II
le diverse vicende contrattuali. Infine, nel capitolo 4 tutti questi aspetti
verranno ripresi e riproposti nell’ottica del consumatore.
Nel capitolo 5 si effettuerà un’analisi di natura tecnico-contabile
degli istituti visti in precedenza. Principalmente si tratterà di analizzare la
posizione della società-concedente, degli adempimenti per l’esercizio della
sua attività, delle regole sulla redazione del bilancio, ecc. Verranno trattate le
scritture contabili, ricorrendo anche ad esempi pratici, per illustrare il
funzionamento delle voci caratteristiche dei contratti di leasing, come i canoni
di locazione, il prezzo finale d’opzione, la fatturazione dell’acquisto del bene
da parte del concedente, ecc. Infine, saranno analizzate le singole voci che
caratterizzano il bilancio delle società di leasing, compresi i documenti che
compongono il sistema contabile.
Nel capitolo 6 si faranno delle osservazioni su alcuni aspetti fiscali
caratteristici, principalmente in tema di imposte dirette (in parte già trattata nel
capitolo 5, relativamente alle singole voci) ed indirette, con una particolare
attenzione all’IVA, le cui problematiche si ricollegano anche al discorso
affrontato nel capitolo 1, in tema di leasing di godimento e leasing traslativo.
In chiusura del capitolo saranno inserite delle considerazioni su aspetti tecnici
della contabilizzazione delle imposte da parte delle società di leasing, in tema
di fiscalità differita ed anticipata.
Sono passati oramai trent’anni da quando il leasing ha fatto il suo
timido ingresso in Italia, grazie all’operato di alcune società americane,
indirizzate alla conquista di nuovi mercati. Il panorama italiano degli anni
settanta era dominato dalla realizzazione di una rivoluzione in campo fiscale,
con l’introduzione di nuovi tributi, come l’IVA, l’INVIM e l’imposta di
registro, e dal tentativo di razionalizzare quelli esistenti; era anche il periodo
in cui il “miracolo italiano” in campo economico degli anni sessanta stava
lasciando il passo ad un’economia che continuava a mostrarsi florida, anche se
non più con le stesse caratteristiche esaltanti del passato
1
.
L’operazione di leasing, fin dalla sentenza del Tribunale di Vigevano
del 1974 (che verrà analizzata nel capitolo 1) e dai primi contributi della
dottrina, ha subito manifestato gravi difficoltà ad essere inquadrata in un
1
CLARIZIA, Nuovi contratti, la locazione finanziaria, 1999, 75.
III
preciso tipo contrattuale già noto all’ordinamento italiano, ma nello stesso
tempo ha introdotto notevoli elementi di novità rispetto alle fattispecie
contrattuali che condividevano una o più caratteristiche proprie dell’istituto.
Quello che sembrava necessario, sia in dottrina che in
giurisprudenza, era un intervento legislativo, al fine di disciplinare in modo
chiaro e completo il fenomeno. Nonostante i numerosi tentativi, ancora oggi
manca una legge che disciplini in modo organico l’istituto, nonostante sia
menzionato in numerose leggi di diverso contenuto, in campo fiscale,
agevolativo, infortunistico, ecc. Infatti nei vari capitoli si vedranno tutti questi
aspetti, anche se non potranno comunque essere colti in modo esaustivo.
Tuttavia, l’assenza di una specifica disciplina legislativa non ha
impedito che tale fenomeno trovasse ampia diffusione sul mercato, e che
acquisisse peso e rilevanza nella tipologia delle operazioni finanziarie.
D’altronde il legislatore ha comunque continuato nel tempo a nominare
l’istituto come se si trattasse di un tipo contrattuale legale. L’interprete trova
nelle varie previsioni legislative (che sono comunque sparse e scoordinate tra
di loro, e questo è certamente un fatto rilevante per la ricostruzione delle
diverse problematiche) materiale sufficiente per ricavare una nozione della
locazione finanziaria che sia la più completa, organica, coerente, chiara e in
grado di concretizzare alcuni elementi distintivi, univoci e costanti.
