7 
Introduzione 
 
    
   Questo lavoro nasce, oltre che dalla consapevolezza di essere una lettrice 
appassionata e critica, anche dalla volontà di approfondire le tematiche relative al 
ruolo del lettore, figura che, sin dai primi anni di vita, inizia a far parte della 
nostra realtà individuale e sociale. La lettura si configura, infatti, come parte 
integrante del processo evolutivo, non solo dell’uomo in quanto tale, ma anche 
dell’uomo in quanto “individuo culturale” all’interno di un determinato panorama 
letterario di riferimento. 
   Ognuno di noi, nel corso della propria vita, almeno una volta, sarà stato 
chiamato ad indossare i panni del lettore: durante l’infanzia, ad esempio, la 
mamma o il papà che pazientemente, attraverso la lettura di una storia, guidano il 
bambino alla scoperta delle immagini e delle parole;  a scuola, dove quello stesso 
bambino, acquisendo le strumentalità di base della lettura, nel corso della sua 
crescita, impara progressivamente a essere consapevole delle sue potenzialità di 
lettore; nella vita adulta, quando, sia che si legga per motivi professionali o 
semplicemente per il puro piacere di leggere, si è chiamati ad interpretare gli 
infiniti livelli di realtà quante sono le infinite possibilità di lettura.  
   Il lettore non è soltanto una categoria della realtà relativa allo spirito dell’essere 
umano ma, all’interno del panorama letterario, si configura come quell’elemento 
necessario al conseguimento e al completamento dell’opera d’arte, intesa come 
atto creativo generato da un autore e, successivamente, letto e interpretato da uno 
o più lettori.
8  
   Nel primo capitolo ho esaminato le principali riflessioni della teoria letteraria 
sul ruolo del lettore, inteso come categoria critica inserita nel panorama 
fenomenologico, ermeneutico e narratologico: ho esposto alcune considerazioni 
circa il dibattito avvenuto intorno agli anni ’60 del XX secolo, dove figure di 
rilievo, quali Maurice Blanchot, Georges Poulet, Jean-Paul Sartre, Hans George 
Gadamer, Hans Robert Jauss e Wolfang Iser, hanno contribuito, con le loro teorie, 
a conferire legittimità e dignità critica al lettore, e ho dedicato una particolare 
attenzione alla fenomenologia di Umberto Eco che, nel processo 
dell’interpretazione, parla di un Autore e di un Lettore Modello impliciti nel testo, 
definendoli come strategie testuali necessarie al completamento di senso. Oltre ad 
alcuni saggi critici appartenenti agli autori suddetti, Che cos’ è la letteratura? 
(1948) di Jean-Paul Sartre, Verità e metodo (1983) di Hans George Gadamer, 
L’atto della lettura (1987) di Wolfang Iser, Lector in fabula (1979) di Umberto 
Eco…, ho preso in considerazione, come riferimento di carattere più generale, i 
seguenti testi: Teorie critiche del novecento (2001) di Enza Biagini, Paolo Orvieto 
e Augusta Brettoni, Estetica della letteratura (2009) di Massimo Fusillo, Il testo 
letterario (1996) di Mario Lavagetto, Psicologia della lettura (1977) di Filippo 
Boschi, Le passioni del lettore (1998) di Isabella Pezzini, Le emozioni della 
lettura (2000) di Maria Chiara Levorato. Successivamente, dalla rassegna delle 
varie teorie critiche sono passata alla riflessione sul ruolo della lettura, intesa sia 
come atto fisico, sia come comportamento e stile di vita; a tal proposito, ho messo 
in evidenza alcune riflessioni di Daniel Pennac e del suo celebre Come un 
romanzo (1992), in cui si osserva come la lettura, per essere veramente produttiva 
e stimolante, debba partire necessariamente da un atto di libertà e motivazione.
9  
   Nel secondo capitolo, raccordando la riflessione narratologica alla riflessione 
narrativa, si è osservato come questo lettore, oltre ad essere oggetto di numerosi 
dibattiti nel campo della fenomenologia e della critica letteraria, in certi casi, 
abbia assunto anche le sembianze di un vero e proprio personaggio all’interno 
della finzione narrativa. A tal proposito, come riferimento principale, ho scelto di 
rivolgere il mio interesse ad uno dei romanzi più celebri di Italo Calvino, Se una 
