2
E’ stato, dunque, descritto lo sviluppo dell’uomo come un
processo ugualmente biologico e psicologico, uno sviluppo che, in
condizioni di “normalità” porta l’individuo a vivere nell’armonia
dell’integrazione tra gli aspetti corporei e quelli psichici, mentre in
condizioni di patologia determina una menomazione e dello sviluppo
e della dialettica tra mente e corpo.
La non – integrazione tra le componenti somatiche e le
componenti psichiche e la relativa incapacità di simbolizzazione,
porta, dunque, il soggetto a scegliere il corpo come unica via per
scaricare le proprie tensioni. Si assiste in questi casi ad una scissione
psico – somatica.
Vengono poi trattate tutte quelle reazioni psicosomatiche che si
situano nel percorso che va dalla “normalità” alla patologia
psicosomatica, che hanno la caratteristica di essere transitorie e
guidate dal meccanismo della regressione.
Anche nella gravidanza esiste la possibilità di porsi tra questi
due estremi normale e patologico.
L’aborto, il parto prematuro, sono stati letti come fenomeni
appartenenti al versante patologico, mentre le normali implicazioni
mente – corpo, sono state lette come le equivalenti fisiologiche. In
3
entrambi i casi, comunque, si tratta di un modo specifico della
relazione mente – corpo.
Nel secondo capitolo viene trattata la prima parte dell’indagine
empirica. Viene descritto il gruppo d’osservazione delle 81 gestanti, in
base all’età, alla scolarità, al livello socio culturale e ad altre
caratteristiche personali.
Per la raccolta dei dati anamnestici e per raccogliere
informazioni circa la loro gravidanza ho somministrato loro un
questionario. A questo seguiva il test di Rorschach.
Dopo la tabulazione dei dati ottenuti vengono riportati i relativi
significati, ovvero l’interpretazione di questi.
La seconda parte dell’indagine empirica, riportata nel terzo
capitolo, nasce dall’esigenza di osservare se, nelle stesse donne anche
se in un numero minore, le dinamiche emergenti dalla prima
somministrazione avessero o meno subito delle variazioni.
Desidero ringraziare il Prof. Rosario Leonardi, direttore della
Clinica Ostetrica e Ginecologica del Policlinico Universitario di
Messina, che mi ha dato l’opportunità di incontrare e intervistare le
donne ricoverate presso la clinica. Ringrazio la dott. ssa Maria C.
Quattropani per gli indispensabili consigli fornitimi per la trattazione
dello sviluppo biologico del Sistema Nervoso.
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Ringrazio il prof. Stefano Boca e la prof. Anna Maria Milito per
avermi dato un valido aiuto nell’applicazione degli indici statistici.
Un ringraziamento particolare lo rivolgo alle 81 donne che
pazientemente hanno accettato di farsi intervistare e a tutti i miei
amici che in questo tempo di ricerca mi hanno sostenuta e
incoraggiata.
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CAPITOLO PRIMO
LA RELAZIONE MENTE – CORPO
§. 1 INTRODUZIONE
Sin dagli albori dello studio sull’esistenza umana l’uomo si è
imbattuto nell’enigma della propria natura: siamo corpo, costituiti
essenzialmente dall’organicità, o è la psiche
1
il centro del nostro
essere? O siamo entrambe le cose? E se è così, questi due “elementi”
hanno un rapporto di reciprocità o vivono separatamente?
Tali dilemmi sono stati e, sono ancora, interrogativi nodali nel
cammino sulla conoscenza dell’uomo.
In passato, sono state tracciate, varie ipotesi, soprattutto in
ambito filosofico. La separazione tra l’entità materiale (res extensa) e
il pensiero (res cogitans) operata da René Descartes permase per dei
secoli; imperava, dunque, un dualismo: ciò che è concreto (il corpo),
va nettamente differenziato da ciò che è invisibile (lo spirito), poiché,
secondo Cartesio, se constatiamo che questi due aspetti sono distinti
allora vuol dire che sono realmente separati.
1
I concetti di psiche e mente sono qui utilizzati indistintamente, poiché è stato loro attribuito lo
stesso significato.
