capitoletto sulla televisione costituisca l�inevitabile espediente per
alleviare i sensi di colpa che deriverebbero dal tralasciare totalmente
un ambito la cui rilevanza sociale � avvertita come pari alla sua
banalit� teorica rispetto agli usi della musica nel cinema o, al limite,
nella videoarte.
Un diverso orientamento di ricerca emerge in alcuni volumi
della collana della Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi della
RAI, probabilmente la pi� importante sede di ricerca sulla televisione
a livello nazionale. In particolare, il precedentemente citato Macchina
sonora di Luisella Bolla e Flaminia Cardini esamina con notevole
dettaglio le forme di proposta specificamente musicale nell�intera
storia televisiva italiana fino al 1996, mentre Musica da vedere di
Gianni Sibilla analizza con pregevole acume la forma videoclip ed i
suoi riverberi su altri programmi musicali e non; come � evidente,
per�, si tratta di analisi relative ad un genere televisivo, e non all�uso
della musica nel linguaggio televisivo nel suo complesso (il quale,
come si avr� modo di notare, trae la sua rilevanza proprio dal fatto di
non essere confinato nelle trasmissioni specificamente di musica,
come invece avviene, con una certa approssimazione, per le altre arti).
Pi� promettente pare, entro la stessa collana, Le sigle televisive di
Giorgio Simonelli; e tuttavia, si ricade in questo caso nel difetto tipico
delle trattazioni su musica e cinema, opportunamente declinato, per
cui si concede all�analisi dell�elemento visivo larga parte del volume,
e si confina lo studio della musica ad un solo capitolo, sebbene ricco
di interessanti notazioni.
� possibile individuare almeno quattro ragioni per questo scarso
interesse dei teorici verso la musica televisiva. In primo luogo, una
delle principali caratteristiche dell�impiego della musica nei testi
televisivi pare essere la sua intesa inavvertibilit�; in gran parte dei
casi, la musica non � inserita per catturare l�attenzione, bens� per agire
furtivamente, come elemento testuale non evidente. Questo, che � un
tratto decisivo per l�analisi teorica, sembra essere anche un efficace
ostacolo rispetto ad essa, dimostrandosi capace di distogliere dalla
musica l�attenzione degli studiosi di televisione, i quali pure nel corso
dei decenni si sono rivelati attenti indagatori di quel fenomeno
parimenti nascosto tra le pieghe dell�apparenza televisiva denominato
�ideologia�, e dunque hanno mostrato di poter squarciare con la
propria capacit� critica la superficie non di rado banale della
programmazione televisiva.
Una seconda ragione per le mancanze nell�analisi della musica
televisiva � di ordine metodologico. Lo studio approfondito del tema
richiede infatti l�incrocio di competenze in due campi che
generalmente si ritrovano separate negli analisti: da un lato la
musicologia, dall�altro le basi necessarie all�indagine semiologica dei
testi televisivi. Gli strumenti necessari nei due ambiti, sebbene si
possano ritenere utilmente collegabili, al momento sono di fatto
distinti ed anche piuttosto lontani tra loro; prova ne sia il fatto che
l�analisi pi� approfondita realizzata nell�ambito indagato, lo studio
della sigla del telefilm �Kojak� ad opera di Philip Tagg ora contenuta
entro il volume Popular music da Kojak al Rave, si concentra con
grande profitto sul lato dell�analisi musicale, ma tramite l�uso di tale
griglia concettuale sembra volutamente rinunciare a correlare i
risultati raggiunti alle interpretazioni pi� consolidate del fenomeno
televisivo sul piano produttivo e semiologico, limitandosi a
sottolineare come le connotazioni e gli stereotipi musicali riscontrabili
nell�oggetto analizzato vengano amplificati sic et simpliciter dalla loro
diffusione di massa attraverso il mezzo televisivo. Sul piano
metodologico, pertanto, i punti di contatto tra i due ambiti di ricerca
sono in gran parte ancora da reperire, e ci� rende pi� impegnativo il
tentativo di un�analisi sistematica del fenomeno della musica
televisiva.
