Introduzione
Durante la frequenza del corso di Laurea Triennale in Scienze e tecniche dell’educazione e
dei servizi per l’infanzia L-19, affrontando la tematica dell’orientamento all’interno del
Laboratorio di formazione per i contesti educativi dell’infanzia, ho realizzato quanto
carente fosse stato quel percorso all’interno della mia carriera scolastica. Nello specifico,
l’orientamento verso la scuola secondaria superiore aveva previsto nulla più di un test
denominato «Arianna» che, come me all’epoca, schiere di studenti torinesi hanno
affrontato durante l’ultimo anno della scuola media; si trattava di un test somministrato
attraverso un computer, strumento a cui, la maggior parte di noi, non aveva mai avuto
accesso in precedenza.
Nel mio ruolo di insegnante, quindi, non ho potuto fare a meno di analizzare la questione
dal punto di vista professionale oltreché personale. Lavorando nella scuola dell’infanzia,
mi è venuto spontaneo spostare la riflessione in quel contesto e quindi arrivare a
domandarmi se si potesse parlare di orientamento anche in questo grado scolastico e quali
caratteristiche dovesse avere per rispondere alle esigenze di questa utenza. Possono gli
insegnanti della scuola dell’infanzia lavorare già in ottica orientativa, o si rischia di cadere
in inutili precocismi? Come si configura l’orientamento in questo contesto? Quali
esperienze esistono al proposito? Quale ruolo può svolgere in questo senso il rapporto
scuola-famiglia? Questa tesi si pone l’obiettivo di rispondere a queste domande.
Nel Capitolo 1 partiremo dall’analisi delle sfide richieste all’educazione dalla società
contemporanea nella quale si è chiamati a educare nuove generazioni all’insegna della
complessità e dell’incertezza del nostro tempo, fino a mettere in luce le ragioni per cui la
necessità di orientamento è sempre più sentita. Analizzeremo quindi in generale le
questioni riguardanti l’orientamento precoce per chiarire quali possano essere, dal punto
di vista teorico, gli approcci da seguire; per far questo, inquadreremo l’argomento
all’interno delle finalità della scuola dell’infanzia attraverso la lettura dei più recenti
documenti programmatici. Faremo cenno anche all’orientamento in ottica inclusiva
riconoscendo nell'inclusività una delle maggiori sfide che siamo, e sempre più saremo,
chiamati ad affrontare.
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Nel Capitolo 2 ci addentreremo nelle questioni pratiche provando a individuare quali
caratteristiche possa avere l’orientamento nella scuola dell’infanzia, anche grazie
all’analisi di alcune esperienze condotte all’interno dei servizi educativi. Le esperienze
analizzate mostreranno l’impiego di alcune metodologie, come la narrazione e la prassi di
alcune azioni educative riguardanti l’educazione emotiva. Parleremo anche della
partecipazione come primo strumento per esercitare delle scelte e orientarsi. Non
mancherà un focus sulla tecnologia e sull’educazione necessarie per far fronte ad un
mondo nel quale, quest’ultima, dovrà farsi sempre più attenta a cogliere le opportunità e
dare indicazioni per gestire i rischi di una modernità che si farà sempre più pervasiva. In
conclusione del capitolo, non mancheremo di affrontare il tema della creatività intesa come
strumento da inserire nella cassetta degli attrezzi di ciascun bambino, sempre in ottica di
orientamento.
Nel Capitolo 3 proveremo ad indagare l’utilità del rapporto scuola-famiglia in ottica
orientativa Si farà cenno al modello di Epstein che indaga il coinvolgimento genitoriale
all’interno della scuola e questo ci darà l’occasione per parlare di corresponsabilità
educativa. Verranno poi presentati alcuni strumenti utili alla costruzione di questo rapporto,
quali il diario di bordo, il portfolio e il colloquio; del primo si analizzeranno tutte le
funzioni, da strumento di comunicazione e condivisione del percorso di ogni singolo
bambino (nelle dimensioni verticale e orizzontale) a strumento di auto-valutazione a sua
disposizione. Il portfolio sarà presentato in riferimento alle normative emanate dal Miur e,
infine, il colloquio sarà messo in luce per la sua valenza dialogica nella costruzione di uno
scambio fruttuoso tra i protagonisti dell’educazione infantile. A corollario del discorso,
saranno altresì accennati i temi delle competenze e della valutazione.
