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landsgemeinde) ed il referendum. Se diamo uno sguardo al passato, gli unici esempi
di democrazie dirette sono le tribù germaniche e -appunto- le città-Stato greche.
Difatti quando il filosofo francese parlava di democrazia degli antichi si riferiva ad una
vigente in Grecia: quella ateniese, nata nel VI secolo a. C. e proseguita con varie
modificazioni fino al IV, ossia fino alla conquista della Grecia da parte di Filippo II (in
verità Filippo lasciò in vigore gli istituti democratici, ma solo convenzionalmente, dato
che sostanzialmente esercitava un'egemonia che non consentiva a questi di
funzionare liberamente: ad Atene vigeva formalmente la democrazia, ma in concreto
essa era solo una provincia dell'impero macedone). La parola "democrazia" deriva
dal greco demokratìa che è l'unione di altre due parole, dèmos (che vuol dire popolo)
e kràtos (che vuol dire forza, potere, dominio): questo termine allora significa
governo del popolo, o meglio governo della assemblea del popolo, per cui il potere
era lasciato solo a quella parte del popolo che aveva il diritto di riunirsi in assemblea
(da notare come sia stata scelta questa parola al posto di isokratìa, uguaglianza di
poteri, o plethokratìa, governo della moltitudine) L'etimologia appena proposta è
esatta, ma ne va precisato il contesto. Nella Grecia del V e del IV secolo, demokratia
era un termine polemico e di "lotta" che rivelava il carattere aggressivo di questa
forma di governo che veniva concepita come kràtos, cioè come dominio esclusivo ed
anche violento di una parte (il popolo) su quella avversaria. Il significato attuale, che
ha origine nel giusnaturalismo moderno di Hobbes e di Rousseau, ha smarrito
completamente ogni connotazione di questo tipo e palesa virtù affatto assenti nella
nozione greca ed, anzi, opposte ad essa: la democrazia di oggi è un sistema politico
in cui, in primo luogo, per "popolo" si intende la totalità di tutti gli individui e per
"potere" l'unificazione di tutte le forze, ossia la sovranità. In secondo luogo questo
sistema è caratterizzato dalla tolleranza, cioè da una lotta politica in cui posizioni
differenti si scontrano, ma senza violenza e prevaricazione e con reciproca
accettazione. Sbagliano coloro che, allorché vogliano indicare la nozione greca di
democrazia, fanno allusione al significato attualmente attribuito a tale espressione.
In verità però -e lo dimostreremo nel corso della tesi- la democrazia ateniese non è
una democrazia "soltanto" diretta, ma è più un modello misto in cui componenti
dell'esercizio diretto del potere da parte della moltitudine sono contaminate da
componenti dell'esercizio indiretto. Cos'ha di così particolare la democrazia
ateniese? Basterebbe dire che furono i Greci ad inventare il concetto (e la parola)
"democrazia", quale governo del popolo, e persino la politica, quale arte di
11
conseguire decisioni mediante la discussione pubblica e di obbedire a quelle
decisioni in quanto condizione necessaria per una convivenza civile. Forse
esisterono altre democrazie anteriori a quelle greche (pensiamo a quelle tribali o a
quelle mesopotamiche), ma, per usare una celebre frase di Finley, i Greci scoprirono
la democrazia esattamente come Colombo, e non un navigatore vichingo, scoprì
l'America. Dal momento in cui Clistene attuò la riforma della struttura civica e politica
di Atene, la storia politica trovò una svolta straordinaria di cui forse oggi siamo
ancora eredi: benché la sua democrazia possa essere definita "ristretta" (erano
esclusi dai diritti politici le donne, gli schiavi e gli stranieri residenti), questa nuova
forma di governo si inserì stabilmente nell'alveo dei sistemi costituzionali fino ad
allora esistenti.
La nostra tesi si prefigge il compito di analizzare questa democrazia nel momento di
massimo fulgore, durante il governo di Pericle, dal punto di vista degli istituti politici e
della connotazione filosofica (non senza accennare alla degenerazione successiva
alla morte dello statista), per poi confrontarla con la democrazia moderna e stabilire
se effettivamente, dopo 182 anni dalla prima teorizzazione, sia ancora valida
l'inapplicabilità di una democrazia diretta con le caratteristiche di quella ateniese
all'età moderna.
Per la precisione il nostro lavoro si dividerà in tre parti:
™ la prima parte esporrà brevemente la storia della democrazia ateniese, partendo
dalla nascita degli Stati greci fino alla morte di Demostene;
™ la seconda tratterà gli aspetti sociologici e politici del sistema politico ateniese,
con particolare riguardo per la cittadinanza e gli istituti politici;
™ la terza sarà dal principio prettamente filosofica, contenendo sia un'analisi della
democrazia greca riferita agli ideali filosofici sia una rassegna dei pensatori (greci
e moderni) che hanno disquisito nelle loro opere sui vantaggi e gli svantaggi della
forma di governo di Atene, ed in seguito proporrà un confronto tra questa
democrazia e quella moderna con, nel finale, una valutazione su quale sia
preferibile e se sia appunto attuabile quella greca nel XXI secolo.