La locazione finanziaria che è stata introdotta in Italia non è una
copia del modello nordamericano, né di quello anglosassone, ma si tratta di un
istituto “nuovo”, adattato al nostro sistema giuridico, a causa della differenza
tra i sistemi di common low e civil low, specialmente per quanto riguarda il
concetto della proprietà. Nel leasing, proprietario rimane il concedente per
tutta la durata del contratto, e da ciò discendono conseguenze di carattere
anche contabile e fiscale, e tale caratteristica si è evidenziata ora come
“strappo”, ora come novità, rispetto alla normativa vigente, specialmente
quando si attribuiscono i rischi e le responsabilità attinenti ai beni (compreso
il perimento) all’utilizzatore, con pieno esonero del concedente.
Nel sistema di common low, la nozione di proprietà non coincide
con quella di civil low, e dalla possibilità di distinguere una proprietà
giuridica rispetto ad una proprietà economica, consegue la facoltà di
IV
riconoscere il concedente come proprietario solo formale (giuridico) e
l’utilizzatore come proprietario sostanziale (economico).
Il Clarizia
2
afferma che il modello straniero ha rappresentato
un’occasione per radicare ancora maggiormente la sottile distinzione tra
“proprietà” e “appartenenza”, che è già presente nel nostro Codice civile e
nelle leggi speciali, ma questa distinzione non è comparabile con quella tra
“legal” e “beneficial ownership”. Non sembra possibile individuare una figura
univoca di proprietario, in ragione delle diverse prerogative e responsabilità
che gli fanno carico, e del potere che può esercitare sulla cosa; da queste
osservazioni deriva che nel nostro sistema, come in quello anglosassone, la
proprietà può rimanere in capo ad un soggetto a scopo di garanzia, ma anche
per svolgere altre funzioni.
Sono numerosi i progetti di legge che hanno tentato di dare una
disciplina organica al leasing, e i primi risalgono al 1973, con quello
D’Arezzo (25 ottobre 1973), ma tale obiettivo non è mai stato raggiunto,
talvolta per lo scioglimento anticipato delle Camere, talaltra nella prospettiva
di una regolamentazione generale delle attività d’intermediazione finanziaria,
ecc. L’ultimo è il disegno di legge Zecchino del 1997, ma anche tale tentativo
non ha avuto un seguito.
Da tali considerazioni deriva che il nostro modello di locazione
finanziaria ha assunto delle connotazioni particolari, e certamente non
coincide con quello anglosassone, e non solo per il fatto che in quest’ultimo
manca la figura della possibilità d’esercitare il diritto d’opzione. Per questi
motivi mi ripropongo d’illustrare le principali problematiche relative a tale
contratto, cercando di cogliere i “distinguo” che caratterizzano l’istituto,
specialmente con l’intenzione di evidenziare le caratteristiche che sono meno
note, come la distinzione operata dalla Cassazione.
2
CLARIZIA, op. cit., 93.
1
CAPITOLO 1
LA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI
LEASING E GLI ORIENTAMENTI DELLA CORTE
DI CASSAZIONE.
Nella nostra giurisprudenza esiste una fitta e variegata serie di
decisioni in materia di contratto di leasing, e per descrivere in modo
esauriente il percorso logico della trattazione della materia può essere utile
seguire l’impostazione del De Nova
1
, il quale ritiene di dividere il lavoro in tre
atti
.
1.1 La giurisprudenza prima del 1989, prologo.
La prima decisione italiana
2
sul leasing
ha affrontato il nodo cruciale
della disciplina del nuovo tipo di contratto, stabilendo che in caso
d’inadempimento dell’utilizzatore, poi fallito, dovesse applicarsi la disciplina
dettata dall’art. 1526 c.c. in materia di risoluzione della vendita con riserva di
proprietà.
Su questo punto la successiva giurisprudenza di merito si è divisa e
non da meno hanno fatto gli interpreti.
