6
potere, identificabile nel periodo crispino, con la Sinistra
moderata.
Ho tratto spunto dalle affermazioni contenute nell’opera di
Bartolo Gariglio per puntare la mia attenzione sul rapporto del
quotidiano torinese con il governo crispino; rapporto che si
mantenne di sostanziale appoggio, seppur con un’indipendenza di
giudizio che non gli precluse di esprimere talune posizioni
critiche, specie nel campo della politica estera.
Il quotidiano attraverso un linguaggio scritto semplice, diretto e
spesso ironico, intendeva rivolgere l’attenzione a quelle classi
sociali generate dal fenomeno dell’urbanizzazione. Si trattava
soprattutto dei ceti della media borghesia – operai specializzati,
commercianti ed artigiani - di cui la “Gazzetta del Popolo” seppe
attirare le attenzioni in anticipo sugli altri fogli, ancora legati ai
linguaggi e ai temi cari alle tradizionali elitès culturali e politiche.
Per analizzare meglio la linea del giornale e coglierne appieno
tendenze e giudizi, ho isolato quattro temi di particolare
rilevanza: la politica estera, la questione religiosa, la questione
economico-finanziaria e la politica interna.
Ho ritenuto opportuno riservare un’attenzione particolare alla
cosiddetta questione religiosa, vale a dire alla posizione assunta
dalla “Gazzetta” rispetto ai tentativi di “ingerenza” del Vaticano
nella politica italiana.
7
Proprio l’acceso anticlericalismo del giornale subalpino, avrebbe
di fatto contribuito a renderlo oggetto del “discredito nella cultura
e nella storiografia italiana, soprattutto quando, a partire dall’età
giolittina, venne sentita più fortemente nella classe dirigente
italiana l’esigenza di superare le fratture tra cattolici e laici
determinatesi dal processo risorgimentale
2
”.
Pur esistendo, all’interno del quotidiano torinese, una netta
polemica anticlericale, questa non fu l’unica tematica attraverso
cui la “Gazzetta” cercò di influenzare l’opinione pubblica
italiana. Netta ed argomentata fu, ad esempio, la posizione critica
del giornale verso l’operato di Crispi in materia di politica estera.
Per quanto concerne le fonti, oltre ai vari numeri del giornale, ho
potuto avvalermi dei documenti conservati presso il Museo del
Risorgimento di Torino, nell’archivio della “Gazzetta del
Popolo”. Si tratta di alcune corrispondenze tra Crispi e l’allora
direttore della “Gazzetta”, Giovanni Battista Botero del tutto
inedite e che danno preziosa testimonianza dei rapporti intercosi
tra il giornale ed il governo crispino.
Come si vedrà nelle pagine che seguono, la “Gazzetta del
Popolo” avrebbe sempre mantenuto una certa indipendenza di
giudizio nei confronti dell’operato crispino, sia pure all’interno di
una linea di sostanziale appoggio.
2
B. Gariglio, Stampa ed opinione pubblica nel Risorgimento, cit., pp. 9-10.
8
Il materiale analizzato consente inoltre di verificare che
l’anticlericalismo del quotidiano torinese si espresse anche
attraverso corrispondenze private tra il direttore Bottero e Crispi,
atte a incoraggiare sia la lotta politica a difesa dei valori liberali
dello Stato che a influenzare la scelta dei candidati governativi da
contrapporre, in occasione delle consultazioni elettorali, ai
rappresentanti delle liste di matrice clericale.
9
CAPITOLO PRIMO
LA POLITICA ESTERA CRISPINA
10
La politica estera propugnata da Francesco Crispi durante i suoi
due ministeri fu oggetto di attenzione e di analisi da parte della
“Gazzetta del Popolo”, che si presentò sempre come quotidiano
attento alle dinamiche politiche, sociali ed economiche che si
sviluppavano fuori dall’Italia.
Il giornale torinese pubblicò resoconti di cronaca e di costume
provenienti dai vari luoghi del mondo, Americhe comprese,
dimostrando una speciale attenzione non solo per le notizie che
potevano più o meno direttamente influire sulle sorti dell’Italia,
ma anche per quelle più propriamente locali.