12
Ringraziamenti
Quando decisi il modo di scrivere questa tesi, ossia se usare la prima persona singolare o le altre, mi ricordai di
quello che mi avevano insegnato alle medie per quel che riguarda la composizione di una ricerca: mai usare la
prima persona (troppo enfatica e pomposa: non sono uno studioso e quindi ciò che affermo non ne ha
l'autorevolezza), mai la terza (troppo indiretta: non sono Cesare e non scrivo il "De bello Gallico"). Anche la prima
persona plurale ha i suoi problemi: può sembrare che ci si attribuisca un plurale maiestatis senza averne il
prestigio. Però ho pensato che, con tutte le persone che mi hanno aiutato in questo ingente libro, usare la prima
persona plurale potesse ben rappresentare la totalità di parenti ed amici che hanno contribuito a redigere questo
(buon?) lavoro.
Allora ringrazio soprattutto i miei genitori, senza i quali non mi sarei mai laureato, per quello che hanno fatto ogni
volta che ho chiesto loro un aiuto. Ringrazio il professore Giovanni Sciamarelli, che ha avuto la pazienza di
leggersi tutte le 400 pagine e di aiutarmi soprattutto con la parte sugli istituti politici e sui filosofi greci. Ringrazio
mio zio, senza il computer del quale avrei impiegato il doppio del tempo per scrivere. Ringrazio mio fratello e
Leonardo, per l'aiuto "informatico" dato a causa della mia idiosincrasia verso l'uso dei PC. Ringrazio Michele,
Marco e Diego, per i libri che mi hanno fornito e per avermi fatto usare il loro PC; Silvia, per avermi consentito di
consultare i libri alla biblioteca Berio; Luana, per i libri a Pisa e Spezia; Enrico, i ragazzi della parrocchia e tutti
quelli che mi hanno dato un appoggio morale.
Ringrazio infine Sara, per l'esempio che mi ha dato.
13
PRIMA PARTE
STORIA ANTICA
14
CAPITOLO 1: NASCITA ED ASCESA DI ATENE
1.1 INTRODUZIONE
Le istituzioni democratiche ateniesi non sono certo sorte dal nulla: esse sono il
risultato di un’evoluzione storico-politica che cominciò ben prima del V e del IV
secolo a.C., periodo che si considera coincidere con la nascita, lo sviluppo ed il pieno
fulgore della democrazia di Atene. A buona ragione parliamo di evoluzione "storico-
politica". Indubbiamente la nostra esposizione verterà sulla Athenàion politèia
(termine desunto direttamente dall’omonimo libro di Aristotele, che comunemente
viene tradotto con Costituzione degli Ateniesi
1
) così come venne intesa e recepita nei
due secoli appena evidenziati, ma il suo studio non può prescindere da una breve
disamina della storia di Atene, anticipata da un premessa introduttiva inerente alla
nascita del concetto della città-Stato
2
nel territorio greco.
Il nostro lavoro non ci permette di affrontare in modo esaustivo il problema
dell’origine delle prime forme di civiltà in Grecia; ciò non toglie che possiamo fare
piccoli accenni ai secoli antecedenti al pieno sviluppo delle istituzioni ateniesi.
Benché gli storici inseriscano le prime rudimentali forme di pòleis (così chiameremo
d’ora in poi sia Atene che tutte le altre città-Stato, al singolare pòlis) nell’VIlI secolo
a.C., non possiamo esimerci dall’affrontare i secoli precedenti, ovvero dovremo
tornare indietro fino al XV per capire come si siano sviluppate e trasformate le varie
forme di potere politico.
Problema non da poco è come trattare le riforme di Solone, di Clistene e dei
successivi personaggi politici del IV secolo a.C., separando la semplice esposizione
1
I libri di Aristotele da cui prenderemo spunto sono La costituzione degli Ateniesi e la Politica. A differenza
delle opere degli altri autori, che verranno citate per intero solo la prima volta, queste due saranno richiamate
sempre col titolo abbreviato: Cost. At. e Pol..
2
Il termine "città-Stato" non è unanimemente considerato il migliore per definire il concetto politico di Atene e
delle altre città greche. Giovanni Sartori, ad esempio, preferisce parlare di "città-comunità" o, paradossalmente,
di "città-senza Stato"; a conferma della propria tesi il noto giurista ricorda che per la prima volta la parola
"Stato" fu usata da Machiavelli nel Principe, mentre non viene affatto citata da Bodin, da Hobbes, da Diderot e
da D'Alembert. Cfr. G. Sartori, Democrazia cos'è, 1994 BUR, Milano, pp. 142/3.
15
didascalica dalle considerazioni politiche e sociali, che verranno affrontate nella
seconda parte. Nelle pagine che seguiranno cercheremo di parlare delle riforme in
modo enunciativo ed abbastanza sommario, tralasciando per esempio di descrivere
le varie sedute nell’assemblea o nei tribunali: inevitabilmente vi saranno rimandi al
prossimo capitolo ogni volta che l’esposizione si collega alle descrizioni analitiche o
alle riflessioni socio-politiche.
