VI
Il percorso, che qui si dipana, si è sviluppato rincorrendo e riannodando tra loro i fili
del “linguaggio stesso (dell’) inconscio, che parla attraverso i vuoti teorici di un testo,
mediante i segni visibili di una scrittura: è l’invisibile, che struttura la trama del
visibile, per costituire, assieme a esso, la tessitura del testo”
2
.
Attraverso l’analisi dei testi langeriani, l’intuizione iniziale, che aveva avviato la
ricerca, si trasformava sempre più nella consapevole certezza dell’importanza di portare
alla luce questo silenzio che dava sostanza alla parola, e senza il quale la parola pareva
così semplice e, al limite, così povera.
Il dubbio che a tal proposito può sorgere è che si sia messo nel testo qualcosa,
più che aver disvelato ciò che in esso si occultava tanto mirabilmente. In altri termini, si
potrebbe supporre che la ricchezza che il sistema langeriano possiede – e che verrà
illustrata nel prosieguo del cammino - non gli appartenga in proprio, ma gli venga
conferita dallo stesso sguardo prospettico che lo interroga: sarebbe la prospettiva
adottata a donare la profondità di senso, nel momento stesso in cui suppone che non ci
sia una sola lettura possibile, ma più letture, e soprattutto in quanto parta dal
presupposto che l’indagine filosofica non possa consistere assolutamente in una mera
lettura prima
3
, che si limiti a vedere il visibile. La lettura filosofica non è uno specchio
che ripropone ciò che in esso si riflette, ma è un porsi in ascolto della voce del silenzio
che si annida tra le righe del testo. Essa è sempre un interpretare.
E’ evidente che anche il detto di Langer non poteva sottrarsi a questa necessità.
2
Ivi, p.169. Di contro, tuttavia, c’è da notare che il vuoto ha senso solo in quanto vuoto di un pieno,
sfondo di una figura. Il visibile è, dunque, il punto di avvio di ogni qualsivoglia indagine, la cosa che si
presenta e nel rispetto del cui esserci si può partire per sondare quell’altro che essa stessa circoscrive.
3
Cfr. ivi, pp.166-167. In realtà, è pressoché impossibile realizzare una lettura come mero specchio di ciò
che si vede. Una esperienza di questo tipo sarebbe ancora al di sotto della soglia della esperienza di
lettura.
VII
Si trattava solo di riuscire a trovare al di là del detto, o meglio, in esso, l’impossibile a
dirsi tramite quella stessa parola, e quindi ciò che invocava un diverso dire per potersi
manifestare. Nulla è stato aggiunto. Tutto era già nel testo. E’ apparso alla vista quando
il testo è stato guardato da una altra visuale
4
. Così è venuta emergendo la stessa
profondità del testo, pur nella difficoltà di certi suoi passaggi.
Il percorso si articola in tre tappe, tra loro connesse attraverso degli snodi.
La prima tappa è un confronto fra Langer e Cassirer, e si configura, quindi, come
un’analisi propriamente ricostruttiva del rapporto fra i due Autori. La scelta di
tratteggiare questo legame, che si articola al contempo nei termini di un debito e di una
distanza, non è arbitraria: essa risponde ad una ben precisa necessità. Cassirer, infatti,
rappresenta l’orizzonte tematico entro il quale Langer si muove, e dal quale attinge i
suoi presupposti di base. L’intuizione che, però, ha sospinto la ricerca faceva presentire
qualcosa di più di un semplice debito, come se sondando i termini del rapporto Langer –
Cassirer si potesse pervenire a disvelare una non vista – benché potenzialmente visibile
– trama, dal significativo spessore teoretico. Il prosieguo del lavoro mostra, dunque, che
dietro la parola così chiara di Langer si cela, in realtà, lo sforzo di un pensiero che,
recuperando al suo interno le istanze della Filosofia delle forme simboliche, vuole
collocarsi al di là di altri orizzonti.
