9
1.2 Le diverse tipologie di lavoro a distanza.
Come si è detto nel primo paragrafo, l’idea di delocalizzare il lavoro è nata ben prima
della diffusione del COVID-19 ed è figlia dei nostri tempi, nasce cioè contestualmente
al progressivo sviluppo della tecnologia: in un mondo in cui l’innovazione determina
una continua e progressiva evoluzione della realtà che ci circonda, anche l’ambito
lavorativo ha necessità di evolversi ed assumere una forma dinamica, in grado di far
fronte alle nuove sfide della società.
Secondo la definizione contenuta nell’art. 18, c. 1 della citata Legge 22 maggio 2017
n. 81 (che analizzeremo in dettaglio nel III capitolo), lo smart working è “una modalità
di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le
parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli
di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo
svolgimento dell'attività lavorativa”. Da questa definizione si deduce come la locuzione
in argomento non rappresenti una vera e propria forma contrattuale autonoma bensì,
più semplicemente, un modo di svolgere la prestazione lavorativa, che prevede che il
dipendente abbia la possibilità di lavorare liberamente e senza vincoli di tempo e di
spazio, in definitiva una pratica manageriale e sociale che rivoluziona la tradizionale
10
dimensione del lavoro dandole una valenza “smart” appunto, e cioè intelligente ma
anche moderna, vivace, flessibile, dinamica
25
.
Ne consegue che il concetto di mansione, da svolgere in presenza presso un luogo e ad
un orario prestabilito, si trasforma in obiettivo da raggiungere a prescindere dal luogo e
dal tempo di svolgimento. E’ proprio questo il significato, applicato al contesto, del
termine “flessibilità”, che implica una vera e propria rivoluzione della dimensione
stessa del lavoro e che coinvolge la cultura organizzativa, la prestazione, la dimensione
spazio-temporale
26
: lo spazio circoscritto dell’ufficio si dilata nel cosiddetto digital
workplace
27
ed al lavoratore viene fornita l’opportunità di operare in perfetta
indipendenza ed elasticità in cambio di una maggiore consapevolezza riguardo i risultati
da conseguire
28
.
L’applicazione dell’istituto del lavoro agile implica quindi una rimodulazione del
rapporto dipendente - datore di lavoro, ne ribalta uno degli aspetti fondamentali - cioè
presenza fisica e controllo del tempo - e, soprattutto, ne modifica le dinamiche, nel
senso che il lavoratore non è più semplicemente un esecutore di compiti assegnati dal
suo superiore ma diventa responsabile delle attività che deve svolgere, il protagonista
del proprio lavoro, capace di gestire i propri tempi e di godere della fiducia di colui per
il quale lavora
29
.
Finora ci si è riferiti al lavoro a distanza con la locuzione inglese smart working e con
la traduzione italiana che se ne è data, lavoro agile. In realtà la nomenclatura riferita al
lavoro a distanza è più vasta. Innanzitutto, ci sarebbe da dire che l’italiano lavoro agile
andrebbe a sua volta tradotto in inglese piuttosto con agile working, e ciò non per
25
Tale concetto è già stato espresso nella nota n. 16.
26
G. FIERTLER, Le industrie italiane sono davvero pronte per la rivoluzione culturale dello smart
working?, Industria italiana, 13 novembre 2019.
27
Secondo K. HOLSE (VP di Microsoft Western Europe) “Le imprese che riscuoteranno successo in
futuro saranno quelle che abbatteranno le barriere tra le persone, i luoghi di lavoro e le tecnologie e
doteranno i loro collaboratori dei mezzi necessari per essere produttivi e creativi, ovunque si trovino.
La ”information technology” è un catalizzatore per nuovi modi di lavorare, ma il vantaggio competitivo
deriva sempre più dal lasciare che gli utenti utilizzino la tecnologia nel modo che preferiscono. Ciò
richiede una cultura d'impresa che metta le persone al primo posto” (D. WOODS, Employer optimism in
flexible working not reflected in strategy, finds Microsoft, HR Magazine, 29 Febbraio 2012).
28
Osservatorio Smart Working, “(Smart) Work in progress!”, Politecnico di Milano, School of
Management, Osservatori.net Digital Innovation, Ottobre 2016.
29
M. GATTI, “Smart working è produttività, i dipendenti “agili” sono più ingaggiati ed efficienti”,
RUNU - Risorse Umane e Non Umane, 18 novembre 2019.