1.2. PERIODO MICENEO E MEDIOEVO ELLENICO
Le più antiche forme politiche di cui si abbia notizia in Grecia si fanno risalire all’età
micenea. Verso il XV secolo a.C. furono costruiti in alcune parti del mondo greco dei
palazzi, o meglio delle fortezze, che sarebbe state il centro di una forma primordiale
di Stato
3
. Non molto tempo dopo la caduta di Micene, verso la fine del XIII secolo
a.C., le terre greche furono invase dai Dori, popolo di lingua greca proveniente
probabilmente dall’Epiro e dalle regioni balcaniche del nord: le regioni interessate
furono il Peloponneso (tranne la sua parte più interna, l’Arcadia) e tutte le isole più
vaste (Creta e Rodi per esempio), mentre l’Attica (Atene compresa) non sembrò
interessata dall’invasione. Da questo periodo ebbe inizio un lungo lasso di tempo di
circa 400 anni (1150/750 a.C.), durante il quale si crearono le premesse per la
successiva fioritura della grande civiltà greca. Questo periodo viene chiamato dagli
storici l’età oscura (dark age) o "medioevo ellenico".
Questo termine viene utilizzato per delineare un’epoca che fu invero segnata da una
crisi gravissima, le cui caratteristiche principali furono una diffusa povertà, lo
spopolamento di molti territori, un imbarbarimento dei costumi; tutti fattori che
comportarono la perdita della scrittura, la cui acquisizione si fa risalire già ai tempi
dell’età minoica e micenea. La società che si instaurò dopo la venuta dei Dori era
3
Il condizionale è d’obbligo, vista la scarsità delle fonti; però effettivamente gli scavi hanno confermato
l’esistenza di tali costruzioni in Beozia (Orcomeno), in Attica (sull’Acropoli) e soprattutto nel Peloponneso
(Micene, Tirinto e Pilo). La società micenea era così divisa: il wanax (re) era il grado più alto, ed era assistito dal
lawagetas (comandante in capo o gran visir); al gradino inferiore c’erano i grandi funzionari di cui conosciamo i
nomi, ma ignoriamo le funzioni: telestai, heketai, basileis, koreteres, ecc... (Leonard Palmer ipotizza che i primi
due fossero designazioni di tipo
feudale, rispettivamente baroni e conti, e che i quarti fossero capi militari; cfr. L.
R. Palmer, Minoici e micenei, 1969 Einaudi, Torino). Dopo veniva il damos (popolo) ed infine gli schiavi, che
potevano appartenere al re, ai grandi funzionari oppure ai semplici privati. Pierre Léveque, riprendendo una
teoria di Georges Dumézil, definisce questa società “trifunzionale” perché era composta da due ceti privilegiati (i
nobili ed i sacerdoti) ed un ceto produttore (il popolo) che veniva comandato e sfruttato. Cfr. P. Léveque, La
civiltà greca, 1970 Einaudi, Torino, pp. 66/7.
16
connotata da una grave decadenza anche materiale, causata dal fatto che i costumi
del popolo invasore erano più arretrati in quanto non a contatto con le grandi civiltà
del Mediterraneo orientale del Il millennio a.C. Le nuove popolazioni avevano alla
base della loro economia forme primitive di agricoltura e pastorizia; al gradino più
basso della classificazione sociale si deve inserire il contadino senza terra, il
bracciante giornaliero e lo schiavo. Se mancavano inizialmente forme di possesso
personale della terra, gli storici rilevano comunque come questa fosse controllata da
gruppi familiari che occupavano una posizione preminente nella scala del potere.
Tuttavia i molteplici gruppi non esprimevano ancora una forma di potere politico
centralizzato, come quella esistita nel decaduto regno miceneo: al suo posto si stabilì
il potere degli ordini gentilizi, senza centri abitati veri e propri e senza strutture statali
di riferimento. Quali erano le aggregazioni civili che contraddistinsero questo periodo
e che rimasero in vigore, con mutate funzioni, nei secoli a venire? Tralasciando i
fidizi (phidìtiai) spartani e le agele (aghèlai) cretesi, le più importanti e diffuse erano
tre:
A. GHÈNOS,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,La gente (ghènos)
era un insieme di famiglie imparentate (la radice ghen- indica la nascita, il
legame di sangue) che si credevano discendenti da un dio o da un eroe mitico, e
per questo originariamente si riunivano tra di loro per coltivare il culto del dio o
dell'eroe che le accomunava. Successivamente la gente divenne un'associazione
i cui membri si spalleggiavano a vicenda per avere il dominio politico ed
economico, e per questo motivo vennero in contrasto con le tribù.