Un terzo problema si correla strettamente a quello appena
enunciato, contribuendo ad amplificarne l�effetto dissuasivo verso
compiute ricerche. La musica televisiva, infatti, � costituita in larga
parte da testi riconducibili alla macro-categoria della musica popular,
un genere (in senso molto lato) il cui studio richiede schemi
interpretativi parzialmente differenti da quello, sostanzialmente
consolidato, che viene d�abitudine applicato alla musica colta. Tale
studio � stato gi� avviato in ambito anglosassone, oltre che dal gi�
citato Tagg, da analisti come Simon Frith e Richard Middleton, anche
se un pieno riconoscimento accademico dell�importanza di questo
ambito di ricerca non � ancora avvenuto; in Italia lo stato dell�arte
sembra ancora pi� arretrato, nonostante l�efficacia dei contributi del
�pioniere� Franco Fabbri e di Gino Stefani. Ci� � tanto pi� rilevante in
quanto questo settore di ricerca ha colto sin dalla nascita la crucialit�
della correlazione tra popular music e mezzi di comunicazione di
massa per la completa comprensione di entrambi i fenomeni,
ricavando peraltro da questa correlazione il diffuso disprezzo
intellettuale per i fenomeni culturali di massa e per la loro supposta
povert� di significazione. Questo ritardo spiega altres� perch� lo studio
della musica per film sia ben pi� consolidato di quello della musica
televisiva; nella gran parte della produzione cinematografica storica e
recente, infatti, la musica � stilisticamente riconducibile ad un
classicismo con forti influenze wagneriane, ed in minor parte
all�esperienza delle avanguardie storiche del Novecento, tutti generi il
cui quadro interpretativo sul piano musicologico � sensibilmente pi�
stabile di quello esistente per la popular music.
Infine, le carenze nello studio della musica televisiva possono
essere interpretate come caso particolare della generale mancanza di
un quadro complessivo consolidato del linguaggio televisivo tout
court. Gli studi sulla televisione, infatti, non sembrano finora in grado
di costituire un corpus sufficientemente stabile entro cui la musica
potrebbe costituire un (importante) tassello sul piano del linguaggio;
al contrario, sembra che la riflessione sulla televisione si sia costruita
per tasselli ancora incapaci di delineare un quadro complessivo, e la
musica costituisce uno dei pi� rilevanti tasselli mancanti, o meglio
non ancora messi sufficientemente a fuoco. A questa situazione hanno
contribuito la brevit� della storia del fenomeno, la frequente
concentrazione sull�analisi del contenuto a scapito di quella del
linguaggio, la frammentariet� ed eterogeneit� di un oggetto
individuato complessivamente come �televisione�, e probabilmente la
scarsa considerazione da parte del mondo intellettuale ed accademico
pi� vasto per il fenomeno televisivo (Umberto Eco � in questo
l�eccezione pi� lodevole e vistosa), una disistima che sembra
attraversare andamenti ciclici pi� che delineare tendenze univoche. Ne
consegue che manca ancora, almeno in ambito italiano, una �teoria
della televisione� lontanamente paragonabile a quella di letteratura,
arte o persino musica; ci� � confermato dall�estrema frammentazione
del campo di analisi proposta dal testo Analisi della televisione di
Francesco Casetti e Federico di Chio, che non pare trovare una
ricomposizione in una proposta, sia pure opinabile, di teoria generale.
Paradossalmente, sembra che gli unici tentativi in questo senso siano
rintracciabili nelle opere dei detrattori a priori della televisione come
forma culturale, come Hans Magnus Enzensberger e Karl Popper, non
a caso provenienti da campi di riflessione lontani dalla
massmediologia e pi� avvezzi alla sistematizzazione in teorie generali.
� forse possibile individuare ulteriori fattori che hanno
contribuito al �buco� dell�analisi televisiva sull�elemento musicale;
sta di fatto che non sembrano individuabili significativi progressi
rispetto alla situazione cos� delineata da Luigi Del Grosso Destrieri
quasi quindici anni fa:
Sconcerta, in particolar modo, l�assenza di considerazioni sugli
aspetti musicali negli studi sulle comunicazioni di massa, come se
non si sapesse che quasi tutti i programmi radiofonici e televisivi
sono caratterizzati da un aspetto musicale (se non sono musicali tout
court) e che, pertanto, la classica analisi del contenuto dei messaggi
veicolati, basata su modelli comunicativi verbali, si rivela del tutto
insufficiente a comprendere ed analizzare questi messaggi complessi
nei quali la verbalit� � lungi dall�essere esaustiva [1988, 49].
