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1.1 INTRODUZIONE
A partire dai primi anni del secondo dopoguerra, l’economia italiana fu investi-
ta da un grande processo di trasformazione di carattere strutturale.
In primo luogo è bene, però, non dimenticare lo sconvolgimento profondo che
le vicende belliche determinarono nell’assetto produttivo italiano.
“Sulla base di stime attendibili, il comparto patrimoniale nazionale, valutato ai
prezzi del 1938, risultava diminuito di un terzo. Il 1947 fu il periodo in cui si
cercò di dare assetto all’attività produttiva del paese, cominciando dal risana-
mento monetario, attraverso un insieme di misure restrittive.”(Caffè, 1996)
A partire dal 1950 vi fu lo sviluppo della produzione industriale e del commer-
cio estero.
L’agricoltura, pur cedendo manodopera e superficie coltivata, incrementava sia
la quantità prodotta sia, ovviamente, i rendimenti per unità messa a coltura. La
base industriale si potenziò, si accrebbe il numero di imprese che, progressiva-
mente tendevano a diffondersi sul territorio.
I ritmi di crescita di alcune regioni italiane erano senza precedenti, si assisteva
a quello che sarà denominato “il miracolo italiano”. Il reddito nazionale (a
prezzi correnti) che nel 1947 sfiorava i 5.500 miliardi di lire, nel 1951 si rad-
doppiava e dieci anni più tardi si quadruplicava (21310 miliardi di lire). Tali
progressi non riuscirono però a debellare la miseria ed ad assorbire la massa dei
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disoccupati, che pur diminuendo rimaneva cospicua. Quindi la crescita dell' e-
conomia non è stata esente da ombre, la principale delle quali era rappresentata
dalla forte concentrazione territoriale dei potenziali produttivi. L’industria si
sviluppava soprattutto nel NORD-OVEST del paese. (Celant, 1994)
Nel resto d’Italia le strutture produttive non mostravano analoga vivacità e nel-
le aree più a SUD si produceva per la sola sussistenza. Tra il 1951 e il 1961
quasi due milioni di abitanti abbandonavano il Mezzogiorno per recarsi in altre
regioni italiane o per espatriare. Il decollo economico del triangolo industriale1,
se contribuiva a dotare di connotati europei la nuova industria italiana, rendeva
sempre più grave ed evidente l’isolamento e l’emarginazione delle regioni me-
ridionali. (Celant,1994)
L’espansione dell’economia italiana ebbe tre grandi conseguenze:
• aumento del margine di profitto delle imprese;
• il rafforzamento dei monopoli;
• l’accentuarsi degli squilibri zonali e settoriali tra parti sviluppate e depresse
del paese;
Questo non significava che il meridione d’Italia era totalmente sottosviluppato,
infatti se si analizza l’economia del Mezzogiorno in quegli anni si nota che v'e-
rano delle zone “relativamente sviluppate”. Analizzando per le otto regioni me-
ridionali i divari tra i valori medi del reddito lordo prodotto sui rispettivi territo-
ri si può concludere che:
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• La regione campana si poteva considerare già sviluppata in quanto il valore
del prodotto lordo per Kmq. era superiore alla media nazionale;
• Le regioni Puglia e Sicilia si potevano già considerare “abbastanza sviluppa-
te”, in quanto avevano un prodotto interno lordo che si aggirava sul 75% ri-
spetto a quello medio italiano;
• Le restanti aree , però, erano in condizioni di sottosviluppo o di arretratezza,
sia rispetto allo sviluppo medio dell’economia nazionale, sia rispetto a quello
medio dell’Italia meridionale in complesso.
Le città meridionali maggiormente evolute erano Napoli e Taranto, seguite da
Caserta, Catania, Bari e Lecce. (Cao-Pinna, 1979).
1.2 LE CAUSE DIVARIO TRA NORD E SUD
Nella ricerca delle cause che hanno generato il crescente divario tra le regioni
del Nord e quelle del Sud d’Italia non bisogna fare l’errore di ricercare delle
motivazioni comuni a tutte le regioni meridionali. Le cause di queste disegua-
glianze sono diverse per ogni regione.