B. PHRATRÌA,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,La fratria (phratrìa)
era un raggruppamento di famiglie, nobili e non, formatosi anticamente per
esigenze militari (in origine si chiamavano eterie e i loro membri combattevano
insieme nelle guerre, avevano gli stessi costumi e gli stessi culti): essa
rappresentava la cellula comunitaria fondamentale perché l’appartenenza ad una
fratria garantiva il godimento di diritti politici (ad essa ci si rivolgeva in prima
istanza per le controversie di carattere civile)
4
.
C. PHYLÈ
La phylè (traducibile un po’ impropriamente come "tribù") era l’unione di più
fratrie ed era un organismo tipico delle pòleis, ma non ve n'è traccia presso le
èthne ovvero le genti greche che non conobbero la pòlis, ma i cui agglomerati
17
civili furono chiamati dagli studiosi Stati tribali: aveva assemblee ed emanava
ordini per i propri membri, aveva un tribunale ed un diritto di giustizia proprio,
oltre che un capo, il phylobasilèus.
Venuto meno il wanax miceneo, i forti legami tribali trovarono un momento di unità
nella figura del basilèus (da non tradurre come "re", col significato che avrebbe
assunto in un secondo tempo il termine, ma più semplicemente come capo militare
riconosciuto che esercitava funzioni di giudice e celebrava i sacrifici pubblici): egli era
un signore locale dal potere limitato e revocabile, anche se garantito da riserve di
ricchezze e dalle attività agricole e pastorali esercitate sulle terre assegnategli dalla
stessa comunità, e la sua autorità si basava anche sulla nobiltà delle sue origini (che
faceva risalire ad un dio o ad un eroe); inoltre un consiglio formato dai capi delle
famiglie nobili lo affiancava nel suo potere.
Le guerre e le razzie accentuarono gli elementi di diseguaglianza tra la popolazione.
Il capo militare cercò di rafforzare, oltre che rendere permanente e se possibile
ereditaria, la sua posizione di predominio, mentre le famiglie e i gruppi privilegiati
tesero a liberarsi dal controllo del basilèus
5
: da queste differenze di poteri e di mezzi
derivò I’appropriazione dei terreni che divennero proprietà privata delle famiglie più
potenti, destinate a costituire l’aristocrazia della futura società greca.
Non bisogna però caratterizzare questo periodo dal solo stato di decadenza che
finora abbiamo evidenziato. Il medioevo ellenico fu anche un’epoca di forti fermenti:
crisi dei costumi non significò stagnazione del progresso scientifico e culturale. Il
primo può essere reso evidente dall’introduzione del ferro (derivante dall’Anatolia),
verso l'VIII secolo a.C., e dello stile geometrico nella produzione ceramica (così
chiamato perché le decorazioni presenti sui vasi sono caratterizzate da una forte
tendenza alla partizione geometrica delle superfici da decorare) a partire dal IX
secolo a.C.; il secondo viene ben rappresentato dai poemi omerici tramandati
oralmente per più generazioni da poeti girovaghi di corte in corte (l'Iliade ed l'Odissea
raggiunsero la loro forma definitiva già nell'VIII secolo a.C.), ma soprattutto dalla
ricomparsa della scrittura tra l'XI e l’VIlI secolo a.C., che può considerarsi il simbolo
4
Vedi § 2.8.2., II p. (N. B. quando ci saranno rimandi a paragrafi o note di una parte diversa rispetto a quella in
cui si trova il paragrafo o la nota, "prima parte" sarà abbreviata I p., "seconda parte" II p., "terza parte" III p.)
5
Da notare come la condizione sociale e morale dei nobili sia talmente agiata, e quindi simile a quella del
basilèus, che Esiodo li chiama allo stesso modo anche se con un epiteto dispregiativo:“re mangiatori di regali”
(Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, v. 264).
18
di una maturata esigenza di comunicazione dei popoli della Grecia fra di loro e con il
resto del mondo.
1.3. LA NASCITA DELLA PÒLIS
Agli inizi dell’ VIII secolo a.C. si concluse il periodo di "incubazione" della civiltà
greca.
La storia politica della Grecia tra l’VIII e il VI secolo a.C. fu caratterizzata da un’epoca
di immunità da interferenze e minacce provenienti dall’esterno: non ci furono
movimenti di popoli simili a quelli che si ebbero sul finire dell’età micenea. Dal punto
di vista interno, tale epoca fu connotata da due fenomeni all’incirca contemporanei
ed in stretto legame fra di loro: la colonizzazione e la nascita della città-Stato.
1.3.1. COLONIZZAZIONE
L’espansione coloniale nel giro di un secolo e mezzo disseminò i Greci in un’area
vastissima, dal Mediterraneo fino al Mar Nero. Tale fenomeno però deve essere
distinto in tre fasi:
- PRECOLONIZZAZIONE. Fu causata dalla complessa economia dei palazzi micenei
comportanti la necessità di reperire materie prime che scarseggiavano in Grecia:
le ricerche furono fatte sia ad Oriente che ad Occidente, e su quelle rotte furono
stabiliti degli insediamenti con prevalente carattere commerciale.