Questa tesi si propone come tentativo di impostare un discorso
teorico ed analitico sulla musica televisiva in quanto tale, sulla base
degli approcci che ritengo pi� proficui nell�intreccio dei due ambiti
dell�analisi della televisione e della musicologia. Ci si � concentrati
prevalentemente, anche se non esclusivamente, su generi
specificamente legati al mezzo televisivo come quiz, trasmissioni di
attualit�, spot pubblicitari e variet�, lasciando parzialmente in ombra
tutti i generi di fiction; ci� perch�, ammesso e non concesso che sia
opportuno impostare lo studio della musica televisiva sulla base di
coordinate di genere, si pu� presumere che questi ultimi generi di
finzione si collochino a met� tra gli usi musicali tipici del cinema e
quelli, tutti da individuare, dello �specifico televisivo� � un�ipotesi
che rimane da verificare. Inoltre, una giustificazione all�insistenza sul
variet� inteso in senso lato sembra reperibile nel fatto che
proprio la rivista e il variet� musicale, i generi �leggeri�, siano
divenuti, nella loro storia televisiva, luoghi molto importanti per
l�evoluzione del linguaggio della TV, momenti di stimolante
sperimentazione [�] non solo [�] rispetto ai modelli teatrali di
derivazione, ma anche rispetto al resto della produzione televisiva
[Simonelli 1985, 138].
Oltre a quelle riconducibili a quanto gi� esposto sul ritardo del
campo analitico trattato, ho avuto modo di sperimentare in particolar
modo due difficolt�. Innanzitutto, ho riscontrato il medesimo
problema mirabilmente descritto da Giovanni Bechelloni (e che,
immagino, colpisce quasi tutti coloro che si dedicano allo studio della
televisione):
La televisione [�] ci � diventata troppo familiare; � cos�
strettamente intrecciata alla nostra vita che non riusciamo pi� a
guardarla da lontano. Di conseguenza la televisione non la vediamo
pi�, facciamo difficolt� a pensarla come un oggetto degno di essere
pensato. Tale difficolt� � particolarmente acuta per chi esercita
funzioni e mestiere di intellettuale [1995, 11].
Ci� si � rivelato per me tanto pi� problematico in quanto la
musica � la componente pi� opaca in gran parte delle trasmissioni
televisive, e pertanto si accentua la difficolt� di pensarla come
elemento degno di attenzione in s�, al di l� delle sue manifestazioni
contingenti. La musica � infatti talmente diffusa in tanti programmi,
diversi sotto tanti rispetti, che il reperimento della �buona distanza� di
analisi diventa un�impresa titanica, che certo la presente ricerca non
pu� esaurire ma di cui si � tentato di tracciare una possibile via.
Anche il secondo problema si � rivelato strettamente legato
all�oggetto di analisi, ma sotto una diversa prospettiva. Difatti, al
momento attuale in Italia non esiste un sistema di conservazione dei
materiali multimediali, ed in particolare delle trasmissioni televisive,
la cui ricchezza ed accessibilit� sia neppur lontanamente paragonabile
a quelle che ormai ci siamo abituati a considerare standard per il
materiale librario ed i periodici. Questa mancanza mina alla base la
potenzialit� di sviluppo della ricerca, e soprattutto della
consapevolezza diffusa, dei meccanismi in atto nella significazione
audiovisiva, ed in particolare televisiva, condannando al dominio
dell�effimero testi cruciali per la ricostruzione teorica di qualunque
societ� di massa, e confinando la ricerca su di essi all�interno delle
istituzioni di produzione e di pochi altri istituti di ricerca
particolarmente dotati � ci� che, paradossalmente, � tipico di ambiti di
ricerca strettamente specializzati e non certo di un settore che
dovrebbe e potrebbe rendere il proprio funzionamento il pi�
trasparente possibile, per le medesime finalit� per le quali si mantiene
in vita e si sviluppa un efficiente servizio bibliotecario pubblico.
Esistono certo lodevolissimi tentativi in questa direzione, in
particolare il progetto Teche della RAI; tuttavia, la strada da
percorrere mi sembra ancora molta. � anche per questo, concludendo,
che questa tesi spera di fornire alcune indicazioni utili per ricerche pi�
approfondite ed acute su un tema che ritengo di grande interesse e
rilevanza, ma che richiede inevitabilmente risorse intellettuali e
materiali pi� ingenti di quelle che pu� offrire un semplice laureando.
