4
diverse, secondo uno schema che risente molto della tradizione
umanistica, della ricerca di unità territoriale sulla base comune delle
genti e degli usi, sulla quale si adegua la mozione politica; dal
secondo emerge un procedimento diverso, per non dire opposto, che
privilegia la volontà politica romana di unificare e uniformare lo stato,
sfruttando proprio le oligarchie cittadine e le rivalità tra le diverse
città, che pur di mantenere una certa egemonia sulle altre, se ne
fanno le più fedeli servitrici. La sintesi di questi testi ci offre
dimensioni diverse per la lettura del rapporto uomo-territorio
all’interno di una regione, la quale non conosce bene i suoi confini
interni che sono confini tra città, ma tuttavia si riconosce parte di
uno stato, anche se legata ad esso tramite una serie di particolarismi
oligarchici e non ancora attraverso l’insieme di norme e principi che
formano uno stato.
La regionalizzazione, in questo modo, passa attraverso il
riconoscimento del regionalismo, anche se qui va inteso più come
campanilismo politico, attuato dalle classi più elevate per mantenere
il potere, che come l’insieme di cultura, arte, storia e tradizioni
popolari che caratterizzano un determinato territorio.
Prima di addentrarci nell’analisi del valore e della consistenza
che il Piccolpasso dà al termine “Umbria”, ai suoi confini, alle realtà
particolari che connotano la regione in modo del tutto singolare e
diversa da come la vedevano eruditi contemporanei, sarà opportuno
soffermarsi sulla figura dell’autore stesso, sull’oggetto specifico di
conduzione dell’indagine e tentare una breve collazione dei tre
manoscritti esistenti, per porre in luce le differenze e le diversità
legate, con tutta probabilità, ai diversi tempi di composizione.
5
CAPITOLO I
Fondamentali caratteri storico-politici dell’«Umbria»
1. Una regione tra istituzioni ed etnia.
«Fin dalla sua prima comparsa nella storia, l’Umbria presenta una
dualità destinata a non scomparire mai completamente»
2
. Non possiamo
non concordare con questa affermazione, soprattutto ripercorrendo le
tappe principali della storia di questa regione.
La suddivisione del territorio voluta da Augusto (27a.C.-14d.C.)
si impiantava sulle divisioni tribali presistenti alla conquista romana,
così «Umbriam agrumque Gallicum»
3
costituirono la Regio VI,
comprendente un vasto territorio che si estendeva dal Nera
all’Adriatico (escludendo Nursino e Piceno), da Rimini ad Ancona e
dal Casentino ad Otricoli. Ma il territorio alla destra del fiume Tevere,
Perugia inclusa, confluì nella «Regio VII», terra degli Etruschi.
Con Diocleziano (284-305d.C.), allo interno del piano di riordino
dell’Impero, i territori a ridosso della dorsale appenninica persero i
legami con le città della fascia costiera e furono inclusi nella nuova
provincia della «Tuscia et Umbria», il cui governo risiedeva a Firenze.
Ulteriore suddivisione, nel tardo IV secolo, portò alla creazione della
«Tuscia et Umbria annonaria», che comprendeva i territori
dell’Appennino nord-occidentale, precedentemente esclusi.
Sin dall’epoca romana si intravedono alcuni tratti, naturali e
artificiali, della regione e del suo sviluppo, e di come questi abbiano
facilitato, o negato, la gravitazione verso una zona a differenza di
2
H.Desplanques, Campagnes ombriennes, ed.it. a cura di A.Melelli, Perugia, 1975, p.141.
6
un’altra. Il Tevere ha funzionato come ostacolo per i traffici economici
o le influenze culturali molto più che l’Appennino. La via Flaminia,
prima di essere il passaggio facilitato delle orde barbariche che
scendevano dal nord, è stata la strada di pastori e commercianti, di
ingenti traffici di merci provenienti da tutte le parti dell’Impero.
Con la caduta dell’Impero Romano non v’è Umbria, come non si
può più parlare di regioni e suddivisioni. Dall’arrivo dei Goti in Italia
(488) e l’instaurazione del loro dominio (493), terminato con la «guerra
greco-gotica» (535-553), fino alla conquista longobarda (568-774), si
hanno quasi ottant’anni di guerre e conquiste che distruggono la
partizione romana, creando frammenti molteplici di territorio e di
potere. Alla fine di questo periodo emergerà il Ducato di Spoleto a
raccogliere l’eredità territoriale romana, ma con ampie mutilazioni.
