2
derivante sia da una percezione dl sé come entità singola ma (al
contempo) parte di una collettività, che dal riflesso dei giudizi
convenzionali di un osservatore.
A questo proposito è utile anticipare la distinzione di George
Herbert Mead circa la strutturazione del sé in due dimensioni:
“L’io concepito come principio agente, soggetto materializzato
nel corpo che realizza certe prestazioni nel presente immediato e il
“me”rappresentante l’identità riflessiva che proviene
dall’attribuzione altrui.”
1
L’io si riferisce al soggetto dell’agire, mentre il sé è oggetto di
riflessione descrittiva. Il self non rientra nel corredo intenzionale
dell’individuo, ma è il risultato di un processo di collaborazione: la
coscienza di sé si forma dall’organizzazione di atteggiamenti altrui
che il soggetto assume dalle unità collettive alle quali appartiene.
La metafora del “looking glass self” introdotta da James Cooley
2
nel
1922 riprende, semplificandola, questa teoria. Si sostiene che
nessuno vede se stesso se non si rispecchia in qualcosa di esterno;
conseguentemente, secondo la definizione di Harry Stuck Sullivan
“the self is made up of reflected appraisals”; di contro, l’altro esiste
solo in relazione ad un soggetto che lo descrive. Questo punto di
vista viene chiamato “meta-prospettiva”, cioè la mia immagine
dell’immagine che l’altro ha di me. Realmente è improbabile che ci
si percepisca nello stesso modo in cui ci vedono gli altri, ma si
suppone che loro ci stiano vedendo sotto particolari punti di vista,
quindi si agisce costantemente alla luce di atteggiamenti, di
opinioni e bisogni altrui. L’identità sociale di un individuo è un
1
George Herbert Mead “Mind, self and Society” The University of Chicago Press, Chicago 1934,
p. 78.
2
Davide Sparti “Soggetti al tempo- identità personale tra analisi filosofica e costruzione sociale”
Milano, Feltrinelli, 1996
3
insieme di attributi mediante i quali si viene classificati e, allo
stesso modo, essa è rifratta attraverso la media delle differenti
inflessioni dell'altro, così da subire miriadi di metamorfosi o
alterazioni. Questo tipo di identità è chiamato, invece, meta-identità
e rappresenta il modo in cui io penso che gli altri mi vedano. Esiste
anche un terzo tipo di identità, chiamata auto-identità e definisce
l’immagine che io ho di me stesso. Essa, tuttavia, è costituita non
solo dal nostro guardare noi stessi, ma anche dal guardare altri che
guardano noi e dalla ricostruzione ed alterazione delle immagini che
gli altri hanno di noi. Pertanto colui che riconosce ha a disposizione
un serbatoio di categorie per raccogliere gli individui in classi; ogni
società prestabilisce il repertorio di profili di classificazione degli
individui e il corredo di attributi ritenuti pertinenti per ciascun
membro della classe, anticipando così le identità sociali che è lecito
incontrare.
3
Si tratta della rappresentazione sociale che Moscovici definisce
come un sistema di valori, di nozioni e di pratiche che costituiscono
uno strumento di orientamento per la percezione delle situazioni.
Quest’ultimo è un modo per proteggersi dalla diversità e difendere
la propria identità, creando una casistica determinata e rigida, che
contribuisce alla formazione dello stereotipo.
4
3
Laing, Phillipson, Lee: “La percezione interpersonale” Giuffrè, Milano, 1972
4
Serge Moscovici : “Psicologia sociale” Borla, Roma,1996
4
1.1 Stereotipo e caratterizzazioni linguistiche
Esistono numerose definizioni di questo termine, ma la più
appropriata sembra essere quella coniata da Walter Lippmann che lo
definisce “a picture in our heads”
5
, un’immagine di seconda mano
che media il nostro rapporto con il reale. La stereotipizzazione è un
processo di categorizzazione che introduce semplicità e ordine dove
in realtà è presente la complessità e una variazione casuale. Esso
rappresenta una tendenza verso la semplificazione, crea differenze
dove ci sono solo sfumature, fornisce una lettura programmata del
reale, è uno schema astratto, una griglia che lo spirito umano
applica al mondo per meglio comprenderlo. Il concetto di stereotipo
è imposto in modo duraturo alla riflessione scientifica e critica. Nel
campo delle scienze sociali è diventato un prezioso strumento
d’analisi per lo studio dell’opinione pubblica e del comportamento
umano. I sociologi hanno potuto valutare l’immagine che i gruppi si
fanno gli uni degli altri e le rappresentazioni collettive che stanno
al fondamento di tutte le interazioni umane. Utilizzando il metodo
della "adjective checking list" i sociologi Katz e Braly hanno
tentato di identificare le caratteristiche tipicamente attribuite a
diverse categorie razziali, etniche o nazionali.
