4
"I don't think of myself as a theater artist. I'm not particularly interested in
theater or art such as. I'm a traveller, an explorer whom life has trust into
the field. I'm like a volcanologist who goes from volcano to volcano,
looking for the biggest eruption. I've got themes I want to explore and
experiments I want to make and places I want to see. It's all part of a
process I hope is getting richer and richer in human material-and human
discovery"(1).
Brook ha assorbito come una spugna le esperienze dell'avanguardia, le
innovazioni delle teorie del "Teatro povero", del Post-modernismo, i riti
primitivi, riattualizzandoli. "Brook's aim is nothing less than to re-director
the work and purpose of the theatre in, paradoxically, both an old and
revolutionary way"(2).
Una delle fasi del suo lavoro lo vede interessato a quella "elusive
relationship between the brain and the mind", per cui legge riviste e libri
medici e si interessa a vari casi neurologici(3). E' il caso della messa in
scena di Je suis un phénomène, uno spettacolo semplice, apparentemente
spoglio, in realtà corposo, che lavora dentro, che non lascia riparo allo
spettatore. Brook scava nella mente dell'uomo affrontando un testo che
tratta dell'identità umana, della memoria vista come unico mezzo che può
salvaguardare la nostra esistenza(4).
5
Anni prima aveva affrontato un simile argomento con il Marat/Sade messo
in scena nel 1964 e con il quale il regista inglese indagava la mente umana,
accostandosi alla follia e alle sue manifestazioni(5). Brook mette in scena
questo dramma nel manicomio di Charenton, unendo le esperienze del suo
lavoro precedente riuscendo a far convivere Brecht e Artaud, gli elementi
dello happening e quello del dramma didattico(6).
Omaggio ad Artaud, dunque, questo esempio di "dramma totale" che lo
stesso Artaud aveva auspicato e che riuniva astrazione e concretezza,
violenza e freddo raziocinio(7), "Brook fused the bodily grotesquerie and
psychic mania of Artaud with the formal disruptions and cold-eyed
commentary of Brecht, creating a potent amalgam of modernist techniques
that remains a functional template for much high-art theatre with political
themes"(8).
E' solo tenendo in mente questo bagaglio di esperienze che l'importanza del
proposito di Brook regista può essere capito. La ricerca da parte di Brook
di un "genuino teatro contemporaneo", lo porta, dunque, attraverso Artaud,
al Teatro della Crudeltà, verso il 'Teatro Povero' di Grotowski, i Noh
giapponesi e poi ai rituali delle tribù primitive. Inoltre ha sempre ricercato i
modi di confrontare il pubblico con un'esperienza diretta, così
necessaria(9).
6
Come lui stesso dice:
"Today you find it very hard to find a young director who works anything
out of paper. He realizes that things evolve with a group. At first I was very
much on my own in this directing method. I was working against the
tradition, which was the tradition of the prompt book, of the director
arriving with a bulky book in which it's all worked out and written down.
I resisted it, believing that this was theoretical work, that any work done by
somebody before rehearsal is work done in theory. It isn't a living work.
The living work is done on the spot, on the floor, with the actors. I, for this
reason, like to develop everything through trial and error and experiment
and improvisation with the actors"(10).
Questo non significa che Brook comincia un lavoro senza avere alcuna idea
di partenza, solo significa che è difficile per lui dire come le cose si
evolveranno poi durante le prove, quanto dell'iniziale idea sarà mantenuto e
quanto invece modificato o sostituito con nuove idee.
"In rehearsal, solutions are tried, rejected, modified, shifted,……..The
variations that take place throughout the rehearsing of a play are not
deviations…, they are merely elements of the total process, and one of the
most important aspects of that process is the establishing of those distinct
units that make up the play as a whole(11).
7
Ed ancora Brook è convinto che: "However much home-work he (the
director) does, he cannot fully understand a play by himself. Whatever
ideas he brings on the first day must evolve continually, thanks to the
process he is going through with the actors."
"Infact, the director who comes to the first rehearsal with his script
prepared with the moves and business, etc., noted down, is a real deadly
theatre man"(12).
Brook sa bene quanto sia importante la figura di quello che lui preferisce
definire un "metteur en scène", "il regista è una guida nell'oscurità"(13) e,
come lui stesso ci dice, "without leadership a group cannot reach a
coherent result within a given time"(14).