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Premessa
Il presente lavoro si è concentrato sulla realtà della scuola dell’infanzia. In un periodo nel
quale il sistema integrato 0-6 anni sta muovendo i primi passi, questa scelta può sembrare
riduttiva se non addirittura superata; mi preme quindi fare una piccola precisazione al
riguardo. In prima istanza la scelta deriva dalla mia personale biografia che mi vede
impegnata quotidianamente con bambini tra i tre e i sei anni mentre la fascia zero tre resta,
per me, un universo professionalmente inesplorato. Mi è così sembrato opportuno, per
concludere questo iter universitario, mettere a frutto l’esperienza maturata anche nell’ottica
di compiere un percorso di autoriflessione sul mio operato professionale.
In secondo luogo, ritengo che lo zerosei debba ancora essere sperimentato a pieno per
potersi considerare maturo, quasi che, a discapito di molte parole, il concreto fosse ancora
estremamente carente. Come diremo anche più avanti, il pensiero non si fa
automaticamente obiettivo senza un lungo lavoro sul campo e per il mio sentire
professionale ritengo che il lavoro sullo zerosei, seppur agli albori, porterà, nel tempo, i
suoi frutti.
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Capitolo 1
Il senso dell’orientamento nella scuola dell’Infanzia
Come anticipato nell’introduzione, per addentrarci nell’argomento e poter così rispondere
alle domande che ci siamo posti, dobbiamo in prima istanza analizzare il contesto nel quale
ci inseriamo volendo considerare l’orientamento all’interno della scuola dell’infanzia.
1.1 Le odierne sfide della scuola tra complessità e incertezza
Il quinto capitolo de I sette saperi necessari all’educazione del futuro del filosofo francese
Edgar Morin si intitola Affrontare le incertezze. Nelle prime righe Morin scrive:
“L’avvenire resta aperto e imprevedibile” (Morin E., 2001, pag. 81); sicuramente, alla luce
degli anni appena trascorsi, densi di avvenimenti che difficilmente avremmo potuto
immaginare, non possiamo che trovarci d’accordo con questa affermazione. «Incertezza» e
«complessità» fanno parte della terminologia con la quale vengono descritti i tempi che
stiamo vivendo: “Non possiamo più eliminare l’incertezza perché non possiamo conoscere
con una perfetta precisione tutte le interazioni di un sistema, soprattutto quando questo è
molto complesso” (Morin E., 2015, pag. 20).
Ci dice Gaetano Domenici, professore di Didattica e Pedagogia speciale e direttore del
dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre: “Lo sviluppo
crescente dei saperi, che porta, in pochi anni, ad una sorta di raddoppiamento delle
conoscenze complessive di talune discipline, è uno dei fattori della complessità delle
società odierne. L’elevato ritmo delle conseguenti trasformazioni in ogni campo ed ogni
forma in cui si organizza la vita sociale, civile e produttiva, oltre che effetto, diviene a sua
volta concausa dell’ulteriore crescita della complessità e del disorientamento, cioè di una
sempre maggiore incertezza sui possibili sviluppi del quadro di riferimento” (Domenici G.,
2003, pag. 79).
In questo contesto, il soggetto si ritrova senza punti di riferimento, costretto ad un costante
ripensamento di se stesso e della sua posizione nel mondo. Ne consegue che: “È soprattutto
in un quadro storico-sociale caratterizzato da un’elevata complessità, da un ritmo crescente
di trasformazioni, da uno stato di incertezza circa le sue linee evolutive (o involutive),
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quindi di disorientamento generale, che la formazione scolastica può giocare un ruolo di
grande rilievo. Principalmente essa può fornire, infatti, quella strumentazione cognitiva e
affettivo-emozionale (che si esprime in requisiti concettuali, in atteggiamenti e
disposizioni) ormai necessarie per garantire processi di autoapprendimento e di
auto-orientamento continui [...]” (Domenici G., 2009, pag. 8).
