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Introduzione
Questo lavoro nasce, oltre che dalla consapevolezza di essere una lettrice
appassionata e critica, anche dalla volontà di approfondire le tematiche relative al
ruolo del lettore, figura che, sin dai primi anni di vita, inizia a far parte della
nostra realtà individuale e sociale. La lettura si configura, infatti, come parte
integrante del processo evolutivo, non solo dell’uomo in quanto tale, ma anche
dell’uomo in quanto “individuo culturale” all’interno di un determinato panorama
letterario di riferimento.
Ognuno di noi, nel corso della propria vita, almeno una volta, sarà stato
chiamato ad indossare i panni del lettore: durante l’infanzia, ad esempio, la
mamma o il papà che pazientemente, attraverso la lettura di una storia, guidano il
bambino alla scoperta delle immagini e delle parole; a scuola, dove quello stesso
bambino, acquisendo le strumentalità di base della lettura, nel corso della sua
crescita, impara progressivamente a essere consapevole delle sue potenzialità di
lettore; nella vita adulta, quando, sia che si legga per motivi professionali o
semplicemente per il puro piacere di leggere, si è chiamati ad interpretare gli
infiniti livelli di realtà quante sono le infinite possibilità di lettura.
Il lettore non è soltanto una categoria della realtà relativa allo spirito dell’essere
umano ma, all’interno del panorama letterario, si configura come quell’elemento
necessario al conseguimento e al completamento dell’opera d’arte, intesa come
atto creativo generato da un autore e, successivamente, letto e interpretato da uno
o più lettori.
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Nel primo capitolo ho esaminato le principali riflessioni della teoria letteraria
sul ruolo del lettore, inteso come categoria critica inserita nel panorama
fenomenologico, ermeneutico e narratologico: ho esposto alcune considerazioni
circa il dibattito avvenuto intorno agli anni ’60 del XX secolo, dove figure di
rilievo, quali Maurice Blanchot, Georges Poulet, Jean-Paul Sartre, Hans George
Gadamer, Hans Robert Jauss e Wolfang Iser, hanno contribuito, con le loro teorie,
a conferire legittimità e dignità critica al lettore, e ho dedicato una particolare
attenzione alla fenomenologia di Umberto Eco che, nel processo
dell’interpretazione, parla di un Autore e di un Lettore Modello impliciti nel testo,
definendoli come strategie testuali necessarie al completamento di senso. Oltre ad
alcuni saggi critici appartenenti agli autori suddetti, Che cos’ è la letteratura?
(1948) di Jean-Paul Sartre, Verità e metodo (1983) di Hans George Gadamer,
L’atto della lettura (1987) di Wolfang Iser, Lector in fabula (1979) di Umberto
Eco…, ho preso in considerazione, come riferimento di carattere più generale, i
seguenti testi: Teorie critiche del novecento (2001) di Enza Biagini, Paolo Orvieto
e Augusta Brettoni, Estetica della letteratura (2009) di Massimo Fusillo, Il testo
letterario (1996) di Mario Lavagetto, Psicologia della lettura (1977) di Filippo
Boschi, Le passioni del lettore (1998) di Isabella Pezzini, Le emozioni della
lettura (2000) di Maria Chiara Levorato. Successivamente, dalla rassegna delle
varie teorie critiche sono passata alla riflessione sul ruolo della lettura, intesa sia
come atto fisico, sia come comportamento e stile di vita; a tal proposito, ho messo
in evidenza alcune riflessioni di Daniel Pennac e del suo celebre Come un
romanzo (1992), in cui si osserva come la lettura, per essere veramente produttiva
e stimolante, debba partire necessariamente da un atto di libertà e motivazione.
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Nel secondo capitolo, raccordando la riflessione narratologica alla riflessione
narrativa, si è osservato come questo lettore, oltre ad essere oggetto di numerosi
dibattiti nel campo della fenomenologia e della critica letteraria, in certi casi,
abbia assunto anche le sembianze di un vero e proprio personaggio all’interno
della finzione narrativa. A tal proposito, come riferimento principale, ho scelto di
rivolgere il mio interesse ad uno dei romanzi più celebri di Italo Calvino, Se una
notte d’inverno un viaggiatore del 1979, evidenziando come questo autore, in un
sapiente gioco combinatorio e metanarrativo, sia riuscito a fare del Lettore e della
Lettrice i principali protagonisti della trama narrativa. La prima parte del capitolo
è dedicata, in particolare, al percorso di genesi del romanzo e ad alcune riflessioni
personali dello stesso scrittore; oltre al testo suddetto, da cui ho ripreso in
particolare alcuni passaggi relativi alla recensione di Angelo Guglielmi, inseriti
nella presentazione al romanzo, ho preso in esame uno scritto dello stesso
Calvino, La squadratura (1975), interessante per la riflessione sull’origine del
romanzo, e un saggio di Luca Baranelli, Sono nato in America (2012), che
costituisce una raccolta completa delle interviste che Calvino ha rilasciato nel
corso della sua carriera. Nei paragrafi successivi ho dedicato spazio ad una
riflessione di taglio comparatistico, raffrontando l’opera di Calvino con altri due
celebri romanzi: La modification (1957) di Michel Butor, uno dei più importanti e
originali esponenti francesi del Nouveau Roman, con cui lo stesso Calvino fu in
contatto e La storia infinita (1979) di Michael Ende, scrittore tedesco molto noto
ai giovani lettori degli anni ’70. Per quanto riguarda Butor e Calvino, ho orientato
la mia attenzione sul fatto che, entrambi, all’interno dei loro romanzi, si servono
della narrazione in seconda persona, se pur con intenti diversi; oltre alle opere
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suddette, ho ripreso alcune riflessioni tratte da un saggio di Giorgio De Piaggi, dal
titolo Saggio su La Modification di Michel Butor (1972), in cui viene proposta
un’analisi molto dettagliata dei vari aspetti del romanzo dell’autore francese.