In un primo tempo, la Suprema Corte non ha analizzato direttamente
il problema, e in una sentenza
3
ha affrontato un contratto che aveva ad oggetto
un’ipotesi anomala, e in pratica una compravendita in cui si prevedeva “il pa-
gamento a mezzo leasing” da parte dell’acquirente. La decisione interessa
perché identifica la forma tipica del leasing nel contratto con cui si ha acquisto
della proprietà del bene da parte del finanziatore, il quale dà in godimento il
bene stesso al soggetto finanziato: ed è in quest’occasione che si evidenzia la
1
DE NOVA, Nuovi contratti, Milano, 1994, p. 272.
2
Trib. Vigevano, 14 dicembre 1972, Foro it., Rep. 1973, voce contratto in genere, n. 73, e in
DE NOVA, Il contratto di Leasing, Milano, 1985, 384 ss.
3
Cass., 21 gennaio 1982, n. 397, Foro it., 1983, I, 1723, con nota di VASSALLO
PALEOLOGO e in DE NOVA, cit., 97 ss.
2
cosiddetta trilateralità dell’operazione, che viene così a configurarsi come una
delle peculiarità del contratto di leasing.
Una seconda decisione
4
ha statuito che in caso di cessione
dell’azienda si ha successione dell’acquirente nel contratto di leasing; si viene
dunque a configurare come il leasing sia stipulato “per l’azienda” e come sia
privo di “carattere personale” (art. 2558 c.c.).
Una terza decisione
5
ha evidenziato che il leasing è espressione
dell’autonomia contrattuale e quando ha per oggetto beni strumentali,
persegue interessi diversi dalla vendita con riserva di proprietà, e tale contratto
non è in frode alle norme di tale istituto per il solo fatto di avere ad oggetto
autovetture o altri beni di consumo. Qui bisogna rilevare com’espressivo il
fatto che la Suprema Corte abbia distinto il leasing finanziario da quello
operativo, caratterizzando il primo perché “ l’operazione promossa dal
locatore presenta esclusivamente gli aspetti del finanziamento di un bene
prodotto da terzi” e rilevando che “ l’utilità economica residua del bene, al
termine del contratto è, sotto il profilo finanziario, pressoché prossimo
all’obsolescenza”. Qui il De Nova fa giustamente notare che la terminologia
adottata dalla Corte suscita le reazioni dell’economista, il quale rileva che
l’obsolescenza e l’utilità residuano del bene non sono fenomeni finanziari, ma
economico-reali e che l’utilità residua del bene dipende da molteplici fattori,
tra i quali vanno distinti il logorio fisico e l’obsolescenza, che è la
conseguenza del progresso tecnico e che l’utilità economica residua è
inversamente proporzionale all’obsolescenza.
6.
Il De Nova evidenzia ancora una volta come il richiamo
all’autonomia contrattuale e la sottolineatura della funzione di finanziamento
del leasing aprano la via alla giurisprudenza del primo atto.
4
Cass., 9 aprile 1982, n. 2198, Foro it., Rep. 1982, voce Locazione, n. 212, e in DE NOVA,
cit., 487 ss.
5
Cass., 28 ottobre 1983, n. 6390, Foro it., 1983, I, 2997, e in DE NOVA, cit., 84 ss.
6
VELO, Prima sentenza della Cassazione sul leasing, in Nuovi investimenti, febbraio 1984,
49.
3
1.2 La giurisprudenza prima del 1989, atto primo.
Nel 1986
la I sezione della Corte ha affrontato espressamente la
questione della disciplina del leasing.
7
Il Tribunale di Grosseto ha ritenuto applicabile l’art 1526 c.c. e la
Corte d’appello di Firenze ha riformato la sentenza di primo grado,
dichiarando che la società di leasing aveva diritto a trattenere i canoni riscossi.
La Corte Suprema ha richiamato il precedente della sentenza n. 6390/83
e
ribadisce che il leasing è una “tecnica di finanziamento delle imprese”, che la
scadenza del contratto “è caratterizzata dal quasi totale venire meno
dell’utilità economica della cosa utilizzata” e che si tratta di un contratto
atipico.