6
Questa concezione che distingue nell’essere umano la
corporeità dalla spiritualità ha influenzato massicciamente la visione
successiva delle scienze mediche occidentali; per questo i medici,
tradizionalmente, fino a qualche tempo fa, si sono focalizzati sul
sintomo organico, lasciando ad altri la dimensione spirituale: ai
filosofi, ai religiosi, agli psicologi.
Per lungo tempo, dunque, l’essere umano ha perso il suo
carattere di unicità, dimenticando di essere un’unità psicofisica.
L’antica dicotomia tra mente e corpo è adesso superata da una
visione olistica che si avvicina allo studio sull’essere umano, con
un’ottica ed una tecnica d’indagine multidimensionali, che mirano
all’esame di tutti gli aspetti che compongono l’uomo nella sua totalità:
quello biologico, quello psicologico e quello sociale.
Anche se nei paragrafi successivi tratterò separatamente lo
sviluppo del sistema nervoso e lo sviluppo psicologico, l’intento è di
giungere ad una visione integrata di questi processi, poiché la loro
evoluzione avviene in modo simultaneo.
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§. 2 LO SVILUPPO DELL’ESSERE UMANO: UN
PROCESSO BIOLOGICO E PSICOLOGICO
§. 2.1 LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO
Dall’incontro della cellula uovo con lo spermatozoo viene a
formarsi lo zigote. Questo, inizialmente diviso in due cellule, va
ripetutamente incontro ad un processo di divisione cellulare.
Successivamente ogni cellula si differenzia dall’altra in base
alla funzione che dovrà poi svolgere, raggiunge il proprio sito di
designazione e va a stabilire le adeguate relazioni funzionali con le
altre cellule.
E’ a questo punto (terza settimana di gestazione) che è possibile
differenziare nell’embrione, tre strati.
Lo strato più interno è l’endoderma, dal quale si svilupperanno
il tubo digerente, i polmoni e il fegato. Lo strato intermedio è il
mesoderma dal quale si origineranno i vari tessuti: connettivo,
muscolare e il sistema vascolare. Infine lo strato più esterno è
l’ectoderma dal quale prenderanno via il sistema nervoso centrale, il
sistema nervoso periferico e l’epidermide. Specificatamente dalla
placca neurale, che è una regione specializzata dell’ectoderma, si
formeranno i neuroni e le cellule gliali.
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Via via la placca neurale si ripiega per andare a formare il tubo
neurale. La parte caudale di questo darà origine al midollo spinale,
mentre la parte rostrale darà origine al cervello.
Tutti questi processi avvengono ad opera della nascita, sviluppo
e migrazione dei neuroni e delle cellule gliali che progressivamente
acquistano l’adeguata specializzazione aggregandosi tra di loro, e
comunicando attraverso il complesso sistema delle sinapsi.
Alla nascita, dunque, l’essere umano presenta un Sistema
Nervoso strutturato quasi completamente dal punto di vista
fisiologico: i neuroni si sono allungati adeguatamente e
potenzialmente tutte le spine dendritiche sono capaci di attivarsi in
tutte le direzioni.
Ma “lo sviluppo neuronale si svolge attraverso le interazioni che
intercorrono tra i neuroni e il loro ambiente”. (J.P.J. Pinel, 1990, p.
391).
E’ proprio l’“esperienza” che guida i neuroni nella scelta delle
connessioni da attuare, poiché i neuroni e le sinapsi che non saranno
attivati non sopravvivranno.
Il genetista Edoardo Boncinelli, sottolinea che, “mentre i
contatti portanti delle sinapsi sono stabiliti dai geni, altri contatti non
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sono specificati e sono attivati solo sulla base dell’esperienza”. (M.
Bologna, 2000, p. 1).
Ma qual è quest’esperienza dalla quale dipende il nostro futuro?
E. R. Kandel, chiama “periodi critici”, i momenti irreversibili di scelta
che il neurone sarà indotto ad operare per differenziarsi in una
direzione piuttosto che in un’altra, e aggiunge che “durante questi
periodi critici è necessario che il bambino interagisca con un ambiente
normale perché il suo sviluppo ulteriore proceda in modo
soddisfacente”. (E. R. Kandel, J. H. Schwartz, T. M. Jessell, 1985, p.