"The director must have from the start what I have called a "formless
hunch", that is to say, a certain powerful yet shadowy intuition that
indicates the basic shape, the source from which the play is calling to
him"(15). "Un bravo regista sa perfettamente che la crescita delle prove è
un processo di sviluppo e che c'è il giusto momento per ogni cosa e la sua
arte è di riconoscere questi momenti"(16).
8
Il senso del lavoro del regista è quello di scoprire lo spettacolo; "mi rifiuto
di partire da un'idea preconfezionata, bisogna liberarsi da ogni sorta di
associazioni, di idee culturali, mi piace giocare con tutto ciò che fa
spettacolo"(17) come ad esempio nella messa in scena del Sogno di
Shakespeare, nel 1970, dove l'idea di una non convenzionale messa in
scena , quale quella circense, trae la sua origine da un antecedente ad opera
di Ariane Mnouckine, nel 1968, che però non era stata notata.
Brook dunque fa sua l'idea e la sviluppa mettendo in scena questo
spettacolo magico ma siccome era convinto che "the play outmoded fairy-
land and magic, which doubtless spoke quite concretely to Renaissance
audience, could have slight visceral meaning to modern theatregoers"(18),
si sforzò di trovare un modo simile di trasmettere forti sensazioni
attraverso azioni che togliessero il fiato. Si rivolse così all'arte circense, in
particolar modo era interessato agli acrobati e ai giocolieri, cosa attraverso
la quale riuscì a conservare la magia del testo e, al tempo stesso a liberarsi
delle convenzioni Vittoriane(19). Brook, con la sua produzione,
"intromise" il mondo "reale" in quello del "sogno" e vice versa giovandosi
di dualità che fanno da sostegno all'opera; c'è infatti una continua
oscillazione di movimento dal circo al metateatro, tutto all'interno di una
scatola magica, che celebra lo spettacolo in quanto tale(20).
9
Il suo Sogno "asserted the now obvious sexual content of the play and
celebrated the joyful magic of theatrical convention with such élan that
almost thirty years later it remains a paragon of directorial invention"(21).
Il Sogno rappresenta una evoluzione del lavoro di Brook e della sua ricerca
verso quel cambiamento nello stile registico che era cominciato otto anni
prima con il Lear, nel 1962.
Da allora, la fantasia romantica e le decorazioni di ogni tipo, gli effetti luce
e i design fissi, cedono il posto alle partecipazioni d'insieme , al lavoro con
l'attore considerato come creatore supremo, alla scelta di uno spazio vuoto
come fonte primaria. La difficile fusione di Artaud, Beckett e Brecht(22).
Assistiamo in questa fase ad un allontanamento da quella figura di regista
autocrate, la stessa prefigurata da Craig, che portò Brook durante la messa
in scena del Titus, nel 1955 ad occuparsi di tutto: "disegnò le scene e i
costumi, diresse gli attori, compose la musica, quasi a ricreare e dare nuova
forma a un testo che tagliò e riplasmò, pur sostanzialmente
rispettandolo"(23). Quando un regista lavora in questo modo, tutto, dalla
comprensione del testo alla sua riscrittura attraverso l'immagine ai colori
ecc. evolve nello stesso momento. Si ha un'evoluzione contemporanea dei
diversi aspetti dello spettacolo proprio perché sono sotto il controllo di
un'unica persona(24).
10
E siccome ogni cambiamento non è mai la fine di qualcosa ma l'inizio di
una esperienza che si rinnova, con la messa in scena del Sogno Brook ci
offre la testimonianza tangibile e reale della "regia al servizio del poeta. E
siamo in presenza dell'attore. La regìa aiuta l'attore e il poeta, invece di
andare contro tutti e due come succede spesso nella regìa moderna"(25).
Egli vide il testo come la celebrazione di teatralità pura, come espressone di
gioia liberata, come un'ode all'attore e all'arte del recitare.
Brook comincia a lavorare molto presto, non a teatro, bensì nel cinema.