Da quest’ultima premessa la Corte deduce l’applicabilità al leasing
della disciplina del contratto in genere, e in particolare dell’art. 1458 c.c., 1°
comma, 2ª ipotesi e l’inapplicabilità, sia in via diretta, sia in via analogica,
dell’art. 1526 c.c., e questo ha la conseguenza di ritenere definitivamente
acquisiti i canoni percetti dalla società di leasing.
De Nova osserva che questa sentenza trova consensi e suscita
reazioni e come alcune corti di merito si adeguano, mentre altre si dissociano
espressamente e continuino ad applicare al leasing l’art. 1526 c.c.
L’allora primo presidente della Cassazione Mirabelli (e fra i primi
studiosi del leasing in Italia) non rileva tanto la funzione di finanziamento del
contratto, ma osserva che “il vero centro della motivazione” sta nel rilievo che
i canoni che la società di leasing ha percepito costituiscono la differenza tra il
valore iniziale del bene oggetto del contratto di leasing e il valore residuo del
bene al momento della risoluzione.
8
L’anno successivo la Corte ritorna sul tema
9
e si trova a decidere un
caso che aveva visto il Tribunale di Genova applicare l’art. 1526 c.c., mentre
la Corte d’appello di Genova considerava applicabile l’art. 1384 c.c., riducen-
do così la penale contrattuale, anche in considerazione del valore residuo del
bene restituito.
7
Cass., 6 maggio 1986, n.3023, Foro it., 1986, I, 1819.
8
MIRABELLI, Chiusura al convegno di Lucca, in Rivista Italiana leasing, 1986, 583.
9
Cass., 26 novembre 1987, n. 8766, Foro it., 1988, I, 2329.
4
La Corte Suprema respinge il ricorso del fallimento, richiamando in-
tegralmente i passaggi principali della precedente sentenza n. 3023/1986
10
e
conclude con un parere che a mio avviso è molto importante in un’ottica in-
terpretativa della futura giurisprudenza, in tema di continuità
dell’orientamento: ”Che deve essere confermato, non essendo ora addotte
nuove e fondate ragioni per discostarsene”, e conclude De Nova “Con buona
pace per le voci di dissenso che si erano levate”.
A questo punto il De Nova fa una considerazione che anticipa quella
che sarà la giurisprudenza del secondo atto, e l’autore afferma che la sentenza
presenta due passaggi significativi; il leasing sottratto all’applicazione dell’art.
1526 c.c., è “il leasing finanziario puro” (e il De Nova aggiunge che questa,
per l’epoca, è un’aggettivazione misteriosa), e questa è, a mio avviso,
un’affermazione che permette di vedere come due anni prima del 1989,
quando si avranno le importanti sei sentenze in tema di leasing, sia posto
l’accento sull’aspetto finanziario dell’operazione, il quale avrà un ruolo molto
importante sulla questione della tutela delle parti e in particolare
dell’utilizzatore.
Nell’altro passaggio significativo la Corte rileva che “l’esigenza di
tutela dell’utilizzatore non è stata affatto ignorata dalla sentenza impugnata”
in quanto essa ha applicato l’art. 1384 c.c., in tema di riduzione della penale.
Un’ulteriore sentenza
della III sezione
11
riproduce i precedenti della
Corte Suprema e commenta che in loro “vi è, dunque, la risposta a tutti i
rilievi dell’odierno ricorrente”.
Ancora una volta il De Nova rimarca come “alla Cassazione non
giunga neppure l’eco del dibattito, che rimane assai vivo, ed anzi s’intensifica,
proprio perché non poche corti di merito rifiutano di adeguarsi ai principi così
affermati dalla Corte, e restano insensibili anche ai severi ammonimenti di tale
autorevole dottrina.
12
”
10
Vedi nota n. 7.
11
Cass., 15 ottobre 1988, n. 5623, Rep. 1988, voce Contratto in genere, n. 217
12
Considerazione di LIPARI, in Leasing e vendita con patto di riservato dominio alla luce di
recenti orientamenti giurisprudenziali, in Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del
leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 77.
5
1.3 La giurisprudenza del 1989, atto secondo.
Il 13 dicembre 1989 segna una data molto importante nella
giurisprudenza in tema di leasing. Il De Nova segnala come il dialogo fra la
Cassazione e le corti di merito sia una scelta precisa e come questo dialogo si
riapra con più decisioni coordinate e contestuali, precisamente in sei sentenze
denominate “sestetto binario”
13
.