11
pedanteria linguistica ma perché in effetti quest’ultima locuzione rappresenta
un’evoluzione rispetto allo smart working: laddove infatti lo smart working è inteso
come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di
flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da
utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”
30
, l’agile working
aggiunge ai concetti di flessibilità ed autonomia anche quello della velocità con la quale
si raggiungono i risultati
31
. In definitiva, l’agile working implica una revisione della
divisione gerarchica dei ruoli all’interno di un’azienda e un riguardo maggiore al lavoro
di squadra, all’agilità con la quale il team raggiunge gli obiettivi. L’attenzione viene
quindi focalizzata sulla performance e sui risultati puntando sulla proattività tramite la
intercambiabilità delle postazioni, il che favorisce l’agilità anche nella gestione delle
relazioni
32
.
Un’altra tipologia di lavoro a distanza che si può individuare nella nomenclatura
internazionale è quella di flexible working, in cui il concetto di flessibilità è riferito
all’orario di lavoro (l’ingresso e l’uscita possono subire variazioni, le settimane
lavorative possono essere compresse, si può optare per il part-time o lavorare a
progetto), alla tipologia di contratto (si può lavorare come autonomo, in gruppo di
consociati o altre forme contrattuali alternative) e al luogo (da casa, in sedi diverse, in
co-working o hub).
Un'ulteriore locuzione in cui ci si può imbattere è new ways of working, che in realtà si
riferisce più genericamente ad un tipo di approccio finalizzato a cambiare le strutture
tradizionali di lavoro e promuovere un ambiente di lavoro più inclusivo, adattivo e
proiettato verso il futuro attraverso l’uso di strumenti ICT
33
.
30
Osservatorio Smart Working, “Il vero significato di smart working”, Politecnico di Milano - School
of Management, 2015.
31
“Smart working e agile working, differenze e somiglianze”, ValoreD.it, 30 luglio 2018.
32
“Traditionally open plan and cellular offices are composed of uniform assigned workstations, formal
meeting rooms and support space. In contrast agile offices have a variety of additional work settings
such as shared desks, informal meeting space, collaborative space, break out space and contemplative
space….Agile workspaces often facilitate working from unassigned desks…” (T. KEELING, D.
CLEMENTS-CROOME, E. ROESCH, The Effect of Agile Workspace and Remote Working on Experiences of
Privacy, Crowding and Satisfaction, Buildings, 07.08.2015).
33
ICT (Information and Communication Technology) è l'insieme dei metodi e delle tecniche utilizzate
nella trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni (tecnologie digitali comprese).
12
Infine, il cosiddetto coworking, che in italiano viene tradotto “lavorare insieme” è una
modalità che implica la condivisione degli stessi spazi di lavoro. L’obiettivo è quello di
avere la possibilità, per il lavoratore, di utilizzare uno spazio funzionale e confortevole,
lontano dalla sede dell’azienda e dalle sue tensioni, e di condividerlo con altri lavoratori
estranei. Si favorisce così l’interscambio e la distensione, nel presupposto che lo stare
lontani dalla competitività con i colleghi e/o dall’isolamento creato dalla stanza
d’ufficio favorisca il benessere e la produttività
34
.
