan Battista Longanesi-Cattani
15
. Non
connotano alcun interesse di de Pisis per la pittura poiché era normale
che un ragazzo di buona famiglia prendesse lezioni di pittura. Imita gli
autori dell’arte antica visto che sta studiando la pittura, è alle prime
armi e si rifà a ciò che conosce della storia dell’arte. I primi dipinti
sono del 1908 e sono più uno studio dell’arte che non vero esercizio
pittorico.
Dal 1909 porterà avanti un diario intimo nel quale annotare i
propri sentimenti ed emozioni. È il primo esercizio di scrittura.
Scrive le sue prime prose poetiche con l’orecchio teso alle
risonanze pascoliane allontanandosi dal modello Leopardiano che era
più di atteggiamenti che non di vicinanza spirituale. Scriverà nel 1939
al critico d’arte Giuseppe Marchiori: “Sapesse come sono nato ‘poeta’
più ancora che pittore. Nella mia prima giovinezza coprivo fogli e
fogli (chili) di impressioni, quasi tutte ispirate a Ferrara e alla sua
campagna...”
16
.
15
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997
16
N. Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Torino, 1991, p. 16
11
Pubblica nel 1916 il suo primo volume di prose: I canti della
Croara dedicati a Pascoli e composti nell’estate precedente durante il
soggiorno dai cugini sulle colline bolognesi. Un omaggio ad un poeta
che ha amato e che ha formato la sua gioventù: Pascoli. Si tratta di
brevi componimenti che parlano di sensazioni giovanili indefinite di
fronte alla bellezza della campagna. Ingenuo dal punto di vista
letterario, ma significativo: de Pisis condividerà sempre l’idea
pascoliana del fanciullino.
Sempre nel 1916 pubblica Emporio un altro volumetto di prose
liriche decadenti che introducono sensazioni più nascoste: è il
“pulchriora latent” che lo accompagnerà per tutta la vita. È una
raccolta di prose liriche ispirate a Corrado Govoni punto di
riferimento importante per la formazione di de Pisis. Govoni affianca
Pascoli come autore fondamentale per de Pisis. “L’anima dell’artista è
come una lastra impressionabile”
17
questa frase di Govoni esclude la
vecchia concezione che l’artista si esprime in una sola arte. O
figurativa o letteraria. De Pisis si sente compreso in questa definizione
govoniana.
Nascono dall’amicizia con de Chirico le opere in prosa con le quali
vorrebbe documentare la sua adesione alla scuola metafisica:
Mercoledì 14 novembre 1917, Il signor Luigi B., La città delle cento
meraviglie.
17
Govoni
12
La miniatura
Una grande intesa accomuna Filippo con il suo secondo maestro di
pittura: Giovan Battista Longanesi-Cattani. Quest’ultimo fu titolare
della cattedra di plastica alla scuola “Dosso Dossi”
18
. Un insegnante
attratto più dalla grafica che non dalla pittura e probabilmente fu lui ad
introdurre la pratica della miniatura presso il giovane de Pisis.
L’estroso maestro, abilissimo nel realizzare ritratti in miniatura su
carta, si dedico anche alla realizzazione di pergamene miniate
19
. La
“Gazzetta ferrarese” del 25 maggio 1911 informa che per il giubileo
sacerdotale del cardinal Boschi, Longanesi fu incaricato d’eseguire
una pergamena commemorativa “in istile Quattrocento”
20
. Fu dunque
lui ad instillare nel suo dotato allievo l’amore per la decorazioni degli
antichi messali, per la pergamena recuperata, per le lacche, per i colori
acquerellati, per i caratteri minuti. E proprio in relazione a questa arte
figurativa provengono le prime committenze di de Pisis: esegue
nell’ottobre-novembre del 1912 un codicetto col “Cantico delle
creature” per il conte Grosoli
21
, e nell’autunno del 1913 per ricordare
il 25° anniversario della filodrammatica “Silvio Pellico” nel Teatro del
Seminario di Ferrara fu offerta dai consiglieri al presidente un’artistica
pergamena del giovane Luigi Tibertelli
22
.
