svolgevano a Cinecittà le riprese di un film, tratto dal suo romanzo “Il fu Mattia
Pascal”, si ammalò di polmonite e morì il 10 dicembre, lasciando incompiuto
l’ultimo dramma “I giganti della montagna”.
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1.2 Itinerario culturale ed artistico
Sulla formazione psicologica e culturale di Pirandello influirono tre diversi
ambienti: quello siciliano, quello tedesco e quello romano.
In Sicilia, l’isola dove anche l’individuo è a sua volta un’isola, rimase fino al 1889,
dove si delinea la sua formazione psicologica, ma anche quella sociale e politica,
radicata in quell’ambiente siciliano, intessuto di elementi folkloristici e di suggestioni
magico-popolari, che non saranno mai cancellati dalla sua vita.
Durante il primo soggiorno a Roma, che durò due anni, visse in un ambiente
ancora sostanzialmente provinciale.
Tornato a Roma, nel 1891, dopo la parentesi tedesca, cercò di inserirsi
nell’ambiente culturale della capitale, dove fece un importante e decisivo incontro
con Luigi Capuana, che lo avviò all’esercizio di narratore, lo avvicinò a Verga e
all’esperienza del verismo, di cui Capuana fu teorico e maestro.
Nelle sue opere emergono i segni di quella cultura di respiro europeo con cui
venne a contatto durante il suo soggiorno a Bonn e che si è innestata nella sua natura
4 (Le stagioni della civiltà letteraria italiana – Mario Santoro – Le Monnier -Enciclopedia Europea – volume VIII – Garzanti)
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di isolano acuto, amaro, di attento esploratore della psicologia umana e della
condizione dell’uomo del suo tempo, del suo smarrimento e della sua solitudine.
Egli ne assimilò alcuni insegnamenti e caratteri, ma nel frattempo rifletteva sulla
sua concezione del reale e soprattutto sulla condizione dell’uomo, incapace di
recuperare una verità assoluta; si profilava il nuovo concetto di relatività della
conoscenza delle cose e soprattutto della coscienza e dell’identità stessa dell’uomo.
La letteratura del secondo Ottocento (naturalismo in Francia e verismo in Italia)
aveva la tendenza a rappresentare il vero, la realtà sociale, soprattutto quella del
proletariato, in maniera impersonale, oggettiva. Il romanzo si prestava di più a questo
tipo di letteratura e Pirandello, incoraggiato da Capuana, intensifica la sua attività di
prolifico narratore.
Egli esordì con Novelle paesane, ma il suo verismo sin dall’inizio fu caricaturale e
grottesco; era convinto che non si potesse rappresentare la realtà in maniera oggettiva
e valida per tutti, ma una realtà più complessa e relativa, fatta di contrasti che si
riscontrano nella vita stessa dello scrittore, apparentemente tranquilla, ma
interiormente molto tormentata, segnata da sofferenze.
Le novelle siciliane, collocate in una Sicilia contadina, da un lato ci riportano al
clima verista, ma ad una più attenta osservazione vi si coglie già la vicinanza ad una
atmosfera decadente nella rappresentazione deformata, quasi grottesca, di figure e
immagini di quel mondo contadino arretrato ed arcaico.
All’arte come specchio della realtà, si oppone l’arte come visione soggettiva ed
espressione dell’inconscio, all’arte come contemplazione si oppone l’arte come
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produzione materiale; si fa strada la preoccupazione di esprimere la disperata
molteplicità di aspetti che è in ciascuno di noi; questo tipo di attività artistica si
estende in ogni paese e riguarda tutte le arti.
La crisi delle certezze positivistiche, a cui Pirandello, come altri intellettuali, si
sentivano estranei, e il suo vitalismo irrazionalistico, lo fanno collocare nell’ambito
di quel movimento letterario, culturale definito Decadentismo, che investe tutto il
mondo dell’arte, il cui dato fondamentale è la scoperta dell’inconscio, a cui Freud, a
fine secolo, comincerà a dare una sistemazione scientifica.