- PRIMA COLONIZZAZIONE. Colonizzazione nel vero senso della parola, fu fatta fino
all'XI secolo a.C. nelle isole dell’Egeo e sulle coste dell’Asia Minore (vedi Mileto,
Efeso, Chio, Samo, ecc...).
- SECONDA COLONIZZAZIONE. È quella di cui ci accingiamo a parlare ed è la più nota.
Non possiamo quantificare i motivi del fenomeno a causa della vastità
dell’argomento, ma possiamo dire con sicurezza che quelle principali furono
l’incremento demografico e la scarsezza di terre (stenochorìa) coltivabili in Grecia
(quindi una forte motivazione commerciale); poi in verità accadeva spesso che, a
seguito di lotte civili, la fazione soccombente di una pòlis fosse costretta all’esilio o
ad una vera e propria fuga per sottrarsi alla persecuzione (oppure più semplicemente
un omicida e la sua famiglia, per evitare la morte e la rovina dei suoi parenti: Archia
fuggì da Corinto a seguito di un omicidio e fondò Siracusa).
19
Tralasciando qui di parlare delle procedure di fondazione, ci è sufficiente riferire che i
metodi potevano essere due: per iniziativa pubblica di una pòlis o per iniziativa di
gruppi di privati; questi ultimi non agivano mai per conto della metròpolis (città
letteralmente "città madre"). Le città madri più attive furono Corinto, Eretria, Calcide,
Focea, mentre Atene e Sparta non si inserirono perché possedevano terre coltivabili:
all’atto della partenza il distacco era definitivo (difatti apoikìa, termine che
abitualmente traduciamo con "colonia", indica propriamente "mutare casa con la
prospettiva di non tornare più indietro").
Il processo di colonizzazione ebbe enormi conseguenze sul futuro della Grecia
stessa. L’espansione coloniale accelerò e in parte determinò lo sviluppo economico
di tutto il mondo greco: più libere dai vincoli della tradizione e poste di fronte a
problemi del tutto nuovi, le città coloniali diedero contributi affatto innovativi in molti
campi come la storiografia e la scienza e -cosa più importante- fecero acquistare ai
Greci una più alta coscienza della propria identità nazionale e della propria civiltà.
Cfr. schema della colonizzazione in APPENDICE (fig. 2).
1.3.2. NASCITA DELLA CITTÀ-STATO
Le prime forme rurali di città erano nate già nel vicino Oriente nel IV/III millennio
a.C.
6
, ma le pòleis greche sono molto diverse nella loro formazione e nel loro
carattere. Per questo motivo quando parleremo di queste useremo più
appropriatamente il termine greco pòlis invece che "città".
Il primo problema che ci si pone davanti è stabilire quando e dove sono nate le prime
pòleis. Individuare il periodo non è cosa facile, ma gli studiosi ci sono arrivati per
deduzione: partendo dal fatto che già nell’Odissea vi sono tracce di esse, che
l’espansione coloniale (che presupponeva l’esistenza di città madri, vedi supra §
1.3.1.) ebbe inizio nel 775 a.C. e che la "Grande Rhetra" (legge), in cui sono descritti
già organi politici di Sparta quali il re e il consiglio
7
apparteneva alla prima metà del
secolo VIII a.C., si può collocare intorno aIl’800 a.C. Per quel che riguarda il dove, le
6
Le prime civiltà urbane propriamente dette furono caratterizzate da forme sempre più complesse di economia e
di vita associata (attività come quelle del fabbro erano separate dal lavoro dei campi). Le zone dove esse si
manifestarono per la prima volta furono la parte meridionale della Mesopotamia (le valli irrigate dal Tigri e
dall’Eufrate permisero lo sviluppo di un’agricoltura irrigua con raccolti abbondanti e stabili, incremento
demografico, disponibilità di surplus alimentare e divisione del lavoro), la zona ad est della Mesopotamia
(l’attuale Iran meridionale) e l’Egitto.
7
Vedi § 2.25., II p.
20
pòleis sorsero alcune sui territori di antiche città micenee (Argo, Tebe, Atene per
esempio), mentre altre furono fondate dopo il collasso dei regni micenei e si
svilupparono nelle pianure più fertili o sul mare. I gruppi di invasori dorici erano
indipendenti gli uni dagli altri e, ovunque si stabilirono, formarono delle comunità; lo
stesso fecero gli immigrati greci che popolarono la costa asiatica. In un primo
momento l’elemento militare ebbe un ruolo determinante (il termine pòlis significava
in origine cittadella), ma poi vennero fuori altri fattori: si cominciò col creare villaggi,
poi più villaggi vicini si unirono per creare una città (è il caso di Sparta) secondo un
fenomeno che i Greci chiamarono sinecismo (abitazione comune), e la città generò
la pòlis (ovvero un’organizzazione politica comune). Sua caratteristica principale fu
l’istituzione, all’interno dello spazio urbano, di un luogo di culto comune a tutti i
cittadini (il santuario della divinità protettrice della pòlis) e di un’area destinata a
riunioni politiche ed attività di scambio (agorà)
8
.
