indipendenza rispetto a Basaglia e alla sua figura, ed assume nel contesto
dell'intervista in generale una connotazione del tutto particolare, che permette il
confronto tra la lettura basagliana e l'esperienza professionale dei diversi soggetti
coinvolti.
Le interviste, raccolte tra da metà marzo a metà maggio 2001, sono state
registrate su cassetta e in seguito sbobinate. Durante le interviste si è lasciata la
massima libertà ai soggetti di poter dare spazio a ciò che più ritenevano utile e si è
evitato, per quanto possibile, di orientare le risposte degli intervistati.
Coerentemente con questa linea, le domande permettono una dissertazione
sull'argomento ad ampio raggio. Inoltre lo stile di conduzione è stato definito e
uguale per tutti gli intervistati, mai direttivo, basato su un ascolto partecipe e su
domande che implicassero il più possibile l'impiego del monologo da parte del
soggetto.
La scelta dei testimoni significativi è avvenuta secondo il legame diretto con la
figura di Basaglia, che rimane il soggetto di riferimento non solo storico della
ricerca. Il gruppo degli intervistati è, pur nella esiguità del numero, variegato e
diversificato rispetto all'età (circa dai 45 ai 75), rispetto all'ambito formativo,
professionale, relazionale (politici, professionisti quali infermieri e dottori, la
moglie Franca Ongaro), rispetto alla consonanza con il pensiero di Basaglia (da
chi si dichiara a favore, fino a chi critica espressamente tale posizione). Nella
consapevolezza che l’interpretazione non rimane mai asettica e che la scelta dei
dati da trattare porta un chiaro contributo di soggettività dell’intervistatore nel
lavoro svolto, si è cercato di rimanere il più possibile aderenti alle interviste,
affinché fossero queste a parlare.
Si riporta di seguito il modello di intervista che è stato il punto di partenza dello
studio e che ha permesso la raccolta e l’analisi qualitativa del materiale.
- Ricorda il periodo in cui Basaglia ha operato(anni 60-70)? Cosa
caratterizzava quel periodo rispetto ad oggi?
- Quali sono gli aspetti della sua personalità e quali le idee di Basaglia che,
a suo giudizio, meritano di essere ricordate? Vi sono episodi sui quali possiamo
soffermarci?
- Quale rapporto si è istituito a suo giudizio tra Basaglia e la città di Parma, i
rappresentanti delle sue istituzioni? E quale rapporto ebbe con i suoi pazienti?
- In quali aspetti il pensiero di Basaglia, secondo lei è ancora attuale, dove
incontra maggiori resistenze?
- Si può, secondo lei, affermare che Basaglia sia stato in qualche modo
artefice del suo stesso oblio, per esempio a causa del sospetto sui discorsi teorici,
le ‘ideologie di copertura’ ?
- Parliamo ora della legge 180: che cosa ricorda del prima e del dopo
promulgazione?
- Cosa direbbe facendo un bilancio di una legge riformatrice. Quali lacune,
quali prospettive, cosa aggiungerebbe Basaglia, cosa lei?
- Secondo lei, vi sono elementi non riconducibili a Basaglia nella legge?
- La salute mentale è sufficientemente tutelata oggi? Vi è una sufficiente a)
ricezione dei bisogni di carattere ‘psichico’? b) sufficienti interventi? c)
prevenzione delle patologie psichiche?
- Quale importanza ha il bisogno relazionale, secondo la sua esperienza
professionale, nell’insorgere, nel controllo, nella gestione di problematiche
psichiche o psicopatologiche?
- Vi sono note che farebbe all’odierna organizzazione dei servizi, se potesse
intervenire su due aspetti, cosa cambierebbe?
- Vi sono, secondo lei, legami importanti tra follia e povertà, tra follia e
delinquenza? Vi sono cambiamenti rilevanti della tipologia di utenza negli ultimi
anni? In cosa per lei si differenzia la malattia mentale rispetto alle altre diversità ?
- Quali elementi culturali frenano l’inserimento del malato? Quale indicazione
potrebbe dare alla società di oggi, il mondo della psichiatria?
- Quali sono le difficoltà professionali più frequenti che incontra?
- Vi sentite sufficientemente stimolati dall’organizzazione, dal sostegno e
dalla retribuzione che ricevete, come operatori, a dare il meglio, a ricercare per
esempio nuove strade?
- Quale ruolo per i servizi sociali: ruolo odierno, ruolo possibile?