Due modi di fare regia molto diversi, ed è per questo che "over the years
my own view of what I'm doing and why has changed enormously". "I felt
and believed that the work of a director was to have a vision of a play and
to 'express' it. That was how I understood directing at that time- I was
nineteen or twenty". Poi le cose cambiarono, evolvendo "through a growing
awareness that the total overall image was so much less then the play
itself"(26). Con La Tempesta, Brook continua un lavoro che aveva
cominciato anni prima con l'Edipo sulla parola ed il testo, sull'espressione
vocale collettiva legata al movimento del corpo, ecc. Brook prosegue così
la sua strada verso la realizzazione "of Artaud's spatial poetry(27).
11
La messa in scena di The Tempest di W. Shakespeare, del 1968, segna una
tappa importante nel lavoro di Brook e lo porta verso tre nuove direzioni: la
sua prima creazione teatrale originale completa senza essere sottomesso
all'interpretazione del testo preesistente; il suo esperimento che vide la
partecipazione del pubblico; la creazione di un suo gruppo permanente -
sperimentale con il proposito di esplorare le questioni fondamentali del
teatro e la sua relazione con la vita. E' uno Shakespeare non finito, "in
progress", per la prima volta(28).
Lo scopo di Brook era quello di attualizzare Shakespeare, materializzando
l'invisibile in immagini concrete(29). Per prima cosa libera il testo
shakespeariano da una serie di convenzioni e false tradizioni che hanno
caratterizzato la sua messa in scena fino a quel momento.
Lo spettacolo, infatti, non fu un'interpretazione letterale del testo ma
"abstactions, essences and possible contradictions embedded in the text.
The plot is shattered, condensed, deverbalizes; time is discontinuous,
shifting. Action merges into collage"(30). Il testo scespiriano fu
"translated" into a new hourlong "adaptation", in reality an original creation
based loosely on some buried and not-so-buried themes in the play: magic,
dreams, ambition, pride, violence, and hate. The director goes beyond the
text to something of his own authorship(31).
12
Brook voleva trasformare il teatro tradizionale in un'esperienza vicina al
rituale moderno e sperava che uno spazio teatrale diverso da quello usuale,
avrebbe consentito l'instaurarsi di un rapporto più intimo tra attori e
pubblico.
Lo spazio fu allestito in maniera da facilitare questo scambio, il pubblico
era molto vicino agli attori, poteva interagire con loro e, prima dell'inizio
dello spettacolo, erano addirittura mischiati con loro.
Gli attori vestivano abiti da lavoro, eccetto Ariel che indossava un semplice
Kimono e Prospero che indossava una divisa da Karate; la bianca luce del
teatro fu tenuta accesa durante tutto lo spettacolo che iniziava con gli attori
che lentamente si separavano dal pubblico cominciando dei vocalizzi, a
ballare, a giocare a palla; altri attori, al centro della scena si ponevano uno
di fronte l'altro dando inizio agli esercizi dello specchio, imitandosi
reciprocamente come fa la propria immagine allo specchio.
Improvvisamente gli attori correvano verso la piattaforma e, questa "raw
version of the play began with the chaotic shipwreck".
13
Del testo Brook utilizzò solo le parole chiave mentre il vero significato
dell'opera era espresso attraverso suoni non verbali. Much additional
grotesquerie was enacted during the production including simulated rape,
heterosexual and homosexual, and a host of other sexual configurations.
Shakespeare's most archetypical play was treated locally and perversely:
chaos against order and savagery against civilization(32).
Brook crea così un lavoro di insieme che ha lo scopo di eliminare le
disparità e gli squilibri tra coloro che partecipano al processo teatrale e di
recuperare lo spirito originale del testo attraverso un linguaggio
contemporaneo(33).
C'è molto dell'esperienza del teatro della crudeltà in questa Tempesta , è
facilmente rinvenibile Artaud come lo sarà anni dopo nel Marat/Sade. Nella
messa in scena del 1957 a Stratford, le scene, i costumi, le luci, la musica,
tutto fu grandiosamente concepito ed elaborato, sebbene non
necessariamente alla lettera.
Per esempio la scena d'apertura fu recitata senza troppi dettagli realistici, la
nave stessa fu "rappresentata" o meglio suggerita da " a mast head lantern
dizzly swinging in an arc together with some flailing ropes and a burning
fire-ball or two"(34).