Ma i due ambiti in cui la “Gazzetta del Popolo” meglio espresse
la sua propensione alle analisi di politica estera furono il conflitto
commerciale tra l’Italia e la Francia e la politica coloniale
africana, che fu anche la causa principale della seconda caduta dal
potere dello statista siciliano nel 1896. Proprio la campagna
d’Africa con tutti i suoi risvolti economici, politici e sociali,
rappresentò l’aspetto più interessante e controverso del rapporto
tra il quotidiano torinese e il primo ministro siciliano.
La “Gazzetta del Popolo”, pur mantenendo una notevole
autonomia di giudizio non fece mancare il suo appoggio al
governo, alimentando nella diatriba con la Francia il risentimento
verso il paese d’oltralpe. Con una serie di pepate corrispondenze
provenienti da Parigi, il giornale torinese prese una netta
11
posizione non solo nell’ambito dei rapporti tra le due nazioni, ma
anche in riferimento alla situazione politica interna francese.
Come già accennato, fu tuttavia nella questione africana che la
“Gazzetta del Popolo”, per la prima e forse unica volta, dimostrò
un’avversione pressoché totale verso l’operato di Crispi,
criticando aspramente una politica ritenuta inutile e soprattutto di
dimensioni spropositate per un paese privo dei mezzi economici
ed umani posseduti da altre nazioni quali l’Inghilterra e la
Francia. Le ambizioni di potenza di Crispi prescindevano, in altre
parole, dal reale potere economico e militare del paese per legarsi,
invece, a strumentali motivazioni di politica interna.
Le corrispondenze provenienti dall’Etiopia narravano con
minuzia di particolari le vicissitudini dei militari italiani
impegnati, non tralasciando mai di porre un accento caustico sulla
vita e le sofferenze delle truppe.
Questa presa di posizione critica nei confronti della politica
coloniale era sinonimo dell’originalità e della coerenza del
quotidiano torinese, capace di mantenere una propria linea
politica, a prescindere dalle tante pressioni patite dallo statista
siciliano.
12
A questo proposito, si legge in una lettera privata inviata dal
primo ministro siciliano al direttore Bottero all’inizio del suo
mandato governativo, il 23 agosto 1887:
Mio caro Bottero,
voglio ringraziarvi del contegno del vostro giornale verso il governo e
pregarvi a continuarmi la vostra benevolenza. Voi mi conoscete da
lungo tempo, unitario dalla vigilia, non vi è parte dell’Italia che io non
ami. Ed è con soddisfazione che ho visto coma la stampa piemontese
abbia saputo comprendermi rendendo giustizia alle mie intenzioni.
Certo è grave l’ufficio da me assunto e non basta la forza umana a
disimpegnarlo se mi viene meno l’ausilio dei patrioti del nostro paese,
e sui quali conto.
E voi siete del numero, mio caro Bottero
3
.
3
Lettera di Crispi a Bottero, Napoli, 23 agosto 1887, in Archivio della
“Gazzetta del Popolo”, Museo del Risorgimento di Torino, GdP. 927.
13
1.1 LA POLITICA COLONIALE AFRICANA
1.1.1 Nascita e sviluppo della problematica africana
L’interesse per l’impresa africana era, per Francesco Crispi, il
frutto della maturazione di un percorso politico che traeva spunto
da più istanze e più in particolare dal nascente capitalismo e dal
nazionalismo economico alimentato dalla guerra doganale con la
Francia.
L’industrializzazione del paese, soprattutto quella di tipo
siderurgica e cantieristica, che offriva più direttamente delle altre
strumenti per la difesa e l’espansione, secondo lo statista siciliano
doveva essere sostenuta con aiuti e sovvenzioni. Ma quest’azione
politica a favore dell’industria pesante aveva, secondo Crispi,
anche finalità di carattere sociale: essa avrebbe infatti provocato,
con l’accrescersi del reddito nazionale, il miglioramento delle
condizioni di vita dei lavoratori, garantendo loro pane e lavoro.
Ciò, a sua volta, avrebbe favorito la distensione dei rapporti tra le
classi e provocato il declino dell’immigrazione. D’altro canto, a
prescindere dalle motivazioni delle scelte crispine, restava il fatto
che l’industria pesante italiana aveva individuato in Crispi un
autorevole e sicuro patrocinatore dei suoi interessi
4
.
4
R. Mori, La politica estera di Francesco Crispi (1887-1891), Roma, Edizioni
di storia e letteratura, 1973, pp. 13-25.