In via generale si possono innanzitutto considerare i “fattori strutturali” (posi-
zione geografica, caratteristiche morfologiche dei territori, risorse naturali,
ecc.), che hanno esercitato una diversa influenza sullo sviluppo delle regioni
meridionali.(Cao-Pinna, 1979)
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L’area compresa tra Torino, Milano e Genova
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La posizione geografica ha svolto un ruolo frenante per lo sviluppo delle regio-
ni interne (Abruzzo e Basilicata), mentre ha favorito la crescita della Puglia,
della Campania e della Sicilia. Anche le caratteristiche geo-morfologiche dei
territori hanno svolto un ruolo negativo solo per le regioni con suoli fragili e
scarsa fertilità dei terreni (Molise e Basilicata). La scarsa disponibilità di risorse
naturali (acqua) ha frenato l’economia della sola Puglia.
Altre cause del divario Nord-Sud hanno origini antiche e sono da ricercarsi nel-
le politiche dei governi che hanno amministrato il Mezzogiorno (i Borboni
prima e i Savoia dopo), minimamente interessati a sviluppare l’economia meri-
dionale.
I Savoia infatti favorirono lo sviluppo delle sole regioni settentrionali più pros-
sime alle nascenti industrie dell’Europa Centrale.(Cao-Pinna, 1979)
Altre cause di questa situazione sono da vari meridionalisti da ricondursi a:
• Parziale e inadeguata conoscenza delle caratteristiche produttive dell’area;
• Mancanza di infrastrutture che collegano le città Meridionali tra loro e con i
principali centri economici del Centro/Nord, generando un isolamento delle
città e delle poche attività produttive che nascevano nella zona;
• Mancanza di un adeguato mercato locale in grado di assorbire la produzione
industriale ed artigianale;
• Mancanza, a differenza del Nord, di uno spirito mercantilista;
• “Mancanza di un armonico sviluppo urbano”(Compagna, 1967);
• Coltivazione estensiva dei latifondi, praticata con tecniche superate e con cri-
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teri di puro sfruttamento. La produzione agricola che s'otteneva superava di
poco il fabbisogno della popolazione, facendo mancare i presupposti per la
crescita di un adeguato mercato;
• Diversa destinazione, rispetto al settentrione, delle rendite fondiarie (conse-
guenza di una differente mentalità delle classi terriere). “L’agricoltura pada-
na impegnando maggiori quantità di macchinari e fertilizzanti riusciva a mi-
gliorare il volume e il tipo di produzione. Il Mezzogiorno, invece, era pur
sempre in ristagno capace di trasformare se stesso soltanto con lentezza” (E-
ckaus, 1961).
• “Presenza di fattori inerziali legati alla persistenza di forme sociali, di un
mondo imprenditoriale, quanto mai statici e incapaci di introdurre e di rece-
pire miglioramenti sia nelle tecniche produttive, sia nelle scelte delle coltu-
re”.(Celant, 1994)
Infine un contributo ad un considerevole ampliamento degli squilibri era offerto
dalla grave crisi recessiva che negli anni 1929-1930 colpì l’economia mondiale.
Per risollevare l’economia nazionale il governo fascista decideva di favorire il
settore secondario, con un massiccio ricorso alle opere pubbliche, e tramite ri-
strutturazione del mercato finanziario . Unico settore a pagare per intero le con-
seguenze della crisi fu quello agricolo, su cui si poggiava tutta l’economia me-
ridionale (Celant,1994).
“Inoltre nell’immediato dopoguerra, il venire meno delle misure di razionamen-
to, di ammasso e di controllo dei prezzi, l’emissione di moneta da parte delle
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autorità alleate di occupazione (le cosiddette Am-lire), l’interruzione dei rifor-
nimenti dal Nord, contribuirono a determinare nel Mezzogiorno un’inflazione
assai rapida e intensa; nelle altre regioni l’aumento dei prezzi risultava invece
più graduale ed ebbe effetti meno sconvolgenti”.(Cafiero, 1989)
1.3 EVOLUZIONE DEGLI SQUILIBRI ECONOMICI NEGLI ULTIMI 50
ANNI
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale poco meno della metà della superficie
e della popolazione dell’Italia Meridionale versava in una situazione di cronico
sottosviluppo. I divari economici erano accompagnati da un livello di
infrastrutturazione del territorio assai modesto.
Ciò provocava forme a volte molto elementari di complessità territoriale, eco-
nomica e sociale del tutto insoddisfacenti, dati i tempi, rispetto alle situazioni
presenti in altri paesi.(Celant, 1994)
Nel Mezzogiorno, al contrario del settentrione, mancavano le reali prospettive
di sviluppo.
