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l’ambito locale di diffusione. Daremo una visione d’insieme sulle
caratteristiche che accomunano le tv locali in Italia, definendo gli
assetti societari, le modalità di raccolta pubblicitaria,
l’organizzazione del personale. Oggetto di primario interesse in
questo capitolo sarà la definizione delle concessioni, introdotte
dalla legge Mammì per definire e per rendere possibile l’esistenza
stessa delle emittenti.
1.1. Nascita di nuove emittenti
Il panorama delle televisioni locali in Italia, è molto variegato,
soprattutto dopo la seconda metà degli anni ’70, con la nascita delle
tv locali, che hanno dato il via allo sviluppo dei grandi network
commerciali. Prima di entrare nel vivo dello studio dei palinsesti,
bisogna fare delle doverose premesse, a partire dal punto di vista
storico.
Innanzi tutto, è importante definire il campo di azione di
queste emittenti. In Italia, le televisioni locali occupano un posto a
sé stante, rappresentando un «laboratorio di media»
che non ha
eguali. In Europa uno dei problemi principali che ha impedito una
grande diffusione di radio e televisioni a carattere locale, è stato il
ridotto numero di bande di frequenza per la trasmissione. Questo
fatto ha determinato una sproporzione tra la diffusione della
comunicazione locale via etere rispetto quella a mezzo stampa.
L’Italia è stato l’unico paese che ha liberalizzato le televisioni via
etere a carattere locale.
La data simbolo per l'emittenza privata è considerata il 20
Aprile 1971, quando nasce TeleBiella. Questa stazione televisiva fu
7
costituita da Giuseppe Scacchi, meglio noto come Peppo Scacchi,
un ex regista RAI. L'intento originario era quello di trasmettere un
giornale periodico a mezzo video, cosa che fece ottenere la
registrazione di un tribunale. Quando la convenzione che regolava
le concessioni dei servizi radiotelevisivi tra stato e servizio pubblico
scadde, TeleBiella iniziò ad avere una programmazione regolare,
fatta di notiziari via cavo, e innumerevoli tentativi di imitazione.
Pur non essendo una realtà di primo piano per la storia della
televisione italiana, TeleBiella ha il grande merito di aver sbloccato
la situazione giuridica per l’emittenza televisiva italiana.
Nel periodo che va dal 1954 ai primissimi anni '70, il mondo
politico-istituzionale italiano guardò con disinteresse alla nascita di
questo nuovo strumento comunicativo, non capendone l'importanza
antropologica che andrà a ricoprire negli anni seguenti. Già in
America la politica si serviva della televisione per fare propaganda
elettorale, ma in Italia questa fu considerata una delle tante
stranezze del mondo a stelle a strisce.
Il 28 Maggio 1973, giorno della caduta del governo Andreotti,
segna la fine del distacco italiano nei confronti della tv. Di lì a
pochi giorni il ministero delle Poste e Telecomunicazioni, firmò un
decreto che imponeva la chiusura immediata di TeleBiella. Tale
mossa governativa venne vista come una limitazione della libertà di
informazione. A questo proposito Eugenio Scalfari, dalle pagine
dell’Espresso lanciò la proposta della «libertà d'antenna». L'anno
seguente, due decreti della Corte Costituzionale, il 225 e il 226,
sancirono l'inizio della libera emittenza. Le televisioni via cavo
8
divennero finalmente libere, a patto che non trasmettessero
sull'intero territorio nazionale. A questo punto si delineò un
problema, la cui trattazione passò dalla Corte Costituzionale ai
diretti legislatori: cioè quale dovesse essere l'ente preso a modello
per la dimensione locale. Il 30 novembre 1975, l'allora presidente
del consiglio Aldo Moro, riunì i ministri ed emise una legge di
riforma in otto punti, rispondenti alle questioni sollevate nei vari
dibattiti degli ultimi cinque anni.
Primo punto: la RAI non doveva essere un ente pubblico,
anche se i vincoli a cui era legata non la facevano sembrare una
società per azioni.