2 La musica in televisione
Il ruolo della musica nei testi televisivi � da sempre molto
rilevante, e la musica come arte ha un peso nell�apparato televisivo
negato a qualsiasi altra, oggi come nei decenni passati. Per individuare
le ragioni di una tale peculiarit�, e potremmo dire di un privilegio cos�
evidente e marcato, occorre porre in luce come la musica abbia
caratteristiche statutarie e percettive che si abbinano in modo unico
alle esigenze del mezzo televisivo, consentendo a quest�ultimo un
utilizzo molto pi� agevole del testo musicale. Questo privilegio della
musica viene per� pagato al prezzo dello stabilirsi di una costitutiva
ambiguit� dello statuto della musica stessa, tra testo autonomo e testo
ausiliario di quello televisivo nel suo complesso. L�analisi delle
relazioni tipiche tra la musica e gli altri due macro-codici principali
attivi nel testo televisivo, le immagini ed il parlato, far� emergere
come l�inserimento del codice musicale in tale testo si presti a diverse
funzioni, essendo il ruolo della musica meno stabilmente definito, il
che per� comporta la tendenza per l�elemento musicale ad assumere
ruolo di supporto per un discorso addossato soprattutto a immagini e
parole.
2.1 Musica ed altre arti: i prezzi dell’integrazione
La forte presenza della musica nei programmi televisivi � frutto
di una bivalenza che essa sola, tra le arti tradizionali, detiene: quella
tra forma culturale autonoma, fruibile per s� stessa, e codice di facile
integrabilit� al flusso di immagini a formare l�audiovisivo. Questa
distinzione ricalca in parte, in ambito televisivo, quella proposta da
Chion tra �musica-ambiente�, �utilizzata per creare una determinata
atmosfera� [1996, 93], e �musica-discorso�, �che viene seguita con
attenzione per se stessa, da cima a fondo� [1996, 93]; tuttavia, non �
opportuno trasportare questa dicotomia in quanto tale entro il
linguaggio televisivo, giacch� in questo campo da un lato la musica-
ambiente pu� essere proposta con diversi gradi di centralit� nel
discorso, e dall�altro affermare che tutta la musica-oggetto sia musica-
discorso nel senso appena specificato risulterebbe, come si vedr�, una
intollerabile forzatura.
Per meglio comprendere questa peculiarit� del linguaggio
musicale, � per� necessario accettare due premesse. In primo luogo,
occorre ammettere l�esistenza di un �linguaggio televisivo� come
insieme di codici eterogenei che generano una forma compatta e
considerabile in modo autonomo, ed in cui � perci� possibile studiare
gli inserimenti di elementi di significazione appartenenti a codici
come quelli delle arti tradizionali. La premessa potrebbe apparire
ovvia, ma in passato l�analizzabilit� del linguaggio televisivo di per s�
� stata discussa e negata, generalmente in connessione con un�idea
negativa del mezzo televisivo, ovvero ritenendo la televisione un
medium meramente parassitario delle forme preesistenti:
La televisione � sempre pi� considerata, nei paesi che possono
vantare un periodo di esercizio sufficientemente elevato per trarne
delle conclusioni discretamente generalizzabili, come un supporto di
linguaggi diversi che non come un linguaggio autonomo, come un
comodo dispensatore di immagini-oggetto che non come uno
strumento di ricreazione libera [Bettetini 1968, 194].
In secondo luogo, occorre tenere costantemente presente una
dialettica implicita in ogni analisi del linguaggio televisivo (e
probabilmente di qualsiasi linguaggio), quella tra possibilit�
teoricamente consentite dal mezzo tecnico e forme che per
cristallizzazione vengono associate a tale mezzo come �effettive�. In
altri termini, si tratta di oscillare continuamente tra come la televisione
pu� essere e come tende ad essere, senza fermarsi mai ad uno solo dei
due poli, ed anzi analizzando come significativi gli scarti di
potenzialit� che portano dal primo al secondo. Questa dialettica �
sottesa all�analisi dei generi televisivi compiuta da Raymond Williams
[2000, 64-92], che vengono studiati in riferimento alle potenzialit�
tecniche del mezzo televisivo ma anche alla storia delle forme
culturali preesistenti al broadcasting e alla loro rielaborazione da parte
del mezzo radiofonico, come indicato programmaticamente dal titolo
Televisione. Tecnologia e forma culturale. Ci� consente di evitare da
un lato una concezione che fa derivare strettamente le forme culturali
dai vincoli tecnologici, con un determinismo che finisce per
concentrarsi sulla ricerca dello specifico e per trovarlo nelle forme
esistenti
1
, e dall�altro un�analisi dei testi televisivi che ignori le
condizioni di produzione ed i limiti imposti dal mezzo. Entro tale
impostazione � possibile parlare, a vari livelli, di forme �tipiche�,
intese come caratteristiche assunte generalmente dai programmi in
virt� sia delle condizioni poste tecnicamente che delle dinamiche
prevalenti culturalmente.