Successivamente ho dedicato alcune riflessioni alla fiaba come elemento costante
all’interno della narrazione calviniana che, per alcune caratteristiche, possiamo
riscontrare anche in Se una notte d’inverno un viaggiatore e ne La storia Infinita.
Partendo da questa considerazione ho evidenziato come il rapporto di analogia tra
i due romanzi sia relativo al fatto che, in entrambi i casi, il lettore, da semplice
oggetto esterno al libro, sia stato elevato al rango di personaggio e protagonista;
inoltre sia Calvino che Ende, attraverso l’importanza attribuita alla funzione della
lettura e della fantasia, hanno saputo costruire una sapiente operazione
metanarrativa sottesa alla narrazione. Non avendo a disposizione studi critici
significativi sul romanzo di Ende, ho scelto di utilizzare esclusivamente i testi
relativi ai due romanzi, traendo personalmente alcuni passaggi significativi utili ai
fini della riflessione comparatistica.
Ho scelto di dedicare il terzo capitolo esclusivamente a Se una notte d’inverno
un viaggiatore, in quanto, rispetto a Michel Butor e Michael Ende, Calvino
sembra essere supportato da un livello di consapevolezza ideologica e coerenza
maggiore rispetto al suo lavoro. È chiaro che abbiamo a che fare con un’opera
che, essendo stata scritta durante l’ultima fase della carriera di un autore così
prolifico, risulta essere un po’ la somma di tutte le esperienze precedenti; dunque,
proprio perché soggetta a tante possibili riflessioni, ho scelto di indirizzare la mia
analisi esclusivamente all’aspetto relativo al ruolo dei lettori e della lettura, che
rappresentano altresì l’oggetto principale di questa tesi. Tra i saggi critici di
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riferimento mi è sembrato necessario e doveroso scegliere alcune tra le voci più
significative che, con particolare attenzione e dovizia di particolari, si sono
occupate del romanzo di Calvino: Alla ricerca del testo perduto. Il libro, la lettura
e la scrittura in Italo Calvino: Se una notte d’inverno un viaggiatore (2012) di
Rossana Avanzi, Il labirinto e la rete: percorsi moderni e postmoderni dell’opera
di Calvino (1996) di Ulla Mussarra-Schrǿeder, Calvino (2006) di Francesca Serra,
Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria (1984) di Cesare Segre,
Calvino (2001) di Silvio Perrella.
13
I.
L’AVVENTO DEL LETTORE
1. Il lettore: teorie critiche
Nei primi anni Settanta del XX secolo la teoria letteraria porta alla luce una
nuova figura che destabilizza le certezze scientiste dello strutturalismo: il lettore.
Già la critica precedente, comunque, si era occupata dei meccanismi complessi
della lettura: in particolare, la scuola neoaristotelica di Chicago, con Wayne
Booth, era giunta al concetto di un lettore implicito nel testo, che segue i percorsi
e le opinioni dell’autore, cercando di ricostruirne l’immagine mentale.
Successivamente la critica semiologica ha sviluppato ulteriormente l’idea che il
destinatario sia una funzione interna al testo e la narratologia ha analizzato la
funzione del “narratario”, configurandolo come l’ascoltatore di un racconto la cui
rappresentazione orienta la fruizione del lettore virtuale. In Teorie critiche del
novecento, la figura del narratario viene descritta partendo proprio dall’interno
della narrazione stessa
1
.