14
Per l’uomo politico siciliano condizionato, come altri suoi
contemporanei, da principi evoluzionistici, la vita delle nazioni
era lotta per la sopravvivenza, per l’affermazione della propria
“virilità” e per l’ampliamento del proprio spazio vitale
5
.
Per Crispi, quindi, in cui altissimo era l’amore di patria, era
assolutamente necessario che l’Italia “desse prova al mondo della
propria energia vitale ed intraprendesse una coraggiosa politica di
espansione che rinverdisse le antiche glorie di Roma e delle
nostre repubbliche marinare
6
.
Benché inizialmente contrario all’occupazione della striscia di
terra compresa tra Assab e Massaua, lo statista siciliano si
convinse quindi dell’esigenza per l’Italia di diventare finalmente
una potenza coloniale come naturale conseguenza dello sviluppo
industriale e commerciale di un paese.
Le nostre industrie ogni giorno progrediscono e nel momento fanno
abbastanza pel consumo interno. Verrà il tempo, però, in cui la
produzione delle nostre fabbriche sarà superiore ai nostri bisogni e
allora saranno necessari gli sbocchi sui mercati esteri (...)
7
.
Taluni han creduto che le colonie fossero un lusso, non han capito che
sono una necessità per la madre-patria la quale se ne vale la pena pel
consumo dei suoi prodotti (…). Quando i mari saranno chiusi ed
avremo bisogno dei mercati stranieri, dovremo ricorrere alle armi per
poterceli aprire.
8
5
Idem.
6
Idem.
7
F. Crispi, Discorso di Napoli del 18 giugno 1884, in R. Mori, La politica
estera di Francesco Crispi, cit., pp. 13-25.
8
F. Crispi, Scritti e discorsi politici (1849.90), Roma, 1890, pp. 543-44.
15
L’Italia proponeva, perciò, una forma atipica di colonialismo,
sostenuta essenzialmente dalle regioni e dagli strati sociali più
distanti dal dispiegato sviluppo economico e fortemente avversata
dalle aree più avanzate e dai ceti sociali meglio strutturati, specie
quelli industriali ed agricoli del Nord Italia.
La politica coloniale italiana in Africa Orientale si orientò, in un
primo momento, lungo due direttrici contrastanti. Il generale
Baldissera – capo delle forze armate italiane - sosteneva una
forma di conquista dall’interno, sfruttando i contrasti tra la
popolazione di stirpi e religioni diverse, e puntava al controllo
politico ed economico della vasta area del Tigrè (linea tigrina).
L’agente ufficioso del governo italiano presso il re dello Scioa,
Antonelli, puntava invece sull’alleanza con il re etiope Menelik,
per conquistare militarmente i territori settentrionali abissini da
cui proveniva il negus Giovanni ed estendere l’influenza italiana
su tutta l’Etiopia (linea scioana).
Vi era, perciò, ambivalenza sia di prospettive sia di progetti che
certamente, avrebbe influenzato l’impresa coloniale.
In questo contesto si sviluppò la polemica a distanza tra la
“Gazzetta del Popolo” e il ministro siciliano, sebbene la
spedizione militare fosse partita con una tacita approvazione del
quotidiano torinese, che invocava obbiettivi limitati e adeguati
alla struttura politica ed economica del paese. Nell’articolo Gli
italiani in Africa del 17 agosto 1887, si dichiarava che
16
“fortunatamente il governo italiano non manca di naso (…) E sa
benissimo che se Dogali ha cacciati di seggio due ministri un
nuovo torto che a noi venisse fatto dalla Fortuna delle armi
potrebbe avere conseguenze sproporzionate”
9
.
La “Gazzetta del Popolo” era inizialmente sicura che “l’impresa
italiana nel territorio collinoso attorno a Massaua si sarebbe
contenuta nei limiti che si convenivano a un’Italia che non voleva
condannarsi”.
Ben presto le mire espansionistiche crispine si allargarono
coinvolgendo appunto l’Abissinia. A tal punto la presa di
posizione del quotidiano torinese fu ferma e risoluta:
Circa la politica coloniale e la spedizione d’Abissinia noi siamo –
sotto il ministero Crispi - quel ch’eravamo sotto il ministero Depretis,
avversari decisi e tanto più convinti, in quanto che per rifiutare la
nostra adesione alle avventure coloniali su pei monti abissini, noi non
prendiamo solamente le mosse dalla considerazione delle difficoltà
dell’impresa, e dalla ipotesi d’un qualunque insuccesso, ma anzi dalla
certezza della nostra vittoria, per la ragione cento volte addotta, che il
pesce non vale la salza
10
.