Da questa veloce carrellata della nomenclatura riferita al lavoro agile e delle varie forme
che esso può assumere, si possono trarre tre conclusioni. La prima conclusione è che
tutte le tipologie di lavoro smart di cui abbiamo appena parlato non sono riconducibili
al concetto originario di telelavoro che, come si è detto nel primo paragrafo, veniva
inteso semplicemente come una traslazione dell’attività lavorativa in un luogo diverso
dall’ufficio, che poi era soprattutto la casa del lavoratore. Al contrario la forma smart o
agile o flessibile che dir si voglia, di lavoro, sta ad indicare una modalità moderna,
diversa da quella tradizionale costituita dai tre elementi fissi che sono ufficio - datore
di lavoro - lavoratore, una modalità in cui ciò che conta è non solo l’obiettivo finale, la
libertà di movimento del lavoratore o la possibilità di lavorare da casa (pur elementi già
nuovi e rivoluzionari) ma anche la dinamicità del lavoro nel senso di interscambiabilità
di ruoli e competenze, la possibilità di rivedere l’organizzazione aziendale attraverso la
formazione di nuovi team multidisciplinari, la scelta sull’utilizzo di diverse forme
contrattuali, l’opportunità di interazione umana e professionale da attuarsi attraverso la
condivisione delle postazioni di lavoro che non sono più fisse ma liberamente
utilizzabili. Niente a che vedere con il telelavoro. La seconda conclusione a cui si può
arrivare è che la tipologia che più di tutte riassume le altre, che ne costituisce un po’
l’“ombrello”, è proprio lo smart working perché essa include tutte le caratteristiche di
flessibilità, agilità, vivacità, intelligenza di cui si è parlato. La terza e ultima
conclusione (conseguente alle prime due) è che spesso, ma soprattutto negli ultimi anni
34
Il termine coworking fu per la prima volta utilizzato da B. DE KOVEN nel 1999 per descrivere un “modo
di lavorare insieme come pari”, con l’obiettivo di individuare un metodo che avrebbe facilitato il lavoro
collettivo e gli incontri d’affari che prevedessero l’uso del computer. L’idea era che esso avrebbe
contribuito a creare un nuovo ambiente di lavoro, in cui la collaborazione e un approccio non competitivo
avrebbero allentato le tensioni e favorito un più immediato raggiungimento degli obiettivi. Nel 2005 il
programmatore B. NEUBERG creò a San Francisco il primo spazio di coworking, che pensò come una
sorta di cooperativa no-profit di cui i lavoratori avrebbero potuto beneficiare utilizzando, per due volte
alla settimana, uno spazio condiviso fornito di comfort e supporti tecnologici.
13
e in special modo durante la pandemia da COVID-19, il concetto di smart working è
stato usato in modo totalmente improprio ed è stato confuso con il cosiddetto lavoro da
remoto, che invece è molto più simile al vecchio telelavoro
35
. Come vedremo nel
seguito della presente trattazione, durante le prime concitate fasi del dilagare del virus,
i dipendenti di aziende private e pubblica amministrazione, in concomitanza con la
chiusura delle attività commerciali e le limitazioni alla libera circolazione, furono messi
in smart working o lavoro agile mentre in realtà si sarebbe dovuta utilizzare la locuzione
telelavoro (in realtà il termine è ormai poco utilizzato) o lavoro da remoto.
Quindi lavoro agile e lavoro da remoto non sono la stessa tipologia contrattuale. Come
vedremo, la Legge che regolamenta il lavoro agile, la citata legge n. 81/2017 non fa
accenno al lavoro da remoto mentre il recente CCNL F.C. 2019/21 regolamenta il
lavoro a distanza distinguendo tra le due tipologie.
Tra le due modalità ci sono degli elementi in comune ma anche profonde differenze.
Esse hanno in comune sicuramente l’obiettivo di sfruttare la moderna tecnologia al fine
di favorire non solo l’equilibrio tra i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti ma anche
lo svecchiamento del sistema lavoro tradizionale. Per il resto le differenze sono
notevoli, direi che è proprio la ratio dei due istituti ad essere profondamente diversa, in
quanto nel lavoro da remoto ci sono i medesimi vincoli spazio-temporali del lavoro in
presenza (il lavoro si svolge in un luogo ben definito che può essere l’abitazione del
lavoratore o altro luogo preventivamente comunicato e fisso, e l’orario da rispettare è
quello da contratto) con poca o nessuna flessibilità, mentre quest’ultimo elemento sta
alla base del concetto di lavoro agile, dove ciò che conta è, come è stato già detto, il
raggiungimento dell’obiettivo piuttosto che il tempo trascorso a lavorare e il luogo in
cui si è lavorato.
In definitiva, si può dire che il lavoro agile rappresenti un’evoluzione del vecchio
telelavoro
36
. Esso presuppone un cambiamento di cultura e di gestione nell’ambito delle
35
In realtà esiste una differenza tra telelavoro e lavoro da remoto, e consiste nel fatto che mentre il lavoro
da remoto non prevede necessariamente un contratto specifico, poiché può essere svolto come una
semplice possibilità di delocalizzazione dell’attività lavorativa concessa dal datore di lavoro al
dipendente, il telelavoro prevede sempre un contratto specifico che regola le modalità del lavoro a
distanza, le condizioni di lavoro e i diritti del dipendente.