In una prospettiva dal lato della produzione, accettando le due
premesse appena esposte, � possibile individuare una scala di �prezzi�
a cui le diverse arti possono essere integrate nel discorso televisivo
tipico, con una evidente ricaduta sulla disponibilit� dell�apparato
produttivo a tale integrazione.
1) Integrazione al prezzo dell�occupazione: � il caso soprattutto
del cinema, le cui opere possono entrare nel palinsesto televisivo
soltanto �invadendolo�, ossia sfruttando il canale televisivo per
proporsi con modalit� analoghe a quelle della sala cinematografica
2
.
2) Integrazione al prezzo dell�inclusione: il discorso televisivo
pu� includere elementi artistici entro il proprio flusso, piegandoli in
misura maggiore o minore ai propri obiettivi comunicativi. Questo
pare valere soprattutto per le arti figurative, il cui sfruttamento non
consiste in genere nell�esposizione silenziosa di quadri o statue, e che
dunque entrano in televisione come oggetti di divulgazione o, con
minore centralit�, come illustrazione privilegiata di un discorso
verbale su fenomeni culturali (caso tipico dei documentari).
3) Integrazione al prezzo della rielaborazione: il testo televisivo
pu� elaborare ai propri fini testi artistici preesistenti. Ovvio il
riferimento alla letteratura, i cui rapporti con la televisione (cos� come
con il cinema) sono strettissimi, al punto che per ogni testo televisivo
non basato sull�improvvisazione si potrebbe individuare nel
corrispondente script un testo letterario. Ci� ci ricollega anche al
teatro, che pu� per� evidentemente oscillare tra questa posizione e
quella di occupazione a seconda che si abbia un adattamento per la
televisione o la semplice ripresa di una rappresentazione su
palcoscenico teatrale.
4) Integrazione a prezzo zero: � il caso della musica, che va ad
inserirsi entro il discorso televisivo senza quasi rubare spazio ad altri
suoi elementi, se si eccettua il pur importante limite dato dall�udibilit�
in sovrapposizione con il parlato o con altri rumori e suoni.
A questa classificazione, e soprattutto alla sua interpretazione in
senso di crescente facilit� d�uso da parte della televisione come
apparato produttivo, si possono muovere due forti obiezioni.
Innanzitutto, non si spiega perch� l�arte meno integrabile, il cinema,
abbia il peso che conosciamo nei palinsesti televisivi, in senso sia
quantitativo che qualitativo. Questa contraddizione si spiega con il
fatto che, come si � detto, il cinema invade il mezzo televisivo;
pertanto, si pu� ritenere che in questa integrazione totale l�apparato
televisivo deleghi all�opera d�arte (filmica) il proprio discorso,
limitandosi alla valutazione preventiva dell�impatto sul pubblico di
tale discorso. Una conferma a tale interpretazione giunge
dall�opinione, comune tra gli studiosi e gli operatori, secondo cui la
programmazione di film non contribuisce alla costituzione
dell�immagine della rete televisiva
3
. Questo contribuisce a spiegare,
tra l�altro, un fenomeno tanto ovvio quanto poco studiato: la
dispersione estrema della presenza dei film nei palinsesti delle reti
generaliste, con opere cinematografiche di vario genere programmate
lungo quasi tutto l�arco delle 24 ore. Al contempo, si comprende
perch� nella programmazione italiana sono cos� rare le opere teatrali,
il cui discorso � evidentemente ritenuto debole per il grande pubblico
(non senza ragioni, se solo il 10% circa della popolazione italiana
assiste a spettacoli dal vivo di prosa almeno una volta l�anno [Trezzini
1997, 50]), e che sono perci� assimilate, salvo eccezioni, a film
d’essai non programmabili negli orari di punta.
La seconda obiezione attiene al ruolo che la classificazione
attribuisce all�arte figurativa, ritenuta molto meno integrabile della
musica al discorso televisivo. Si potrebbe infatti argomentare che
anche le arti visive vedono un possibile dualismo di sfruttamento tra
forma autonoma e funzione di un discorso esterno, e che dunque il
loro statuto non differisce significativamente da quello della musica.