4
E’ chiaro che la visuale altra è tale rispetto alle prospettive dei critici di Langer che si sono presi in
considerazione. E’ come se essi, ovviamente non tutti, ma indubbiamente in buona parte, si siano limitati
a vedere il visibile, e soprattutto le incongruenze del visibile, che, se pure non possono essere negate,
tuttavia esigono ben altra considerazione. In molti casi, infatti, è da esse che proviene il primo appello al
lettore a porsi in ascolto del silenzio. E’ come se esse fossero ponti interrotti: pericolanti sì, ma dove
potrebbero condurre se si provasse a ricostruirne la struttura, magari con altri materiali?
VIII
Questi altri orizzonti chiamati in causa sono costituiti, come si avrà modo di vedere in
seguito, dal neopositivismo logico, e, dal punto di vista tematico, dalla sua
circoscrizione del pensabile al dicibile
5
.
In realtà, il rapporto di Langer con questi due orientamenti non è di
accoglimento completo del primo e di rifiuto totale del secondo. Langer, infatti, attinge
ora dall’una prospettiva e ora dall’altra. Ciò che, a tale riguardo, si è cercato di fare è
stato, da un lato, di valutare se, per caso, questo duplice debito non creasse delle
tensioni entro il pensiero langeriano, dal momento che l’idealismo della filosofia delle
forme simboliche pare poco conciliabile con il neopositivismo
6
. Dall’altro, si è voluto
vedere in questa sorta di eclettismo, un aspetto positivo, dato dal fatto che talvolta
l’interazione tra le due istanze riesce effettivamente a configurarsi come
un’integrazione, come una sintesi che, hegelianamente, conduce a un livello più alto e
compiuto rispetto ai punti di partenza separatamente considerati. In altri termini: Langer
intende superare quelli che ella individua come limiti di un orizzonte attraverso il
recupero di alcune istanze dell’altro. Come questo sia stato nei fatti realizzato da Langer
è ciò che appunto ci si propone di mostrare.
5
Ovviamente, questa asserzione rappresenta la lettura che Langer realizza del neopositivismo a partire fin
dalla sua prima opera significativa, Filosofia in una nuova chiave. Tale assunto è caratterizzato, secondo
l’Autrice, da una tale problematicità che il risolvere la questione del come dire l’ineffabile diventa
l’obiettivo di tutta la ricerca langeriana. La stessa filosofia della musica, cui Langer perviene, vuole essere
una – possibile, vorremmo aggiungere noi – risposta a questa domanda.
6
Non ci sfugge a questo proposito l’articolo di W. SAUER, On the kantian background of neopositivism,
“Topoi” 8 (1989), pp.111-119, che si pone come obiettivo di mostrare, al contrario, la convergenza di
neokantismo e di neopositivismo, analizzando figure di logici quali Russell, Frege e soprattutto Carnap.
Nonostante l’importanza che riveste il fatto di mettere in dubbio una assunzione comune – appunto la
lontananza, se non antiteticità, dei due orientamenti -, noi non possiamo qui assumere questa posizione ed
estenderla a Langer, per il fatto che qui esse effettivamente divergono, determinando così luoghi di
talvolta insanabile tensione.
IX
La seconda tappa del percorso prende in considerazione la teoria estetica di
Langer, cercando di vederla come il punto di arrivo dell’iter langeriano entro il
problema gnoseologico. L’arte rappresenta per Langer una forma simbolica e, in quanto
tale, essa dà conoscenza di una peculiare realtà: la vita del sentimento. Arte e vita:
questo è il grande binomio che viene di continuo preso in considerazione nei testi
langeriani, e considerato nella sua bidirezionalità: l’arte come la vita, e la vita come
l’arte.
I luoghi tematici che nella teoria estetica di Langer si intrecciano sono pertanto,
come si avrà modo di vedere, l’arte, il simbolo e la dimensione sentimentale: l’arte è
forma significante, ossia simbolo del sentire. In Langer, ciascuna di queste nozioni
sottende un universo di senso, e ciascuna di esse riceve luce dalle altre. In alcuni casi,
tuttavia, anziché essere illuminate, queste nozioni vengono offuscate dall’ambiguità con
cui Langer le affronta. Le maggiori difficoltà investono la stessa nozione di simbolo.
