5
Introduzione
Al centro della vita politica e religiosa romana, il Capitolium è senza alcun dubbio
uno dei templi più importanti di Roma. L’intento di questo lavoro è duplice: cercare
di ricostruire la successione delle ricostruzioni e sistemazioni della struttura e
provare a dimostrare tale importanza nella vita comunitaria romana, attraverso
reperti archeologici e fonti letterarie.
La prima sezione è interamente dedicata all’indagine dei resti archeologici, delle
fonti antiche e dei principali studi che si sono susseguiti nel tempo, dalle ipotesi di
Lanciani nella seconda metà dell’Ottocento allo studio di Kaderka e Tucci del 2021.
Ho cercato di ricostruire la storia dell’edificio dalla realizzazione delle fondamenta
fino alla fine della dinastia flavia, attraverso le sue quattro fasi: la prima
costruzione, la ricostruzione tardorepubblicana di Quinto Lutazio Catulo e infine i
rifacimenti dei Flavi, Vespasiano e Domiziano. L’obiettivo era quello di percorrere
la storia del tempio e riuscire a elaborare infine un’ipotesi ricostruttiva plausibile.
Segue una sezione interamente concentrata sugli ornamenti del tempio e del colle
capitolino. Oltre all’apparato decorativo del tempio sono infatti di interesse anche
tutta la serie di doni e offerte posti nell’area Capitolina e le statue cultuali degli dei.
Infine, un’ampia sezione tratta del ruolo ricoperto dal tempio nella vita comunitaria
romana: dal culto della Triade capitolina di Giove Ottimo Massimo, Giunone
Regina e Minerva Custode ai ludi in loro onore, dalle riunioni del Senato alle offerte
dei sovrani e dei popoli stranieri sul Campidoglio. Il Capitolium è stato punto di
riferimento sia topografico sia politico sia religioso nella città di Roma a lungo nel
tempo, dalla sua dedica nel 509 a.C. fino almeno al tempo di Costantino. Viene
quindi alla fine affrontato anche il tema della decadenza della centralità del tempio
di Giove Ottimo Massimo nella vita politica e religiosa romana, sia osservando i
cambiamenti nella processione del trionfo sia ricostruendo la storia dell’edificio
dall’ultimo rifacimento di epoca flavia alla distruzione completa dei pochi resti
rimasti nel Cinquecento.
7
1. Campidoglio svelato. La riscoperta del colle sacro
Ben poco è ciò che oggi rimane del tempio di Giove Ottimo Massimo sul
Campidoglio, limitato alle sole fondamenta della struttura. Risulta paradossale che
del tempio più importante della città di Roma non si sia conosciuto molto fino a
poco tempo fa. Poggio Bracciolini nel De varietate fortunae nella prima metà del
Quattrocento si meravigliava dello stato in cui si trovava allora il Campidoglio, un
tempo glorioso
1
: il colle che aveva spaventato re e principi, che aveva accolto
generali trionfanti, che era stato adornato di preziose offerte era ormai ricoperto di
letame e sporcizia (Bracciolini
1
). L’ampia zona del Foro Romano estesa tra il colle
del Campidoglio e l’arco di Tito ancora nel XVIII secolo era abbandonata al
pascolo, come testimonia il nome di Campo Vaccino, per il mercato di bestiame che
qui si teneva. Proprio il Campo Vaccino fu protagonista della prima veduta
“realistica” di Roma a noi giunta, del 1629 circa, di Herman van Swanevelt (fig. 1),
in cui si riproduce abbastanza fedelmente ciò che si poteva osservare nella realtà,
ma allo stesso tempo si cerca di dar risalto ai resti della Roma antica, in particolare
del Foro
2
.
Quando nel 1809 Roma
passò sotto il controllo
francese si moltiplicarono i
progetti di risistemazione
della città, compresi quelli
falliti del Palazzo imperiale
sul Campidoglio e del
“Jardin du Capitole”, un
enorme parco archeologico
circondato da viali alberati
che avrebbe dovuto
racchiudere Campidoglio e Palatino
3
. Il Prefetto di Roma napoleonico, il conte De
Tournon, avviò scavi presso il Tabularium sul Campidoglio, attorno al quale si
1
Si veda RIDLEY 2005, p. 83.
2
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 15.
3
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 22.
Fig. 1. H. van Swanevelt, Campo Vaccino (da PARISI PRESICCE, DANTI
2016, p. 16).