In quegli anni si assistette ad un revival della miniatura:
uscirono manuali per insegnare questa tecnica, mentre le riviste
specializzate dedicavano all’argomento articoli e approfondimenti. Al
di là di questo de Pisis manifesta una sua autonomia stilistica: studia
gli originali alla biblioteca e nel Museo Civico di Ferrara,
18
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 13
19
Ibid., p 13
20
Ibid., p 14. Un’artistica pergamena, in “Gazzetta Ferrarese”, 25 maggio 1911.
21
Ibid., p 15. San Francesco d’Assisi, Cantico delle creature, prefazione di Carlo Bo
al codice illustrato da Filippo de Pisis, Ferrara, 1992.
22
Ibid., p 15. La filodrammatica “Silvio Pellico”, in “La domenica dell’operaio”, 7
dicembre 1913
13
all’Archiginnasio di Bologna e alla Laurenziana di Firenze e poi ne fa
una sintesi, una rilettura semplificata. Non vuole riprodurre le
miniature identiche ne trae spunto per crearsi uno stile suo personale.
In ogni attività de Pisis cerca di distinguersi, di farsi riconoscere. Non
si tratta di esercizio, di apprendistato accademico, ma di un
intelligente, colto e lucidissimo montaggio di antichi esempi di
miniature che egli reinterpreta in chiave moderna. Con un occhio al
passato ma anche uno al futuro, alle avanguardie artistiche.
La miniatura è un esercizio che documenta i suoi interessi; de
Pisis delega alle sue attività artistiche il compito di testimoniare le sue
molteplici curiosità e il suo carattere eclettico.
I circoli culturali ferraresi
Ai primi del Novecento era tutto un pullulare a Ferrara
d’associazioni culturali, circoli studenteschi di matrice cattolica. I
Tibertelli erano una famiglia di stretta osservanza cattolica, e il padre
Ermanno era impegnato in opere pie, caritatevoli e anche in politica.
Filippo si gettava con entusiasmo adolescenziale in queste iniziative.
Facendosi conoscere come esperto di arte antica e di storia locale con
pubblicazioni di opuscoli e conferenze, nel 1913 il giovane Tibertelli
viene eletto segretario del circolo studentesco universitario “Alfonso
Varano”
23
. Alla Casa del Popolo dove si riunivano i circoli cattolici,
tenne una conferenza sull’“Albero di Natale” tra tradizione e arte,
nella quale miscelò nozioni di iconografia pittorica e botanica. Sarà
proprio de Pisis a ricordare altre conferenze: sulla figura di Varano e
sull’arte paleocristiana
24
. Nel novembre del 1914 fu costituito il
circolo “Guido Bentivoglio”. All’inaugurazione il giovane Tibertelli,
23
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 16
24
F De Pisis, Le memorie del marchesino pittore, Torino, 1989, p 125
14
che egocentrico fin d’allora, amava gli assoli forbiti del conferenziere,
portò il saluto e l’adesione dell’Unione Giovanile Cattolica e rievocò
la figura del cardinal Bentivoglio, nunzio apostolico, storiografo,
protettore di Frescobaldi e nemico di Galileo
25
.
Aveva già fornito una prova delle sue capacità oratorie in
quegli anni alle riunioni del “Circolo Universitario Cattolico”, e
dovunque avesse potuto mettere in mostra la sua cultura. Tali attività
svolte all’interno dei circoli cattolici erano fortemente incoraggiate
non solo dal padre, che fu il fondatore dell’Istituto delle Stimmatine
26
e presidente della “Conferenza di San Vincenzo de Paoli”
27
, ma anche
dal conte Grosoli Pironi.
Le prime collaborazioni con riviste culturali
I suoi primi articoli non apparvero, come forse è stato scritto,
sulla rivista letteraria “Myricae”
28
, nettamente filo-pascoliana e che a
rigor di logica avrebbe dovuto attrarre il giovane de Pisis anche perché
vi collaboravano molti suoi amici, ma su un giornale teatrale:
“L’Orifiamma”. Questa rivista forniva delle informazioni capillari
sull’attività dei teatri ferraresi alternate ad articoli storici.