La domanda che ha sotteso la nostra ricerca a tale proposito è stata: in che termini
secondo Langer l’arte simboleggia la sfera soggettiva? Come si vedrà, la risposta
langeriana è duplice: la dimensione simbolica è qui intesa sia nei termini di proiezione
che in quelli di formulazione. Ci si trova ad un bivio, ove è necessario prendere una
direzione oppure l’altra. O meglio: ove noi avvertiamo l’impossibilità di imboccare
simultaneamente entrambi i percorsi. Come potremmo, infatti, trovarci su un sentiero e
sull’altro contemporaneamente? Il punto è che Langer pare non avvedersi
dell’incompatibilità di una teoria dell’arte come proiezione con una teoria dell’arte
come formulazione del sentimento. Per lei i due sentieri sono uno.
A tale riguardo, nel lavoro si è evidenziata e argomentata l’inconciliabilità delle
due posizioni teoriche tra loro, e inoltre l’interna debolezza della teoria della proiezione
così come essa è tratteggiata da Langer.
X
Ciò che emerge è da un lato l’impossibilità di parlare del simbolo artistico in
termini di proiezione
7
, dall’altro la fondatezza di parlarne in termini di formulazione.
Langer, da questo punto di vista, rivendica il carattere produttivo, creativo dell’arte,
come dimensione che apre a nuove e inedite direzioni di Mondo, rievocando in tal modo
una concezione del simbolico di ascendenza cassireriana.
Questo aspetto rappresenta proprio il silenzio del detto langeriano, il non-detto
che si cela fra le righe dei suoi testi. Porsi in ascolto di questo silenzio è stato l’obiettivo
originario e costante del procedere dell’indagine, nell’intento di disvelare quel fondo
ultimo che sostanzia – e, ad avviso di chi scrive, dà effettivo senso – al percorso di
Langer, alle sue rivendicazioni della natura simbolica dell’opera d’arte. La quale si
configura come la voce di ciò che non può essere detto.
In realtà, secondo Langer c’è una voce che, in termini paradigmatici, esprime
l’indicibile, ed è la musica. Si apre così la terza, ed ultima, tappa del percorso, nel
tentativo di comprendere, in prima istanza, il legame che Langer vede tra fenomeno
musicale e simbolismo, e, secondariamente, tentare di dare una valutazione del sistema
di estetica musicale che così ne emerge. In questa circostanza, ci si avvale di strumenti
di carattere fenomenologico, dal momento che è proprio l’assenza, in Langer, di un
apparato metodologico di questo tipo che le impedisce una effettivamente esaustiva
comprensione della musica, come originario luogo di apertura di senso, e quindi come
paradigma di ogni sistema simbolico. Ciò che, d’altra parte, si è cercato di riconoscere a
Langer è il fatto di aver sostenuto l’importanza del fenomeno musicale, presentendone il
valore paradigmatico di simbolo.
7
Tale disamina è stata condotta citando alcuni passi del Tractatus logicus-philosophicus di Wittgenstein,
la cui teoria della proiezione viene adottata da Langer e applicata all’ambito estetico. A tale proposito,
vogliamo precisare che i nostri richiami non costituiscono in nessun modo, né intendono esserlo,
un’indagine su Wittengestein, bensì rispondono alla esigenza di mettere in luce le difficoltà che il
percorso langeriano incontra proprio nel momento in cui esso si avvale di talune nozioni del Tractatus.
XI
Nel complesso, la lettura di Langer si muove su un crinale.
Da un lato, si è cercato, dando ascolto all’inascoltato langeriano, di mettere in luce
la possibile profondità teoretica del suo pensiero. Nel fare questo, non si è andati al di là
della superficie, ma ci si è attestati sulla superficie, giacché la profondità non è nulla
oltre la cosa, ma è il “lavoro e sforzo del concetto, (…) [essendo] una certa posizione
rispetto alla obiettività, un rapporto fra la coscienza e la realtà, e cioè quel rapporto che
insiste, senza però ipostatizzare e presupporre qualcosa che risiederebbe all’interno
della cosa, oppure, viceversa, nel soggetto stesso”
8
. Lo sforzo del pensiero nel suo
estenuante movimento si è attestato per l’appunto sulla superficie del testo, lavorando su
di essa. Così, attraverso “la penetrazione del pensiero dell’oggetto”
9
, si è cercato di
suscitare il dubbio sull’esistenza della ricchezza del testo langeriano, e la curiosità di
andarla a verificare.