Il notevole consenso tra gli intervistati e l’esistenza di stereotipi
ben definiti anche rispetto a gruppi con cui non esisteva alcun
contatto diretto, hanno fatto pensare che gli stereotipi fossero, per
la maggior parte, acquisiti durante la socializzazione o attraverso i
mass media, piuttosto che attraverso esperienze personali. Nel
campo linguistico la presenza di stereotipi in un discorso può essere
caratteristica sia di una personalità poco definita o facilmente
influenzabile, sia di una personalità tendente alla generalizzazione o
al condizionamento altrui, o ancora può essere una tecnica
5
Walter Lippman : “Public Opinions”
5
giornalistica tesa al raggiungimento dell’adesione altrui. In
quest’ultimo caso un giornalista che scrive su e per una testata
tende a soddisfare le richieste e le aspettative di natura politica e
sociale del giornale, ma nel momento in cui decide di scrivere per
“il pubblico”, indipendentemente dalla testata, sganciandosi da
interessi particolari, assume uno stile autonomo, volto a cercare il
consenso dei lettori.
Nel caso dei due autori qui presi in considerazione, esiste un
discorso istituzionale che coincide da una parte con lo sguardo su di
un’identità cui l’autore sente di appartenere, quindi un’auto-
identità, e dall’altra con lo sguardo allogeno su di un’identità altra.
Entrambi si avvalgono di una serie di stereotipi resi funzionali alla
descrizione delle situazioni, che trasformano il discorso
istituzionale in pensieri personali. Questo preciso processo,
nell’ambito giornalistico, viene definito “narrowing of a gap”
6
, ed
ha lo scopo di dare vita, sulla carta stampata, a dei modelli orali, in
modo che il lettore si crei l’illusione di partecipare ad una
conversazione su argomenti il cui consenso è stato precedentemente
già raggiunto.
Il fattore “persuasione” gioca un ruolo importante nel campo della
saggistica: determinati racconti sono presentati sotto forma di prove
scientifiche, in modo da rappresentare valide premesse verso una
valutazione negativa dell’esperienza. Nell’ambito dell’ottenimento
del consenso vengono utilizzati due sottocodici linguistici: quello
della politica e quello della pubblicità. La prima si avvale della
persuasione occulta, mentre la seconda utilizza l’immaginario
collettivo.
7
Un simile processo, grazie al contributo degli stereotipi e dei
luoghi comuni, viene applicato dai due giornalisti. Il consenso si
avvale di valori e credenze, più raramente fatti, anche se la
6
Gianni Faustini: “Le tecniche del linguaggio giornalistico” Roma, La Nuova Italia Scientifica,
1995
7
Ibidem
6
frequenza dell’accadimento di un certo evento o processo consolida
lo stereotipo, che a sua volta trova un riscontro nel fatto empirico.
La politica del consenso tende a definire due campi distinti: il noi e
il loro, dove il noi stabilisce il limite dell’accettazione e del “dato
di fatto”, mentre il loro delinea l’alterità e la diversità.
1.2 Registro
Di notevole importanza è il registro o mode of address utilizzato. Il
giornalista che vuole raggiungere il consenso e il plauso dei lettori
userà un tipo di linguaggio simile a quello del suo pubblico, e
giocherà sull’immaginario collettivo, basato su poche
rappresentazioni stereotipate, farà ampio uso della retorica e di una
serie di conoscenze comuni per suscitare reazioni di approvazione.
Con questo non si intende dire che il giornalista raggiri i suoi
lettori, al contrario condivide con loro un certo stile, stabilendo
quasi un rapporto di reciprocità. Ci si rifà al lettore usando il
registro della conversazione, che presuppone una comune visione
del mondo e una realtà soggettiva data per scontata, che proprio per
questa caratteristica non necessita di ulteriori spiegazioni. Per
realtà soggettiva s’intende un corollario di conoscenze tramandate o
assorbite dalla società.
Nei due casi specifici determinate esperienze dello straniero o di
visioni di una propria identità vengono categorizzate e costituiscono
un background di facile accesso sul quale si basa la
“conversazione”. Vi sono numerose tecniche che catturano
l’attenzione del lettore e creano una sorta di empatia con l’autore,
tra le quali si includono:
1- l’uso di un linguaggio informale e colloquiale con larga presenza
di modi di dire, proverbi o forme dialettali.
