5
La trattazione che si confronta con l’eroe danese di Shakespeare tenta in principio di 
svelare l’esistenza di una possibile intonazione melanconica nella figura leggendaria da cui il 
drammaturgo sembra abbia preso spunto, per confrontare le eventualità di convergenze e 
dissonanze.  Il fondamentale contrappunto tra il ritmo melanconico e la melodia di Amleto 
sembra convogliare in due motivi distinti:  una cadenza che rimane in superficie e si definisce 
attraverso gli oggetti, le espressioni, le vesti e le maschere del principe; un battito più profondo 
che si mostra nel gioco continuo di scambi tra ciò che appare e ciò che realmente è.  Queste 
due frequenze vivono unicamente supportate dall’azione drammatica che rende possibile il loro 
prezioso intreccio. 
 
 Nella prima parte del lavoro ho approfondito un concetto che si può dire fratello della 
malinconia ed è quello di accidia. Il termine viene spiegato dal Devoto – Oli come  
“un’avversione all’operare, associato all’idea di tedio oltre a quella di neglettosità. Nella 
morale cattolica, la negligenza nell’esercizio della virtù necessaria alla santificazione 
dell’anima; è uno dei sette vizi capitali. Dal greco ∆ Ν Κ Γ Λ ∆(‘akedìa’, negligenza) composto da 
 ∆ privativo e Ν Κ Γ Ρ ] (‘kedos’, cura)”
1
. La melanconia, secondo gli antichi, dipende molto dal 
tipo di vita che si conduce, da cosa si mangia, da come ci si veste; quindi prima di qualsiasi 
rimedio medico è necessario riorganizzare il sistema di vita di chi ne è affetto. Nel Medioevo la 
melanconia colpirà soprattutto i religiosi ed i monaci, “a causa delle loro ricerche erudite, 
dell’affaticamento della memoria, della preoccupazione causata loro dai cedimenti 
intellettuali”
2
. Molti degli uomini di chiesa scriveranno di questo male per alleviare i 
confratelli e per scoprirne i significati più profondi: si trasformerà quindi in un vizio capitale, 
proprio perché viene interpretato come una pigrizia e tristezza verso il bene divino; essa muterà 
anche di nome. L’accidia possiamo definirla come la ‘sorella religiosa e tutta cristiana’ della 
melanconia, vedremo infatti che entrambi i termini vivranno pacificamente paralleli per diversi 
secoli nella letteratura medievale, per poi rimanere negli scritti sia poetici che medici solo 
come melanconia.     
Vi è un’ultima precisazione che riguarda nello specifico la parola malinconia.  Il 
termine deriva dall’espressione greca  Π Η Ο ∆ Φ Ρ Ο Λ ∆  ‘melankholìa’, composto da  Π Η Ο ∆ ] 
(‘mélas’, nero) e  Φ Ρ Ο Κ  (‘kholé’, bile) e quindi ‘bile nera’.   
                                                 
1
 Il dizionario della lingua italiana, a cura di G. Devoto e G. C. Oli, Firenze, Le Monnier, 1995, p. 16 
2
 J. Starobinski, Storia del trattamento della malinconia dalle origini al 1900, Milano, Guerini e Associati, 1990, 
p. 54 
 6
In italiano esistono però due diverse voci  ‘malinconia’ e ‘melanconia’ che nascondono 
due diversi significati: il  primo e più corrente dei due , vuole stare per “una disposizione 
passeggera dell’animo di vaga tristezza, … di deprimente monotonia  … sconsolato e 
pessimistico abbandono a volte anche compiaciuto”
3
; mentre ‘melanconia’ è “preferita nel 
linguaggio psichiatrico per designare uno stato psichico caratterizzato da un’alterazione 
patologica del tono dell’umore, nel senso di un’immotivata tristezza talvolta accompagnata da 
ansia”
4
.   
Questa distinzione rimane valida tanto la Grecia classica, quanto per l’ultimo 
Rinascimento, per cui ho ritenuto giusto continuare a mantenere la separazione tra 
‘melanconia’ come tipo di affezione patologica o di struttura caratteriale, e ‘malinconia’ come 
un temporaneo stato d’animo.  
 
                                                 
3
 Devoto – Oli, op. cit., p. 1135 
4
 Devoto – Oli, op. cit., p. 1175 
 7
Parte prima. 
La nozione di melanconia e le sue trasformazioni storiche 
 
 
I.      La melanconia scientifica e la malinconia poetica  
 
1.    I maestri antichi e la dottrina degli umori 
  
I diversi significati della parola malinconia si sono sviluppati lungo un percorso storico 
che abbraccia più di duemila anni; non si è trattato però di una successione che seguiva la 
decadenza e la metamorfosi, perché spesso i valori più  vecchi non scomparivano, coesistendo 
con  quelli più freschi dando quindi vita ad una sopravvivenza parallela. 
 La base originaria di questi significati molteplici fu la considerazione di una parte 
concreta, visibile e tangibile del corpo, la “bile nera”, detta anche atra bilis, che, insieme con il 
sangue, la bile gialla (o rossa) e il flegma, formava l’insieme dei “quattro umori”. Questi umori 
si credeva corrispondessero ai quattro elementi fondamentali dell’universo e alle suddivisioni 
del tempo dell’anno solare e della vita dell’uomo; essi controllavano tutta l’esistenza e i 
comportamenti dell’umanità e determinavano i caratteri dei singoli individui a seconda di come 
si mescolassero tra loro.      
 