Parte I
Introduzione.
Basaglia ha scritto numerosi testi e ha dato un contributo notevole al dibattito
culturale del suo tempo, dibattito non ancora concluso. E’ innegabile l’influenza
che i suoi scritti hanno avuto nella diffusione del suo pensiero e nella formazione
di numerosi professionisti. Questa eredità riconosciuta anche in campo
psichiatrico
3
, non poteva che essere considerata per poter comprendere quali sono
le linee del suo pensiero. I seguenti paragrafi toccano alcuni punti del suo pensiero
ed alcuni degli autori che ha esplicitamente citato nei suoi scritti, cercando spunti
di riflessione che aiutino a comprendere tale approccio difficilmente
categorizzabile e mai circoscritto da Basaglia stesso. Gli scritti a cui si è fatto
riferimento riguardano le riflessioni dall’esperienza di Gorizia, per arrivare agli
ultimi scritti del 1980, anno della sua morte.
L’analisi delle rielaborazioni scritte di Franco Basaglia, che vengano dalla
raccolta di suoi interventi in convegni o siano stati scritti da lui, sono frutto di
contenuti che Basaglia stesso ha voluto coscientemente comunicare nei diversi
momenti della sua lotta anti-istituzionale.
E’ impossibile scindere anche nell’analisi delle interviste quei contenuti che
fanno parte del patrimonio culturale basagliano in quanto continuamente
quest’eredità ‘esplicita’ si mescola a quell’eredita implicita, non così controllabile
attraverso l’uso del linguaggio e per certi aspetti spuria in quanto espressione di
soggettività, che questo lavoro tenta di definire nei capitoli successivi. I testi sono
stati utilizzati come spunto per una riflessione sull’approccio basagliano, più che
per una definizione del suo pensiero, nella consapevolezza che l’analisi dei suoi
scritti rimane una base importante da cui partire e un elemento di continuità per il
seguente lavoro.
3
‘L'anno scorso la società italiana di psichiatria ha fatto il riconoscimento ufficiale dell'opera
Basaglia’: vd. Intervista a Franca Ongaro Basaglia.
Cap. 1 FOLLIA
Il termine ‘pazzo’ come ‘matto’ come ‘folle’ nelle definizioni del vocabolario
assume significati sostanzialmente simili: da una parte il negativo della persona
priva di ragione, stolta, dall’altra, la persona stravagante, ardita, eccessiva.
L’utilizzo nel parlare comune di queste espressioni può avere pesi diversi, positivi
o negativi. Questa non univocità lascia uno spazio all’interpretazione: la modalità
e il contesto in cui è inserito il termine lo renderà giudizio stigmatizzante o
simpatica espressione, magari di stima e affettuosa.
E’ impossibile definire pazzia senza curarsi delle norme sociali che la
definiscono; interessante un passo di Basaglia che parla di delirio: “Ma ciò da cui
‘devia’ il delirante è la ‘regola della ragione ’ che, per la fede illuminista, è una
regola assoluta che non ammette deviazioni e che ovviamente non viene messa in
discussione (…). Il delirio diventa essenzialmente un errore di giudizio, espresso
in comportamenti diversificati, che la psichiatria si limita a constatare e
descrivere, senza mai mettere in gioco la regola da cui devia e tantomeno la
ragione che formula il giudizio…”
4
. La follia è definita prima ancora che da
regole scritte o implicite, da una regola per eccellenza, la definizione dell’uomo
come ‘animale razionale’. Questa definizione derivata dalla fede illuministica ha
assunto un ruolo centrale nella definizione di scienza, compresa quella
psichiatrica. “La ragione si limita alla constatazione di un dato (modo di
esprimersi e suo contenuto), con il quale non riesce a stabilire alcun rapporto
[poiché si pone] al punto di distanza necessario per formulare il giudizio.”
Definire la pazzia nella realtà, in un contesto dove domina la ragione, è
particolarmente difficile, una sfida, un terreno scivoloso su cui difficilmente si
può pensare di aver assicurato un appoggio. Forse questa consapevolezza è ‘il
paletto’ più adatto a tale terreno e di questo Basaglia aveva piena coscienza:
“Non so cosa sia la follia. Può essere tutto o niente.”