968).
Dunque, l’esperienza è quella che vive un bambino con il suo
ambiente, e quale potrebbe essere l’ambiente di un neonato se non
l’ambiente materno e familiare?
L’individuo ha la necessità di vivere in un adeguato contesto
familiare affinché proceda nello sviluppo percettivo e sociale, poiché,
è stato documentato che, “ gravi privazioni sociali e sensoriali durante
la prima infanzia possono avere conseguenze catastrofiche sullo
sviluppo successivo”. (Ibidem).
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§. 2.2 DAL PROCESSO BIOLOGICO ALLA NASCITA
PSICOLOGICA
Le ricerche in ambito neurofisiologico concordano con le
ricerche psicologiche nel ritenere che, all’inizio della vita, non esiste
differenziazione tra la dimensione somatica e quella psichica.
Nelle prime settimane di vita il neonato, secondo Margaret
Mahler (1972), vive in uno stato di primitiva confusione in cui
sperimenta soltanto un cumulo di sensazioni indifferenziate e non ha
alcuna consapevolezza della madre come fonte principale che soddisfa
i suoi bisogni, poiché le percezioni prevalenti sono di natura
propriocettiva ed enterocettiva. La sua unica necessità è di
raggiungere l’omeostasi fisiologica. Tale periodo è stato denominato
dall’autrice “ autismo normale”.
Questa è la fase governata dal “narcisismo primario” (S. Freud,
1914), in cui il neonato non ha la percezione del mondo esterno, le
percezioni, sono appunto solo di natura fisiologica, legate
fondamentalmente al bisogno.
Nel tempo, il bambino scivolerà nella successiva “fase
simbiotica” nella quale vigerà, per il neonato, l’esigenza di “una
fusione somatopsichica onnipotente, allucinatoria o delirante con la
rappresentazione della madre e in particolare l’illusione di un confine
11
comune a due individui che sono fisicamente separati”. (M. Mahler,
1978, p.79).
Il neonato è dunque talmente pervaso dall’esperienza corporea
da non riuscire a distinguere ciò che appartiene al suo corpo da ciò che
è esterno a lui; tratta gli oggetti con cui entra in relazione come se
fossero parti di se stesso, e crede, appunto, che lui e la madre siano la
stessa persona. A tal riguardo è utile ricordare quanto sostiene Didier
Anzieu (1994), e cioè che le prime esperienze che attua il neonato
sono proprio di natura corporea (“Io-pelle”), ed è dall’elaborazione di
questa che successivamente si avrà lo sviluppo del pensiero (“Io-
pensante”).
Egli dunque concorda con la Bick sull’importanza fondamentale
della pelle, nelle prime fasi della vita; pelle come mezzo attraverso il
quale il bambino, entra in relazione con il mondo.
La funzione della madre è proprio quella di “prima pelle
mentale” che permetterà attraverso le sue cure, la sua voce, il suo
odore, di salvaguardare il neonato in un ambiente contenitivo e
rassicurante, successivamente di portarlo alla differenziazione tra il
suo corpo e quello della madre stessa, così da sviluppare una
progressiva coesione e integrazione di un proprio Sé.
12
E’ fondamentale, dunque, che i “messaggi” corporei che il
neonato offre, poiché sono l’unica modalità comunicativa dei primi
mesi di vita, siano contenuti da un “ambiente sufficientemente buono”
(D. W. Winnicott, 1958) affinché vengano accolti e successivamente
elaborati, per poi poter diventare esperienza significativa per un
individuo che non ha ancora sviluppato la capacità di pensare.
Il passaggio obbligato è dunque quello che va da un rapporto
strettamente fisico e di sopravvivenza tra madre e bambino, ad un
rapporto emotivo e psicologico tra i due, come punto focale di accesso
alla formazione dell’identità e della capacità di pensare.
Occorre dunque una madre che sappia porsi come “ponte” tra il
bambino e l’ambiente circostante di cui ella è parte, tale da essere
“gradualmente testimone della realtà non-me, mediatrice degli oggetti
dell’ambiente esterno, mantenendo il punto di vista, il contatto con la
concezione soggettiva del bambino”. (G. Zanocco, 1998, p.81).