Anche se il loro numero complessivo superava di gran lunga il centinaio, la maggior
parte delle pòleis greche avevano le dimensioni di un nostro comune e raramente
arrivavano oltre la soglia della provincia (Atene era estesa per 2600 m² e Sparta per
8400). Ciascuna pòlis aveva le sue leggi, i suoi culti, le sue feste, i suoi pesi e le sue
misure: quindi l’isolamento era la condizione naturale; difatti per quattro secoli la
città-Stato fu il cardine di tutta la storia greca, anche quando i regni ellenistici diedero
vita a Stati plurinazionali, perché non si superò mai completamente il particolarismo
che sempre contraddistinse la vita delle singole pòleis.
La prima forma di governo che si impose nelle pòleis fu la MONARCHIA (vedi supra §
1.2.). Il tracollo dei regni micenei ebbe come conseguenza il declino del regime
monarchico. Poco alla volta, con un processo che ignoriamo nei particolari ma che è
inequivocabile nei suoi esiti, anche le ultime forme del regime monarchico furono
soppiantate dal REGIME ARISTOCRATICO, ovvero dal governo dei nobili. Nella maggior
parte dei casi non ci furono sommosse o spargimenti di sangue: semplicemente il
basilèus dovette cedere alle pressioni degli aristocratici, a volte dopo un periodo di
transizione in cui la monarchia divenne elettiva o fu limitata temporalmente
9
8
Ma la maggior parte dei cittadini continuò a risiedere nelle campagne. Per questo la pòlis non si identificava
con l’estensione del centro urbano, ma con la comunità dei suoi cittadini (di ciò è prova il fatto che nei
documenti ufficiali non si parla mai per esempio di Atene o di Corinto, ma degli Ateniesi e dei Corinzi).
9
L’aristocrazia si era sottratta facilmente alla tutela dei re grazie alla sua forza economica. Fonte primaria di
questa era la terra, che i nobili possedevano in vaste estensioni (niente a che vedere però col latifondo moderno).
Le proprietà dei più ricchi erano lavorate dai servi. Ma anche dai liberi, e questi ultimi potevano essere dei
21
dall’aristocrazia (il titolo di re alla fine del processo sussisteva occasionalmente per
designare una magistratura o una carica religiosa, e solo in alcune parti della Grecia,
come la Macedonia o Sparta o Micene). In alcune regioni i nobili conservarono il
potere per un lungo periodo, trasmettendolo per via ereditaria all’interno di gruppi
ristretti: fonte dell’autorità era allo stesso tempo la ricchezza e l’eccellenza del
ghènos.
nullatenenti, la cui unica risorsa era quella di offrire il proprio lavoro come braccianti, oppure dei piccoli
proprietari che si "infeudavano" con i nobili legandosi a loro con un vincolo di dipendenza e ottenendone in
cambio aiuto e protezione (solo i ricchi potevano procurarsi delle armi e da loro dipendeva la difesa del popolo
da ogni pericolo che venisse dall’esterno). In generale il principale organo di governo era il CONSIGLIO (bulè),
che si può ben definire come il successore del consiglio dei capi delle famiglie nobili che affiancava il basilèus
nell'età precedente: era composto da membri designati (di solito a vita) in base a metodi che variavano da pòlis a
pòlis e praticamente governava la popolazione in quanto amministrava la giustizia e nominava e controllava i
magistrati. Anche questi avevano un nome diverso a seconda della pòlis (un esempio su tutti: gli arconti ad
Atene), ed il più delle volte formavano un collegio che cambiava di anno in anno. Organo secondario era
l’ASSEMBLEA (ekklesìa), ed aveva scarso rilievo: anche se dappertutto era uso sottoporre al suo vaglio le
decisioni importanti, questa approvazione si limitava ad una semplice ratifica di ciò che le veniva proposto (il
motivo stava nel fatto che i cittadini che avevano diritto a partecipare all’assemblea erano in numero inferiore
rispetto alla popolazione, e quasi sempre coincidevano con la classe dirigente, ossia coloro che appartenevano al
consiglio). Parlando in particolare di Atene, prima di Clistene le tribù ioniche da cui derivarono quelle ateniesi
erano quattro: gli Argadei, gli Egicorei, i Geleonti e gli Opleti. In un primo periodo anche Atene avrebbe avuto
dei monarchi che comandavano con l’appoggio di un consiglio di anziani ed esercitavano il potere religioso,
militare e giudiziario; avvolta nella leggenda è la figura di uno dei primi re, il mitico Teseo, tant'è vero che nei