Nel frattempo, l’approvazione da parte della Camera aveva
confermato la maggioranza per il gabinetto Crispi e quindi anche
l’appoggio alla sua politica coloniale.
9
Gli italiani in Africa, in “Gazzetta del Popolo”, 17 agosto 1887, pp. 1-2.
10
La politica coloniale, in “Gazzetta del Popolo”, 15 ottobre 1887, p. 2.
17
Il quotidiano torinese commentava con queste parole:
Non essendo riusciti a sconsigliare l’onerosissima spedizione, che sta
per aver luogo fuori dal territorio collinoso che fa cerchio a Massaua,
ebbene come italiani e patrioti non abbiamo più altro che a far voti per
il trionfo delle nostre armi, se non per la speranza d’un compenso
materiale adeguato, almeno per il prestigio del nostro esercito. Sotto
questo ultimo aspetto, anche una guerra che per altri rispetti sarà un
buco costoso nell’acqua, potrà aver conseguenze vantaggiose. Non sia
quindi mai detto che la stampa italiana si lasci sfuggire una sola parola
che non infiammi e non confermi la fiducia dei nostri combattenti
11
.
Altro grave problema da affrontare era, per il giornale, quello
economico- finanziario. I fondi previsti per l’operazione, circa 20
milioni di lire, sarebbero stati infatti insufficienti e i “fautori della
politica coloniale avrebbero dovuto preparare l’opinione pubblica
a nuovi sacrifizi e a un nuovo passivo”
12
.
Nel complesso la “Gazzetta del Popolo” si mantenne comunque,
almeno inizialmente, solidale con le scelte del paese, rifuggendo a
qualunque sabotaggio e dimostrando nei fatti un appoggio, seppur
critico, al governo Crispi.
Adotteremo riguardo alle cose africane, per tutta la durata della guerra,
il puro e semplice contegno dei patrioti che desiderano che nulla
tralasci perché i nostri bravi soldati abbiamo largamente quanto loro
occorre e possano marciare alla battaglia colla certezza della
riconoscenza operosa del Governo e della Nazione
13
.
11
Idem.
12
Idem.
13
Idem.
18
Tale concetto venne ribadito anche nell’articolo In Abissinia, del
28 dicembre 1887, in cui si affermava:
Noi abbiamo la massima fiducia nel trionfo delle nostre armi in ogni
scontro con gli abissini. E a tal proposito ripetiamo quanto abbiamo
scritto in altri articoli, che cioè dal momento che s’è voluta la
spedizione, si faccia in modo che il soldato sia provvisto in guisa da
poter dare il saggio esatto della forza morale e materiale del tipo
italiano. A tal riguardo non si perdoni a spese. I pensieri, i voti della
nazione sono tutti e ardentemente con quei valorosi e per quei
valorosi.
14
In sintesi, almeno nella sua fase iniziale la campagna d’Africa
suscitò nel giornale reazioni contrastanti. Da un lato vi era una
critica ai modi e ai tempi della spedizione, dall’altra una “forzata”
accettazione dell’impresa, in nome degli interessi superiori della
nazione. Tale duplicità era ben sintetizzata nell’articolo Torino 14
gennaio, del 14 gennaio 1889.
Contrari al carrozzone di Massaua, non siamo sorpresi delle presenti
difficoltà poiché le abbiamo prevedute e predette. Ma al punto a cui
stanno le cose, noi riponiamo la nostra fiducia negli uomini insigni che
hanno assunto l’onore e la responsabilità della campagna d’Africa
15
.
I primi insuccessi dell’esercito italiano, vittima della guerriglia
abissina, suscitarono ovvi malumori del quotidiano torinese, che
pose l’accento su un altro aspetto controverso della spedizione
africana: quello economico e finanziario.
14
In Abissinia, in “ Gazzetta del Popolo”, 28 dicembre 1887, p. 2.
15
Torino 14 gennaio, in “Gazzetta del Popolo”, 14 gennaio 1888, p. 2.