36
G. BORELLO, “L’evoluzione del telelavoro si chiama smart working”, Civico20 News, 21 agosto 2017.
14
imprese pubbliche e private, nel quale il rapporto datore di lavoro – dipendente viene
basato, più che sulla presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro, sulla fiducia,
sulla responsabilizzazione e sul lavoro per obiettivi
37
.
1.3 L’innovazione tecnologica alla base delle nuove modalità di lavoro.
Come si è già detto, la possibilità di ripensare la modalità tradizionale di esecuzione del
lavoro offerta dal lavoro a distanza sarebbe impossibile senza il supporto della
tecnologia, cioè senza adeguati strumenti informatici che permettano una connessione
costante e quindi la possibilità di condivisione documentale finalizzata a gestire le
informazioni provenienti da diversi punti di accesso e di contatto. La cosiddetta Digital
Transformation consiste appunto nell’applicazione delle tecnologie più avanzate allo
scopo di abbattere le barriere fisiche e temporali connettendo persone, spazi, oggetti,
documenti in uno spazio di lavoro che diventa virtuale mentre il lavoro si
dematerializza in chiave paperless
38
.
Ne consegue che il primo passo per garantire il successo delle iniziative di lavoro agile
è sicuramente la possibilità di attrezzarsi tecnologicamente per usufruire di connessioni
adeguate tra i dispositivi del lavoratore e i sistemi informativi dell’impresa.
A questo proposito appare evidente che le aziende o anche gli Enti che vogliano
implementare il lavoro agile debbano essere preparate ad adattare i propri processi e le
proprie tecnologie a supporto di questa modalità di lavoro, e debbano anche essere
pronte ad investire in digitalizzazione e formazione per i dipendenti. Ciò non sempre
viene recepito ed accettato da alcuni settori del mondo del lavoro, soprattutto nel
circuito della Pubblica Amministrazione, in alcuni ambiti della quale si incontrano
ancora resistenze alla completa digitalizzazione dei processi, scarsa conoscenza delle
potenzialità di tale tipo di attività lavorativa ed in generale un senso di diffidenza nei
37
E. MIGLIORINI, “Telelavoro: cos’è e qual è la differenza con lo smart working?, Fiscomania. com, 24
giugno 2020.
38
P. M. LEONARDI, D. E. BAILEY, “Transformational technologies and the creation of new work
practices: making implicit knowledge explicit in task-based offshoring”, United States, 2008, 32(2), pp.
411-436; vedi anche D. WHEATLEY, “Good to be home? Time-use and satisfaction levels among
homebased teleworkers”. New Techonolgy, Work and Employment, 2012, 27(3), p. 224-241.
15
confronti di un modello lavorativo che non consente il controllo immediato e visivo del
dipendente sul posto di lavoro.
Delle resistenze all’applicazione del lavoro agile in alcuni settori del mercato del lavoro
e del ritorno alla mentalità pre-pandemica si parlerà nel quarto capitolo del presente
lavoro. Qui è sufficiente sottolineare l’importanza che rivestono, per una proficua
applicazione di tale modello lavorativo, la pianificazione strategica, la destinazione di
congrue risorse economiche per l’implementazione della digitalizzazione, gli
investimenti per un’adeguata formazione del personale ed un’attenta valutazione dei
possibili effetti del lavoro agile in termini di produttività e di benessere organizzativo.
Per quanto riguarda le tipologie di strumenti digitali che implementano il lavoro agile,
esse si possono raggruppare in cinque macro-categorie:
1. Social Collaboration: sono strumenti attraverso i quali si possono creare nuove
opportunità di relazione, collaborazione e condivisione della conoscenza. Si tratta
dell’instant messaging, webconference, convergenza fisso-mobile, che integrano e
supportano i flussi di comunicazione. L’utilizzo di tali strumenti permette la
comunicazione, la collaborazione e l’interazione tra persone che non si trovano nello
stesso luogo, con gli evidenti vantaggi in termini di risparmio di tempi e costi di
trasferta;
2. Security: si tratta di tecnologie che hanno la funzione di garantire la sicurezza e
preservare l’integrità dei dati. Essi permettono di accedere agli applicativi, ai dati e alle
informazioni senza pericolo di dispersione o furto di dati. Sono gli strumenti di Virtual
Private Network o quelle basate sul Cloud;
3. Mobility: sono i dispositivi mobili, che permettono di accedere ai servizi e agli
strumenti professionali da qualunque postazione fissa. Si tratta dei notebook/pc
portatili, smarphone, tablet etc.;
4. Workspace Technology: sono le tecnologie che permettono un utilizzo più efficace e
flessibile degli ambienti fisici favorendo anche la mobilità all’interno degli spazi di
lavoro. Si tratta dei sistemi di wi-fi, di telepresence o di print area centralizzate che
consentono di utilizzare qualsiasi dispositivo presente nell’area lavorativa, le intranet e
le reti aziendali;
16
5. Engagement and Wellbeing: sono le tecnologie che permettono di monitorare i livelli
di salute psico-fisica dei lavoratori, di aumentarne il benessere e quindi la produttività
39
.