notte d’inverno un viaggiatore del 1979, evidenziando come questo autore, in un 
sapiente gioco combinatorio e metanarrativo, sia riuscito a fare del Lettore e della 
Lettrice i principali protagonisti della trama narrativa. La prima parte del capitolo 
è dedicata, in particolare, al percorso di genesi del romanzo e ad alcune riflessioni 
personali dello stesso scrittore; oltre al testo suddetto, da cui ho ripreso in 
particolare alcuni passaggi relativi alla recensione di Angelo Guglielmi, inseriti 
nella presentazione al romanzo, ho preso in esame uno scritto dello stesso 
Calvino, La squadratura (1975), interessante per la riflessione sull’origine del 
romanzo, e un saggio di Luca Baranelli, Sono nato in America (2012), che 
costituisce una raccolta completa delle interviste che Calvino ha rilasciato nel 
corso della sua carriera. Nei paragrafi successivi ho dedicato spazio ad una 
riflessione di taglio comparatistico, raffrontando l’opera di Calvino con altri due 
celebri romanzi: La modification (1957) di Michel Butor, uno dei più importanti e 
originali esponenti francesi del Nouveau Roman, con cui lo stesso Calvino fu in 
contatto e La storia infinita (1979) di Michael Ende, scrittore tedesco molto noto 
ai giovani lettori degli anni ’70. Per quanto riguarda Butor e Calvino, ho orientato 
la mia attenzione sul fatto che, entrambi, all’interno dei loro romanzi, si servono 
della narrazione in seconda persona, se pur con intenti diversi; oltre alle opere
10  
suddette, ho ripreso alcune riflessioni tratte da un saggio di Giorgio De Piaggi, dal 
titolo Saggio su La Modification di Michel Butor (1972), in cui viene proposta 
un’analisi molto dettagliata dei vari aspetti del romanzo dell’autore francese. 
Successivamente ho dedicato alcune riflessioni alla fiaba come elemento costante 
all’interno della narrazione calviniana che, per alcune caratteristiche, possiamo 
riscontrare anche in Se una notte d’inverno un viaggiatore e ne La storia Infinita. 
Partendo da questa considerazione ho evidenziato come il rapporto di analogia tra 
i due romanzi sia relativo al fatto che, in entrambi i casi, il lettore, da semplice 
oggetto esterno al libro, sia stato elevato al rango di personaggio e protagonista; 
inoltre sia Calvino che Ende, attraverso l’importanza  attribuita alla funzione della 
lettura e della fantasia, hanno saputo costruire una sapiente operazione 
metanarrativa sottesa alla narrazione. Non avendo a disposizione studi critici 
significativi sul romanzo di Ende, ho scelto di utilizzare esclusivamente i testi 
relativi ai due romanzi, traendo personalmente alcuni passaggi significativi utili ai 
fini della riflessione comparatistica. 
  Ho scelto di dedicare il terzo capitolo esclusivamente a Se una notte d’inverno 
un viaggiatore, in quanto, rispetto a Michel Butor e Michael Ende, Calvino 
sembra essere supportato da un livello di consapevolezza ideologica e coerenza 
maggiore rispetto al suo lavoro. È chiaro che abbiamo a che fare con un’opera 
che, essendo stata scritta durante l’ultima fase della carriera di un autore così 
prolifico, risulta essere un po’ la somma di tutte le esperienze precedenti; dunque, 
proprio perché soggetta a tante possibili riflessioni, ho scelto di indirizzare la mia 
analisi esclusivamente all’aspetto relativo al ruolo dei lettori e della lettura, che 
rappresentano altresì l’oggetto principale di questa tesi. Tra i saggi critici di
11  
riferimento mi è sembrato necessario e doveroso scegliere alcune tra le voci più 
significative che, con particolare attenzione e dovizia di particolari, si sono 
occupate del romanzo di Calvino: Alla ricerca del testo perduto. Il libro, la lettura 
e la scrittura in Italo Calvino: Se una notte d’inverno un viaggiatore (2012) di 
Rossana Avanzi, Il labirinto e la rete: percorsi moderni e postmoderni dell’opera 
di Calvino (1996) di Ulla Mussarra-Schrǿeder, Calvino (2006) di Francesca Serra, 
Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria (1984) di Cesare Segre, 
Calvino (2001) di Silvio Perrella.
13  
I. 
L’AVVENTO DEL LETTORE 
 
