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INTRODUZIONE
Il lavoro svolto funge principalmente da incentivo alla pratica sportiva. Si propone,
tramite l’analisi dell’attività fisica a partire dai suoi albori, una disamina della suddetta,
evidenziandone l’evoluzione sin dai tempi delle civiltà mesopotamiche, in cui pratiche
come la caccia, la lotta e la corsa, impiegate al fine della sopravvivenza, erano svolte
quotidianamente per fini di conquista. Si nota come già all’epoca queste attività
venivano utilizzate in ambito sociale per garantire sicurezza e coesione all’interno
delle tribù e città-stato. Inoltre, il concetto di attività sportiva può essere correlato alla
sfera spirituale: per i Greci sport e cultura erano necessarie per la crescita interiore di
un buon governante. L’elaborato offre un esame approfondito sulla capacità di
ampliamento delle reti sociali atta a generare sempre più volontà di partecipazione o
iniziazione alla pratica sportiva. Tramite l’analisi dell’evoluzione di quest’ultima, si
elencano i cambiamenti della stessa dovuti ai costanti mutamenti socioculturali
susseguitisi nel corso del tempo. A tal proposito si sottolinea quanto il nesso biunivoco
fra sport e contesto sociale diventi mezzo per influenzare positivamente anche le scelte
politiche. Attraverso le riflessioni dei grandi pensatori, vaglieremo le varie prospettive
definitorie della pratica sportiva individuale e collettiva, evidenziando le influenze
della sfera mediatica. Il ruolo dei mass media nella società sportiva non comprende
solo gli ambiti comunicativi, ma anche le disuguaglianze di genere; lo studio si
propone, quindi, di effettuare un’analisi dettagliata dell’identità di genere in ambito
sportivo, e di come la donna sia stata sempre considerata inferiore in questo mondo
divenuto nel tempo complesso. Infine, approfondiremo lo sport individualista per
eccellenza: il tennis, sottolineando come, invece, sia un’attività tanto singolare quanto
collettiva, ma soprattutto in grado di generare sogni e ideologie. Dall’evoluzione della
pratica del tennis arriveremo alle grandi imprese della storia del suddetto sport,
sottolineando come siano state proprio le atlete donne il motore della rivoluzione, le
uniche in grado di dimostrare le proprie capacità e dar voce ai loro pensieri. Ci
focalizzeremo su quest’ultimo aspetto a partire dalla fondazione della women’s tennis
association fino alla biografia delle campionesse che hanno contribuito a formare la
generazione d’oro del tennis femminile negli ultimi anni.
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CAPITOLO I
La pratica sportiva: da attività fisica a fenomeno sociale
Perché la pratica sportiva è così comune? È sempre stato così o nel tempo ha subìto
delle variazioni che l’hanno resa tale? È impossibile, al giorno d’oggi, associare al
termine sport in sé e per sé un’unica definizione che racchiuda interamente i molteplici
significati di questa pratica ormai sempre più diffusa. Prima di provare a determinare
lo sport e le sue caratteristiche essenziali, dobbiamo necessariamente stabilire come
esso si sia evoluto nel corso del tempo e quanto abbia influito sulla società,
descrivendone l’utilità e la sua nascita: prima intesa come occupazione per
sopravvivere
1
fino a diventare un vero e proprio fenomeno sociale moderno [10].
1.1 La nascita dell’attività sportiva: le civiltà mesopotamiche e le teorie
sull’ascesa dell’attività sportiva
Le prime pratiche sportive – definite tali soltanto in epoca moderna – nascono intorno
al 2000 a.C. grazie alle civiltà mesopotamiche quali Sumeri, Babilonesi ed Assiri
impegnate, al fine della sopravvivenza, in attività come la caccia, la lotta e la corsa.
Tali pratiche, sviluppatesi per secoli in modi alquanto originali, abbandonano
progressivamente la loro originaria funzione, acquisendone un’utilità differente basata
sull’affermazione dell’egemonia culturale particolarmente agognata dalle sopraccitate
popolazioni. È nota, infatti, l’importanza che lo sport assume già tra gli Assiri, tramite
l’utilizzo del carro da guerra durante la partecipazione alle battute di caccia. Fonti e
reperti storici
2
testimoniano l’importanza della caccia anche nell’Antico Egitto dove
le battute di caccia divengono delle vere e proprie gare sportive, in cui un’eventuale
vittoria viene paragonata a quelle ottenute in guerra. 4000 anni orsono, queste
popolazioni non erano ancora a conoscenza della rivoluzione sociale di cui si erano
rese protagoniste; dell’analisi di questi cambiamenti radicali si occupa oggi il
sociologo Murdock. Nel 1968, George Peter Murdock, antropologo americano, dopo
avere comparato 250 società differenti di ogni epoca storica, propone la tesi secondo
cui lo sport è la declinazione individuale del gioco inteso come universale culturale
[18], quest’ultimo universale perché universalmente riscontrabile. Perché il gioco è un
universale culturale? Le popolazioni costrette a ricorrere molto spesso allo
1
“Le origini: il Mediterraneo e l’Europa” zanichelli.it.