5
Ammettere di non sapere cosa sia la follia è la base, secondo Basaglia per capirla
veramente per quello che è o forse semplicemente per accettarla con il minimo
4
Basaglia F., Scritti, vol. II, Franca Ongaro Basaglia (a cura di), Einaudi, Torino, 1981, pg. 409
5
Basaglia F.(1979), tr.it., Conferenze Brasiliane , Centro di documentazione di Pistoia, Pistoia,
1984, pg.28
pregiudizio possibile e la massima aderenza alla realtà che si presenta libera e
oltre ogni precomprensione ideologica.
Ma nell’affermare la radicalità di tale approccio si fanno delle negazioni e delle
affermazioni. Follia non è pura e semplice malattia, non si può astrarre e separare
dal malato, dalla sua storia, dall’influenza che la società ha avuto nel definirla.
Così pure si nega la definizione di una scienza che razionalizza ad ogni costo, che
è espressione del potere, che è “prepotenza della ragione sulla follia”: in questo
monologo è implicito un atto essenziale nell’evoluzione della follia stessa. In
questo modo nasce il manicomio non solo definitore ma vero e proprio produttore
di follia intesa come malattia stigmatizzante. E’ allora prioritario superare la follia
istituzionale per riconoscere la follia dove ha origine.
Questa è una radicalità che vuole smantellare per costruire: il folle è innanzitutto
persona che si comporta sì come folle, ma che non è definibile e misurabile. Follia
è bisogno di liberazione, di dignità e di ogni bisogno proprio della normalità.
Liberazione doverosa, ma mai attuata: “Non esiste storia di follia che non sia
storia della ragione”, storia di sragione, accostata al mondo del peccato, della
colpa, dello scandalo, della necessaria condanna.
6
Nel testo “Follia/delirio” Basaglia scrive: “ Voce confusa con la miseria,
l’indigenza e la delinquenza, parola resa muta dal linguaggio razionale della
malattia, messaggio stroncato dall’internamento e reso indecifrabile dalla
definizione di pericolosità e dalla necessità sociale dell’invalidazione, la follia non
viene mai ascoltata per quello che dice o vorrebbe dire.”
7
La follia ha quindi, per Basaglia, una sua identità, un’identità incompresa, resa
muta, mai ascoltata ma che pure comunica, si esprime, vorrebbe dire qualcosa di
sé, affinché venga colta, capita.
Questa è, penso, una prima affermazione: non è fantasia, è una realtà concreta
come concrete sono le persone in cui si esprime, è una realtà pienamente umana, è
una voce, un messaggio, un tentativo di comunicare. Un tentativo fallito in
partenza, incomprensibile per definizione, ‘reso muto’ da una razionalità
prepotente che si arrende difendendosi, che non cerca più di penetrare la realtà per
capirla.
E così, secondo Basaglia, il supposto monologo del delirio diventa il tentato
dialogo con un’alterità ancora vaga, assente.
6
Basaglia F., Scritti, vol. II, op. cit., pg. 411
7
Ibidem, pg.430.
La creazione dei manicomi è l’affermazione della società, più che mai mancata
alterità, che da un lato è ben lontana dal considerare la pazzia niente, dall’altra ben
lontana dal considerarla. Così la stronca nell’internamento.
Emerge in Basaglia la decisa volontà di guardare in faccia alla follia, di
riconoscerla così come si presenta, ma anche la tremenda consapevolezza
dell’ambiguità che essa porta, del possibile nulla che minaccia ogni tentativo di
rincorrerla.
Davanti a tutto questo, sembrano delinearsi due direzioni possibili, due modalità
di approccio alla pazzia: restituirle voce, imparando ad ascoltarla, sintonizzarsi
sulla sua lunghezza d’onda cercando di comprendere cosa vuole dire o accettarla
semplicemente come condizione umana, rinunciando a ricavarne dei contenuti,
accettandola solamente con l’attenzione di evitare di confonderla con ciò che è
miseria, indigenza, delinquenza.
