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1.1.2 Centralizzazione e controllo gentiliano delle istituzioni scolastiche
Nelle intenzioni di Giovanni Gentile, la rinascita e il rinnovamento del sistema
scolastico italiano doveva imprescindibilmente essere accompagnato da una
“regia ristretta” localizzata nel governo centrale. Le briglie della cavalcata verso il
rilancio della Nazione dovevano partire da Roma, nucleo di quella che verrà
definita “l’educazione nazionale” e, da lì, arrivare in tutti gli angoli del paese.
Vennero, così, messi in atto tutta una serie di modifiche e riforme del “governo
scolastico”. Il riordino dell'amministrazione nel campo dell'istruzione, annunciato
attraverso una circolare ministeriale inviata a presidi e rettori nel novembre 1922,
rappresentava, dunque, un decisivo cambiamento di rotta.
La riforma mirava a instaurare una gerarchia rigida tra l'amministrazione
centrale e quella periferica, eliminando simultaneamente il principio elettivo in ogni
organismo scolastico. Tale iniziativa fu intrapresa con l'obiettivo dichiarato di
ristabilire rapidamente il rispetto dell'autorità dello Stato nel settore educativo. Con
il fine di esercitare un controllo più efficace sull'istruzione pubblica, la riforma si
concentrò sulla centralizzazione della struttura burocratica e delle autorità
scolastiche. Tutti gli incarichi furono resi di nomina governativa, sottoponendo di
fatto tali figure al diretto o indiretto controllo del capo del governo. Il primo decreto
attuato nell'ambito di questa riforma comportò la riduzione del personale
amministrativo dell'amministrazione scolastica, con una semplificazione della sua
struttura organizzativa (riduzione delle direzioni generali da cinque a quattro), una
ristrutturazione dei provveditorati e il licenziamento di personale docente.
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La semplificazione dei ranghi amministrativi, oltre a rispondere a critiche sulla
presunta "ipertrofia burocratica" ereditata dall'età giolittiana, perseguiva anche gli
obiettivi di contenimento delle spese statali imposti da Mussolini ai ministeri.
Questo riordino, quindi, si inserisce in un contesto più ampio di consolidamento
del controllo statale sull'istruzione, contribuendo a rafforzare il ruolo centrale del
governo fascista nel plasmare il sistema educativo del periodo.
Un successivo decreto delineava la nuova struttura gerarchica del ministero e
le competenze del suo titolare, al quale veniva per la prima volta affidata la
responsabilità dell’“educazione nazionale". Questo ruolo avrebbe poi dato il nome
al ministero, sostituendo la denominazione precedente di Pubblica Istruzione.
Il ministro aveva l'ultima parola in caso di ricorsi e personalmente nominava i
21 membri del riformato Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Quest'organo, privato delle funzioni di controllo sulle decisioni ministeriali,
diventava uno strumento attraverso il quale il ministro esercitava le sue
competenze sulla scuola primaria e popolare, così come sulla scuola media.
Al fine di consolidare il controllo centralizzato sulle istanze periferiche, furono
istituiti i Provveditorati Regionali, successivamente trasformati in Sovrintendenze,
i cui dirigenti venivano direttamente nominati dal ministro. Analogamente, i membri
dei consigli scolastici e dei consigli di disciplina, soggetti ai provveditori, erano
anch'essi designati dal ministro.
Questa disposizione conferiva ai provveditori un aumento dei poteri non solo
nei confronti dei consigli, ma anche nei confronti degli ispettori, dei presidi e dei
direttori didattici. Questi ultimi, a loro volta, vedevano ampliate le loro competenze
disciplinari nei confronti del personale scolastico.
Nel quadro della riforma, la scuola primaria si inseriva organicamente nel
disegno di riassetto autoritario e verticistico. Al contempo, venivano assegnati alla
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scuola primaria ruoli e funzioni chiaramente definiti e distinti. Questa
configurazione era in perfetta coerenza con l'obiettivo di contrastare l'eredità
giolittiana, che prevedeva una crescente espansione non solo
dell'amministrazione scolastica e del suo personale, ma anche dell'offerta
formativa nel suo complesso.