Dall’altro lato, si sono rilevate, là dove pareva che si presentassero, le
incongruenze del percorso langeriano, attraverso un raffronto puntuale di testi e passi. Si
è quindi dovuto ricorrere a molte citazioni, sia dirette, sia indirette, al fine di fornire a
chi leggesse gli strumenti necessari per trovare un riscontro di tali posizioni, e al limite
verificarne la stessa fondatezza, in un lavoro di scavo, ad infinitum, del loro stesso non-
detto.
8
T. W. ADORNO, Terminologia filosofica, tr. it. di Anna Solmi, Einaudi, Torino 1975, p.132. Si veda a
proposito della profondità tutta la lezione n.12: ivi, pp.129-140.
9
Ivi, p.135.
2
Eppure sembra
che proprio questa specie di parola, breve o
prolissa,
autoritaria sempre, cupa come cieca,
manchi ormai il suo oggetto qualsiasi oggetto,
girando
all’infinito su se stessa, sempre più vuota,
mentre più lontano di lei o solo a lei accanto,
risiede ciò che essa lungamente ha cercato.
Spetta dunque alle parole far sentire
ciò che sfugge loro, che viene a mancare,
il loro rovescio di cui sono spossessate?
Philippe Jaccottet, da À 1a lumière d’hiver.
I.1. La dimensione del simbolico in Langer.
I.1.1. La simbolizzazione come "nuova chiave".
L'indagine di Langer prende avvio dal problema della conoscenza, impostato nei
termini di una ricerca volta a render conto, attraverso la delineazione di una precisa
teoria della mente, non solo del fenomeno scientifico, ma anche di altre costellazioni
culturali, quali il mito e l’arte. Nell’esergo di Filosofia in una nuova chiave, infatti,
viene dichiarato che
"la teoria moderna della conoscenza, che naturalmente conduce ad una critica della
scienza, rappresenta il meglio del lavoro filosofico del nostro tempo, Ma
'conoscenza' non è sinonimo di 'fenomeno mentale' dell'uomo. E' intento di questo
libro di stabilire una teoria della mente che possa fondare quell’eccellente
trattazione della scienza, e, in più, portare ad una critica dell'arte ugualmente seria e
dettagliata "
1
.
1
S. LANGER, Filosofia in una nuova chiave, tr. it. di G.Pettenati, Armando, Roma 1972, p.11. La
questione gnoseologica non si configura per Langer solo nei termini di ricerca sopra delineati. Nel corso
dell’indagine langeriana, essa va delineandosi anche, come vedremo in seguito, nei termini di una
questione sul conoscibile, interrogandosi sulla validità di circoscrivere ciò che può essere conosciuto
entro certi limiti, e così affacciandosi sul dominio dell’ineffabile.
3
II primo aspetto da notare è che Langer, con la sua ricerca, intende inserirsi entro i
dibattiti del suo tempo, consapevole della fondamentalità della domanda che interroga
sulle modalità con cui l’uomo conosce. In questione, in altri termini, è la peculiarità del
rapporto uomo-mondo che fa sorgere per l’uomo un mondo nella particolare forma della
oggettività. La fondamentalità di tale domandare riposa sul fatto che questa non è una
domanda, ma è la domanda filosofica
2
.
In secondo luogo, si può rilevare come obiettivo di Langer sia la fondazione di
una teoria della mente che dia conto anzitutto del fenomeno scientifico e che consenta,
in secondo luogo, di pervenire a una compiuta teoria dell'arte, 1a quale, pertanto, si
configura - possiamo anticipare- come i1 punto di arrivo di un percorso di respiro più
ampio del mero ambito estetico.
La conoscenza si risolve, secondo Langer, nella simbolizzazione, intesa come la
"nuova chiave" della filosofia. L'Autrice riconosce di non aver introdotto ex novo
questa "nuova chiave", quanto piuttosto di averla mutuata da un gruppo di filosofi, per
lo più di impostazione idealistica, e in primis da Cassirer
3
.