Ovviamente c’è da dire che l’utilizzo della tecnologia non costituisce la panacea che
risolve tutti i problemi senza comportare dei rischi. Essa ha dei limiti e comunque, come
vedremo meglio in seguito, da sola non è sufficiente a promuovere in modo decisivo il
cambiamento culturale che deve invece sottendere la decisione di utilizzare il lavoro
agile come strumento ordinario di svolgimento dell’attività lavorativa.
D’altro canto, l’utilizzo delle tecnologie comporta delle inevitabili criticità che sono
innanzitutto il cosiddetto tecnostress
40
, poi il pericolo di eccedere con l’attività
lavorativa, la frustrazione che può derivare da un tipo di comunicazione e
collaborazione virtuale, nella quale manca cioè l’elemento del contatto umano, ed altre
fonti di disagio e disorientamento che necessitano una precisa codificazione dei limiti
oltre i quali non si deve andare per non incorrere nel pericolo di ammalarsi.
A tal proposito, un’indagine condotta nel periodo della pandemia dalla rivista
Bloomberg ha appurato che durante il lockdown i lavoratori in smart working
lavoravano in media tre ore in più al giorno, e correvano un maggiore rischio di
ammalarsi a causa di molteplici fattori di stress quali la frenesia dei ritmi e la pretesa,
spesso avanzata dai datori di lavoro, che fossero sempre reperibili e connessi
41
. Altro
fattore di stress per il lavoratore a distanza è la cosiddetta Zoom fatigue, cioè
l’affaticamento che deriva dall’utilizzo protratto delle piattaforme utilizzate per le
videoconferenze: è provato che le interazioni tramite schermo sono più stancanti
rispetto a quelle vis-à-vis in quanto in questi casi la comunicazione richiede uno sforzo
maggiore per la comprensione del linguaggio non verbale e para-verbale. Inoltre
l’essere ripresi dalle telecamere durante le videocall innesca dei meccanismi di difesa
che portano di sovente al tentativo, più o meno conscio, di essere disinvolti, attivi e
performanti per compensare il disagio
42
.
39
G. SPICCIA, Smart Working: una questione di tecnologie! In blog.osservatori.net, 12 gennaio 2023.
40
Il termine tecnostress fu coniato nel 1984 da Craig Brod per indicare lo stress indotto nell'utilizzatore
di nuove tecnologie (soprattutto informatiche), per il malfunzionamento delle stesse. Gli "effetti
collaterali" che induce sono ansia, insonnia e mal di testa (C. BROD, Technostress: the human cost of
computer revolution, United States, 1984).
41
Bloomberg.com, “Working from home in Covid-19 era means three more hours on the job”, 2020.
42
N. LEE, why is video conferencing so exhausting? Engadget.com, 27.04.2020.
17
Appare quindi evidente come, in quest’epoca in cui essa pervade sempre più le nostre
vite, la tecnologia vada dosata per non incorrere nel già citato tecnostress, che è stato
definito anche come “ogni conseguenza negativa che abbia effetto su attitudini,
pensieri, comportamenti o psiche, causata direttamente o indirettamente dalla
tecnologia”
43
. L’utilizzo eccessivo, smodato e disfunzionale dei device informatici
impatta in modo significativo contro la vita socio-relazionale dell’individuo. Volendo
indicare le principali cause del tecnostress possiamo dire che esso è correlato a tre
fattori: 1) la gestione di un numero ingente di informazioni; 2) l’uso eccessivo degli
apparecchi; 3) la fretta nell’esecuzione delle operazioni. Le conseguenze, come è stato
già detto, possono essere comportamentali, cognitive, fisiologiche, mentali, tanto che
esso è stato ufficialmente riconosciuto come malattia professionale
44
.