 
1. Il lettore: teorie critiche 
 
   Nei primi anni Settanta del XX secolo la teoria letteraria porta alla luce una 
nuova figura che destabilizza le certezze scientiste dello strutturalismo: il lettore. 
Già la critica precedente, comunque, si era occupata dei meccanismi complessi 
della lettura: in particolare, la scuola neoaristotelica di Chicago, con Wayne 
Booth, era giunta al concetto di un lettore implicito nel testo, che segue i percorsi 
e le opinioni dell’autore, cercando di ricostruirne l’immagine mentale. 
Successivamente la critica semiologica ha sviluppato ulteriormente l’idea che il 
destinatario sia una funzione interna al testo e la narratologia ha analizzato la 
funzione del “narratario”, configurandolo come l’ascoltatore di un racconto la cui 
rappresentazione orienta la fruizione del lettore virtuale. In Teorie critiche del 
novecento, la figura del narratario viene descritta partendo proprio dall’interno 
della narrazione stessa
1
. 
 
                                                
1
 Secondo Chatman (Storia e discorso, del 1978) la narrazione è composta di una storia e di un 
discorso, un contenuto e un’espressione; prevede un emittente (autore vero e implicito e il 
narratore) e un ricevente (pubblico reale e implicito e narratario). Se il narratore impone le varie 
modalità dell’informazione, il narratario è il destinatario di quell’informazione interno alla 
narrazione stessa (ad esempio la brigata del Decameron). Talvolta può svolgere un ruolo come 
personaggio (Manon Lescaut di Prévost) oppure no (Tom Jones di Fielding). Un caso di 
combinazione dei due ruoli si può vedere nella coppia inedita di lettori-narratori del romanzo di 
Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore che tratteremo in dettaglio più avanti (E. Biagini - 
A. Brettoni - P. Orvieto, Teorie critiche del novecento, Carocci, Roma, 2002, p. 381).
14 
 
 
   Il testo non rappresenta più un’entità chiusa e da decodificare, una prerogativa 
imputabile al solo autore, ma assume senso e compimento solo se diviene oggetto 
di un atto di lettura, che implica sempre l’incrocio di due intenzioni: quella 
dell’autore e quella del lettore. Nella visione esistenzialista di J. P. Sartre, ad 
esempio, questo incrocio è un rapporto di libera scelta e collaborazione. Nel 
saggio Che cos’è la letteratura? del 1948, egli afferma che l’atto creatore di 
un’opera d’arte  resta infatti incompleto e astratto finché l’autore è solo; egli 
potrebbe scrivere all’infinito , ma l’opera come oggetto non verrebbe mai alla luce 
se non fosse accolta e completata dal lettore
2
. 
   Nella concezione nichilista di Maurice Blanchot, scrittore, critico e filosofo 
francese, invece, vedere e capire l’opera d’arte, esige un sapere investito da 
immensa ignoranza e un dono che non è dato in partenza ma bisogna ricevere ogni 
volta, conquistare e perdere nell’oblio di se stessi. Chi legge non si aggiunge al 
libro ma tende prima di tutto a liberarlo da un qualsiasi autore. Leggere non 
significa scrivere il libro una seconda volta, ma far sì che il libro si scriva o sia 
scritto, senza l’intervento dello scrittore, senza nessuno che lo scriva. La lettura 
non fa niente, non aggiunge niente, lascia solo essere ciò che è in assoluta libertà
3
. 
   Georges Poulet, figura emblematica della scuola fenomenologica di Ginevra, nel 
suo saggio La conscience critique del 1971, considera invece questo incrocio 
come un processo di alienazione doppia e simmetrica: come l’autore ha 
devitalizzato la propria identità all’interno del testo, così anche il lettore deve 
assumere un altro io durante la lettura, sdoppiandosi, con l’obiettivo di costruire 
insieme, attraverso incontri e scontri, un campo comune. Si tratta di ricominciare 
                                                
2
 J. P. Sartre, Che cos’ è la letteratura?, trad. di L. Arano-Cogliati…[et al.], Il saggiatore, Milano, 
1995, pp. 23-77. 
3
 E. Biagini - A. Brettoni - P. Orvieto, Teorie critiche del novecento, cit., p. 230.
15 
 
 
dentro di sé il processo di coscienza di uno scrittore, ritrovando, per quanto in 
maniera approssimativa, il suo modo di sentire e di pensare, vedere come nasce e 
si forma, quali ostacoli incontra, riscoprendo il senso di una vita che si organizza a 
partire dalla coscienza che essa prende di se stessa
4
. 
   Un altro importante apporto filosofico alla teoria della lettura è rappresentato 
dall’ermeneutica, quindi da quella filosofia dell’interpretazione che pone, come 
questione fondamentale della sua riflessione, il problema di conferire un senso 
oggettivo a tutto ciò che è di difficile comprensione. H. G. Gadamer ha fondato 
un’ermeneutica che vede nell’opera d’arte la capacità di trasfigurare in una forma 
un contenuto di verità, e di creare una fusione di orizzonti fra l’autore e i suoi 
lettori. Di conseguenza, il pre-giudizio da parte di quest’ultimi, assume un ruolo 
fondamentale, dato che ogni interpretazione è legata ad un preciso momento 
storico e destinata alla finitezza, e dato che la vita di un’opera è nella storia dei 
suoi effetti. Nel saggio di Gadamer Verità e metodo del 1983, si riflette in 
particolare sul legame tra situazione storica e interpretazione: ogni epoca, infatti, 
interpreta necessariamente qualunque testo in modo proprio, poiché quello stesso 
testo appartiene ad una tradizione che essa ha interesse a comprendere e nella 
quale si sforza di capire se stessa. Il senso vero di un’opera d’arte non si risolve 
completamente nel fatto che essa dipenda da quell’elemento occasionale che è 
rappresentato dal suo autore e dal pubblico originale a cui essa si rivolgeva. Ed è 
proprio a questa duplicità di intenzioni che Gadamer fa corrispondere il concetto 
di “orizzonte”, quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da 
                                                