Il 31 gennaio del 1915 uscì il numero con l’esordio di de Pisis:
“Musica e strumenti nelle arti figurative. I. Lo strumento come motivo
ornamentale”
29
. Nel numero successivo appare la seconda parte: “II. Il
senso musicale nelle figure e nelle espressioni”
30
.Il primo articolo è
incentrato sull’utilizzo iconografico degli strumenti musicali nella
25
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 16
26
L’Istituto delle Stimmatine ancora porta dei fiori sulla tomba dei Tibertelli
27
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 16
28
Ibidem, p. 17
29
F. De Pisis, “Musica e strumenti nelle arti figurative. I. Lo strumento come motivo
ornamentale” in L’Orifiamma, Ferrara, 31 gennaio 1915, p. 1
30
F. De Pisis, “Musica e strumenti nelle arti figurative. II. Il senso musicale nelle
figure e nelle espressioni”, in L’Orifiamma, Ferrara, 15 febbraio 1915, p. 1,2
15
decorazione del Rinascimento estense e non era certamente privo di
un campanilistico compiacimento. De Pisis cita le ceramiche faentine,
le “raffaellesche”, le candeliere del palazzo dei Diamanti.
31
Il secondo
articolo tratta dell’iconografia musicale di quadri e sculture ferraresi.
Cita gli artisti delle opere prese in considerazione: Mazzolino,
Garofalo, Bononi, di Paris, e gli autori degli affreschi di Palazzo
Schifanoia.
32
Anche questi articoli sono il sintomo della smania di de
Pisis di testimoniare il suo interesse per gli strumenti musicali e per la
pittura rinascimentale.
Riallacciandosi a questi primi articoli ne pubblica un altro
dedicato all’iconografia degli strumenti musicali: “Alcuni strumenti
della raccolta del museo civico di Bologna” sempre su L’Orifiamma
nell’agosto del 1915
33
. Descrivendo trombe e arpe de Pisis trova il
modo di parlare di elementi ferraresi che ricordano le decorazioni
dell’abbazia di Pomposa.
È il periodo dell’erudizione, degli studi solitari nella biblioteca
paterna, è il periodo in cui si sente più vicino al suo amato Leopardi e
su “L’Orifiamma” esce un articolo su Leopardi critico teatrale dove
ammette di provare “una profonda venerazione per il Contino di
Recanati”
34
.
Interessanti appaiono i temi del restauro e dell’arredo urbano a
Ferrara che attestano un graduale avvicinamento alla storia dell’arte.
Forse è il nuovo ambiente dell’università, o forse sono le lezioni di
storia dell’arte di Igino Supino che lo affrancano dalle esperienza
adolescenziali e gli fanno avvertire i primi saltuari fermenti delle
avanguardie
31
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 59
32
Ibidem, p. 59
33
F. De Pisis, “Alcuni strumenti della raccolta del museo civico di Bologna”, in
L’Orifiamma, Ferrara, 15 agosto 1915, pp.1-2
34
L. Scardino, De Pisis pubblicista, Ferrara, 1997, p 60
16
I contributi degli anni dieci: il gusto della scoperta e della ricerca
erudita: i pittori minori, la storia locale
Grande è l’influenza dei corsi universitari che de Pisis
frequenta a Bologna, ma non è l’unica spinta verso la storia dell’arte
che fu comunque, una passione giovanile. La collaborazione con la
“Gazzetta Ferrarese” contribuirà a rinfocolare questa passione. Il
direttore della “Gazzetta”, l’ingegner Righini, notevole personaggio
coltissimo ed eclettico, sindaco di Ferrara dal 1893 al 1897
35
, liberale
ed agnostico, che diede al giornale un’impostazione tradizionalista e
moderata, e lasciò ampio spazio a questioni legate all’arte e alla storia
cittadina. Condivideva gli ideali carducciani di restituire a Ferrara la
perduta vocazione di grande città del Rinascimento che coincidevano
sicuramente con il sentimento campanilistico del giovane de Pisis.
35
Ibidem, p. 21