Il lavoro a distanza, che si basa proprio sull’utilizzo della tecnologia, è quindi ad alto
rischio di tecnostress, per cui spesso nelle aziende sono messi in atto dei programmi di
prevenzione, sotto forma di attività di formazione/informazione, che diano ai lavoratori
in lavoro agile gli strumenti atti ad alleviare il rischio.
In ogni caso il trend generale è quello dell’inarrestabile corsa verso la trasformazione
digitale dei servizi. In questo senso, nel campo della Pubblica Amministrazione il
cosiddetto Piano Triennale per l’Informatica è lo strumento preposto alla
trasformazione digitale, iniziato con la Legge di Stabilità 2016 che ne riproponeva gli
obiettivi ed i caratteri generali, e poi prorogato di anno in anno. Il nuovo Piano 2024-
2026 si inserisce nel più ampio contesto del programma strategico denominato
“Decennio Digitale 2030”
45
i cui obiettivi si riconducono a quattro dimensioni:
competenze digitali, servizi pubblici digitali, digitalizzazione delle imprese e
infrastrutture digitali sicure e sostenibili. Il Piano rappresenta uno strumento essenziale
per guidare la trasformazione digitale del Paese e, in particolare, quella della Pubblica
43
La definizione è di M. WELL e L. ROSEN nel testo “Coping with thechnology@work@home@play:
Technostress, New York 1997.
44
Ciò è avvenuto a seguito di una sentenza della Procura di Torino (Sentenza Guariniello) nel 2007.
Successivamente, l’art. 28 del T.U. n. 81/2008 ha introdotto l’obbligo, per il datore di lavoro, di valutare
il rischio di stress in azienda e procedere all’adeguata formazione dei lavoratori.
45
Il cosiddetto Decennio Digitale 2030 è stato istituito dalla Decisione UE 2022/2481 del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022. Si tratta di un sistema di monitoraggio strutturato,
trasparente e condiviso che si basa sull’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI)
per misurare i progressi compiuti verso ciascuno degli obiettivi per il 2030.
18
Amministrazione. Esso è essenzialmente finalizzato a fornire gli strumenti alla P.A. per
erogare servizi esclusivamente in modalità digitale, rendendo più efficaci e veloci le
interazioni con i cittadini, le imprese e gli alti Enti, e promuovendo al contempo lo
sviluppo sostenibile, etico ed inclusivo.
Il cammino verso la digitalizzazione appare quindi inesorabile, e in tale contesto il
lavoro a distanza trova una sua esatta collocazione e un precisa legittimazione. Il
lavoratore agile o da remoto può quindi usufruire di questa modalità lavorativa
utilizzando gli strumenti informatici che ha a disposizione. A questo proposito, il c. 1
dell’art. 19 della Legge n. 81/2017 prevede che “l’accordo relativo alla modalità di
lavoro agile… disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa…anche con
riguardo.…agli strumenti utilizzati dal lavoratore”. In effetti la norma non appare
chiara riguardo agli strumenti di lavoro, se cioè essi debbano essere forniti dal datore
di lavoro oppure se possano essere di proprietà del dipendente. In ogni caso, il c. 2
dell’art. 18 della stessa Legge n. 81/2017 recita che “Il datore di lavoro è responsabile
della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al
lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa”, il che sembrerebbe confermare
che sia obbligo del datore di lavoro assegnare al dipendente la strumentazione
informatica.
Durante la pandemia da COVID-19, sull’onda dell’emergenza, tale assunto non venne
rispettato. Infatti, in deroga alla disciplina ordinaria, il c. 2 dell’art. 90 del D.L. 19
maggio 2020 n. 34 stabilì che “la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere
svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora
non siano forniti dal datore di lavoro”. In effetti, come vedremo nel terzo capitolo, in
quella circostanza il Legislatore aveva ritenuto che lo smart working potesse costituire
un utile strumento di contenimento dei contagi che garantisse al contempo la
prosecuzione delle attività produttive. Naturalmente il ricorso improvviso e di massa al
lavoro agile aveva determinato la difficoltà, per aziende e P.A., di reperire tutta la
ulteriore strumentazione informatica, e da qui la citata disposizione. Da essa si desume
che, invece, in regime ordinario, sia il datore di lavoro a dover fornire gli strumenti ai
dipendenti in lavoro agile. Questa disposizione nasce anche dalla necessità di munire i