Esistono infatti quattro umori nell’uomo, che imitano i diversi elementi; aumentano ognuno 
in stagioni diverse, predominano ognuno in una diversa età.  Il sangue imita l’aria, aumenta in 
primavera, domina nell’infanzia. La bile gialla imita il fuoco, aumenta in estate, domina 
nell’adolescenza. 
 La bile nera ovvero la melanconia imita la terra, aumenta in autunno, domina nella maturità. Il  
flegma imita l’acqua, aumenta in inverno, domina nella vecchiaia. Quando questi umori 
affluiscono in misura non superiore né inferiore al giusto, l’uomo prospera.
1
 
                                                 
1
 Anonimo, De mundi constitutione, il testo è di un filosofo dell’alto Medioevo ed è citato in R. Klibansky, E. 
Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983, p. 7  
 8
Le parole sono di un filosofo dell’alto Medioevo ed esprimono in modo chiaro e 
sintetico l’antica dottrina dei quattro umori, il sistema destinato a dominare tutto il corso della 
scienza fino al XVIII secolo, quando l’umoralismo venne lentamente sostituito dalle scoperte 
sul sistema nervoso
2
.  
Alla teoria dei quattro elementi (risalente ai pitagorici e poi elaborata da Empedocle) e 
alla dottrina dei quattro umori, Ippocrate e ancora Aristotele avevano poi aggiunto le quattro 
qualità radicali o elementari: caldo, freddo, secco e umido.  Galeno, nel 200 a. C., accettò 
l’idea dei quattro elementi fondamentali e delle qualità, ma osservò che occorreva definire i 
vari gradi di “caldità”, “frigidità”, “secchezza” e “umidità”; stabilì quindi per ogni qualità 
quattro gradi diversi, affermando che le virtù di tutti i corpi dipendono dalla proporzione di 
questi gradi: in qualsiasi corpo domina un elemento sugli altri e dalla loro combinazione 
originale nasce in ogni individuo ciò che Galeno ha definito come il temperamento.  Da ciò 
nascono i quattro temperamenti fondamentali dell’uomo: sanguigno, collerico, melanconico e 
flemmatico, ai quali corrispondono i quattro organi principali del corpo: cuore, fegato, milza e 
cervello. 
L’anonimo filosofo medievale dà un’altra importante informazione che riguarda il 
benessere  dell’individuo: la prevalenza o il difetto di uno dei liquidi corporali sugli altri 
costituisce la malattia, mentre il fatto che gli umori fossero complessionati, ben mescolati nel 
corpo, porta con se’ l’idea di salute, di una vita disiosa e quieta, in perfetta armonia con la 
natura.   
In questa tradizione però lo stato di benessere diventa un ideale cui ci si può solo 
avvicinare, ma di fatto rimane irraggiungibile; le corrispondenze umorali e terrestri, corporee e 
celesti, prevedevano infatti l’alternanza delle quattro sostanze durante l’intero anno solare, 
senza per questo provocare necessariamente disturbi acuti. Già Ippocrate con i suoi discepoli 
aveva osservato che persone con una costituzione determinata dal costante prevalere di un 
umore potevano non essere effettivamente malate, ma semplicemente predisposte a certe 
malattie o comunque inclini a specifici atteggiamenti; con il tempo i termini “collerico”, 
“flemmatico”, “melanconico” e “sanguigno” potevano possedere due significati 
fondamentalmente diversi: sia una condizione patologica sia una disposizione personale. 
Entrambe rimanevano comunque strettamente connesse, poiché di solito era uno stesso umore 
che in seguito a circostanze avverse, poteva trasformarsi da semplice predisposizione in 
malattia effettiva. 
                                                 
2
 J. Starobinski, Storia del trattamento della malinconia dalle origini al 1900, Milano, Guerini e Associati, 1990. 
 9
Tra i quattro umori ve ne sono due che occupano una posizione d’eccezione: il sangue e 
la bile nera. Entrambi considerati in modo differente dai restanti liquidi corporei, l’uno come 
parte più nobile ed essenziale del corpo, l’altra come degenerazione nociva degli altri succhi 
vitali, vengono sostanzialmente proposti come l’uno l’opposto dell’altro. Fu proprio su questa 
distinzione che la bile nera diventò presto oggetto di studio più approfondito, costituendo per 
così dire, il lievito per un’ulteriore sviluppo della teoria umorale.  “Era stata considerata a 
lungo come degenerazione nociva di quella gialla, oppure, in altri casi, del sangue. […] La 
melanconia presentava tra gli umori, la fisionomia più spiccatamente patologica e lentamente 
diventò, per l’enorme quantità di manifestazioni associate, la prima in cui fu individuata una 
differenza tra malattia reale e semplice predisposizione, tra stati patologici e particolarità di 
carattere”
3
. 
 L’ambiguità dei sintomi psicologici rendeva incerto il confine tra malattia e normalità e 
spingeva ad individuare una costituzione che, pur essendo malinconica, non imponeva di 
identificare la persona realmente malata  per tutto il tempo. “Questa caratteristica era destinata 
a far sì che l’intera concezione della melanconia passasse dal campo della psicologia al campo 
della fisiognomica, trasformando così la dottrina dei quattro umori in una teoria dei caratteri e 
dei tipi mentali e fisici”
4
. 
Il tipo melanconico venne con il passare dei secoli, a scadere sempre più fino ad 
indicare esplicitamente una cattiva disposizione in cui i tratti sgradevoli dello spirito e del 
carattere si univano ad un fisico misero e ad un aspetto poco attraente: questa nozione rimase 
sempre condizionata dall’idea originaria di malattia. 
 
 
                                                 
3
 R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, op. cit. , pp. 17 – 18 
4
 Ibid., p. 18