2
Per LANGER, Filosofia in una..., cit., la filosofia è la pratica della domanda, dal momento che "una
filosofia è caratterizzata più dalla formulazione dei suoi problemi che dalla soluzione che ad essi dà": ivi,
pp.20-21. La soluzione dei problemi filosofici ha, inoltre, per Langer, la "funzione (...) di accrescere non
la nostra conoscenza della natura, ma la nostra comprensione di quanto conosciamo": LANGER,
Sentimento e forma, tr, it. di Lia Formigari, Feltrinelli, Milano 1965, pp.22-23. La filosofia, collocandosi
su un livello qualitativo, è riflessione sulla conoscenza, una riflessione che "si occupa in primo luogo dei
significati; del senso di ciò che diciamo": ivi, p.19.
L’interrogazione radicale che la pratica filosofica costituisce prende avvio dalla costituiva esperienza
della finitezza che la caratterizza – e che in generale caratterizza l’ente in quanto tale -. Nelle parole di
Ruggenini: “Alla verità la filosofia obbedisce in quanto la pensa nella forma appropriata al pensiero
dell’alterità, vale a dire prima nella forma del ‘domandare’ che in quella del ‘sapere’, per poterla
rispettare e interrogare nelle altre esperienze che incontra e riconosce come non surrogabili. I termini non
vanno comunque contrapposti rigidamente, perché si può ben comprendere che il sapere della filosofia è
il suo fondamentale domandare, e dunque restare sempre in difetto di giustificazioni ultime e di
conclusioni irreformabili. Ogni ‘tesi’ filosofica sospende infatti l’esistenza sull’abisso del suo
ingiustificabile aver da essere: aver da rispondere di sé all’appello che la raggiunge dall’assenza che la
circonda, ma che cela la prossimità insostenibile dell’altro”: M. RUGGENINI, Il discorso dell’altro, Il
Saggiatore, Milano 1996, p.82.
3
Cfr. LANGER, Filosofia in una…, cit., p.14.
4
Il compito che Langer si prefigge, allora, è quello di sottolineare il potere
esplicativo di tale nozione, potere che, a suo avviso, consiste nel rendere possibile una
"nuova concezione di ciò che è mentale"
4
. Infatti, il processo di simbolizzazione è visto
come un’essenziale attività della mente di trasformazione delle impressioni in
espressioni - con un chiaro primo richiamo all’attività simbolica quale è intesa da
Cassirer nella Filosofia delle forme simboliche
5
-. A tale riguardo viene utilizzata la
metafora del cervello come di un
"grande trasformatore, passando attraverso il quale 1a corrente della esperienza
soggiace a un cambiamento di carattere, non tramite i sensi che adducono la
percezione, ma in virtù di un uso primario che di essi viene immediatamente fatto:
essa viene risucchiata nella corrente di simboli che costituisce la mente umana"
6
.
Questa tendenza attiva della mente a trasformare i materiali che le giungono
attraverso i sensi, risponde, secondo Langer, a una "necessità primaria (...) basale (...) di
simboleggiare: la funzione costruttrice di simboli è una delle attività primarie
dell’uomo, come il mangiare, il guardare, il muoversi; è i1 processo fondamentale della
sua mente ed è continuamente attiva"
7
. Risolvendo la simbolizzazione in un fatto
naturale, Langer rivendica una sua distanza dall’idealismo. Infatti, a suo avviso, 1a
nozione di simbolizzazione non è a quest’ultimo orizzonte obbligatoriamente legata.
4
Ivi, p.45.
5
Scrive E. CASSIRER. Filosofia delle forme simboliche, tr. it. di E.Arnaud, La Nuova Italia, Firenze
1966-1987, vol. I, p.13, che l'obiettivo di tutte le forme simboliche è quello di "trasformare il mondo
passivo delle semplici impressioni (...) in un mondo della pura espressione spirituale". In termini non
molto diversi, si esprime LANGER, Filosofia in una..., cit., p.66, quando osserva che il processo di
simbolizzazione "traduce attivamente esperienze in simboli".
6
LANGER, Filosofia in una..., cit., p.67.