secoli a venire se ne venerò il culto: si racconta che fu lui a dar luogo al sinecismo fra le tribù nomadi che creò
l'agglomerato urbano poi noto come Atene. Altro monarca illustre fu Codro, il quale si immolò contro i Dori per
salvare la neonata pòlis. Dopo Creonte (682 a.C. circa) la monarchia poi sarebbe stata soppiantata da un regime
aristocratico chiamato ARCONTATO. Sebbene non tutti gli storici siano concordi sulle date, si presume che esso
ebbe nei primi periodi durata vitalizia (dal 1038 al 753 a.C.), poi decennale (dal 752 al 682 a.C.) ed infine
annuale e poteva essere ottenuto solo una volta; era composto da 9 arconti estratti a sorte dall’elenco dei 40
candidati: il basilèus, o arconte re , il polemarco, l'arconte eponimo ed i 6 tesmoteti (per le loro funzioni vedi §
2.16.2.). A queste nove persone si aggiunse, con la riforma di Clistene un segretario, e il numero di candidati da
eleggere passò da 40 a 500 (vedi infra § 1.6.); si formò così un collegio di dieci magistrati che governavano la
pòlis ed erano assistiti da un gruppo di altri arconti non più in carica chiamato COLLEGIO DELL'AREOPAGO (dal
nome del colle, dedicato al dio Ares, dove aveva sede): questo collegio, oltre a funzioni religiose e giudiziarie
(era l'unico tribunale, se così lo vogliamo considerare, esistente che limitasse la giustizia privata, oltre ai rari
interventi dell'assemblea in casi di poco conto), era fondamentalmente un "Senato" aristocratico, una camera alta
(anche se a quei tempi non esisteva alcuna camera bassa) che dominava politicamente la vita della popolazione
coadiuvando gli arconti in carica. Questi 9 arconti erano le prime figure di magistrature (archài) che, col passare
degli anni, crebbero enormemente di numero: Aristotele ci informa che, dopo questi 9, nuovi magistrati furono
creati da Solone (vedi § infra 1.5., anche se non tutti gli studiosi sono di questo parere; per le magistrature in
generale vedi § 2.16., II. p.), mentre tutti gli altri vennero istituiti in maniera proporzionale alla crescita
dell'impero ateniese. Il discepolo di Platone ci dice pure che il metodo originario di elezione delle varie cariche
era di competenza dell’Areopago, che sceglieva i candidati dopo averne esaminata l’idoneità (dokimasìa, vedi §
2.16.1., II p.); nei primi tempi l'esame consisteva semplicemente nello stabilire l’origine cittadina, l’appartenenza
genealogica e religiosa ad Atene, poi si doveva valutare se «quello trattava bene i suoi genitori, pagava le tasse e
aveva partecipato a campagne di guerra» (cfr. Cost. At., 8, 2) (da notare che il “trattare bene i genitori”
consisteva anche nella cura delle loro tombe!).
Quanto ci racconta il filosofo di Stagira era valido per Atene, ma non per le altre pòleis. Nella pòlis oligarchica
vigeva la liturgia (leiturghìa) ossia la prestazione volontaria in favore della comunità. Precisando subito che
anche qui ci poteva essere variazione da pòlis a pòlis, alcune cariche erano subordinate ad un censo abbastanza
elevato mentre altre potevano essere offerte cosicché la carica, non essendo remunerata, poteva sì procurare
prestigio e vantaggi personali, ma anche oneri pecuniari; comune usanza era quella di vietarne l’iterazione
almeno entro un determinato periodo di tempo per evitare che un magistrato rimanesse in carica per troppi anni
ed ambisse ad un potere tirannico (come Damasias nel 582 ad Atene).
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A fronte degli aristocratici vi era la moltitudine del popolo (dèmos), composta di
piccoli proprietari terrieri, braccianti (gheorgòi), artigiani (demiùrgoi), marinai,
mercanti: anch’essi erano riconosciuti cittadini, ma a differenza dei nobili avevano un
peso politico scarso.
Non bisogna dimenticare che il secolo VIII a.C. era un mondo in rapida
trasformazione: a mano a mano che le fonti di ricchezza si diversificavano, risultava
sempre più difficile accettare il principio che l’esercizio dei pieni diritti dipendesse
dalla nascita e che vi potessero pretendere i soli membri dell’aristocrazia terriera.
1.4. IL PROBLEMA AGRARIO
Tra il VII e il VI secolo a.C. alcune aree della Grecia attraversarono una fase di acute
tensioni sociali tra il ceto dei piccoli contadini e l’aristocrazia fondiaria.