“Non era difficile di fronte a questo quadro” - scrive Saraceno - “pensare che in
mancanza di misure si sarebbe avuto un aggravamento della questione meridio-
nale [...]. In sostanza, il divario Nord-Sud, già grave prima del conflitto, non
poteva non essere aggravato dal tipo di ricostruzione che si sarebbe determina-
ta in assenza di condizionamenti ispirati al pensiero che occorrerebbe intra-
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prendere subito una politica di industrializzazione del Sud”.
Dal censimento del 1951 risulta che il 32.1% della popolazione era occupata
nell’industria, ma a livello provinciale si osservavano vistosi divari. Nel Nord
vi era una media di occupati nel settore secondario del 50%, mentre nel Sud si
aggirava sul 15% (Celant, 1994).
L’industria meridionale era basata su un comparto industriale debole e arretra-
to, nella gran parte dei casi, incapace di generare redditi superiori alle più che
modeste esigenze di sopravvivenza degli abitanti.
I politici del paese orientarono le loro scelte verso un’azione di potenziamento
di quelle attività economiche (industria) che più di altre avrebbero potuto con-
tribuire alla crescita economica nel suo complesso. Nei confronti del Sud si
preferì mantenere un atteggiamento di elargizione di soccorsi concentrando sol-
tanto piccole quote di risorse finanziarie per lo sviluppo e la razionalizzazione
dell’agricoltura. Inoltre fu avviata una politica di infrastrutturazione del territo-
rio, allo scopo di dotarlo di un maggior capitale fisso sociale.(Celant, 1994) Bi-
sognò attendere che il malessere contadino del Sud trovasse la sua espressione
politica nel movimento organizzato per l’occupazione delle terre perché si de-
cidesse di compensare il Mezzogiorno di un indirizzo di politica generale che si
era dimostrato ad esso non favorevole: si giunse così, nel 1950, alla riforma a-
graria.
“Nelle aree marginali del Mezzogiorno, grazie all’azione esercitata
dall’ammodernamento del settore agricolo e agli effetti moltiplicativi della spe-
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sa pubblica si ebbe un netto miglioramento del quadro sociale, che però non po-
teva mai bilanciare la crescita economica indotta dal forte sviluppo industriale
del Settentrione.” (Celant, 1994)
Quindi, nel corso degli anni 50, l’economia italiana nel suo complesso migliorò
e anche il Meridione conobbe un netto miglioramento.
Al Censimento del 1961 nel Sud gli occupati nel settore secondario erano circa
2 milioni pari al 25 per cento del totale. Nel biennio 1962-1963, alla fase di
piena espansione dell’economia italiana, successe una situazione di crisi, in
parte in rapporto con la difficile congiuntura internazionale, in parte per un in-
sieme di cause interne.
Durante gli anni 1963-1964, la congiuntura economica, mostrava confortanti
sintomi di ripresa, grazie anche ai vari provvedimenti governativi.
In questi anni l’attività a favore delle aree sottosviluppate si andava incremen-
tando, finalmente si iniziava a finanziare il settore industriale favorendo la na-
scita di nuovi insediamenti industriali che favorivano forme di avvio produttivo
che risultavano però territorialmente circoscritte, generando una sorta di squili-
bri negli squilibri. In linea generale, grazie ai primi interventi straordinari la di-
stanza economica fra le provincie più ricche e le più povere metteva in eviden-
za sintomi di riavvicinamento (Celant, 1994).
Nel 1971 il reddito pro capite in Italia spaziava da 56 a 136, fatta la media na-
zionale uguale a 100. Si notava una distribuzione abbastanza continua fra il mi-
nimo e il massimo, con otto regioni sopra la media, dieci al di sotto e due molto
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vicine alla media stessa. “Le prime otto erano tutte regioni settentrionali, salvo
il Lazio e la Toscana, le altre dieci sono tutte centrali e meridionali, le ultime
due, quelle vicine alla media, sono il Veneto e il Trentino-Alto Adige. Il disli-
vello attuale si è ridotto rispetto a quello che si aveva nel 1951, quando gli indi-
ci spaziavano da 57 a 163. Il reddito pro capite è aumentato in questo periodo
di oltre 5 volte in termini monetari, ma la graduatoria delle regioni è mutata ben
poco (14 hanno mantenuto lo stesso posto)”. (Costa, 1997)
Nel 1971 i sistemi territoriali meridionali risultavano economicamente rinforza-
ti, ma non era diminuita la distanza che li separava dalle ricche aree industriali
del Nord. Il Meridione era ancora carente sotto vari aspetti.(Celant,1994)
Nel 1973 ci fu la guerra nel KIPPUR che comportò una congiuntura a livello
internazionale con considerevoli rincari nei prezzi dei prodotti petroliferi e del-
le materie prime. Si decise di accantonare la politica di sviluppo del Meridione
per cercare di non indebolire la struttura produttiva nel suo complesso.