La prima non potrà fare a meno dell’interpretazione che, per Basaglia rischia di
essere uno strumento sterile a servizio di una ideologia sottostante che pretende
di leggere la realtà dandone le premesse e sostanzialmente anticipandone le
conclusioni. L’interpretazione è per Basaglia, riprendendo il pensiero di Foucault,
è un “monologo della ragione sopra la follia “
8
, si scrive la follia “nel linguaggio
di chi l’ascolta, la giudica, costringendola ad esprimersi nella logica del
linguaggio”
9
, un linguaggio che diventa la prova della follia stessa, così come è
sempre stato: ” dal profondo del medioevo il folle è colui il cui discorso non può
circolare come quello degli altri: capita che la sua parola sia considerata come
nulla e senza effetto, non avendo né verità né importanza, non potendo far fede in
giustizia, non potendo autenticare una atto o un contratto... è curioso constatare
che per secoli in Europa la parola del folle o non è intesa, oppure, se lo era, veniva
ascoltata come una parola di verità. O cadeva nel nulla, rigettata non appena
proferita; oppure vi si decifrava una ragione ingenua o scaltrita... la follia del folle
si riconosceva attraverso le sue parole; esse erano il luogo in cui si compiva la
partizione; ma non erano mai accolte né ascoltate. (Foucoult, L'ordine del
discorso, pg.14)”
10
.
Ma la seconda strada, non pone però in una condizione di impotenza, e rischia di
deresponsabilizzare la società da ogni influenza e da ogni intervento
8
Foucoult M.(1961), tr.it., Storia della follia, Rizzoli, Milano, 1963.
9
Basaglia F., Scritti, vol. II, op.cit., pg.411.
10
www.priory.com/ital/180/biblio2.htm.
reintegrativo? E’ possibile comunicare con il folle senza categorie razionali; senza
ragione, non si condanna forse la follia al silenzio, all’abbandono, all’isolamento?
Basaglia ritiene innanzitutto che la follia, nata e respinta dalla società, debba a
quest’ultima fare ritorno. E’ forse possibile che il cambiamento, la chiusura dei
manicomi, la nuova pratica, produrrà una nuova teoria e, quel folle che sembra
oggi evidenziare il paradosso dell’esistenza umana in un intreccio di follia e
ragione, troverà così il suo posto, mai scontato, in una società che riconosce la
follia come parte della propria realtà, in un percorso che porta il riconoscere
dell’irrazionalità interna al vissuto umano, e che quindi la avvicina con pudore.
Un pudore che è disposto a divenire silenzio, ascolto, sospensione o sosta di
fronte al dolore, attesa di riconoscere la follia senza che il pressante ‘logos’
produca una comoda semplificazione.
L'idea di follia di Basaglia sembra essere legata a chiare definizioni di scienza, di
società civile, di persona. La scienza è ciò che rende la follia vera
incomunicabilità attraverso la teoria e le definizioni aprioristiche che ne dà. È
quindi una razionalizzazione che si basa sul potere di chi può imporre la propria
ragione: non tanto su ciò che è privo di significato, ma su ciò che è facilmente
dominabile e inscrivibile in categorie pre-costituite. Ed è proprio per queste sue
caratteristiche che la scienza si allontana dall'uomo e dai suoi bisogni, come dice
lui stesso: " il mondo dei bisogni non è neppure sfiorato dalla psicoanalisi. Essa,
come ogni branca delle scienze umane, si muove essenzialmente sul piano... dei
bisogni indotti…”
La società civile è il luogo dove nasce la follia e dove questa viene ripudiata e
successivamente definita come aliena alla società stessa. La follia non è parte
della società civile. Per Basaglia la follia nasce nella società e a questa deve
ritornare, e questo è un imperativo etico oltre che un dato di realtà; occorre
superare l’istituzione per riconoscere la follia dove ha origine. La follia è parte
della società molto più di quanto essa voglia ammettere. Tutto questo mette in
discussione la definizione di un uomo, di persona e come ‘essere razionale’.
Il concetto di follia, non assimilabile al concetto di inconscio freudiano, in quanto
elemento di interpretazione di dominio della ragione stessa, è parte integrante
dell'uomo. L'uomo è caratterizzato da follia oltre che da ragione, e questa è
un'evidenza della realtà. L'intreccio di questi due elementi, paradosso
dell’esistenza umana, non è facilmente comprensibile, ma certamente non è
accettabile una semplice divisione tra ragione e ‘sragione’ così come si è definito
il folle dal normale: questo sembra voler dire Basaglia, evitare ogni
semplificazione che si allontana dalla realtà così come si presenta, e tutto questo
non solo come impostazione metodologica o scientifica, ma come necessità
morale. È come se vi fosse una scommessa di civiltà da parte della società nel
guardarsi allo specchio del malato di mente, pur sapendo che “nessun incontro
diretto della follia è possibile, che essa può essere incrociata solamente nelle sue
immagini, una alla volta separatamente.”
11
11
AA.VV., Follia e paradosso, op.cit.,pg 22.