L’importanza della scuola risulta evidente anche di fronte alla notizia, pubblicata a maggio
2021 da molte testate giornalistiche, secondo la quale, uno studio del World Economic
Forum calcolava che il 65% dei bambini frequentanti le scuole elementari, sarebbe stato
impiegato in un lavoro che ancora non esisteva
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. La scuola, di ogni ordine e grado, deve
necessariamente fare i conti con questa realtà, adottando tutte le misure per fornire alle
giovani generazioni gli strumenti idonei a farvi fronte. Questo implica che sia la scuola
stessa a dover cambiare: una formazione basata sulle vecchie regole non è più funzionale.
Non si tratta più di trasmettere conoscenze (oggigiorno reperibili anche in molti altri modi)
ma di educare a vivere in un contesto con queste caratteristiche proprie della complessità e
dell’incertezza. Vi è quindi “[...] la necessità vitale di introdurre, dalle prime classi fino
all’università, la conoscenza della conoscenza. Quindi, insegnare a vivere non è solo
insegnare a leggere, scrivere e far di conto, né solamente insegnare le conoscenze basilari
utili della storia, della geografia, delle scienze sociali, delle scienze naturali. Non è
concentrarsi sui saperi quantitativi, né privilegiare la formazione professionale
specializzata: è introdurre una cultura di base che includa la conoscenza della conoscenza”
(Morin E., 2015, pag. 11).
Estremizzando, potremmo dire, che la scuola, libera dalla costrizione di trasmettere dei
saperi omogenei e standardizzati, può e deve invece farsi carico del “[...] compito di filtrare
ed interconnettere molteplici esperienze eterogenee, squilibrate” (Bocchi G., Ceruti M.,
2004, pag. 2).
Nel 2008, all’inizio della mia carriera di insegnante all’interno dei servizi educativi della
Città di Torino, vi era un gran discutere intorno al concetto di «educazione al rischio». La
discussione riguardava il rischio in senso fisico, nell’idea che l’iperprotezione a cui è
sottoposta l’infanzia nella contemporaneità impedisca ai bambini di mettersi in gioco, al
contrario di un tempo. Le scuole di quel periodo, sollecitate sul tema, si erano adoperate
per fare la propria parte in tal senso, cosicché non era inusuale trovare servizi nei cui
giardini fossero presenti corde appese agli alberi. Senza sminuire l’importanza
dell’addestramento fisico al rischio, mi pare oggi evidente quanto il concetto sia molto più
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Un lavoro che ancora non esiste
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ampio, oggi come allora, e sia connesso anche con la componente emotiva e cognitiva del
rischio, in linea con una certa complessità.
In conclusione, quindi, la scuola è chiamata a fornire una «cassetta degli attrezzi» che
sostenga i bambini nel fronteggiare l’inevitabile rischio che una società incerta ci pone
costantemente di fronte. Questa cassetta degli attrezzi è costituita da competenze che
connettono i saperi e ne permettono una costante riformulazione ma, non di meno, da
atteggiamenti personali. In questo senso l’orientamento, come vedremo nel secondo
paragrafo, ci fornisce le basi su cui impostare un intervento con questi obiettivi.
1.2 Cosa è l’orientamento
Fatte queste premesse, è giunto il momento di stabilire di che cosa parliamo quando
utilizziamo il termine «orientamento». Non ci addentreremo in questioni storiche ma
s’intende comunque annotare come l’orientamento, nella sua accezione odierna, sia il
risultato di un’evoluzione avvenuta nel corso della storia del Novecento, storia che ha visto
il susseguirsi di diverse fasi da un punto di vista sia teorico che pratico.