“Di fronte a forti crisi di bilancia dei pagamenti, verificatesi nel 1973-1974 e
nello scorcio iniziali degli anni ottanta, la condotta dei responsabili della politi-
ca economica si ispirava al modello del 1947: il ripristino cioè della solvibilità
esterna con l’adozione di severe restrizioni creditizie con conseguente grave
caduta dei livelli degli investimenti e dell’occupazione” (Caffè, 1996).
Per l’autore del brano si trattava di un cammino obbligato, data la pratica im-
possibilità di utilizzare adeguatamente lo strumento della politica fiscale, sia ai
fini di una perequata ripartizione degli oneri, sia ai fini di una sollecita attua-
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zione di spese destinate a svolgere un ruolo propulsivo e ad attenuare nel con-
tempo annose carenze delle infrastrutture sociali.
Il periodo di crisi economica portò alla formazione di piccole e medie imprese,
più capaci di adattarsi ai cambiamenti economici. Si affermò, durante gli anni
80, il settore del terziario avanzato, per l’affermazione della nascente rivoluzio-
ne tecnologica.
Pur in assenza di una adeguata politica di potenziamento del sistema produttivo
meridionale, nel corso del decennio 1970-1980 i divari regionali continuavano
a mostrare modeste tendenze riequilibratrici. I sistemi territoriali meridionali si
erano sensibilmente evoluti, anche se al loro interno avevano preso piede ritmi
diversificati di sviluppo. Vi era la concomitante presenza di aree in fase di evo-
luzione con aree sostanzialmente statiche, a cui si aggiungevano aree che ver-
savano in una fase recessiva.
Nel 1984 venne soppressa la Cassa per il Mezzogiorno e nel 1986 fu istituita
l’Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno.
Durante gli anni ‘90 iniziava un periodo di grave crisi economica che porterà
alla svalutazione delle moneta e all’aumento dell’imposizione fiscale per col-
mare il pesante deficit pubblico. Il Sud ne verrà duramente colpito, si assiste al-
la crisi dei grandi stabilimenti industriali costruiti negli anni ‘60 e che non sono
stati in grado di promuovere un indotto locale. Secondo uno studio condotto da
IMPRENDITORIALITA’ GIOVANILE Spa, “nel biennio ‘93-94 le azioni re-
gionali di promozione d’impresa hanno accentuato il contrasto tra Nord e Sud.
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Nel Nord, dove le leggi regionali hanno sempre avuto un profilo basso in ter-
mini d’erogazioni ma hanno coinvolto migliaia di micro imprese, gli anni ‘92-
93 hanno visto il rilancio di questi strumenti. Nel Sud, dopo il grande dispendio
di soldi e di attenzione politica, le leggi regionali si sono sostanzialmente inari-
dite” (Ig Spa, 1998). Per analogia all’arretratezza valutata nel contesto generale
delle regioni del Mezzogiorno si contrappone la vivacità di alcune zone delle
Marche meridionali, della Puglia centrale e della Campania centrale.
1.4 L’INTERVENTO STRAORDINARIO NEL MEZZOGIORNO
1.4.1 La Cassa per il Mezzogiorno
Nel periodo successivo alla Seconda guerra Mondiale “si assiste alla nascita
della pianificazione territoriale e alla sua evoluzione da un concetto puramente
statico, teso a regolare l’occupazione del suolo più che a stimolare gli aspetti
creativi, ad un concetto dinamico ispirato al principio che pianificare il territo-
rio significa favorire una sana struttura nella distribuzione geografica della po-
polazione e della produzione, come condizione essenziale di una stabile cresci-
ta economica e di un adeguato sviluppo economico”(Pescatore, 1972).
L’avvio della politica di intervento pubblico per favorire lo sviluppo del Mez-
zogiorno rappresentava una svolta storica negli indirizzi di politica economica
in Italia, secondo G. Ciranna “rappresenta il momento in cui lo stato, al suo li-
vello più alto di rappresentatività e facendosi finalmente interprete di tutta la
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comunità nazionale, diventa di fatto stato democratico ad affronta carenze e
nodi storici di arretratezza e di sotto-sviluppo come la questione agraria e la
questione meridionale nel senso più lato, di compendio degli squilibri in tutti i
campi fra le “due italie” con una visione più organica del problema e con mezzi
più consistenti di quelli impiegati nei primi timidi tentativi”. Il Compagna vide
subito nell’istituzione della politica di intervento pubblico la prima grande oc-
casione per il Mezzogiorno dopo quasi un secolo dal compimento dell’unità, da
cogliere con estremo impegno.