Secondo punto: il parlamento, con la Commissione dei
Quaranta, aveva il potere di nominare il consiglio di
amministrazione.
Terzo punto: le regioni, da semi escluse, potevano nominare
soltanto quattro candidati per il consiglio della RAI.
Quarto punto: la pubblicità poteva ricoprire solo il 5% delle
trasmissioni.
Quinto punto: i primi due canali furono messi in competizione
tra loro. E così pure successe per i telegiornali: uno era
democristiano, l'altro laico.
Quinto punto bis: entro il 1978 si doveva realizzare la terza
rete.
Sesto punto: veniva rinviata la regolamentazione della tv via
cavo.
9
Settimo punto: le televisioni straniere avevano il diritto di
trasmettere su territorio italiano, purché non vi raccogliessero
pubblicità.
Ottavo punto: il colore nella televisione subiva un ulteriore
ritardo.
Da quell'anno il numero delle emittenti indipendenti si
moltiplicò a vista d'occhio, tanto che l'Italia era il paese con il più
alto numero di stazioni televisive in rapporto alla popolazione: una
ogni 188.930 abitanti. E la Lombardia era situata al terzo posto,
dopo Lazio e Sicilia, con 44 emittenti. Alla fine degli anni '70, per
fare televisione in Italia, bisognava riconoscersi in una delle
seguenti soluzioni organizzative: tv indipendenti, circuiti, reti.
Le tv indipendenti erano la forma organizzativa più semplice,
controllate da azionisti e con programmi prodotti "artigianalmente".
Lo scopo era vendere ad altre televisioni i propri programmi, e ciò
rappresentava anche la fonte di sussistenza.
La seconda forma organizzativa era costituita da società di
servizi, le concessionarie, che raccoglievano la pubblicità
necessaria ai proprietari delle televisioni. Da questa necessità degli
antennisti, le società si misero a distribuire i programmi tv, ed in
seguito si specializzarono nella costituzione dei palinsesti. Questa
forma organizzativa formò i circuiti di televisioni locali, facenti
capo alle concessionarie. La tipologia del circuito ebbe un grande
successo, divenne molto potente e si trasformò nella terza forma
organizzativa: la rete.
10
La rete aveva una struttura centralizzata, con la facoltà di
trasmettere in contemporanea in tutta Italia, per mezzo di
registrazioni o di ripetitori.
Dal 1976 al 1979 si assiste a quello che viene definito il
periodo d'oro delle tv private, mentre negli anni a seguire esplode
l'epoca dei network, emittenti con una propria immagine d rete e dei
modi propri di fare tv. Da qui si può intuire che in poco più di
cinque anni si profila la possibilità di un sistema televisivo basato
sulla pluralità di emissioni.
L'avvento di tutte queste emittenti, soprattutto a carattere
commerciale, segnò la fine di TeleBiella, o meglio della sua
esperienza. L'emittente piemontese, infatti, era nata con lo scopo di
fare controinformazione, non per essere strumento di concorrenza e
competizione sul piano degli ascolti e dell'intrattenimento.
Le televisioni private videro la loro effettiva nascita nel 1976,
con la sentenza n. 202 e la liberalizzazione dell'etere, che aprì il
periodo della deregulation, chiamato così per la mancanza di
legislazione nel settore, che si protrarrà fino al 1990 con la legge
Mammì, quando alla presidenza della Repubblica c’era Cossiga,
alla presidenza del Consiglio dei Ministri c’era Andreotti e Mammì
era appunto il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni.
11
1.2. La legge Mammì
La legge del 6 agosto 1990, la numero 223, il cui regolamento
di attuazione entrò in vigore il 27 marzo 1992, regolamentò e
disciplinò il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che, di fatto,
si era creato a partire dal 1976 quando la sopraccitata sentenza 202
aveva legalizzato le emittenti locali. Riconoscendo questa pluralità
di emissione, si pone come divieto il possesso di più di tre reti
nazionali. Inoltre vengono stabilite regole per la pubblicità, con dei
tetti differenti per la Rai e l’allora Fininvest.