A questo punto è interessante esaminare le motivazioni di queste
sentenze, che non sono molto dissimili fra loro; ed in questa sede compaiono
chiaramente molte peculiarità del contratto di leasing, che contribuiscono a
dare quella necessaria caratterizzazione del negozio giuridico in questione.
Se prendiamo in considerazione la n. 5573, nella prima parte della
motivazione si può leggere “che la disciplina applicabile al caso di specie (sia
quella di diritto sostanziale connessa alla risoluzione del contratto di leasing,
sia quella relativa ai rapporti giuridici pendenti alla data della dichiarazione di
fallimento) non è nella disponibilità della volontà, ancorchè fosse concorde,
delle parti, espressa per di più in fase contenziosa. Rientra nella libera auto-
nomia delle parti articolare strutture contrattuali anche atipiche; non rientra,
per contro, nella disponibilità delle parti, una volta stipulato il contratto, sce-
gliere il regime giuridico applicabile in caso di cessazione d’efficacia del rap-
porto. Detta indisponibilità, inoltre, deve essere affermata per quanto attiene
alla disciplina relativa alle procedure concorsuali, nelle quali le finalità pub-
blicistiche cui dette procedure corrispondono e la funzione di tutela dei terzi
costituenti la massa dei creditori ad esse inerenti, escludono la disponibilità
13
Cass., 13 dicembre 1989, nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574.
n. 5569, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 380, con nota di BONFANTE, Nuovi orientamenti della
Cassazione in tema di locazione finanziaria e c. 741 con nota di CLARIZIA, “Nuova figura
di leasing” e vecchi problemi: l’applicabilità dell’art. 1526 c.c.
n. 5570, in Riv. It. leasing int. fin., 1989, p. 584, con nota di LA TORRE, I due tipi di
leasing secondo la nuova giurisprudenza della Cassazione e in Nuova giur. civ., 1990, I, p.
90, con nota di CARBONE.
n. 5571, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 742, con nota di CLARIZIA.
n. 5572, in Foro it., 1990, I, c. 461, con note a c. 462 di DE NOVA, La Cassazione e il
leasing atto secondo e a c. 471 di PARDOLESI, Leasing finanziario: si ricomincia da due, e
in Giur. it., 1990, I, 1, c. 742, con nota di CLARIZIA , cit.
n. 5573, in Quadrimestre, 1990, p. 143, con nota di BILLI, Nuovo ed antico nel leasing
finanziario, e in Riv. It. leasing int. fin., 1989, p. 585, con nota di LA TORRE e in Banca
borsa e titoli di credito, con nota a p. 705 di MUNARI, La Cassazione e il signor Zelig.
n. 5574, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 742 con note di BONFANTE e CLARIZIA, citt.
6
delle parti di un contratto pendente relativamente alla normativa applicabile”.
A mio parere emerge come la Corte indirizzi in una precisa direzione
l’autonomia contrattuale e come sia posta in primo piano l’esigenza di tutelare
le parti.
La Corte prosegue argomentando “che non è dalla volontà delle par-
ti, in ordine alla disciplina applicabile in caso di risoluzione o di scioglimento
del contratto, che si può dedurre la natura e il regime normativo cui il contrat-
to è sottoposto, sia in caso di ordinaria soluzione, sia in caso di fallimento
dell’utilizzatore dei beni concessi in leasing, ma è dalla natura del contratto e
dal suo inquadramento sistematico nella normativa vigente, di diritto sostan-
ziale e concorsuale, che deve dedursi quale sia il regime applicabile alle situa-
zioni patologiche della vita del rapporto”. Quindi la Corte rileva come sia ne-
cessario cercare di inquadrare il più possibile entro una certa disciplina la fi-
gura del contratto atipico di leasing, in modo da creare certezza quando si
tratta di far fronte alle problematiche più comuni in tema di negozi giuridici, e
mi riferisco alle obbligazioni delle parti, allo scioglimento del rapporto (che
sia per scadenza, risoluzione anticipata del contratto, fallimento di una delle
parti, ecc.) e alla tutela dei contraenti, la cui disciplina applicabile non solo
comporta esiti giuridici differenti, ma va anche ad incidere sui risultati eco-
nomici che le parti vogliono conseguire, quando intendono valersi di quel
particolare contratto, piuttosto che di un altro.