La prima fase degli interventi corrispondeva alla riforma agraria; c’erano moti-
vi che allora sembravano validi per porre al primo posto tale provvedimento: la
carenza di generi alimentari che attanagliava il paese, la massa di disoccupati
meridionali, la diffusa sfiducia nelle potenzialità industriali del Sud.
Il modo in cui la riforma fu attuata sminuì molto la sua efficacia: “L’opera di
riforma, già manchevole nella sua impostazione, non ebbe, peraltro, il sostegno
di una serie coordinata di interventi che non ne disperdessero i possibili frutti”
(Biondi e Coppola, 1974).
Per superare i tradizionali squilibri del Mezzogiorno lo sviluppo agricolo non
poteva bastare, “l’agricoltura è in se un settore incapace di costituire la base di
una società civile e di una economia moderna nelle regioni meridionali” (Rossi-
Doria, 1968).
L’idea di un intervento pubblico per lo sviluppo del Mezzogiorno viene discus-
sa, anche, nel corso delle trattative con la Banca Mondiale (BIRS), alla quale
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già nell’agosto 1947 il nostro governo aveva avanzato domanda di prestito.
L’idea che il prestito avrebbe potuto favorire il varo di un programma di svi-
luppo del Mezzogiorno, garantendo la copertura valutaria delle maggiori
importazioni che ne sarebbero conseguite, fu avanzata da Donato Menichella,
governatore della Banca d’Italia. Per l’approvazione del prestito ebbe un
importante ruolo il contributo dato da P.N. Rosenstein-Rodan.
In Italia l’atto formale di nascita della politica meridionalista è rappresentato
dalla legge 646 del 10 Agosto 1950 mediante la quale viene istituita la
“CASSA PER LE OPERE STRAORDINARIE E DI PUBBLICO INTERESSE
NELL’ITALIA MERIDIONALE” (Cassa per il Mezzogiorno).
Con l’istituzione della Cassa il problema meridionale veniva affrontato per la
prima volta non più con riferimento ai singoli e specifici problemi afferenti ai
vari settori, ma attraverso azioni coordinate in un quadro d’insieme che tenesse
conto della necessità di uno sviluppo organico e globale dell’economia meri-
dionale.(Celant, 1994)
Il territorio di competenza di questo nuovo organo interessava tutte le regioni
situate a Sud dal Lazio e delle Marche, più alcuni territori laziali, marchigiani e
toscani (vedi figura 1.1).
La dotazione iniziale di capitale della Cassa ammontava a mille miliardi da uti-
lizzare nell’arco di dieci anni. Circa il 70% delle assegnazioni era destinato alle
opere di trasformazione agricola e circa il 30% alle opere civili.
La fase della “preindustrializzazione” fu caratterizzata da una diffusione gene-
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ralizzata di infrastrutture su tutto il territorio delle aree depresse e della Cassa.
Ciò era consono, anche se l’applicazione comportò non poche distorsioni, alle
teorie che a quell’epoca andavano per la maggiore: si pensava, in sostanza, che
le infrastrutture pubbliche dovessero precedere gli investimenti industriali, i
quali sarebbero stati da esse richiamati ed incoraggiati. “Specialmente nel Sud
ci fu comunque un’aberrazione di questo principio, nel senso che le infrastrut-
ture furono disseminate “a pioggia” sul vasto territorio, senza alcun criterio di
priorità spaziale” (Costa, 1997).
Vengono progettati ed eseguiti lavori di bonifica e di irrigazione; si costruisco-
no nuovi acquedotti e si migliora la viabilità.
Il compito di formulare la strategia globale apparteneva al Comitato dei Mini-
stri per il Mezzogiorno, mentre alla Cassa erano affidate le funzioni di proposta
e di attuazione dei programmi.(Celant, 1994)
In un convegno tenutosi a Napoli nel Novembre 1953, P.SARACENO sostiene
come “l’industrializzazione non è un processo da avviare solo dopo che saran-
no costituite condizioni ambientali compatibili a quelle dei distretti industria-
lizzati”, era necessario passare subito da una fase di pre-industrializzazione a
una fase di industrializzazione vera e propria.