In modo particolare, però, riveste grande importanza il titolo II
di questa legge, in quanto affronta il problema delle concessioni. La
Mammì stabilisce che, per quanto concerne il servizio pubblico, la
diffusione dei programmi radiofonici e televisivi è effettuata dalla
società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la
quale viene definita concessionaria pubblica.
2
L’articolo 16 sancisce le norme per quanto riguarda le
emittenti private e locali. In modo particolare definisce i soggetti
concessionari e la natura delle concessioni.
«La concessione non è trasferibile […], ha la durata di sei anni
ed è rinnovabile. Nell’atto di concessione sono determinate le
frequenze sulle quali gi impianti sono abilitati a trasmettere, la
potenza, l’ubicazione e l’area da servire da parte dei suddetti
impianti, […]».
3
2
Cfr. legge 6 agosto 1990, n. 223, art.2
3
Testo della legge 6 agosto 1990, num 223, art. 16, comma 2
12
Il Ministro delle poste e telecomunicazioni, tramite decreti,
rilascia le concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito
locale a coloro i quali ne facciano richiesta e abbiano i seguenti
requisiti: siano persone fisiche, enti o società, e mai enti pubblici, e
versino una cauzione non inferiore a 300 milioni di lire; in caso di
richiesta di concessione per la radiodiffusione sonora, la cauzione
viene ridotta a un terzo.
La scadenza annuale entro cui bisogna presentare la domanda
di concessione è 30 giorni dopo la pubblicazione del bando in cui è
indicato il numero delle concessioni disponibili; il Ministero emana
il bando entro il 31 dicembre di ogni anno. Nella domanda per la
concessione a carattere commerciale, vanno specificati il tipo di
concessione che si richiede, il bacino di utenza, le caratteristiche
degli impianti, il piano economico-finanziario, gli spazi destinati ai
vari tipi di programmi e autoproduzioni, e dimostrare con appositi
documenti la veridicità di quanto specificato. Si deve inoltre
allegare la documentazione relativa al versamento di cauzione.
Prima di rilasciare la concessione, un’apposita commissione
nominata con decreto ministeriale, valuta e confronta le varie
domande tenendo presente alcuni parametri di riferimento, quali la
qualità di programmazione, la potenzialità economica e tecnologica
dell’emittente. Inoltre deve essere presente nel palinsesto una fetta
di programmi a carattere informativo locale, che ricopra almeno il
20% della programmazione settimanale.
4
Dopo aver svolto le
verifiche il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni approva la
4
Cfr. legge del 6 agosto 1990, num. 223, art. 16.
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graduatoria stilata dalla commissione e rilascia la concessione,
tramite decreto, entro sei mesi dalla presentazione della domanda.
Per rinnovare la concessione, bisogna presentare la domanda
almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità.
5
La legge Mammì introdusse anche una pianificazione delle
frequenze, mediante il piano nazionale di ripartizione e di
assegnazione. Il primo si aggiorna ogni cinque anni e indica le
bande di frequenza utilizzabili per le telecomunicazioni. Il piano di
assegnazione, invece, determina le aree di servizio degli impianti e
suddivide il territorio in bacini di utenza. Questi ultimi devono
garantire la possibilità di esistenza di un numero ampio di impianti
per consentire una pluralità di reti. In genere, i bacini di utenza
corrispondono, per dimensioni, all’estensione della provincia o
della zona in cui si trasmette. Le emittenti locali riescono a coprire
il 70% del bacino di utenza in modo continuo e senza disturbi, e
possono diffondere il loro segnale anche in bacini limitrofi, purché
non superino il 30% del territorio. Anche il piano di assegnazione,
come quello di ripartizione, si aggiorna ogni cinque anni.
6
All’interno del proprio bacino di utenza non si può rilasciare
più di una concessione allo stesso soggetto, per bacini di utenza
diversi invece il numero massimo sale a tre concessioni. Se questi
ultimi bacini di utenza sono contigui e comprendono un numero di
abitanti inferiore ai 10 milioni, si può trasmettere
contemporaneamente durante la giornata. Per giornata si intende
non meno di otto ore giornaliere e sessantaquattro settimanali, per
5
Cfr Regolamento di attuazione delle legge 6 agosto 1990, num 223, 27 marzo 1992, num. 255
6
Cfr. legge del 6 agosto 1990, num. 223. art. 3.