1.1.3. Obbligo scolastico e rinnovata programmazione didattica
Di pari passo alle azioni di controllo e centralizzazione, era imprescindibile
avviare interventi più incisivi nel sistema scolastico, non limitandosi esclusivamente
all'ambito didattico, bensì considerando anche il "percorso" che avrebbe guidato i
giovani di allora verso l’età adulta. Elementi chiave furono l’innalzamento
dell’obbligo scolastico a 14 anni e una rinnovata centralità della scuola primaria, in
un sistema che sfavoriva l’apprendimento razionale con un'intensità tale da aprire
un’autostrada al diffondersi, sempre più, della fascistizzazione della didattica. «La
più fascista delle riforme!» dirà, in seguito, Mussolini.
La concezione pedagogica di Gentile, pienamente sviluppata negli anni
precedenti, attribuiva alla scuola primaria il compito di plasmare lo spirito nella sua
interezza e completezza, anche se in una fase iniziale. In coerenza con tale visione,
si rivelava essenziale fornire un'istruzione religiosa cattolica, contrariamente alla
scuola laica difesa durante gli anni giolittiani dalle organizzazioni degli insegnanti.
Questa formazione religiosa non solo mirava a trasmettere l'educazione morale
attraverso le virtù derivanti dall'osservanza dei precetti, ma costituiva anche il
fondamento della vita spirituale, destinata a compiersi successivamente, soprattutto
per coloro che frequentavano il liceo e si dedicavano all'insegnamento della filosofia.
L'insegnamento della religione, definito come "philosophia inferior", era affidato
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al maestro anziché a un sacerdote, come auspicato dai cattolici. Questa materia era
obbligatoria fin dalla prima classe e aveva il compito di "animare" le altre discipline.
I nuovi programmi di insegnamento, ideati da Giuseppe Lombardo Radice,
riflettevano la visione di una scuola radicata nelle comunità locali, intrisa di cultura
e tradizioni popolari, e permeata dagli affetti e dalle esperienze dell'infanzia.
L'introduzione di musica e disegno come discipline scolastiche mirava a esprimere
la vita interiore del bambino attraverso il "libero fare", mentre l'apprendimento della
lingua e la lettura si distaccavano dagli schemi mnemonici e retorici per attingere
alle risorse di vita ed esperienza.
Il dialetto, la poesia e l'arte popolare erano valorizzati come primi passi verso
l'acquisizione consapevole della lingua nazionale, con la cultura regionale posta
come fondamento per un ideale compiuto di patria. Nei programmi didattici, la storia
e la geografia avevano il compito di illustrare le nozioni dell'insegnamento
patriottico, sostenuto dalle circolari del sottosegretario Dario Lupi. Queste
attivavano con decisione le iniziative organizzate nel contesto scolastico,
promuovendo la celebrazione nazionale attraverso il saluto quotidiano alla bandiera,
gare di canto dell'inno di Mameli e affidando alle scolaresche la cura dei monumenti
ai caduti.
In sintesi, l'accento sull'approccio spontaneo e immediato all'apprendimento,
inserito nel contesto autoritario e nazionalista dell'orientamento culturale e politico
della riforma, rischiava di privare la "scuola del popolo" di strumenti di conoscenza
razionale, aprendo la strada alla massiccia introduzione di precetti e liturgie
orientate pesantemente alla diffusione capillare di una didattica del fascismo.
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1.2. La riforma gentiliana dell'istruzione secondaria
Per Giovanni Gentile, quanto descritto in precedenza, rappresentava solo una
parte di un progetto di riforma più ampio, non solo dal punto di vista formale, ma
anche sostanziale che, sempre in ottica palingenetica, mirava a costruire i nuovi
italiani di domani, la futura classe dirigente. Il cuore della proposta di riforma di
Gentile si concentrava sulla scuola media (R.D. 6 maggio 1923, n. 1054),
attribuendo un ruolo centrale alle materie umanistiche nella formazione delle classi
dirigenti e mirando a ripristinare una severa rigidità nel percorso di studio.
Sebbene riportasse il liceo alla sua forma "classica" originaria, stabilita dalla
legge Casati del 1859, eliminando tutte le modifiche e gli ampliamenti successivi, in
particolare l'introduzione graduale di lingue straniere e materie scientifiche,
l'operazione voluta da Gentile non fu una mera restaurazione, ma una risposta
precisa alle necessità di aggiornamento dell'assetto scolastico ed educativo italiano
messo in atto nei primi quindici anni del secolo XX°.