Tralasciando la parte della motivazione relativa alla materia falli-
mentare, si può passare ad esaminare la parte centrale della decisione. La Cor-
te pone l’accento ancora una volta l’importanza della valutazione specifica
delle singole situazioni proposte e come sia necessaria la preventiva soluzione
del quesito fondamentale attinente alla natura, alla funzione e alla struttura del
contratto del c.d. leasing finanziario, altrimenti denominato locazione finan-
ziaria. “Quello che interessa è arrivare al regime giuridico applicabile in caso
di risoluzione o in ogni caso di scioglimento del contratto, e detta soluzione,
in particolare, inerisce, secondo un’alternativa già posta da precedenti pronun-
ce della Corte e da diffuse opinioni di dottrina, all’applicabilità della discipli-
na tipica della vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.), in altre parole
7
alla normativa generale dei contratti prevista dall’art. 1458, 1° comma, 2ª ipo-
tesi c.c., in materia di contratti ad esecuzione continuata o periodica”.
La Cassazione richiama una serie di sentenze precedenti
14
e afferma
che ha già dato in passato risposta al quesito fondamentale ora riproposto,
creando un indirizzo giurisprudenziale, identificabile come costante e dal
quale non si può prescindere. Inoltre la Corte afferma che non si può
tralasciare la considerazione dei notevoli e numerosi contributi di dottrina
sull’argomento, in parte suscitati da queste pronunce, e a volte anche critici
nei confronti di quest’orientamento, ma che hanno però trovato riflesso in
alcune corti di merito, talora dissenzienti all’indirizzo indicato.
La preoccupazione principale è l’individuazione del punto
d’equilibrio tra l’esigenza, da una parte, della conservazione della funzionalità
del contratto di leasing finanziario nelle caratteristiche tipizzate dalla prassi,
anche in considerazione della larga diffusione che ha avuto, in quanto mezzo
idoneo a soddisfare, con un’unica struttura negoziale, (e qui segnalo questa
caratteristica che tornerà ad essere messa in evidenza in tema di tutela del
contraente debole e come certe clausole non possano essere considerate
vessatorie in particolari circostanze), interessi plurimi e compositi, non
identicamente perseguibili con gli altri tipi negoziali previsti, e la
considerazione, d’altra parte delle situazioni reciproche delle parti in caso di
sopravvenuta inefficacia del negozio, in applicazione dei principi generali
dell’art. 1458 c.c., 1° comma, 1ª ipotesi; questo per evitare che, in deroga ai
principi generali in materia ed a discipline specifiche vincolanti, sia
pregiudicata senza giusta causa, la posizione dell’utilizzatore del bene oggetto
in leasing, rispetto a quella del concedente.
Qui mi sembra significativo come la Corte parli specificamente
d’utilizzatore, parte, a mio avviso, “sensibile”, che merita una tutela particola-
re e differente secondo la posizione in cui si trova, ed alla quale sarà applicata
una certa disciplina se sarà “imprenditore”, in altre occasioni sarà necessario
fare delle opportune considerazioni se parleremo di “imprenditore debole”,
mentre se ci troveremo di fronte alla figura del “consumatore” sarà assoluta-
14
Vedi note nn. 3, 4, 7, 9.
8
mente necessario richiamare la disciplina del capo XIV bis in materia di con-
tratti del consumatore.