Buona parte di quella che era la «Regio VI» sarà incorporata nei
domini dell’Esarcato, che attraverso il «corridoio bizantino» collegava
direttamente Ravenna a Roma. Con il passare del tempo la sovranità
bizantina su questi territori verrà sostituita da quella papale, creando
i presupposti territoriali dello «stato ecclesiastico».
Nuovi sconvolgimenti vengono a crearsi attraverso l’opera di
Federico I Barbarossa (1152-1190), ricordiamo il saccheggio di
Spoleto nel 1155 e la repressione di Assisi nel 1174. Ma è grazie
all’appoggio di questi che Perugia, a cui «l’imperatore lascia carta
bianca nelle sue terre»
4
, inizia la sua ascesa nella regione ed assurge
ad alto prestigio. Il Comune si espande a nord-est e piega le
3
Plinio il vecchio, Naturalis Historia, III, 112, Torino, Einaudi, 1984.
4
U.Nicolini, L’umbria nella frammentazione comunale e signorile, dipendenze politiche,
potestà locali, passaggi di dominio fino al Cinquecento, in Orientamenti di una regione
attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria, Atti del X
convegno di studi umbri, Gubbio 23-26 maggio 1976, Perugia, Università degli studi di
Perugia, p.195.
7
resistenze di Gubbio e Città di Castello; dopo questi successi si volge
ad ovest, verso il lago Trasimeno e quello che sarà il «Chiugi perugino»,
serbatoio indispensabile per l’economia cittadina.
Altre città di antica tradizione romana si organizzano in forti
comuni, capaci di radunare un esteso contado: Narni, Orvieto, Todi,
Assisi e Foligno; ma anche piccole comunità come Otricoli, Miranda,
Stroncone e San Gemini fioriscono e prosperano grazie all’aiuto
papale
5
. Ma è proprio la politica del «divide et impera», attuata da
Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni 1198-1216) e dal suo
successore Onorio III (Cencio Savelli 1216-1227), che portò alla
notevole frammentazione del territorio, degenerata ulteriormente
durante la «Cattività Avignonese (1305-1377)».
Se l’Umbria romana aveva una estensione territoriale ben
precisa, costruita su insediamenti di popolazioni esistenti, il
susseguirsi delle varie «calate barbariche» sconvolge e distrugge
questa suddivisione. Da un criterio politico piramidale, dal
«municipium» all’Imperatore passando per tutti i gradi della burocrazia
romana, si retrocede di colpo ad una organizzazione cittadina di
sopravvivenza che dura per secoli, esplodendo poi nella «civiltà
comunale».
Quando parliamo di Umbria alludiamo ad una regione costruita
in taluni casi tramite «un criterio etnico-geografico o storico (Umbria,
Ducato di Spoleto), in altri casi (Territorio Perugino, Territorio e dominio
di Todi, Territorio dominio e distretto di Spoleto) [tramite] il ruolo che la
5
Per una breve, ma esauriente panoramica storica sul periodo Cfr U.Nicolini, op.cit.,
pp.193-206.
8
città ha avuto nell’organizzazione del territorio, richiamandone anche,
spesso, la funzione amministrativa»
6
.
Il richiamo alla suddivisione romana da parte degli umanisti,
proprio in quanto riscopritori della tradizione classica, è facile e lascia
spazio a costruzioni geografiche guidate dall’idea di «regionalismo»,
inteso come riconoscimento di aree contrassegnate da omogeneità
strutturali e culturali. Con il passare del tempo muteranno le
esigenze, nuove figure si rivolgeranno ai cartografi (militari,
commercianti, pellegrini, capi di stato) e verrà richiesta più
precisione. In questo modo si apriranno le porte alla
«regionalizzazione», intesa come operazione preordinata da parte dello
stato per dare organicità ed uniformità istituzionale ai complessi
umani, territoriali ed economici.
Cipriano Piccolpasso darà corpo a queste motivazioni politico-
amministrative, duecento anni prima che F.Ughelli possa scrivere:
«Hoc tempore in Umbriam plerique reiiciunt, tanquam eiusdem
Provinciae caput, unde Legatus Apostolicus subiectis Umbris iusdicit»
7
.
2. Situazione politica e condizione sociale all’arrivo di Cipriano
Piccolpasso.