Pur se numerosi autori si sono soffermati sull’importanza della
madre come ambiente contenitivo e al tempo stesso stimolante per il
suo bambino, ho privilegiato le teorie sullo sviluppo dell’individuo
postulate da Bion e Winnicott, poiché si mostrano le più adatte per la
mia trattazione.
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W. R. Bion (1971) definisce “protomentale” quel periodo
iniziale di indifferenziazione dell’individuo, caratteristico della vita
intrauterina e delle fasi successive alla nascita.
In questa fase, il neonato, per l’assenza dell’apparato mentale
scarica sul corpo le emozioni e le angosce che non possono essere
elaborate.
Soltanto attraverso la madre, il bambino può affrontare i “dati
sensoriali grezzi” (Bion, 1962) provenienti dall’esterno.
Ella, grazie ad una buona funzione di “rêverie”, riuscirà ad accogliere
gli elementi frammentari dell’esperienza del neonato (“elementi
Beta”), introiettarli, dargli un significato (trasformandoli in “elementi
Alfa”), per poi restituirli, riproiettandoli, al suo bambino, così che egli
ne faccia un’adeguata esperienza.
Dunque, a parere di Bion, è solo grazie a questa “mediazione
materna” che l’individuo può procedere verso la costruzione della
mente, dei pensieri e dei simboli.
Tale funzione di rêverie è talmente importante che il suo
fallimento provoca gravi danni allo sviluppo dell’individuo: il neonato
sarà così costretto a reintroiettare nella sua “coscienza rudimentale”
gli elementi grezzi non metabolizzati.
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Reintroietterà, dunque, un “terrore senza nome” che provocherà
il rifiuto di un adeguato utilizzo dell’identificazione proiettiva, tale da
non permettergli di dare significato alle esperienze future, e di
sviluppare un adeguato apparato per pensare.
Anche D. W. Winnicott da’ una fondamentale importanza alle
prime fasi della vita dell’individuo.
Egli parte da questa considerazione: “All’inizio c’è la non -
integrazione, non c’è legame tra corpo e psiche e nessun luogo per una
realtà “non-me”. Teoricamente questo è lo stato originario, non
configurato e non pianificato. In pratica ciò non è vero perché il
bambino viene accudito, cioè amato, che significa amato fisicamente.
L’adattamento al bisogno è quasi totale”. (D. W. Winnicott, 1988,
p. 151).
Questa citazione sembra racchiudere le linee guida del pensiero
di Winnicott: alla nascita non esiste una differenziazione tra
l’ambiente del bambino e il bambino stesso, le uniche esperienze
percepite dal neonato sono di natura somatica, così come i segnali da
lui forniti.
E’ da questa modalità corporea che via via l’individuo
svilupperà un’autocoscienza grazie al progressivo “insediamento della
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psiche nel soma” che porterà all’integrazione psicosomatica. ( D. W.
Winnicott, 1965, p. 51).
Tale processo di costruzione dell’identità dell’individuo non
può avvenire se non all’interno di un ambiente facilitante.
Winnicott attribuisce la funzione di ambiente facilitante alle
cure genitoriali. La madre deve assolvere la funzione di “holding”:
deve porsi come involucro che contiene il suo bambino, fatto di
braccia che lo “sostengono” e lo “manipolano”, sia fisicamente,
“girandolo, mettendolo giù e su” (Winnicott, 1965, p. 84), sia
empaticamente, favorendo la progressiva integrazione dell’Io; occorre,
altresì, alimentarlo con sensibilità, calore ed affetto.
Oltre a tenerlo in braccio e a manipolarlo la madre deve
“presentargli gli oggetti”: “un bambino viene tenuto, manipolato in
maniera soddisfacente, e prendendo questo come assunto gli si
presenta un oggetto in maniera tale che la legittima esperienza di
onnipotenza da parte del bambino, non venga violata. Il risultato può
essere che il bambino è capace di usare l’oggetto e di credere che
questo oggetto sia un oggetto soggettivo e creato dal bambino”. (D.
W. Winnicott, 1971, p. 190).