14
le emittenti locali, mentre dodici ore giornaliere e novanta ore
settimanali per le tv nazionali.
Per quanto riguarda le concessioni alle televisioni nazionali, la
legge Mammì pone il divieto ai soggetti concessionari di essere
titolari di:
«a. una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito
nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di
quotidiani la cui tiratura annua abbia superato nell’anno solare
precedente il 16 per cento della tiratura complessiva dei giornali
quotidiani in Italia;
b. di più di una concessione per radiodiffusione televisiva in
ambito nazionale, qualora si abbia il controllo delle imprese editrici
di quotidiani la cui tiratura superi l’8 per cento della tiratura
complessiva dei giornali d’Italia;
c. di più di due concessioni per radiodiffusione televisiva in
ambito nazionale qualora si abbia il controllo di imprese editrici di
quotidiani la cui tiratura complessiva sia inferiore a quella prevista
dalla lettera b.»
7
.
Il comma 4 del medesimo articolo stabilisce che
uno stesso soggetto titolare di più di una concessione in ambito
nazionale deve sottostare alla regola di non superare il 25 per cento
delle reti previste dal piano di assegnazione nazionale, e comunque
mai superare il numero di tre.
7
Testo della legge 6 agosto 1990, num 223, art. 15.
15
1.3. Le televisioni locali oggi
8
In Italia, oggi, è presente un altissimo numero di televisioni
locali. Da un censimento effettuato alla metà degli anni novanta, il
più recente di cui si dispone, è risultato che il numero totale delle
emittenti è pari a 1059. La distribuzione geografica delle tv censite
risponde al seguente grafico:
19%
16%
12%
17%
36%
sud
centro
nord est
nord ovest
isole
Questo numero è molto alto, e sicuramente non corrisponde a
verità. I motivi per cui il dato preciso delle emittenti è sconosciuto
sono molteplici: in primo luogo perché non tutte le aziende
rispondenti al censimento sono attive, alcune sono fallite, altre sono
ferme, altre ancora non hanno ottenuto la concessione. Il Ministero
delle poste e Telecomunicazioni, infatti, rilascia l’autorizzazione a
trasmettere, la concessione appunto, non a tutti coloro che ne fanno
richiesta. Le televisioni beneficiarie della concessione sono
distribuite sul territorio italiano secondo il seguente grafico:
8
I grafici e i dati riportati nel presente paragrafo sono tratti da: F. BARCA, P. NOVELLA,
op. cit..
16
34%
20%
11%
16%
19%
sud
centro
nord est
nord ovest
isole
L’incidenza maggiore delle televisioni locali con concessione
si ha in Sicilia e in Campania.
Le concessioni che elargisce il ministero delle
telecomunicazioni sono di quattro tipi e corrispondono a quattro
tipologie di emittenza. Esistono le emittenti commerciali con
obbligo di informazione, le quali vedono nel proprio palinsesto il
50% di programmi autoprodotti. Un secondo tipo di emittente è
quella puramente commerciale, il cui palinsesto si limita alle
televendite. Ci sono poi le emittenti comunitarie, espressione di
entità politiche o associative, i cui proventi arrivano
prevalentemente da donazioni. Per legge questa tipologia di
emittente non può avere più del 5% di pubblicità. Infine la realtà
televisiva italiana prevede le emittenti monotematiche, che
trasmettono programmi le cui tematiche sono legate all’utilità
sociale, e ricoprono il 70% del palinsesto.