Questa risposta era improntata alla profonda differenziazione e gerarchizzazione
degli ordini di istruzione, ciascuno con una precisa identità e finalità. Il ginnasio-
liceo, quindi, subì una "de-modernizzazione", venendo alleggerito dagli ampliamenti
di materie e programmi accumulatisi nel tempo, e riportato alla sua integrità di
scuola classica. Questa era considerata l'unica "scuola di cultura" che dava accesso
a tutte le facoltà universitarie, mentre canali specifici venivano predisposti per
rispondere alle esigenze "particolari" come la preparazione scientifica o la
formazione dei maestri.
Il ginnasio-liceo fu accuratamente delimitato all'ambito classicistico, letterario e
filosofico, con un nucleo di fondo rigorosamente circoscritto alle discipline
fondamentali e poche materie complementari. Il monte ore settimanale era limitato,
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seguendo la pedagogia gentiliana, che vedeva nel tempo d'aula il momento cruciale
in cui innescare il processo autentico di apprendimento, attraverso l'incontro tra
l'atto creativo del docente e la percezione dei discenti.
Questo atto creativo era reso possibile dalla libertà di insegnamento, assicurata
dalla mancanza di prescrizioni procedurali nei programmi ministeriali, in cui il punto
di arrivo era indicato, ma mai le modalità, lasciate all'autonoma azione del docente.
Dato il tempo d’aula limitato, l’apprendimento era affidato allo studio domestico
individuale del discente richiedendo una severa autodisciplina per gestire la mole di
conoscenze.
La struttura della riforma gentiliana manteneva l'articolazione orizzontale della
scuola secondaria in primo e secondo grado, con una separazione verticale tra
ordini di scuole "di cultura" e propedeutiche agli studi universitari e quelle indirizzate
a fini "particolari," ai mestieri e alle professioni.
Ogni corso superiore era dotato di una sua scuola preparatoria post-elementare,
con ogni passaggio scandito da impegnativi esami di licenza e di ammissione. Il
ginnasio inferiore prevedeva, oltre alla matematica, l'insegnamento delle materie
letterarie (italiano, storia e geografia) impartito da un unico insegnante.
L'insegnamento del latino occupava otto ore settimanali, con l'aggiunta di una
lingua straniera dal secondo anno e, dal quarto anno, quattro ore settimanali di
greco dopo il superamento di un esame di ammissione riguardante tutte le materie
di studio. Il liceo manteneva la centralità degli studi umanistici, passando dallo
studio delle lingue classiche e italiana a quello delle letterature (italiana, latina e
greca), con l'aggiunta di economia e storia dell'arte.
L'insegnamento scientifico comprendeva matematica e fisica, biologia, chimica e
geografia. L'esame di Stato, sia per scuole pubbliche che private, era sostenuto di
fronte a commissioni di professori di scuola pubblica di nomina ministeriale,
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escludendo gli insegnanti curricolari dei candidati, comprendendo anche docenti
universitari.
1.2.1 Fondamento umanistico-filosofico e formazione-selezione della
classe dirigente
Con l'istituzione del Liceo scientifico, che incorporava la rinomata sezione fisico-
matematica dell'Istituto tecnico, e contemporaneamente con l'eliminazione del ramo
linguistico-moderno dal Liceo classico (noto anche come Liceo moderno), le lingue
furono di fatto escluse dall'insegnamento secondario superiore pubblico italiano.
Nessun istituto o sezione dedicava il proprio curriculum all'apprendimento di
lingue e letterature vive, trasferendo questa responsabilità alle scuole private.
Questa scelta interruppe una tradizione e generò un deficit di conoscenza e utilizzo
delle lingue, il cui impatto si fece sentire in modo crescente nei decenni successivi.
L'ammissione al liceo scientifico era aperta a coloro che avevano completato un
quadriennio di ginnasio o avevano terminato la scuola tecnica (anch'essa
quadriennale). Il piano di studi prevedeva l'insegnamento della filosofia, il
mantenimento di quattro ore settimanali per il latino e una lingua moderna, oltre alle
materie scientifiche. Tale corso consentiva l'accesso a tutte le facoltà universitarie,
escluse Lettere e Filosofia, e Giurisprudenza.
Questo legame trasparente e marcato tra l'apprendimento di filosofia e lingue
classiche, inquadrato come fondamento umanistico-filosofico, e la conseguente
formazione-selezione della classe dirigente, risultava evidente. Solo la
combinazione di greco, latino e filosofia poteva garantire una formazione completa
dello spirito necessario per raggiungere il livello di coscienza richiesto dalle funzioni
superiori della vita nazionale. Di conseguenza, solo il liceo classico offriva l'accesso