8
andarono a concentrare gli sforzi archeologici seguenti. Proprio con i successivi
scavi di papa Gregorio XVI, grazie alla riscoperta di importanti strutture, come i
rostri o il Portico degli Dei Consenti, ci si avviò verso un approccio più scientifico
4
.
Già nel 1838 Nibby sosteneva che fosse necessario unire conoscenze artistico-
archeologiche e filologiche per ottenere risultati soddisfacenti. Questo purtroppo
non gli evitò gravi errori, come l’ipotesi della collocazione del tempio di Giove
Ottimo Massimo sull’Aracoeli
5
, corrispondente all’antica altura dell’Arx. La scelta
dell’Arx di Nibby non fu però un unicum: già dagli inizi del XVI secolo si ipotizzava
che il Capitolium fosse da collocare su questa cima, probabilmente pensando che la
grande chiesa di Santa Maria in Aracoeli si fosse sovrapposta proprio all’antico
tempio di Giove Ottimo Massimo
6
.
Una attenzione analitica si può osservare nelle opere dell’architetto e incisore Luigi
Rossini. Nel 1829 circa, in una delle sue incisioni, Parte del Foro romano e Monte
Capitolino col Tempio di Giove (fig. 2), cercò di ricostruire il Campidoglio e ciò
che vi gravitava attorno seguendo le testimonianze antiche
7
. È evidente come
l’intento sia diverso rispetto a quello di Swanevelt: non si rappresenta la città del
tempo, ma una Roma antica immaginata, immersa però in un evento reale, il sacco
4
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 22.
5
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 24.
6
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 209.
7
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 24.
Fig. 2. L. Rossini, Parte del Foro romano e Monte Capitolino col Tempio di Giove (da PARISI PRESICCE, DANTI
2016, p. 33).
9
dei Vandali del 455 d.C.
8
In
alto a destra si vede anche
il Capitolium immaginato
da Rossini, gigantesco e in
preda alle fiamme. Così a
poco a poco prese avvio il
tentativo di ricostruzione
scientifica del
Campidoglio nei suoi
aspetti storici e in quelli
archeologici, che
procedeva parallelamente a un interesse sempre maggiore da parte di intellettuali e
studiosi per la città di Roma e i suoi resti antichi
9
, spesso mitizzati (fig. 3).
Riuscì a legare il proprio nome a quello del colle capitolino la nobile famiglia
ghibellina dei Caffarelli, strettamente legata agli Asburgo nel Cinquecento. Si
ricorda che quando Carlo V entrò solennemente a Roma nel 1536 Ascanio Caffarelli
fosse tra i paggi senatoriali accorsi ad accogliere l’imperatore, gesto che avrebbe
poi meritato la donazione dei terreni sul
Campidoglio. In realtà si sospetta che già il
popolo romano avesse concesso da tempo la
proprietà di quei terreni ai Caffarelli, che si
videro solo confermato il possesso
dall’imperatore asburgico per la loro
fedeltà
10
. In questi terreni i Caffarelli
realizzarono il loro palazzo, Palazzo
Caffarelli appunto, proprio al di sopra dei
resti del Capitolium (fig. 4).
8
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 24.
9
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 26.
10
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 44.
Fig. 3. J. M. W. Turner, Modern Rome-Campo Vaccino (da PARISI
PRESICCE, DANTI 2016, p. 33).
Fig. 4. Ubicazione del Capitolium in rapporto agli edifici
moderni (da PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 99).
10
Già dalla metà del Quattrocento si iniziano a segnalare importanti rinvenimenti
architettonici sulla cima del Campidoglio, ma, proprio a partire dalla costruzione
del Palazzo Caffarelli, tra il 1544 e il 1546, si avviò la distruzione sistematica di ciò
che rimaneva in piedi della struttura, fino all’asportazione di ben 14 filari nel
Seicento
11
.
In corrispondenza di una sala del Museo Nuovo, la sala IV (fig. 5), al di sotto della
pavimentazione sono stati trovati un acciottolato stradale e resti di una struttura
riferibili probabilmente a una rimessa o a un ricovero per animali. Questo ha fatto
pensare che Palazzo Caffarelli in origine dovesse essere meno esteso, soprattutto
verso sud, e che solo in un secondo momento si fosse ampliato, di pari passo anche
alla risistemazione dei giardini attraverso sbancamenti e livellamenti
12
.