Una posizione di questo genere sembra rintracciabile nelle parole di
Bolla e Cardini:
Inizia qui la scommessa implicita tra televisione ed arte: fondere, nel
territorio della comunicazione visiva, la specificit� del linguaggio
delle arti figurative con le modalit� linguistiche del nuovo mezzo
televisivo. Quella esplicita, invece, si giocher� sul terreno della
divulgazione: la televisione proporr� in infinite formule programmi
d�arte capaci volta a volta di soddisfare curiosit�, di informare, di
educare intorno al patrimonio artistico [1994, 13].
Una prima osservazione si impone: ci� che corrisponde all�arte
come forma autonoma viene considerato �divulgazione�, con uno
scarto rispetto alla semplice �ostensione� dell�opera. Gi� in questo si
rivela la consapevolezza dell�impossibilit� di offrire televisivamente
l�arte come forma pienamente autonoma. Ancor pi� rilevante �, per�,
la considerazione che sul piano dell�arte �implicita� si parla di
�fusione tra linguaggi�, ed in particolare tra la grammatica televisiva
relativa al canale visivo e quella artistica; la musica, al contrario, non
si fonde con specifiche regole del mezzo televisivo riguardanti il
canale sonoro, ma si inserisce in esso contribuendo a determinare tali
regole (e la presente analisi vorrebbe contribuire a far luce su di esse).
In altri termini, non si pu� dimenticare che mentre l�arte rimane un
codice linguistico sostanzialmente esterno al linguaggio televisivo, la
musica ne � da sempre componente essenziale ed interna
4
. Che si
preferisca interpretare il rapporto di causa-effetto tra integrabilit� della
musica nell�audiovisivo e sua abbondante quantit� (nettamente
superiore a quella delle arti figurative) in un senso oppure nell�altro,
non si pu� prescindere da questo stato di cose.
La tassonomia delle possibili integrazioni dell�opera artistica nel
discorso televisivo, a questo punto, dovrebbe essere sufficientemente
convincente per rendere ragione delle possibilit� offerte alla musica
dal linguaggio (e dall�apparato) televisivo. � per� indispensabile
stabilire quali siano le relazioni che la musica intrattiene con gli altri
componenti di questo linguaggio: da un lato l�immagine, dall�altra la
parola parlata; si noter� come dietro l�apparente privilegio rispetto alle
altre arti si celi una funzione tendenzialmente sussidiaria e nascosta.
2.2 Suono vs. immagine
Il rapporto tra i due elementi costitutivi dell�audiovisione � stato
raramente studiato, almeno in ambito italiano, e tuttavia risulta
particolarmente interessante a motivo della sua complessit�. Non si
pu� infatti individuare una relazione precisa e costante tra i due sotto-
linguaggi coinvolti, quanto un reciproco intervento a creare valore
aggiunto, la cui direzione, come si vedr�, pare determinata soprattutto
dalla disposizione di fruizione.
Riprendendo la distinzione fatta prima tra possibilit� teoriche e
forme effettive, occorre tenere conto del fatto che sul piano tecnico i
limiti imposti alla fruizione per i due canali differiscono. Se per
l�immagine televisiva, a confronto con quella cinematografica, si
evidenziano assenza di dettagli, frequenza di primi piani, rapidit� di
montaggio per compensare la semplicit� delle singole inquadrature ed
impressione di immediatezza [Ellis 1988, 121-8], forse ancor pi�
marcata � la limitazione imposta al canale sonoro. In genere, infatti, si
tratta di un segnale in mono, sia pure di definizione medio-alta, la cui
percezione � comunque frustrata in modo decisivo dai comuni
apparecchi televisivi, la cui resa acustica non � quasi mai paragonabile
a quella di un impianto hi-fi di media qualit�. Nell�interazione tra
tecnologie di produzione e (soprattutto) di ricezione si genera cos�
uno strano paradosso: infatti, malgrado la sua evidente importanza, i
fabbricanti di televisori forniscono casse acustiche di pessima
qualit�, anche se il segnale sonoro trasmesso in molti luoghi ha un
vasto raggio di toni. I televisori vengono prodotti con altoparlanti
che sono pesantemente adattati per riproduzioni accettabili del
parlato. La musica, specialmente la musica rock, non si riproduce
affatto bene. Questo fornisce un alibi per la TV per offrire un
minimo di musica rock, e per offrire le devastanti trasmissioni
simultanee in stereo di radio e TV di musica classica in alcune
occasioni [Ellis 1988, 120].