4
 Cfr. G. Poulet, La con science critique, Corti, Paris, 1986.
16 
 
 
un certo punto quel qualcosa entro cui noi ci muoviamo e che si muove con noi
5
 . 
Per chi si muove gli orizzonti si spostano e, allo stesso modo, anche l’orizzonte 
del passato, di cui ogni vita umana vive e che è presente nei dati storici trasmessi, 
è sempre in movimento. Ogni incontro con il dato storico, infatti, sperimenta in sé 
la tensione fra il testo da interpretare e il presente dell’interprete. Chi vuol 
comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso, deve 
sviluppare una sensibilità aperta alla sua alterità. Tale apertura implica però che 
l’opinione dell’altro venga messa continuamente in rapporto con la totalità delle 
proprie opinioni e dei propri vissuti.  
   Accanto all’ermeneutica di Gadamer, predominante nella cultura novecentesca, 
si è sviluppata, in parallelo, anche un’ermeneutica più tradizionale e filologica che 
situa nella ricostruzione delle intenzioni dell’autore il suo fondamento e che 
risolve il problema della diffusione di ogni forma d’ arte presso pubblici assai 
lontani da quelli originari. Eric Hirsch, ermeneuta americano e rappresentante 
autorevole di questo indirizzo, nel suo saggio Teoria dell’interpretazione e critica 
letteraria del 1967, si sofferma infatti sui  due concetti: il “significato”, ovvero 
ciò che è rappresentato da un testo che l’autore ha voluto rappresentare mediante 
una particolare sequenza di segni, e la “significanza”, che indica invece un 
rapporto tra quel significato e diverse situazioni storiche e sistemi di valori
6
. Per 
lui l’oggettiva “verità” del significato testuale è garantita dall’unica volontà 
dell’autore. Il che non vuol dire che questo unico significato sia obiettivamente 
raggiungibile, soprattutto quanto più le opere sono distanziate nel tempo e 
                                                
5
 Cfr. H. G. Gadamer, Verità e metodo, trad. a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 2004. 
6
 Cfr. E. D. Hirsch, Teoria dell’ interpretazione e critica letteraria, trad. a cura di G. Prampolini, 
Il Mulino, Bologna, 1973.
17 
 
 
neppure vuol dire che le interpretazioni debbano risultare univoche; significa, in 
altre parole, che, pur essendo possibili infinite interpretazioni distribuite nel 
tempo, il significato dell’opera non cambia, perché è quello voluto e codificato 
una volta per tutte dall’autore dell’opera. È chiaro che questo significato non potrà 
mai essere conosciuto e compreso dal lettore con certezza, dato che non è 
possibile entrare nella testa dell’autore per paragonare il significato che egli 
intende con il significato che intende invece il lettore. D’altro canto non si deve 
nemmeno giungere alla conclusione affrettata che il significato inteso dell’autore 
sia totalmente inaccessibile e pertanto inutile oggetto di interpretazione. Sarebbe 
un grosso errore, infatti, confondere l’impossibilità di comprendere con certezza, 
con l’impossibilità di comprendere.  
   Circa il dibattito sul ruolo e la competenza del lettore, è significativo il 
contributo offerto dalla scuola di Costanza e dai suoi più importanti 
rappresentanti, Wolfang Iser e Hans Robert Jauss. Il primo, di posizione in 
sostanza fenomenologica, sostiene che ogni opera, per sua natura, per non 
disperdere all’infinito il proprio significato, programma il suo “lettore implicito” 
che include tutte quelle predisposizioni necessarie all’opera letteraria per 
esercitare i suoi effetti e che rappresenta un’ipotetica indicazione di ruolo per il 
lettore reale
7
. È riconosciuto che i testi letterari ricevono la loro realtà dal fatto 
stesso di essere letti e viceversa significa che i testi devono già contenere certe 
condizioni di realizzazione che possono permettere che i loro significati siano 
riuniti nella mente del fruitore. Testo e lettore quindi convergono mediante una 
situazione che dipende da entrambi per la sua realizzazione e, poiché la lettura è 
                                                
7
 M. Fusillo, Estetica della letteratura, Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 95-96.