Palazzo Caffarelli divenne
poi residenza personale
dell’ambasciatore prussiano
presso la Santa Sede Christian
von Bunsen nel 1817. Ben
presto il palazzo divenne un
importante centro di raccolta
di intellettuali, artisti e
accademici appassionati di
Italia, prima con il Circolo
degli Iperborei, costituito nel 1823, e poi con l’Istituto di Corrispondenza
Archeologica, fondato nel 1829: questo permise ai prussiani di ottenere il controllo
di tutta la proprietà Caffarelli-Marescotti sul Campidoglio e di mettere insieme
un’enorme biblioteca nella struttura
13
.
Nel 1853 il palazzo venne ceduto agli Hohenzollern e nel 1871 vi si stabilì
ufficialmente la sede dell’ambasciata dell’Impero Germanico
14
.
Già nel Seicento c’erano stati i primi tentativi di riproduzione grafica dei resti delle
fondamenta del tempio, ma solo in questa fase si avviarono lavori in grande scala
15
.
11
Si veda CIFANI 2008, p. 82.
12
Si veda DANTI 2001, p. 328.
13
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 61.
14
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 43.
15
Si veda CIFANI 2008, p. 82.
Fig. 5. Pianta della sala IV e resti sottostanti (da DANTI 2001, p. 328).
11
I primi scavi documentati nella zona potrebbero risalire proprio a questa fase, quelli
di Pietro Rosa del 1865. Non erano però certo i primi resti rinvenuti nell’area,
perché durante dei lavori per spianare parte del giardino di Palazzo Caffarelli, come
si è detto, nel 1680 per caso vennero rinvenuti quattordici filari di blocchi di
cappellaccio: venivano così alla luce casualmente i resti più consistenti del
basamento del tempio, poi chiamati erroneamente da Rodolfo Lanciani “Muro
romano”. Gli scavi di Rosa portarono alla riscoperta di altri blocchi di cappellaccio
simili a quelli già noti, nella zona sud dei Giardini, cosa che permise di ipotizzare
la presenza di una grande fondazione quadrangolare. Solo con ulteriori lavori e
nuove scoperte nelle sezioni est e sud-est dei Giardini Lanciani, nel 1875, riuscì ad
attribuire definitivamente i resti rinvenuti al tempio capitolino di Giove Ottimo
Massimo
16
.
Certamente l’avvento di Roma Capitale nel 1870 comportò che non fosse vista di
buon occhio una presenza straniera sul colle, percepito sempre più come centro
ideale di rappresentanza e amministrazione della città. E l’occasione perché Roma
si riappropriasse del suo “sacro” colle venne fornita ben presto. Infatti, con lo
scoppio della Prima Guerra Mondiale e soprattutto con la rottura dell’alleanza tra
l’Impero Germanico e il Regno d’Italia, si rimise in discussione la presenza tedesca
sul Campidoglio: la propaganda nazionalista si concentrò anche sul tempio di Giove
Ottimo Massimo, simbolico vessillo dell’antica romanità schiacciato dal Palazzo
Caffarelli, quindi dall’ambasciata straniera
17
. Già nel luglio 1887 infatti era stato
presentato il “Piano di sistemazione della zona monumentale riservata di Roma”,
escludendone però il Campidoglio; Rodolfo Lanciani propose nel 1917 di inserire
anche il colle nel grande piano di risistemazione e tutela, riuscendo a convincere
anche il Consiglio Comunale di Roma
18
. Inserendo il colle per decreto nella zona
monumentale si poté procedere all’espropriazione nel 1918, dopo la sconfitta
austriaca sul Piave, avviando scavi e indagini già dall’aprile dell’anno successivo.
Nell’ottobre del 1919 un servizio de L’illustrazione italiana testimoniava la
demolizione del Palazzo Caffarelli
19
(figg. 6-7).
16
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 209.
17
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 43.
18
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 99.
19
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 43.
12
Fig. 6. Demolizioni del
Palazzo Caffarelli, esterni (da
G. Treves, a cura di,
L’illustrazione italiana, 40,
1919, p. 350).
Fig. 7. Demolizioni del Palazzo Caffarelli, interni (da G. Treves, a cura di, L’illustrazione italiana, 40, 1919,
p. 351).
13
Gli interventi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento comportarono la
rimozione di moltissimo materiale, la quasi totalità delle stratigrafie di età imperiale
e repubblicana, ma senza che si andasse a intaccare la sezione sottostante più antica,
databile tra la metà del VII e il VI secolo a.C.