7
LANGER, Filosofia in una..., cit., p.65. Secondo Langer, l'intendere la simbolizzazione come necessità
primaria rappresenta "una pura dichiarazione di fede che prelude alla confessione di una eresia": ivi, p.65.
Per un approfondimento del tema dell'eresia langeriana, si veda W. PERCY, Symbol as need, "Thought"
65 (1990), n.3, pp. 367-384.
5
La connessione tra attenzione alla simbolizzazione e prospettiva idealistica è vista più
come una situazione di fatto che non come una necessità interna: storicamente si è
verificato che 1a "nuova chiave" della simbolizzazione sia sorta in ambito idealistico,
ma ciò non determina l’inscindibilità dei due elementi.
"Non è necessario assumere la presenza di uno 'spirito umano' trascendentale per
riconoscere, per esempio, la funzione di trasformazione simbolica come un’attività
naturale, una forma d'alto livello di risposta nervosa, caratteristica dell’uomo fra gli
animali (...) [e pertanto] anche studi come quello presente, scaturenti da interessi
logici (...) può essere attivato dalla stessa idea generativa: la natura essenzialmente
trasformazionale dell’intellezione umana"
8
.
Ciò che, secondo Langer, non è necessario supporre è, in altri termini, il carattere
a priori della forma, inteso kantianamente come indipendente dall’esperienza, per
rendere conto del fatto che la mente umana si ponga attivamente nei confronti della
realtà e la trasformi. Piuttosto, invece di ricorrere ad uno "spirito umano
trascendentale", Langer risolve la simbolizzazione in un fatto naturale, quanto 1o sono,
appunto, il mangiare ed il camminare
9
, e biologicamente riconducibile a determinati
processi elettrochimici che hanno luogo nel cervello. La spontaneità che secondo
Langer appartiene a1 processo simbolico è da intendersi come naturalità, come quel
fatto ultimo la cui origine si trova nella natura umana e nelle sue necessità, e che
costituisce l’elemento di rottura del continuum uomo-animale
10
.
8
Ivi, pp.15-16.
9
Cfr. LANGER, Mind: an essay on human feeling, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and
London,1967,1972,1982, vol. I, p.79, ove si legge che "il loro [i.e. dei simboli] uso è universale, costante,
tanto naturale per l'uomo quanto camminare solo su due gambe".
10
Per un maggior approfondimento di questo aspetto, si veda in generale LANGER, Mind, cit., vol. II.
6
La spontaneità della simbolizzazione consiste in quella necessarietà, che investe le
altre attività umane indispensabili
11
.
L’attività di simboleggiare, inoltre, è da Langer intesa come un continuo processo
di ideazione, ossia una "pura e semplice espressione di idee (...) [la quale] dà conto
proprio di quei tratti dell'uomo che non sono compartecipati con gli altri animali;
rituale, arte, riso, pianto, linguaggio, superstizione e genio scientifico"
12
. Questo passo
consente di cominciare a rilevare un aspetto centrale del pensiero di Langer. La
simbolizzazione, essendo il punto di partenza di ogni interiezione, si configura come il
luogo fontale non solo del linguaggio, quale sua terminazione più naturale e disponibile,
ma anche di quell’insieme di manifestazioni umane che vanno dai fenomeni rituali, a
quelli artistici.
11
L. FORMIGARI, Considerazioni sull'estetica di S. Langer, "Rivista d’estetica 11(1966), pp. 423-435,
osserva come Langer, riconducendo la simbolizzazione a processi elettrochimici che hanno luogo nel
cervello, sembra sventare un eventuale rischio idealistico. In realtà, tale rischio –secondo Formigari-
riemerge quando Langer intende la trasformazione simbolica anche, si è visto, come un’attività spontanea
che, nascendo da una necessità umana primaria, sorge senza intenzioni, senza adattamento ad un fine
conscio. In tal modo, infatti, sembra che venga chiamato in causa proprio quel carattere spontaneo
attribuito da Kant all'intelletto come facoltà che produce da sé rappresentazioni, cosicché, nonostante le
cautele di Langer, la dimensione idealistica continuerebbe ad agire all'interno del sistema. Il rischio
idealistico consisterebbe nel fatto che la funzione simbolica, intesa come attività spontanea,
richiamerebbe in causa proprio quello spirito umano trascendentale che Langer aveva esplicitamente
rifiutato: "Una lettura empiristica dell’opera della Langer, specie nella sua edizione più organica che è
Feeling and form, e chiaramente smentita (...) dalla sua concezione del simbolo artistico come forma
spontanea, che pare ritagliarsi per virtù propria nel flusso della coscienza, onde la funzione simbolica
sembra risolversi proprio in una funzione spontanea di quello spirito umano la cui presupposizione era
stata indicata come vizio idealistico, o almeno come rischio idealistico, di una filosofia delle forme
simboliche": ivi, p.425.