2
Resti e rilievi del tempio funebre del faraone Ramsete II, a Medinet Habu.
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spargimento di sangue per difendere i propri territori condividevano tattiche, strategie,
piani, il tutto finalizzato a primeggiare per dimostrare di essere potenti. Murdock
spiega, riprendendo queste realtà e trasformandole in esempi, la necessità di
differenziare la cultura del gioco dalla cultura dello sport: è palese come il simbolismo
dietro il gioco riprenda analogamente le fasi della guerra – le battaglie non erano solo
combattute, ma prima studiate, come era usuale fare con i nemici e i possibili approcci
da loro utilizzati volti alla conquista dei territori – Al contrario di Murdock, H.
Bausinger [1] afferma che, all’epoca, lo sport non poteva essere considerato come
attività con valenza culturale perché per cultura – non solo per queste civiltà
menzionate ma anche per quelle di secoli più recenti – si intendeva il teatro, l’arte…
Per questi motivi, Bausinger tratterà lo sport come fenomeno mutato ed in continuo
divenire, non più considerandolo solo come qualcosa di meramente fisico.
Dalle pratiche sportive di Sumeri, Babilonesi ed Assiri si passa, circa 1300 anni dopo,
alla prima definizione di sport, che plasmerà il concetto utilizzato al giorno d’oggi,
coniata dalla culla della cultura e della civiltà, l’Antica Grecia. Lo sport in Grecia era
incoraggiato non solo per la fisicità, ma anche per temprare i giovani e donare loro la
forza di sostenere le avversità della vita: dalla forza del corpo proveniva la forza dello
spirito e viceversa. La forza fisica era dunque sinonimo di bellezza, come lo era una
mente sana e brillante; caratteristiche che ritroviamo nell’essere degli Dei: belli,
perfetti, immortali, capaci di cambiare il destino degli uomini, potenti e caratterizzati
dai tratti che l’eroe greco ricercava sin dalla nascita. La cura del fisico, la bellezza, il
successo in battaglia e nel gioco significava perfezione – termine dal significato
particolare per i Greci – gloria sulla terra e sull’Olimpo.
1.2 La bellezza e la sua affinità con la pratica sportiva per i Greci: il pensiero delle
grandi menti
Perché per i greci era fondamentale il successo nel gioco? Abbiamo visto come tra gli
Assiri il trionfo durante le battute di caccia era paragonabile alla vittoria in battaglia,
ma è con i Greci che comprendiamo finalmente l’importanza dell’ideale atletico, che
riveste un ruolo essenziale nella società ellenica. Al fine di celebrare il culto
agonistico
3
e rendere i riti religiosi più solenni è proprio ai Greci che si deve
3
“Celebrato con l’istituzione di gare per rendere più solenni i riti religiosi”. Enciclopedia dello sport,
Treccani.
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l’istituzione di giochi atletici con cadenza periodica. L'intento, con l’organizzazione di
agoni, era quello di glorificare gli Dei onorandoli nel contesto di un rigoroso
cerimoniale. I giochi divennero, pertanto, un'occasione rituale e, al contempo,
agonistica, in cui la vittoria nella competizione costituiva un'occasione simbolica per
accostare l'atleta alla divinità. La tradizionalità che deriverà in seguito a
quest’istituzionalizzazione getterà le basi per la definizione di sport in epoca moderna.
Grazie alle Olimpiadi greche lo sport diviene una vera e propria rappresentazione
sociale. "L'importante è vincere" è la regola basilare dell'agonismo greco poiché solo
la vittoria dava la gloria e avvicinava gli atleti all'Olimpo. Non essere primi significava
perdere e la sconfitta era considerata un disonore. Questa caratteristica dell'agonistica
greca era collegata alla tradizionale concezione dell'uomo eroico, così come veniva
celebrato nei tempi arcaici. Nelle imprese degli antichi atleti, dunque, non trovava
certamente posto il moderno concetto del fair play. Altro elemento peculiare
dell'agonistica greca era la possibilità di partecipazione che veniva data solo al singolo.