Uno dei maggiori rappresentanti italiani del Decadentismo è stato Gabriele
D’Annunzio; ma Pirandello non si lasciò sedurre dalle sue suggestioni, fu avverso
alla poetica dannunziana, anche se ne coglie qualche influenza nelle raccolte di
liriche “Elegie renane”.
Tra i due c’era una profonda differenza: Pirandello, schivo e appartato, interpreta il
dramma della solitudine umana e dell’angoscia esistenziale, pertanto, in un certo
senso, egli va oltre il Decadentismo. D’Annunzio, invece, narcisista e dedito al
piacere, alla lussuria, rappresenta l’esaltazione della vita senza limiti né freni morali,
la volontà di potenza appartenente solo a pochi eletti. Egli affronta la crisi del tempo,
rifugiandosi nel mondo dei falsi miti, del superuomo, figura elaborata da Nietzsche e
che è al di sopra della grettezza delle persone comuni.
È il periodo della crisi dei valori ottocenteschi e dell’affiorare delle tematiche del
relativismo conoscitivo, che producono disorientamento e malessere a causa delle
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difficoltà di comprendere il senso della vita e dell’animo umano, di conseguenza,
malessere intellettuale: non c’è una verità assoluta, ognuno ha la propria verità.
Da questa concezione del mondo, nasce la poetica umoristica di Pirandello (1904-
1925), basata sul sentimento del contrario, che caratterizza la sua produzione
letteraria: novelle, romanzi e più tardi anche il teatro. La teoria dell’umorismo spiega
come dobbiamo porci verso la vita, il nostro atteggiamento di fronte alla negatività
del mondo, attraverso la riflessione su quello che si nasconde dietro a una maschera.
Tra il 1926-1936, per Pirandello si apre una nuova stagione: quella del surrealismo.
Questa nuova tematica di tipo surrealista, già si intravede nella parte finale del
romanzo Uno, Nessuno e Centomila, che presenta un aspetto nuovo e ottimistico, un
atteggiamento fiducioso verso la natura, considerato un segno significativo di
rinnovamento. Da questo momento lo scrittore è portato a valutare positivamente
l’elemento inconscio, naturale, a privilegiare non solo la vita contro la forma, le
norme, le consuetudini, ma anche il mondo dei miti e dei simboli contro la realtà
delle convenzioni razionali e sociali.
La lingua di Pirandello si evolve anch’essa nel tempo: egli, sostenuto dalla sua
formazione filologica acquisita durante gli studi universitari e attraverso la tesi di
laurea sulla parlata girgentina, avvertiva la necessità di adottare una nuova prosa che
superasse la prosa solenne e raffinata di D’Annunzio, ma anche quella del Verga
molto legata, secondo lui, al dialetto.
Nella sua opera narrativa, infatti, si nota l’influenza linguistica dialettale di Verga,
decisiva soprattutto nelle novelle, mentre nei romanzi e racconti di vita urbana, lo
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scrittore manifesta una preoccupazione di correttezza linguistica più accurata:
Pirandello è orientato verso un registro medio, evitando preziosismi letterari e
ricercatezza, senza tuttavia indulgere a forme colloquiali di registro popolare.
L’arte umoristica respinge le leggi esteriori della retorica classica: mentre gli autori
classici usano un linguaggio aulico e solenne, Pirandello sceglie un linguaggio
quotidiano, l’unico adatto a comunicare una concezione della vita piena di storture e
di insensatezza.
1.3 La visione del mondo e la poetica
Alla base del pensiero di Pirandello c’è una concezione vitalistica secondo cui tutta
la realtà è vita in continuo movimento, in eterno divenire e in trasformazione come il
flusso del magma di un vulcano e se si ferma è destinato a morire. La vita è un flusso
continuo, a cui si oppone la forma, che la rende artificiale e porta con sé il concetto di
morte; pertanto, la realtà è in continuo conflitto tra vita e forma.