In realtà, la critica è divisa fra coloro che portano avanti una lettura idealistica del pensiero di Langer,
e coloro che, invece, sostengono una opinione contraria: cfr. per esempio, R. BARILLI, L'estetica di
Susanne K. Langer, "Rivista di estetica" 6 (1961), pp.227-248 ed anche D. LAURIA, La teoria estetico -
simbolica di Susanne K. Langer, "Filosofia e società" 4 (1976), n.13, pp. 3-7. Ciò è dato dal fatto che i
testi langeriani contengono appigli per entrambi le posizioni, di modo che, forse, il punto della questione
è un altro, vale a dire il fatto che Langer, muovendosi, come avremo modo di vedere meglio in seguito,
sul crinale tra un'impostazione di carattere neopositivistico ed una prospettiva cassireriana,
necessariamente di stampo idealistico, si trova molto spesso ad oscillare tra quei due poli in una tensione
continua. Più che cercare di ricondurre il suo pensiero ad una sfera di influenza piuttosto che all'altra è
forse, quindi, opportuno, tenendo sullo sfondo una tale problematica, rilevare i luoghi dove la tensione si
trasforma in conflitto aperto.
12
LANGER, Filosofia in una..., cit., p.68.
7
Scrive Langer:
"II linguaggio è, in realtà, la più disponibile delle terminazioni attive di quel
processo del cervello che può essere chiamato: trasformazione simbolica di
esperienze (...). Le parole sono certamente i nostri più importanti strumenti di
espressione, i nostri utensili più caratteristici, universali ed invidiabili nella
condotta della vita (...) Ma, in realtà, il linguaggio è l’uscita naturale di un solo
genere di processo simbolico"
13
.
Ciò significa che il processo di continua elaborazione del materiale percettivo si
realizza a diversi livelli e con distinte modalità, e quindi non approda solo al linguaggio
e a1 pensiero scientifico, ma, secondo Langer, contempla, quali sue ulteriori
terminazioni, anche i1 rito, il sogno e l’arte. In tal modo il processo simbolico spiega,
essendo la "chiave di questo processo costruttivo"
14
, tutto l’insieme delle manifestazioni
umane: ciascuna di queste, infatti, è a sua volta un modo simbolico, cioè, una risposta
attiva dell’uomo verso il mondo.
Il primo passo della considerazione di altre forme simboliche, oltre il pensiero
scientifico, in vista di una loro rivalutazione, è quello di una diversa considerazione del
livello percettivo, i1 quale non è più da riguardare come stadio passivamente ricettivo
verso 1a realtà, ma come a suo modo percorso da una istanza attiva.
13
Ivi, pp.69-70 passim.
14
Ivi, p.45. In virtù della sua capacità di render ragione di fenomeni altrimenti difficilmente spiegabili, la
simbolizzazione è definita da Langer "nuova idea generativa" : ivi, p.41. Più in generale, le idee
generative sono "i termini in cui le teorie vengono concepite; danno origine a domande specifiche e sono
articolate solo nella forma di tali domande": ivi, p.25. In altri termini, una idea ha un potere di generare,
aprire nuove domande, un potenziale che, quando si esaurisce, porta alla dissoluzione della idea stessa. A
tal proposito, si veda PERCY, Symbol as need, cit., p.380.