All’origine della crisi agraria ci fu forse il passaggio dalla proprietà familiare indivisa
alla spartizione per via ereditaria della terra: nel giro di qualche generazione certi lotti
dovettero frazionarsi a tal punto da rendere assai precarie le condizioni di vita dei
proprietari. Per esempio, bastava un anno di cattivo raccolto perché i contadini
fossero costretti a prendere a prestito il necessario per la sopravvivenza e le sementi
per l’anno successivo: ovviamente, quando non erano in grado di rimborsare il
debito, dovevano cedere la loro terra e finivano per lavorare come braccianti per il
nuovo padrone, ed era proprio a questo che il ricco possidente mirava per ampliare
la sua proprietà e garantirsi la manodopera necessaria; i contadini, ridotti allo stato di
conduttori, coltivavano per altri la loro proprietà di un tempo (accettando la
condizione lavorativa di ektèmoroi, ossia di mezzadri, per cui dovevano consegnare
5/6 del raccolto e se ne potevano tenere solo 1/6), a meno che, estrema ipotesi, non
fossero venduti come schiavi. Tutto ciò contribuì a creare un malcontento diffuso e
profondo non solo tra gli agricoltori, ma anche tra gli artigiani ed i mercanti i quali
rivendicavano per sé un ruolo proporzionale al grado di ricchezza raggiunto, visto
anche che le famiglie nobili detenevano tutto il potere politico
10
. Le prime possibilità
di salvezza i contadini le trovarono nella migrazione verso le pòleis (ma gli schiavi
facevano loro una forte concorrenza), nell’ingaggio come mercenari presso i principi
10
Il poeta Teognide di Megara testimonia nei suoi versi lo sconcerto che la nascita di un nuovo ceto intermedio
tra l’aristocrazia e il dèmos produceva soprattutto nella prima (che lui chiama agathòi o esthlòi):«E la gente di
conto/ora non val più nulla: come mandarla giù?» (frammento 33, vv. 59/60).
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egiziani ed asiatici oppure nell'avventura coloniale (ma non tutti avevano le risorse
finanziarie necessarie
11
). Quando lo squilibrio si fece insostenibile, si imposero
rapidamente due soluzioni alternative: il ricorso a tiranni o a legislatori.
1.4.1. TIRANNI
Le tirannidi greche erano basate sullo stesso concetto politico su cui si fondano
quelle odierne: un solo uomo s’impadroniva del potere e lo esercitava in forma
assoluta, ponendosi al di sopra delle leggi
12
. Tra il VII e il VI secolo a.C. sorse la
figura del týrannos, il quale non era di estrazione popolare benché si professasse
fautore del dèmos: genericamente il tiranno era un aristocratico che passava
spregiudicatamente in campo avverso, sfruttando per i propri fini la miseria dei
contadini e l’ambizione dei ceti intermedi (infatti proprio il disprezzo che i nobili prima,
e il resto del popolo dopo, provavano nei confronti di questo personaggio si conservò
col passare dei secoli fino ai giorni nostri). Non bisogna pensare che l’epoca delle
tirannidi fosse un periodo solamente negativo per le popolazioni della Grecia, dato
che esse rappresentarono un momento di progresso sociale per l’affermazione dei
diritti del dèmos nella vita pubblica. Cerchiamo di fare chiarezza. Estromettendo con
forza la vecchia classe dirigente, il tiranno perseguiva due scopi elementari:
neutralizzare gli oppositori più pericolosi e soddisfare le aspettative dei suoi
sostenitori. La confisca e la frantumazione delle grandi proprietà erano ciò che
volevano i contadini, sempre più nel terrore di essere fagocitati dai grandi possidenti
terrieri; ciò d’altronde distolse, come si era prefissato il tiranno, il popolo dalla politica,
che divenne di sua sola competenza. La tirannide fu un fenomeno abbastanza
limitato nel tempo e la sua caduta non fu quasi mai dovuta a rivolte violente: il più
delle volte i tiranni vennero costretti all’esilio da parte dei ceti elevati (si volevano
vendicare del trattamento subito anni prima).
11
Per capire la condizione non invidiabile di queste persone basta leggere i versi di Archiloco. Già Pindaro ci
parla di lui dicendo che «si ingrassava solo di amare esecrazioni» (in Pitiche, II, 99). Benché fosse di famiglia
nobile, dopo essere caduto in disgrazia cercò miglior sorte a Taso, ma non pare che la trovasse visto che, quando
approdò nell’isola, esclamò:«Qual cencioso veggo a Taso/di Panelleni travaso!» (frammento 53). Dopo varie
peregrinazioni decise di farsi mercenario, per riuscire quantomeno a vivere serenamente:«Nella lancia ho il mio
pane, nella lancia il vino/di Ismaro, alla lancia appoggiato io trinco» (frammento 2).
12
L’origine della parola è tutt'oggi motivo di discussione tra gli studiosi (c’è addirittura chi dice che
letteralmente la parola vuol dire "guardiano del formaggio"). Léveque dice che la parola non è greca e che forse
fu mediata dalla lingua lidia, perché appare per la prima volta in Archiloco che ne fa uso riferendosi al re della
Lidia Gige, anch’egli usurpatore come i tiranni; ma si può sottolineare anche la somiglianza di essa con la parola
etrusca turan (signore o signora) e con certi nomi propri di origine etrusca (il re Turno e la dea Giuturna). Di
certo c’è che il termine assunse il connotato negativo che conserva anche adesso solo nell’ambito greco «a
partire dal secolo IV, nei testi dei pensatori politici influenzati dalla nuova forma di tirannia, molto più violenta e
sfrenata, che appare all’inizio di questo secolo» (Léveque, op. cit., pag. 127): il riferimento è ai comportamenti
dispotici di certi tiranni della Sicilia greca come Dionigi. I (è lui che pose sulla testa di Damocle una spada per
fargli capire quanto fosse precaria la vita di un tiranno) e Dionigi II.