È quello che accade anche all’uomo, che è una parte indistinta dell’eterno fluire
della vita e che si fissa in una realtà, in una forma che ciascuno si dà, ma che anche
gli altri gli danno, secondo la loro prospettiva e i momenti in cui lo osservano; quindi,
noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, ma siamo tanti individui
diversi.
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L’individuo non conta più, l’io si indebolisce, si perde la propria identità, quella
anagrafica, personale e assume quella collettiva, cioè quella assegnatagli dalla
società. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi
pirandelliani smarrimento e dolore. La forma è considerata un carcere da cui l’uomo
cerca di liberarsi, ma invano.
Tutta la poetica di Pirandello si può riassumere in un solo concetto, il
“relativismo”; questo non è un fenomeno nuovo, ma è un tema trattato sin dagli
albori della filosofia greca, in particolare teorizzato dal sofista Protagora. In epoca
moderna è ripreso da Giordano Bruno, per arrivare al relativismo etico del filosofo
Friedrich Nietzsche (1844-1900). Dalla filosofia passa ad essere adottato dalla
letteratura, da Italo Svevo, ma soprattutto da Pirandello, in virtù anche delle teorie
scientifiche elaborate nel Novecento sulla relatività di Einstein e dallo sviluppo nel
campo della psicanalisi per opera di Sigmund Freud.
Il relativismo per Pirandello corrisponde alla frantumazione dell’io: l’uomo non è
una sola persona, ma si suddivide in tante persone. Pertanto, all’interno della società,
l’uomo vive una continua lotta contro la forma, la “maschera”, costruzione fittizia
imposta dal contesto sociale in cui vive. L’io si frantuma, è in continua
trasformazione; quindi, nella civiltà novecentesca, entra in crisi sia l’idea di realtà
oggettiva che l’idea di un soggetto unitario e coerente.
Di questa crisi si fa interprete Pirandello nelle sue opere, nelle quali i suoi
personaggi vivono uno stato di disagio, di smarrimento, di angoscia.
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L’unico modo per tentare di evadere da questa realtà, è rifugiarsi nell’irrazionale,
nell’immaginazione che trasporta verso un mondo fantastico, o nella follia, ultima
spiaggia, segno di estrema contestazione, di rifiuto totale della vita sociale.
Pirandello ricorre ad una figura che chiama “il forestiero dalla vita”, che resosi
conto del meccanismo della società, si isola e osserva dal di fuori gli altri
imprigionati nelle tante trappole della vita con un senso di pietà e di irrisione.
Una caratteristica della sua poetica è la riflessione, un sentimento che accomuna
spettatore e scrittore, che, anche lui, analizza, il suo lavoro in corso d’opera.
“La riflessione, scrive Pirandello, è per lo scrittore quasi una forma del
sentimento: man mano l’opera si fa egli la critica (…) L’opera (…) è nello scrittore
un sentimento analogo a quello che essa sveglia nello spettatore: è provata, cioè, più
che non sia giudicata”.
La riflessione e l’illusorietà della rappresentazione bastano a segnare la distanza
dal naturalismo. Nelle sue opere “s’intravvedeva un’attrazione verso gli stracci
dell’umanità e un che d’impietoso che sonava quasi come allontanamento: freddezza
e pietà, pianto e riso, immedesimazione e straniamento, identificazione e
dissociazione, scomposizione. Da queste varie fasi si giunge ad un’interpretazione
non comica, ma umoristica della realtà.”
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Pirandello spiega questa poetica in un saggio pubblicato nel 1908, “L’umorismo”,
una forma d’arte, che si fonda sul “sentimento del contrario”, cioè sulla presenza
contemporanea di rappresentazione e di riflessione.
5 (Storia della letteratura italiana- il Novecento- Cecchi – Sapegno)
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