8
Secondo Langer, l’esperienza percettiva è la più originaria attività di
simbolizzazione, essendo anch’essa
"un processo di formulazione. Il mondo che in realtà colpisce i nostri sensi non è
un mondo di 'cose', circa le quali siamo invitati a scoprire fatti non appena si sia
codificato il necessario linguaggio logico che permetta di farlo (…) [Dal mondo
della pura percezione] i nostri organi di senso debbono selezionare certe forme
predominanti, se debbon riuscire a registrare cose e non puri 'sentiti' confusi.
L'occhio e l’orecchio devono avere la loro logica - le loro ‘categorie
dell'intellezione’ se si preferisce un parlare kantiano"
15
.
Secondo Langer, quindi, la percezione non si presenta come momento di passivo
accoglimento di dati, ma come primo gradino del processo di formulazione nel quale i
sensi procedono alle loro astrazioni, alla loro peculiare elaborazione di forme.
In tal modo, Langer intende riconoscere uno statuto razionale anche alle
esperienze percettive, che di solito sono invece riguardate come pre-razionali:
"Ogni sensitività porta lo stampo del fatto mentale. 'Vedere' (...) non è un processo
passivo, tramite il quale impressioni senza significato vengano immagazzinate per
poi essere usate da una mente organizzatrice, che costruisca forme da questi dati
amorfi (… ) 'Vedere' è già, in sé, un processo di formulazione"
16
.
In questa prospettiva, 1o sguardo della scienza verso il mondo diventa uno dei
possibili sguardi, quindi né l’unico né quello in grado di svelarne il "vero senso".
15
Ivi, pp.124-125.
16
Ivi, p.126.
9
Infatti, "non esiste nulla che sia la forma del mondo 'reale'; la fisica è un modulo
che può esservi scoperto, l’apparenza, cioè a dire il modulo delle cose con le loro
qualità e caratteri, è un altro"
17
.
Ciò che Langer rivendica per 1a "concezione sensuosa" è una sua specificità.
irriducibile al "modulo fisico": essa non è "un tentativo primitivo e brancolante di
concezione fisica" - questo sarebbe un "errore fatale"
18
-, ma realizza le sue peculiari
astrazioni. Essa ci offre forme visive, sostiene Langer, e si configura come un
simbolismo - che più oltre verrà definito presentazionale - diverso da quello discorsivo,
un simbolismo nelle cui forme trova espressione la natura stessa, quando ci parla
attraverso i sensi in forme e qualità
19
. Nella prospettiva langeriana il mondo ci parla
solo in forme. Infatti, "non ha senso cercare di comunicare la realtà pura e semplice,
l'esperienza stessa non lo può fare. Ciò che noi comprendiamo, lo concepiamo, e la
concezione implica sempre formulazione, rappresentazione..."
20
. Ogni volta ciò in cui ci
s’imbatte è solo il grado di rifrazione con cui le forme simboliche ripropongono il
mondo. E i1 primo grado di rifrazione è, come si è visto, quello che pertiene alla
percezione, proprio in quanto essa è l’originaria attività di simbolizzazione.
17
Ivi, p.127. Lo stesso CASSIRER, Filosofia delle forme.., cit., vol. I, p.55, scrive che ogni volta che la
coscienza si volge a considerare la verità della realtà non incontra che la sua operatività verso la realtà,
perché " la suprema verità oggettiva che si dischiude allo spirito è in definitiva la forma del suo proprio
operare". Cfr. anche CASSIRER, Saggio sull’uomo, tr. it. di C.d’Altavilla, Armando Roma 1971, p.80:
“L’uomo non si trova più direttamente di fronte alla realtà; per così dire, egli non può più vederla faccia a
faccia. La realtà fisica sembra retrocedere via via che l’attività simbolica dell’uomo avanza. Invece di
avere a che fare con le cose stesse, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se
medesimo”.
18
LANGER, Filosofia in una..., cit., p.128.
19
"La natura ci parla, prima che in ogni altro modo, attraverso i sensi: le forme e le qualità che
distinguiamo, ricordiamo, immaginiamo o riconosciamo sono simboli di entità che eccedono la nostra
esperienza momentanea e le sopravvivono...": LANGER, Filosofia in una...,cit., p.130.
20
LANGER, Problemi dell'arte, tr. it. di Maria Attardo Magrini, Il Saggiatore, Milano 1962, p.97.