7
2- L’uso di nomi propri, che stabiliscono una relazione più stretta,
quasi familiare con il pubblico.
3- L’uso di “modality”, che sottolineano un commento o un
giudizio velato, con il quale il lettore non può che trovarsi
d’accordo.
4- L’uso di “category labels” che definiscono certi tipi di individui
nonché atteggiamenti e situazioni.
8
Oltre a questi accorgimenti Teun Van Dijk ha evidenziato alcune
strategie semantiche utilizzate in concerto alle tecniche sopra
indicate.
a) Over generalization: si tratta di un accorgimento grazie al quale
si descrive un modello di esperienza singolo e particolare, ma
per sottolinearne la validità e verdidicità, si tende ad allargare
dal particolare all’ universale.
b) Contrast: questa tecnica oppone i campi we/they chiamando in
causa anche conflitti d’interesse.
c) Mitigation: viene utilizzata per la maggior parte come una
strategia di autopresentazione , le cui caratteristiche sono la
comprensione e la tolleranza.
d) Displacement: si tratta di un accorgimento grazie al quale si
investono gli altri di responsabilità che non si vuole dichiarare
proprie.
e) Presupposition, implication, suggestion, indirectness: indicano
tutte un allontanamento dal discorso centrale, è un tentativo per
eludere argomenti scomodi. Nella lingua inglese tale situazione
risulta facilmente riconoscubile grazie all’uso di that-clause,
even o also, termini vaghi e pronomi di seconda persona.
9
8
Ibidem
9
T. Van Dijk “Prejudice in discourse” Amsterdam, Philadelphia John Benjamins B.V. 1984
8
1.3 Breve storia dello stereotipo
Il concetto di stereotipo è relativamente recente ed è stato
introdotto nel vocabolario corrente verso la fine del XX secolo e nel
campo delle scienze sociali dal 1920. La sua origine risale in realtà
alla terminologia tipografica ed è a questa definizione che si limita
“Le Grand Dictionnaire Universel du XIX siècle Larousse”:
<<typgr. Imprimé avec des planches dont les caractères ne sont pas
mobiles, et que l’on conserve pour de nouveaux tirages >>. Così che
il verbo stereotipare assume l’ulteriore significato di “rendere
inalterabile, fisso, immutabile, sempre uguale” e nella successiva
edizione de “Le Grand Dictionnaire du XX siècle” lo stereotipo
viene definito <<… ce qui manifeste, dénote un automatisme>>. Lo
stereotipo designa precisamente le credenze che sottendono le
nostre attitudini. Allport in “The Nature of Prejudices”
10
sostiene:
“Che sia favorevole o meno uno stereotipo è una credenza
esagerata associata
ad una categoria.”
Da ciò si deduce che una credenza categorizzata come stereotipo
deve essere semplice, mal fondata, incorretta almeno in parte e
tenuta in considerazione da un gran numero di persone. Lo
stereotipo può essere perciò un concetto o una credenza, ma
costituisce un’idea falsa di classificazione perché:
“1) It is simple rather than complex
2) It is wrong rather than right
3) It is a second-hand acquisition rather than acquired by direct
experience
10
Allport, Gordon “The nature of prejudice” Reading, Mass Addison, Wesley, 1954
9
4) It is resistant to change”
11
Nonostante le definizioni negative, lo stereotipo è indispensabile
alla vita comunitaria. Le immagini collettive raggiungono lo scopo
di manifestare la solidarietà del gruppo e di assicurarne la coesione.
Esse traducono la partecipazione ad una visione del mondo comune
che dà ad un insieme di individui isolati la sensazione di formare un
corpo sociale omogeneo.
All’inizio degli anni ’50 Asch arrivò alla conclusione che
l’elaborazione dello stereotipo corrisponde al processo di
concettualizzazione più ordinario. In un suo studio approfondisce il
concetto:
“La concettualizzazione dei gruppi può essere produttiva perché le
impressioni semplificate costituiscono un primo passo verso la
comprensione dl nostro entourage e di quello altrui. La
semplificazione aiuta spesso a vedere chiaramente una situazione e
ad oltrepassare la perplessità e la confusione suscitate dalla
molteplicità di dettagli.”