La vittoria, infatti, spettava all’individuo, la gloria non poteva essere condivisa con i
compagni, ma soltanto, come declamavano gli antichi poeti, con la propria famiglia ed
i propri antenati. I giochi atletici si svolgevano inoltre per commemorare la scomparsa
di grandi personaggi, la cui memoria veniva perpetuata attraverso le imprese degli
atleti, anche allo scopo di esorcizzare la morte. Vita e morte, infatti, per gli antichi
greci, erano in relazione dialettica tra loro; di conseguenza, secondo le antiche
credenze, gli atleti che gareggiavano nei giochi traevano vigore proprio dagli eroi
scomparsi. Del significato della parola perfezione – che racchiudeva contesti molto
più ampi rispetto al significato che le attribuiamo oggi – per le popolazioni elleniche,
se ne sono occupati i Greci stessi. Platone ed Aristotele, grandi pensatori e filosofi
dell’età classica ed ellenica – V , IV secolo a.C. – avevano idee differenti riguardanti
l’estetica, la bellezza e la perfezione. Il primo, tale anche a livello cronologico,
ipotizzava l’esistenza di due piani di realtà: uno terreno, temporale e soggetto a
corruzione e mutamento; l’altro spirituale, immateriale, eterno, metafisico e perfetto.
Quest’ultimo è reso tale grazie all’esistenza delle idee, che abitano questo mondo
definito mondo delle Idee o Iperuranio. Per gli esseri umani è proibitivo avere contezza
delle idee in sé e per sé, in quanto nel mondo terreno, è possibile conoscere solo
sensibilmente i modelli di quel mondo sopra i cieli. Platone conclude dunque
affermando che tutto ciò che esiste sulla terra è la copia, l’imitazione materiale,
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imperfetta e finita di modelli ideali, perfetti ed eterni che trovano luogo
nell’Iperuranio. Com’è possibile quindi per l’uomo raggiungere la perfezione?
Abbiamo già reso noto come nell’Antica Grecia la vigorosità del corpo e della mente
fossero collegati e complementari per riuscire a perfezionare se stessi. Platone
prosegue affermando che le copie del mondo sensibile “ricordano”
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le idee e
“partecipano” all’idea o modello. Per il filosofo greco, l’idea, come detto, è perfetta e
proprio per questo motivo, egli introduce l’idea del bello che rimanda alla precedente
definizione di perfezione. Nonostante la condanna di ogni forma d’arte tranne che del
mito – che utilizza in modo pedagogico per istruire circa il suo pensiero – Platone non
condanna il “bello”, in quanto il bello non è riferito all’arte – per lui imitazione di
imitazione – ma alla metafisica, alle idee dei valori, ed è pertanto la più facile via
d’accesso a tali valori. È quindi tramite l’idea del bello che l’uomo può tendere al
mondo delle Idee, ed è tramite la bellezza che si può conoscere il Bene. Aristotele, pur
rifacendosi all’affermazione platonica dell’arte come imitazione, propone questa come
catarsi, non dalle passioni, ma come piacere estetico. Inoltre, il filosofo, determina con
precisione i canoni estetici delle forme d’arte. Nonostante, dunque, la medesima
ipotesi di partenza, Aristotele conclude col definire l’arte come una realtà positiva. È
interessante conoscere, per la tematica che stiamo affrontando e man mano costruendo,
la dedizione di entrambi i filosofi alla pratica sportiva. Platone, esperto di lotta e di
pancrazio, deve il suo soprannome – il suo vero nome era Aristocle – al suo maestro
di lotta: Platone, dal greco platys, ampio, a causa delle sue larghe spalle. È nota, inoltre,
la partecipazione di Platone ad alcune gare panelleniche, in cui primeggiava nella
disciplina della lotta. Ne “La Repubblica”
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Platone sostiene l’importanza dell’attività
motoria al fine di una buona educazione, che inizia sin dalla gravidanza, quando la
madre “allena” il feto tenendolo in costante movimento. Per Platone, nelle palestre
greche, non si prepara solo il corpo in senso fisico, ma si attua anche una preparazione
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Nel mito della Biga Alata Platone spiega il percorso di reminiscenza dell’anima. Nel mito
dell’organizzazione delle idee illustra il suo pensiero riguardante queste e le loro “copie”.
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“Dopo la musica i giovani vanno formati con la ginnastica […] Bisogna, dunque, che con queste
siano accuratamente allenati per tutta la vita, cominciando fin da bambini […] Chi si dedica alla
ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo
movimento praticando la ginnastica e ancora, coloro che si dedicano esclusivamente alla ginnastica
vengono a una eccessiva brutalità, mentre coloro che si dedicano esclusivamente alla musica e alla
poesia diventano più morbidi di ciò che è buono per loro” Platone, La Repubblica, diciannovesima
edizione Economica Laterza.