20
e riferibile alla fase insediativa del
colle capitolino e a quella costruttiva del tempio di Giove Ottimo Massimo. Si avviò
subito una campagna di scavo sotto la guida di Roberto Paribeni
21
, che rimase ben
presto deluso dalla scarsa quantità di resti reperibili nella zona, che avrebbe
comportato ulteriori problemi nel risolvere la questione delle dimensioni del
tempio. Già nel 1920-1921 Paribeni dichiarò che tutte le strutture fossero state
mappate e indagate
22
. In questi scavi fu possibile rinvenire l’angolo sud-ovest delle
fondamenta; questi blocchi vennero ritenuti, però, di scarso interesse e addirittura
coperti in occasione dei lavori al costituendo Museo Mussolini. Venne rinvenuto
anche un blocco, descritto come una gettata composta di vari materiali, da scaglie
di marmo e tufo, lungo il perimetro di Palazzo Caffarelli, su via di Monte Tarpeo
23
.
Sebbene con queste scoperte molto si fosse compreso delle fondazioni del podio,
soprattutto per quanto riguarda la fascia perimetrale e i setti longitudinali,
rimanevano molti altri dubbi, come l’esatta collocazione e dimensione dei setti
trasversali. Dalla posizione dei setti e soprattutto dai punti in cui questi andavano a
incrociarsi si poteva infatti cercare di ricostruire le strutture superiori dell’alzato,
cercando anche di comprendere se i resti rinvenuti facessero parte soltanto del
complesso del tempio di Giove Ottimo Massimo o se fossero da attribuire anche ad
altri edifici
24
.
I lavori di abbattimento di Palazzo Caffarelli procedettero in fretta, tanto che già nel
1920 rimaneva in piedi solo il primo piano, ma per l’avvio dei lavori di
risistemazione si dovette aspettare la cessione dell’area al Comune di Roma e i
lavori di ampliamento dei Musei Capitolini, che inglobarono ciò che restava del
palazzo nel 1925
25
. Infatti il Comune, anche a seguito delle proteste dell’opinione
pubblica
26
, decise di bloccare la demolizione e di recuperare ciò che rimaneva del
palazzo, apportando interventi il più limitati possibile. Si decise alla fine di
20
Si veda DANTI 2001, pp. 329-331.
21
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 213.
22
Si veda RIDLEY 2005, pp. 92-93.
23
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 213.
24
Si veda DANTI 2001, pp. 323-324.
25
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 43.
26
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 103.
14
collocarvi il Museo Mussolini
27
, dedicato alla statuaria antica e inaugurato il 31
ottobre 1925
28
, il terzo anniversario della Marcia su Roma. Nemmeno il
Campidoglio e il tempio di Giove Ottimo Massimo rimasero liberi dalla propaganda
fascista.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i vari sfaldamenti della collezione in fase bellica
per preservare i reperti e il cambio del nome in Museo Nuovo, si decise di
intervenire nuovamente in questa zona e nelle scuderie nuove dell’ambasciata
teutonica, dove venne realizzato il
Braccio Nuovo, in occasione del
giubileo di papa Pio XII, nel
1950
29
. Dopo gli scavi tra il 1921
e il 1925 era seguita una lunga
fase di inattività, interrotta dai
saggi del 1959 di Einar Gjerstad e
Antonio Maria Colini
30
, che
portarono alla riscoperta di nove
filari abbastanza precari
nell’angolo nord-est (fig. 8). A
partire dagli anni Sessanta, Museo
Nuovo e Braccio Nuovo vennero
chiusi, fino ai lavori di
risistemazione del 1999-2000.
Limitati furono i sondaggi nell’area del Palazzo Caffarelli dopo il 1959, e se ne
ricordano tendenzialmente tre: lo scavo presso il Muro romano a seguito di
rifacimenti di impianti nel 1974, quello per un saggio ACEA nel 1984 e la campagna
di studi e rilevamenti di Gabriele Cifani su autorizzazione della Soprintendenza
Archeologica del Comune di Roma
31
.
27
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 100.
28
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 104.
29
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 111.
30
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 214.
31
Si veda CIFANI 2008, p. 84.
Fig. 8. Filari dell’angolo nord-est del basamento (da PARISI
PRESICCE, DANTI 2016, p. 214).
15
I lavori avviati nel 1999-2000 comportarono anche la riscoperta di nuovi tratti delle
fondazioni del tempio sconosciuti fino ad allora
32
(fig. 9).