La Corte continua l’analisi affermando che il punto di riferimento
costante del problema è l’ipotesi che il concedente, in caso di risoluzione o di
scioglimento del negozio, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i
canoni maturati fino al momento della risoluzione, consegua un indebito
vantaggio derivante da un cumulo di utilità (la somma dei canoni e il valore
residuo del bene), che renda la sua posizione più vantaggiosa rispetto a
quell’esistente all’atto della stipulazione, con i correlati svantaggi per
l’utilizzatore e pregiudizi che non troverebbero giustificazione alcuna nei
principi dell’ordinamento e che, anzi, specifici dati normativi tendono a
contrastare (artt. 1384 e 1526 c.c.). Lo schema di riferimento dell’analisi è
costantemente la risoluzione o lo scioglimento del rapporto negoziale, e il fine
della disamina è l’individuazione della disciplina applicabile.
La Corte ribadisce ancora una volta che deve essere confermato
integralmente l’indirizzo giurisprudenziale, costruito sulle pronunce sopra
indicate,
anche tenendo conto degli apporti critici di varia provenienza, purché
nei limiti della fattispecie presa in esame e caratterizzata dalla durata del
contratto, pressoché coincidente con il prevedibile periodo d’obsolescenza del
bene oggetto della locazione finanziaria.
Nella motivazione della sentenza 6390/83
15
si legge che “l’utilità e-
conomica residua del bene al termine del contratto è, sotto il profilo finanzia-
rio, pressoché prossima all’obsolescenza, così che la circostanza che il bene
sia definitivamente acquistato dal conduttore per una somma di trascurabile
entità appare di scarsa rilevanza, in quanto l’operazione finanziaria ha avuto
completo esaurimento”.
Nella sentenza 3023/86
16
,
sottolineando l’assoluta prevalenza della
caratteristica causale costituita dal finanziamento di mezzi strumentali
all’esercizio dell’impresa, prevalenza resa ancora più evidente dalla rapida ob-
solescenza cui sono soggette normalmente le cose oggetto del finanziamento,
“nel leasing finanziario il riscatto della proprietà in vista della prevalente fina-
lità di finanziamento dell’istituto, nonché della naturale obsolescenza del bene
15
Vedi nota n. 5.
16
Vedi nota n. 7.
9
utilizzato e del conseguente decadimento della sua originaria utilizzazione,
quindi, del suo intrinseco valore commerciale, appare solo una mera
eventualità…da realizzarsi sulla base di considerazioni relative ad una
convenienza economica valutabile alla scadenza del periodo di locazione “ e
la successiva sentenza 8766/87
17
ha richiamato la precedente pronuncia e ha
dato ad essa integrale e globale conferma.
E’ evidente, dalle precise formulazioni espresse nelle motivazioni
delle sentenze citate, che le qualificazioni date e le soluzioni adottate in
situazione di risoluzione del negozio, riguardano una fattispecie ben delineata,
corrispondente alla locazione finanziaria originariamente tipizzata dalla
pratica commerciale e finanziaria, per supportare alle esigenze strutturali delle
imprese commerciali, bisognose di un continuo aggiornamento tecnologico in
un’economia in rapida evoluzione.
A questo punto la Corte sottolinea come da questa premessa
tipologica e funzionale deriva la delineazione delle caratteristiche strutturali
del contratto di leasing finanziario, ed elenca una serie di peculiarità tipiche
del negozio in questione (si riveleranno utili nell’esame della giurisprudenza
successiva, anche per giudicare sulla liceità, abusività e vessatorietà di certe
clausole che si ritrovano nei contratti, che presentano la caratteristica di
formulari e quindi predisposti da uno dei contraenti):
a. L’imprenditorialità del contratto, in quanto interviene tra una società
finanziaria, che assume la veste di intermediaria tra il produttore del
bene e l’utilizzatore, e tende a realizzare un impiego remunerativo di
capitale finanziario, mentre dall’altra parte, c’è un’impresa a cui
serve della disponibilità economica (potere di godimento) di beni
strumentali, senza l’immediato impiego di capitali necessari per
l’acquisto e, per di più, senza l’interesse attuale all’acquisto del bene,
interesse la cui valutazione è rinviata al termine del periodo di durata
del contratto, in occasione dell’eventuale esercizio dell’opzione.
b. Il contratto ha per oggetto beni strumentali all’esercizio dell’impresa
utilizzatrice, di prevedibile limitata vita tecnologica, beni o impianti
di cui si prevede, al momento della stipulazione, il superamento tec-
17
Vedi nota n. 9.