12
Il presente studio vuole esaminare principalmente gli stereotipi che
gli inglesi mettono in campo parlando della Gran Bretagna e
dell’Italia, e quelli utilizzati da noi nel momento in cui generiamo
un discorso sulla nostra cultura e sulla loro. Usando le parole di
Charles Davies:
“Stereotypes can also be socially and psychologically useful, as
they provide
11
John Harding, Stereotypes in “International Encyclopaedia of the Social Sciences” Vol. 15
David Sills, The Mc Millan Cie and The Free Press, London 1968, p. 259
10
people with security and stability, and above all with means of
orientation.
Stereotypes about other nations, for instance, which are often
presented as jokes
Or anecdotes, are a kind of language which enables people to think
and speak
About their own national identity, by way of a detour, so to say.”
13
I cosiddetti stereotipi sull’identità nazionale contengono esperienze
collettive che mostrano di possedere un carattere veritiero mai
penetrato però fino in fondo o toccato dai fatti empirici della
scienza, poiché appartenente ad un differente livello discorsivo. I
membri di una nazione tendono a considerare deviante dalle norme
(da loro stabilite) il modo in cui altre nazioni si comportano e
frequentemente questi atteggiamenti degenerano in stereotipi. Una
volta appreso, lo stereotipo, viene “protetto” da una serie di
processi cognitivi, comportamentali e linguistici che lo rendono
resistente al cambiamento anche di fronte a disconferme della
realtà. Tra i processi cognitivi che impediscono la revisione degli
stereotipi figurano l’attenzione, la selezione, l’interpretazione e la
memorizzazione differenziale dell’informazione. In situazioni di
scelta è stato provato che le persone in genere danno la preferenza a
informazioni che confermano le loro aspettative stereotipiche
rispetto a quelle che le disconfermano.
L’idea di un carattere nazionale può essere fatta risalire al
pensiero romantico, ed è stata impiegata in primo luogo da storici e
letterati. Sembra esserci una tendenza generale ad attribuire un
maggiore significato al termine “identità nazionale” piuttosto che a
“carattere nazionale”, il primo concetto suggerisce un processo
13
Charles Davies Ethnic Jokes, Moral Values and Social Boundaries in “British Journal of
Sociology” n. 33 (September 1983) p. 384
11
coscientemente costruito durante uno sviluppo storico, mentre
carattere nazionale sembra implicare una crescita naturale, qualcosa
di fisso e immutabile. Più intensamente una nazione cerca o riflette
sulla sua identità, più sensibilità mostra di avere nei confronti delle
altre nazioni e del modo in cui essa viene da loro concepita.
Gli stereotipi si accompagnano comunemente, ma non
necessariamente, al pregiudizio, in altre parole ad una
predisposizione favorevole o sfavorevole verso tutti i membri della
categoria in questione. Klinberg ne ha dato la definizione seguente:
“preconcetto realizzato prima di raccogliere o prendere in esame
informazioni di una certa rilevanza, e che per ciò, si basa su dati
inadeguati, e perfino immaginari”.
14
1.4 Il pregiudizio
In prospettiva psicologica, il pregiudizio può essere interpretato
sia nei suoi aspetti formali sia in quelli funzionali. Dal punto di
vista formale il pregiudizio rappresenta uno schema mentale
semplicistico, un modo economico di vedere la realtà; dal punto di
vista funzionale, cioè emotivo e sociale, esso rappresenta quel tipo
di meccanismo di difesa che si denomina come “proiezione” e
consiste nella tendenza ad attribuire agli altri quelle idee,
atteggiamenti o responsabilità che rifiutiamo in noi stessi.
Il pregiudizio si rapporta agli atteggiamenti negativi di uno o più
soggetti e la discriminazione è un comportamento diretto contro gli
individui che sono oggetto di tali giudizi. Lo stereotipo in questo
caso funziona come un tipo particolarmente rigido di pregiudizio.