14
In quell'occasione, ci furono molti cambi di scena che avvenivano
velocemente sotto gli occhi del pubblico, come quando per esempio il
palco "full of drooping vines was instantly transformed into an empty
cavernous vault"(35). Molto apprezzata fu l'interpretazione di John Gielgud
nei panni di Prospero, il mago che perde i suoi magici poteri ma guadagna
l'umana saggezza(36).
Diversa fu la messa in scena della stessa opera nel 1963, molto apprezzata,
invece, per i suoi effetti decorativi e pittorici.
Poi nel 1975 l'adattamento di The Conference of the Birds, poema Persiano
del dodicesimo secolo, in cui Brook mescolava le basi del suo Centro di
ricerca parigino con la sensibilità teatrale delle tribù africane e dei
Campesinos della California del Sud, "sparking still-unsettled debates
about the ethical parameters of intercultural artistic exchange"(37); ed
ancora l'adattamento di The Tragedy of Carmen in cui unisce l'integrità
musicale alla vitalità teatrale, ridicolizzando le pratiche di regia
operistica(38).
15
Nel 1988 Brook mette in scena il Mahabharata, nove ore di un poema epico
sanscrito ed anche in questo caso, in questa difficile impresa, ciò che
colpisce è la semplicità della scelta del design, che è anche il motivo che
rende le fotografie delle scene notevoli ed impressionanti."He's big on the
elements- earth, water,and fire - icons with which he invokes our most
primal responses"(39).
Molto spesso non esiste un testo predeterminato a cui attori e regista
possono fare riferimento, ma piuttosto un insieme di sensazioni,
suggestioni, idee e materiali che si definiscono come testo nel corso del
lavoro, attraverso successive improvvisazioni, scritture e riscritture su
materiali e situazioni più o meno costruiti. Si delinea un'estetica del
frammento: l'opera diventa un punto d'arrivo provvisorio, instabile, una
possibilità accanto a mille altre.
E' il caso della messa in scena di US; "a work in progress", un'opera
sperimentale, non finita, che ha tutti i vizi e i difetti di un'opera che viene
fuori da se……."(40). Durante la preparazione di US, venne posta molta
enfasi su un continuo e vigoroso processo che riguardava la ricerca su se
stesso, un quotidiano 'reassessment' sull'attore come persona e sulla propria
arte; sul rapporto tra il teatro e la vita quotidiana. Brook chiedeva ai suoi
attori di sforzarsi "to go beyond themselves"(41).
16
"This comes through many colours of many personalities"(42).
"An actor can only be guided and inspired by someone who is whole-
hearted in his creative activity"(43).
Durante le prove della Carmen, Brook, che sente molto questo concetto di
"partnership", voleva che ogni consiglio o suggerimento dato dagli attori
fosse reso praticamente(44). Questo è un modo di pensare che Brook ha
sempre conservato perché convinto che un buon rapporto instaurato tra il
gruppo e il regista, permetta poi allo spettacolo di ottenere dei risultati
inaspettati(45).
Il regista dunque è una guida, un "timoniere" come lo stesso Brook ci dice,
che ha il compito di mantenere la giusta rotta, ma pure il giudice severo che
prende decisioni ed ha l'ultima parola.
E' lui che ha una grande responsabilità verso il testo e quindi l'autore, verso
gli attori ma, principalmente verso il pubblico che paga per assistere al suo
spettacolo "In selecting the play, the director undertakes to guide his
audience to an area of contemporary consciousness, and enlarge its
understanding"(46).
17
"Mi piace" ci dice Brook, "il termine francese animatore perché c'è una
responsabilità di animare, chiara, perché non c'è alcun metodo…." " Fare
regia non vuol dire più niente. Ciò che credo sia importante oggi è cercare
…… non la verità, ma tentare di avvicinarsi ad una verità, la verità assoluta
del momento"(47).
Allestimenti diversi, ma un unico metodo, quello che caratterizza Brook,
che vuol significare non un patrimonio definito e statico, ma un insieme di
esperienze che contiene al proprio interno alcune spinte evolutive che
impongono un continuo allargamento d'orizzonti, un ribaltamento di
panorami consolidati, il rifiuto di ripercorrere strade già tracciate.