La venuta di Cipriano Piccolpasso a Perugia si inserisce in uno
dei periodi più delicati della storia cittadina. Nel generale processo di
riconquista e riordino dei possedimenti papali, iniziatosi con la fine
del Grande Scisma e l’elezione di Martino V (Oddone Colonna 1417-
6
C.Migliorati, La cartografia nei secoli XVI-XVIII, in Orientamenti di una regione attraverso i
secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria, Atti del X convegno di
studi umbri, Gubbio 23-26 maggio 1976, Perugia, Università degli Studi di Perugia,
pp.97-108.
7
F.Ughelli, Italia Sacra, I, Venezia, 1717, p.546.
9
1431), Perugia, dopo la parentesi braccesca, sottoscrive i Capitoli del
1424, che costituiscono un patto tra Comune e Papato, ma che
garantiscono, grazie a pressioni e manipolazioni, il governo a
quest’ultimo, attraverso il controllo dell’elezione delle cariche
pubbliche (Priori, Camerlenghi, ufficiali del Monte, ufficiali giudiziari e
notai). Con l’istituzione dei Capitani del contado, Perugia viene
privata del governo sul vecchio territorio comunale. Con l’avocazione
dei poteri dei Vicari e Podestà al Governatore di Perugia, in un lasso
di tempo di circa un secolo, possono dirsi conclusi i prodromi del
processo di centralizzazione. Ma siamo alle porte del 1540, che per la
città vuol dire “Guerra del Sale”.
Al rifiuto della città di pagare l’aumento dell’aliquota sul sale,
dietro al quale si nascondono insofferenza verso l’autorità centrale ed
anche dissidi tra le oligarchie cittadine, segue la guerra, connotata da
scontri di lieve entità. La sconfitta di Perugia è, comunque,
inevitabile.
La città viene privata di tutti quei poteri che ancora conservava,
i Priori vengono sostituiti dai conservatori dell’Ecclesiastica
Obbedienza, che indossano la veste nera anziché porpora e che non
hanno reali poteri, ma solo il compito di provvedere alla quiete
cittadina. Cosa che riesce, sicuramente più proficua, alla nuova
costruzione che sovrasterà la città fino ai giorni nostri: la Rocca
Paolina. Un’opera immane, portata a termine in poco tempo e con
grande dispendio economico, «cui dovettero contribuire, non solo la
comunità perugina, ma tutte le città e castelli dell’Umbria»
8
.
8
R.Chiacchella, Perugia nello Stato Pontificio, in Storia illustrata delle città dell’Umbria.
PERUGIA, voll. III, Milano, Elio Sellino Editore, 1993, p.370, vol.I.
10
Solo con l’elevazione al soglio pontificio di Giulio III (Giovanni
Maria Ciocchi del Monte 1550-1555), vicino alla città attraverso la
sorella Giacoma della Corgna
9
, si ebbe il ripristino della magistratura
dei Priori, ma ormai la situazione era notevolmente cambiata.
Incorporata definitivamente nello Stato Pontificio, la città
cercava di adattarsi al nuovo ruolo di capoluogo della provincia
dell’Umbria.