Queste fasi sono ben raccontate da Luca Girotti, pedagogista presso l’Università Cattolica
di Milano, nel primo capitolo del volume Progettarsi. L’orientamento come compito
educativo permanente, un titolo che ci fornisce anche degli indizi che possono condurci a
circoscrivere una concezione contemporanea di orientamento. Ricercando una definizione,
infatti, la dimensione del ruolo permanente dell’orientamento nella vita dei soggetti, ricorre
spesso. È possibile ascrivere questo fenomeno nella cornice dei molteplici documenti
dell’Unione Europea che, a partire dal Libro Bianco Cresson del 1995, fanno del lifelong
learning una strategia basilare per lo sviluppo degli individui e dell’intera società.
L’altra parola chiave, nel titolo di Girotti, è «educativo» e possiamo infatti dire, sempre in
estrema sintesi, che abbiamo assistito in tempi recenti ad un mutamento della concezione
dell’orientamento, passato questo dall’essere un intervento informativo relegato ad alcuni
momenti di passaggio tra gradi di scuola, legato ad una prospettiva di formazione
professionale, ad una concezione molto più ampia che riguarda il soggetto nella sua
interezza e, come detto, lungo tutto l’arco della sua vita.
Come dice la pedagogista Immacolata Messuri: “[...] va mutando la sua concezione
tradizionale: da una prospettiva di prassi orientativa come insieme di servizi, spesso esterni
alle istituzioni informative, si va ormai consolidando una concezione secondo la quale
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l’orientamento è inteso come un processo nel quale il soggetto interviene direttamente e si
costituisce come protagonista principale delle proprie scelte” (Messuri I., 2009, pag. 13).
Rispetto al contesto descritto all’inizio del Capitolo 1 pare evidente infatti che “[...] non si
può pensare ad una prassi orientativa intesa nel senso tradizionale del termine, che
sperimenta esperienze di orientamento limitate nel tempo e nello spazio. Quello di cui si ha
bisogno è un momento di sostegno, di interazione, di cooperazione realizzato per lunghi
periodi nella vita del soggetto interessato; in altri termini ci si riferisce ad un programma di
orientamento «globale»” (Messuri I., 2009, pag. 39).
Questo mutamento è riscontrabile anche nelle Linee guida nazionali per l’orientamento
permanente emanate dal Miur nel 2014 che, nonostante contengano ancora riferimenti
“[...] alle logiche del mercato imprenditoriale e lavorativo” (Mura A., 2018, pag. 16),
sottolineano aspetti legati alla formazione del singolo in senso più ampio come si evince da
questi passaggi: “La centralità del sistema scolastico nella sua interezza, quale luogo
insostituibile nel quale ogni giovane deve acquisire e potenziare le competenze di base e
trasversali per l’orientamento, necessario a sviluppare la propria identità, autonomia,
decisione e progettualità” e “[...] l’orientamento non è più solo lo strumento per gestire la
transizione tra scuola, formazione e lavoro, ma assume un valore permanente nella vita di
ogni persona, garantendone lo sviluppo e sostegno nei processi di scelta e decisione con
l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione
sociale” (Miur, 2014, pag. 3 e pag. 2).
Uno tra i primi tasselli di questo cambiamento nel nostro paese lo troviamo nella Direttiva
n. 487 del 6 agosto 1997 che, nel primo articolo, parla dell’orientamento in questi termini:
“L’orientamento - quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado -
costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo
e formativo sin dalla scuola dell'infanzia. Esso si esplica in un insieme di attività che
mirano a formare e a potenziare le capacità delle studentesse e degli studenti di conoscere
se stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte
formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita, e
partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e
responsabile” (Miur, 1997, pag. 1).
Tornando quindi alla ricerca di una definizione che tenga insieme la complessità del
fenomeno orientamento, possiamo affidarci a quella fornitaci nel volume L’orientamento
narrativo a scuola dagli autori Federico Batini e Simone Giusti, rispettivamente professore
associato presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia e professore di
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