Nell’area del Giardino Caffarelli i nuovi rinvenimenti, soprattutto nei setti
trasversali, hanno permesso di cambiare l’idea che si aveva fino ad allora delle
strutture di fondazione, attribuendo tutti i rinvenimenti alla sola struttura del tempio
di Giove Ottimo Massimo. Dei tre setti rinvenuti, due erano stati inseriti nelle
strutture del Palazzo Caffarelli (fig. 10), mentre l’altro permise di ricostruire più
precisamente le tecniche di lavoro,
dalla messa in posa dei blocchi alla
realizzazione di più cavità di
fondazione
33
. Durante questa
campagna di scavo sono state
rinvenute anche strutture in
calcestruzzo che andavano a rinforzare
i setti longitudinali nella sezione nord-
32
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 111.
33
Si veda DANTI 2001, pp. 324-325.
Fig. 9. Situazione degli scavi dopo la campagna del 1998-200 (da DANTI 2001, p. 324).
Fig. 10. Parte della fondazione antica inglobata in una
muratura del Palazzo Caffarelli (da DANTI 2001, p. 325).
16
occidentale
34
, collocabili probabilmente nel I secolo a.C., quindi tra i rinforzi
realizzati nella prima ricostruzione del tempio, quella di Catulo, dopo l’incendio
dell’83 a. C.
35
. I lavori, continuati fino al 2005 sotto la guida di Eugenio La Rocca
e Anna Mura Sommella, hanno portato alla luce ampi settori orientali e occidentali
delle fondamenta e porzioni dei setti longitudinali e trasversali; inoltre hanno
comportato anche il riconoscimento di trincee e fosse di fondazione
36
.
Con l’identificazione di Lanciani dei resti del tempio di Giove Ottimo Massimo nel
1875 si aprì anche un lungo dibattito ancora in corso ai nostri giorni su datazione
34
Cfr. infra p. XXIX.
35
Si veda DANTI 2001, p. 328.
36
Si veda PARISI PRESICCE, DANTI 2016, p. 214.
Fig. 11. Fondamenta del podio. Particolare (da MURA SOMMELLA 2000, p. 20).
Fig. 12. Fondamenta del podio (da MURA SOMMELLA 2000, p. 22).
17
dei rinvenimenti, dimensioni e ricostruzione dell’alzato e ipotesi delle varie fasi
costruttive dell’edificio. Nel 1875 Lanciani pubblicò il primo articolo sul tempio
capitolino, non solo identificando i resti, ma anche descrivendo un frammento di
colonna scanalata riferibile alla ricostruzione domizianea. Già Lanciani ipotizzava
che le dimensioni del podio non fossero cambiate nel tempo. Appena l’anno
successivo poi Heinrich Jordan pubblicava uno studio facendo riferimento alla
relazione tecnica riguardo struttura e dimensioni del podio dell’architetto Ludwig
Schupmann
37
, in cui si andava ulteriormente ad indagare il frammento di colonna
domizianea.
Nel 1888 Christian Hülsen, a partire da un disegno di Antonio da Sangallo il
Vecchio, cercò di condurre studi sull’alzato del tempio, in particolare relativamente
ai materiali utilizzati, come l’uso di trabeazioni lignee ad esempio; tali studi saranno
portati avanti negli anni successivi da Allan Marquand
38
.
Subito dopo i saggi e le osservazioni storico-archeologiche di Gjerstad del 1959,
Tony Hackens
39
pubblicò un articolo nel quale si concentrava sul problema
dell’identificazione dei resti di terrazzamenti della zona vicini al podio, che però
riteneva distinti da esso. Lo stesso Gjerstad scrisse del tempio di Giove Ottimo
Massimo, seguendo le misurazioni fatte dal Paribeni all’inizio dello scorso secolo
40
.
Molti sono stati gli studiosi che da allora si sono occupati del tempio capitolino di
Giove Ottimo Massimo, spesso tutt’oggi in forte disaccordo gli uni con gli altri:
Ferdinando Castagnoli, Paolo Carafa, Anna Mura Sommella, Gabriele Cifani,
Claudio Parisi Presicce, Alberto Danti, fino ad arrivare al grande studio di Karolina
Kaderka e Pier Luigi Tucci del 2021.
37
Si veda CIFANI 2008, pp. 82-83.
38
Si veda CIFANI 2008, p. 83.
39
Si veda CIFANI 2008, p. 83.
40
Si veda STAMPER 2005, p. 23; CIFANI 2008, p. 101.