E’ il caso di ricordare il giudizio totalmente negativo che esprime
L. Bonazzi, insigne storico perugino del secolo scorso, viziato dalla
sua vicinanza alla massoneria e da un acceso anticlericalismo. Non vi
sono che parole di biasimo per l’operato di tutti i Governatori che si
succedono negli anni; non meno gravi sono i giudizi sul regime
oppressivo che si viene ad instaurare nella città, simboleggiato
9
Originaria di Villa Corgna, a nord di Passignano, si affermò tra le famiglie nobili
perugine nel corso del XV secolo, per giungere all’apice del proprio potere nel XVI, grazie
alla protezione di Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte 1550-1555), che creò il
feudo di Castiglione del Lago e Chiugi a favore della sorella <<Giacoma e suoi eredi fino
alla terza generazione>>. Fulvio ed Ascanio della Corgna, nipoti del Papa, furono
certamente i personaggi più illustri della famiglia; Fulvio (Perugia 1517-Roma 1583)
scelse la carriera ecclesiastica culminata nel cardinalato e nell’elezione a vescovo di
Perugia nel 1550. Fu tra i primi attuatori della riforma tridentina in Italia. Il fratello
Ascanio (Perugia 1516-Roma 1571) fu valente condottiero, diplomatico e architetto
militare, primo marchese del feudo di Castiglione del Lago e Chiugi. Feudo che venne
eretto a ducato e trasmesso, in mancanza di eredi diretti, al nipote di questi, Diomede
della Penna. Il suo territorio fu sconvolto dagli eventi bellici della metà del Seicento, tra
Urbano VIII (Maffeo Barberini 1623-1644) e Odoardo Farnese (1622-1646), per il
possesso del Ducato di Castro, che ne decretarono la fine e nel 1647 venne incamerato
definitivamente dalla Santa Sede. Cfr. R.Chiacchella, Perugia e il Lago, in op.cit., vol.II,
pp.385-400; M.Duranti, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa in età moderna, in Storia
illustrata delle città dell’Umbria. PERUGIA, voll. III, Milano, Elio Sellino Editore, 1993,
vol.II, pp.433-448; M.G. Donati-Guerrieri, Lo Stato di Castiglione del Lago e i Della
Corgna, Perugia, Ed. Grafica Perugia, 1972; M.Montella (a cura di), PERUGIA, Perugia,
Electa Editori Umbri, 1993; AA.VV., Carte che ridono..., Archivio Storico di Perugia,
Comune di Perugia, Foligno, Editoriale Umbra, 1987; C.Piccolpasso, Discorso sopra le
cose di Perugia, in Le piante et i ritratti delle Città e Terre dell’Umbria sottoposte al Governo
di Perugia, a cura di G.Cecchini, Roma, Istituto Nazionale di Archeologia e Storia
dell’Arte, 1963, pp.189-190.
11
dall’ombra tetra ed oscura che proietta su di questa la Rocca
Paolina
10
.
Ma allo stesso modo, può apparire eccessivo ridurre l’intero
processo politico di nascita dello Stato Pontificio, che passa attraverso
la sottomissione di quelle realtà cittadine indipendenti e resistenti al
nuovo corso, unicamente all’«applicazione di un metodo materiato di
blandizie per i sudditi docili ai superiori voleri e di inesorabile
spietatezza per i rei di ogni atto di irriverenza e insubordinazione
all’autorità costituita»
11
.
La città perdette le sue antiche libertà a favore di una vita
<<pacifica>> ed ordinata in tutto dalle autorità ecclesiastiche. Molti vi
si adeguarono e convissero, anche felicemente, con un regime che
diede loro modo di procurarsi una carriera più che rispettabile nella
amministrazione, nella giustizia o nello esercito. Altri preferirono la
via dell’esilio o del ritiro «a vita privata»
12
.
Non è lontano dal vero G.Cecchini quando ci riferisce che il
Piccolpasso arrivò a Perugia in un momento ed in un «ambiente,
politicamente conformista, socialmente turbato, moralmente inquieto,
umanamente avvilito, intellettualmente disorientato, economicamente
sfiancato dall’incessante pressione fiscale, la vita quotidiana e i rapporti
sociali non eran facili per l’atmosfera di inquietudine, di sospetto e di
10
L.Bonazzi, Storia di Perugia, voll. III, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1959, vol.
II, p.193: <<Fra i governatori rivediamo il Gaiazzo, di non troppa lieta ricordanza, rivediamo
il Bossio, che fu poi meglio vescovo che governatore. [...] Alessandro Sforza, che, per non
istare ozioso ne’ suoi pochi giorni di transito, fa impiccare quindici persone>>.
11
G.Cecchini, Introduzione, in C.Piccolpasso, Le piante et i ritratti delle Città e Terre
dell’Umbria sottoposte al Governo di Perugia, Roma, Istituto Nazionale di Archeologia e
Storia dell’Arte, 1963, p.11.
12
Cfr. C.Donati, L’idea di nobiltà in Italia, Bari, Editori Laterza, 1995; E.Irace, La nobiltà
bifronte, Milano, Edizioni Unicopli, 1995; R.Chiacchella, Perugia nello Stato Pontificio, in
op.cit, pp.369-384.
12
timore che vi dominava; e il Piccolpasso finì per farne amara
esperienza»
13
.
Un vecchio ordine politico ed un costume sociale decrepito si
ritiravano di fronte all’affermarsi di strutture politiche, giudiziarie e di
organizzazione territoriale nuove e diverse.
13
G.Cecchini, op.cit., p.11.