10
nologico al termine del contratto; beni, in sostanza, alla cui vita eco-
nomica corrisponde la durata del contratto, di modo che al termine di
questo il loro eventuale valore economico residuo corrisponde alla
modesta entità del prezzo di opzione.
c. Dai primi due punti illustrati, nella cui individuazione incidono
anche la posizione soggettiva del concedente, quale intermediario
finanziario, e la funzione che il bene riveste nell’economia del
contratto, è traibile l’affermato (nell’indirizzo giurisprudenziale
richiamato) prevalente rilievo causale del finanziamento, rispetto alle
altre situazioni richiamabili, quali la locazione e la vendita.
La Corte rileva come non prevalga la funzione di locazione dei beni
(a mio parere se prevalesse comporterebbe l’applicazione integrale della
disciplina in materia e si risolverebbero gran parte dei problemi interpretativi,
anche in materia di tutela delle parti); quindi l’enfatizzazione dell’aspetto
locativo farebbe sfuggire al rilievo causale e strutturale del negozio la fase
iniziale delle obbligazioni della società concedente, la quale assume l’obbligo
di acquisire un bene strumentale specifico presso un determinato produttore su
precise indicazioni del futuro utilizzatore ed in relazione alle esigenze
tecniche e strumentali di questo, e relegherebbe queste situazioni alla funzione
di semplice presupposto negoziale.
1.4 Il leasing di godimento o tradizionale.
Il collegamento delle fasi iniziali, essenziali nella struttura del
negozio, con la durata della concessione in godimento, ragguagliata al piano
d’ammortamento finanziario del capitale investito nell’operazione della
società di leasing ed al periodo d’obsolescenza del bene, evidenzia come la
semplice concessione in godimento dietro compenso non coglie né esaurisce
la funzione essenziale del tipo negoziale.
Nella locazione finanziaria, secondo lo schema indicato e nei limiti di
fattispecie richiamati, si evidenzia il punto d’incontro di situazioni,
concettualmente distinguibili, riconducibili, peraltro, ad un unico elemento
temporale.
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La durata della concessione in godimento, la durata della correspon-
sione dei canoni e quella della vita tecnologica ed economica del bene oggetto
di leasing, sono sostanzialmente coincidenti, consentendo di soddisfare
l’interesse dell’utilizzatore alla disponibilità economica del bene pur in assen-
za dell’esborso necessario all’acquisto, e l’interesse del concedente alla garan-
zia oggettiva realizzata con il mantenimento della proprietà di un’entità eco-
nomica a copertura del valore dei canoni a scadere, e l’interesse di entrambi
connesso all’operazione di finanziamento all’impresa.
Il fatto che all’unico arco temporale, determinato inizialmente dalla
prevista vita tecnologica ed economica del bene, siano commisurate tre
situazioni concettualmente distinguibili, ma unitariamente operanti nel
contratto, non è situazione contingente od occasionale, ma è indice di
un’unitaria funzione del negozio, che esula i limiti di un semplice rapporto
locativo di bene mobile, e nel quale la natura del bene stesso, in relazione alla
sua vita tecnologica, assume il carattere di elemento incidente nella
qualificazione del tipo, secondo la fattispecie in esame.
Nella locazione il periodo di utilizzazione è determinato dalle
esigenze dell’utilizzatore e la determinazione del compenso, nelle sue
componenti, è una questione interna della contabilità del concedente e a
livello contrattuale emerge solo il dato dell’entità del canone. Nella locazione
finanziaria il necessario ragguaglio del periodo d’utilizzabilità alla vita tecnica
del bene, coincidente con l’ammortamento finanziario del capitale investito,
maggiorato dell’utile, esprime una funzione che eccede, com’è stato rilevato
in dottrina, le tradizionali categorie di scambio relative al trasferimento della
cosa dietro corrispettivo del prezzo (cosa contro prezzo) ed allo scambio del
godimento della cosa dietro corrispettivo del canone per il suo valore d’uso
(canone contro godimento).