14
Klinberg, E “The social psychology of prejudice” New York, Wiley, 1973
12
Nell’esprimere un pregiudizio automaticamente si indica che:
l’individuo in oggetto appartiene ad un gruppo specifico
(identificabile attraverso segni distintivi di gruppo e stereotipi),
all’interno del gruppo tutti si comportano allo stesso modo
(omogeneizzazione); il gruppo in questione è valutato
negativamente. Inoltre si generalizza in modo sconsiderato,
coscienti del fatto di poter godere di una certa distanza sociale
poiché non appartenenti al gruppo in questione. Da questa prima
analisi emerge che il pregiudizio è un atteggiamento ed una
anticipazione della realtà; un atteggiamento perché denota uno stato
mentale valutativo verso un gruppo organizzato e persistente nella
memoria, una anticipazione poiché:
“Nel produrre informazioni sui gruppi, la gente non fornisce
semplicemente
evidenze basate su modelli interpretativi, ma costruisce evidenze
a partire
da preesistenti attitudini. È lo stereotipo generale negativo che
mi assicura che
che io devo aver avuto solo esperienze negative. Noi crediamo
che le opinioni
sui gruppi sono elaborate in modo circolare: una esperienza
negativa viene
generalizzata fino a diventare una opinione attitudinale
generale, e l’opinione generale, viceversa, garantisce che alla fine
si trovano esempi che la convalidino”
15
L’espressione più stabile del pregiudizio sociale è l’etnocentrismo e
cioè la tendenza a percepire in modo stereotipo il proprio popolo
come dotato di caratteristiche positive in rapporto a quelle degli
15
T. Van Dijk “Communicating Racism”, Newbury Park, CA, Sage Publications, 1987, p.280
13
altri. Si tratta di una tendenza che si esprme appunto nella creazione
degli stereotipi nazionali che hanno in comune molti aspetti:
semplificazione ipocritica delle conoscenze e rappresentazioni,
rigidità e chiusura ad ogni tentativo di correzione, orientamento
piuttosto aggressivo o svalutativo nei riguardi degli altri.
Vi sono, estremizzando, due posizioni circa la valutazione globale
del pregiudizio: per alcuni esso è nella sostanza un giudizio errato,
per altri che adottano una posizione ermeneutica, esso è
imprescindibile, nei fatti sociali, dal giudizio.
16
Nel caso dei due autori qui considerati, i pregiudizi e gli stereotipi
non si manifestano nella forma di attribuzione di atteggiamenti
negativi, bensì come ritratti anomali. La rappresentazione degli
altrui modi di fare, costumi e tradizioni, come aspetti alieni, è
riconducibile al punto di vista “altro” dell’osservatore, perché come
dice Peter Boerner:
“National characteristics are often reflected in our habits of life,
from language and clothing, to food and drink”
17
Per entrare nel vivo della questione, già Jules de la Mesnardière
scriveva:
“J’ai vu par la frequentation que les Anglais sont infidelles,
paressuex, vaillans, cruels, amateur de la propretè, ennemis des
étrangers, altiers et interessez (…)
Les italiens sont oysifs, impies, seditieux, soupçonneux, fourbes,
casanniers, subtils, courtois, vindicatifs, amateurs de la politesse et
passionez pour le profit”
18
16
Trentin, Rosanna “Gli atteggiamenti sociali” Torino, Bollato Boringhieri, 1991
17
Peter Boerner in “Concepts of National Identity” Introduction Nomos Verlagsgesellschaft
Baden-Baden, 1986, p.16
1818
Jules de la Mesnardière “La poëtique” Paris, 1640
14
Molte di queste caratteristiche corrispondono al reale, ma molte
altre sono state riscontrate in un campione di individui e poi estese
a tutti gli altri.
Si tratta quasi esclusivamente di pregiudizi negativi che mettono in
luce gli aspetti più deleteri dei due popoli. Greenough li trasforma
in positivo, ma conserva la stereotipia della caratterizzazione:
“The English are stout, courageous, valiant, true-hearted, hardly,
bold, audacious, adventurous, warlike, apish, imitating. (…) The
Italians are spruce, heat, amorous, proud, courtly, complimental,
ceremonious, jealous, suspicious, proud, insolent”.
i
I successivi capitoli saranno rispettivamente centrati sul differente
concetto di Englishness sviluppatosi durante il XX secolo e su
quanto invece emerge dagli sguardi incrociati di Parks e Severgnini
in relazione al carattere italiano.
15
CAPITOLO PRIMO
RAPPRESENTAZIONI DI IDENTITÁ NAZIONALE
1.1 Englishness
L’identità nazionale può essere definita come un insieme di
elementi che caratterizzano un popolo; ciò che lo rende differente e
lo contraddistingue dagli altri. La geografia ontologica del popolo
inglese viene definita Englishness. Si tratta di un concetto molto
vasto, che ha conosciuto variazioni sul piano del significato e ha
racchiuso in sé caratteristiche di altrettante epoche storiche. I
discorsi sulla Englishness hanno così conosciuto ricezioni diverse a
seconda del significato che veniva messo in evidenza e dalla
situazione contingente in cui si veniva a trovare il lettore.