Delle emittenti che presentano la domanda, la maggior parte
richiede una concessione a carattere commerciale, soprattutto al
17
centro nord. Al centro sud invece è presente un numero maggiore di
televisioni comunitarie. Queste realtà spesso sfuggono ai
rilevamenti dei dati di ascolto, per lo più a causa degli alti costi
difficili da sostenere per emittenti che, come già detto, hanno
introiti pubblicitari molto bassi. Il grafico seguente illustra il
rapporto tra la natura delle concessioni nelle varie zone
geografiche:
0
50
100
Comunitaria Commerciale
Comunitaria
23,2 15,9 28,3 40,7 36,6 32
Commerciale
76,8 84,1 71,7 59,3 63,4 68
Nord Nord Est Centro Sud Isole Totale
L’assetto giuridico delle televisioni commerciali è
prevalentemente quello di società a responsabilità limitata (s.r.l.),
seguito da quello di ditta individuale, di società in accomandita
semplice (s.a.s.), di società per azioni (s.p.a.), e di società in nome
collettivo (s.n.c.). Per quanto riguarda le emittenti comunitarie, le
società più diffuse sono le ditte individuali, seguite dalle s.r.l.,
s.c.r.l. (società cooperativa a responsabilità limitata), s.a.s. e s.n.c.
secondo il seguente grafico, dove sono indicati in percentuale gli
assetti societari delle tv comunitarie, commerciali e del totale delle
emittenti:
18
Il mondo delle televisioni locali con concessione comunitaria,
è in un certo qual modo favorito. Infatti, per ciascun bacino
provinciale di utenza, le emittenti comunitarie hanno garantito il 20
per cento delle concessioni assegnabili. Inoltre per queste
televisioni viene stilata una graduatoria separata da quella per
richiedenti concessione commerciale, e la somma da pagare per le
spese di istruttoria si riduce a cinquecentomila lire anziché un
milione.
9
Quasi tutte le tv locali, in genere a carattere commerciale,
interagiscono con una radio o con una testata giornalistica. Le
imprese televisive, soprattutto quelle di dimensioni medio-grandi,
spesso esprimono ideologie ben precise, per lo più a carattere
religioso, come il caso di Bergamo tv che prenderemo in esame
dettagliatamente nei prossimi capitoli. Oppure l’appartenenza di
un’emittente ad un imprenditore, rappresenta uno strumento per
pubblicizzare la propria impresa e per impostare dei rapporti, anche
9
Cfr. legge del 14 gennaio 2000, num 5.
0
50
100
comunitaria commerciale totale
comunitaria
44,5 10 12,4 8,6 23,9 0,5
commerciale
5,2 6,2 2,9 4,8 70,2 9,9
totale
17,8 7,4 7,4 5,9 56,2 7,1
ditte s.a.s. s.c.r.l. s.n.c. s.r.l. s.p.a.
19
politici, che possono rivelarsi di notevole importanza per il futuro
dell’impresa.
1.4. I circuiti
Come già accennato nel paragrafo precedente, una modalità di
trasmissione per le piccole emittenti è il circuito. In Italia sono sei i
circuiti attivi: Cinquestelle, Odeon, Tivuitalia, Italia 9 Network e
Supersix. Di questi, quello che conta una più alta percentuale di
aderenti è Cinquestelle. Tra un circuito e l’altro ci sono notevoli
distinzioni, che influiscono soprattutto sui palinsesti, a volte
imponendoli. Questo fatto costituisce un elemento di peso e di
intoppo per quelle emittenti che hanno un proprio palinsesto. In
modo particolare la struttura palinsestuale dei circuiti impone il
rispetto assoluto degli orari di programmazione. Cosa che crea non
pochi problemi alle televisioni che trasmettono in diretta e che
quindi corrono sempre il rischio di sforare, seppure di un paio di
minuti, il tempo loro concesso. È per questa ragione che molte
emittenti locali che posseggono autoproduzioni da mandare in
diretta, preferiscono non aderire ai circuiti. Per non avere degli
spazi vuoti nel corso della giornata, queste televisioni spesso
trasmettono una parte di programmazione di canali satellitari che
consentono loro la trasmissione in differita. Questa operazione,
della quale spiegheremo le modalità più in là nel lavoro, viene
adottata anche da Bergamo tv, che ha l’autorizzazione a trasmettere
una parte della programmazione di Sat 2000.