1
Secondo Chatman (Storia e discorso, del 1978) la narrazione è composta di una storia e di un
discorso, un contenuto e un’espressione; prevede un emittente (autore vero e implicito e il
narratore) e un ricevente (pubblico reale e implicito e narratario). Se il narratore impone le varie
modalità dell’informazione, il narratario è il destinatario di quell’informazione interno alla
narrazione stessa (ad esempio la brigata del Decameron). Talvolta può svolgere un ruolo come
personaggio (Manon Lescaut di Prévost) oppure no (Tom Jones di Fielding). Un caso di
combinazione dei due ruoli si può vedere nella coppia inedita di lettori-narratori del romanzo di
Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore che tratteremo in dettaglio più avanti (E. Biagini -
A. Brettoni - P. Orvieto, Teorie critiche del novecento, Carocci, Roma, 2002, p. 381).
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Il testo non rappresenta più un’entità chiusa e da decodificare, una prerogativa
imputabile al solo autore, ma assume senso e compimento solo se diviene oggetto
di un atto di lettura, che implica sempre l’incrocio di due intenzioni: quella
dell’autore e quella del lettore. Nella visione esistenzialista di J. P. Sartre, ad
esempio, questo incrocio è un rapporto di libera scelta e collaborazione. Nel
saggio Che cos’è la letteratura? del 1948, egli afferma che l’atto creatore di
un’opera d’arte resta infatti incompleto e astratto finché l’autore è solo; egli
potrebbe scrivere all’infinito , ma l’opera come oggetto non verrebbe mai alla luce
se non fosse accolta e completata dal lettore
2
.
Nella concezione nichilista di Maurice Blanchot, scrittore, critico e filosofo
francese, invece, vedere e capire l’opera d’arte, esige un sapere investito da
immensa ignoranza e un dono che non è dato in partenza ma bisogna ricevere ogni
volta, conquistare e perdere nell’oblio di se stessi. Chi legge non si aggiunge al
libro ma tende prima di tutto a liberarlo da un qualsiasi autore. Leggere non
significa scrivere il libro una seconda volta, ma far sì che il libro si scriva o sia
scritto, senza l’intervento dello scrittore, senza nessuno che lo scriva. La lettura
non fa niente, non aggiunge niente, lascia solo essere ciò che è in assoluta libertà
3
.
Georges Poulet, figura emblematica della scuola fenomenologica di Ginevra, nel
suo saggio La conscience critique del 1971, considera invece questo incrocio
come un processo di alienazione doppia e simmetrica: come l’autore ha
devitalizzato la propria identità all’interno del testo, così anche il lettore deve
assumere un altro io durante la lettura, sdoppiandosi, con l’obiettivo di costruire
insieme, attraverso incontri e scontri, un campo comune. Si tratta di ricominciare
2
J. P. Sartre, Che cos’ è la letteratura?, trad. di L. Arano-Cogliati…[et al.], Il saggiatore, Milano,
1995, pp. 23-77.
3
E. Biagini - A. Brettoni - P. Orvieto, Teorie critiche del novecento, cit., p. 230.
15
dentro di sé il processo di coscienza di uno scrittore, ritrovando, per quanto in
maniera approssimativa, il suo modo di sentire e di pensare, vedere come nasce e
si forma, quali ostacoli incontra, riscoprendo il senso di una vita che si organizza a
partire dalla coscienza che essa prende di se stessa
4
.
Un altro importante apporto filosofico alla teoria della lettura è rappresentato
dall’ermeneutica, quindi da quella filosofia dell’interpretazione che pone, come
questione fondamentale della sua riflessione, il problema di conferire un senso
oggettivo a tutto ciò che è di difficile comprensione. H. G. Gadamer ha fondato
un’ermeneutica che vede nell’opera d’arte la capacità di trasfigurare in una forma
un contenuto di verità, e di creare una fusione di orizzonti fra l’autore e i suoi
lettori. Di conseguenza, il pre-giudizio da parte di quest’ultimi, assume un ruolo
fondamentale, dato che ogni interpretazione è legata ad un preciso momento
storico e destinata alla finitezza, e dato che la vita di un’opera è nella storia dei
suoi effetti. Nel saggio di Gadamer Verità e metodo del 1983, si riflette in
particolare sul legame tra situazione storica e interpretazione: ogni epoca, infatti,
interpreta necessariamente qualunque testo in modo proprio, poiché quello stesso
testo appartiene ad una tradizione che essa ha interesse a comprendere e nella
quale si sforza di capire se stessa. Il senso vero di un’opera d’arte non si risolve
completamente nel fatto che essa dipenda da quell’elemento occasionale che è
rappresentato dal suo autore e dal pubblico originale a cui essa si rivolgeva. Ed è
proprio a questa duplicità di intenzioni che Gadamer fa corrispondere il concetto
di “orizzonte”, quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da
4
Cfr. G. Poulet, La con science critique, Corti, Paris, 1986.
16
un certo punto quel qualcosa entro cui noi ci muoviamo e che si muove con noi
5
.
Per chi si muove gli orizzonti si spostano e, allo stesso modo, anche l’orizzonte
del passato, di cui ogni vita umana vive e che è presente nei dati storici trasmessi,
è sempre in movimento. Ogni incontro con il dato storico, infatti, sperimenta in sé
la tensione fra il testo da interpretare e il presente dell’interprete. Chi vuol
comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso, deve
sviluppare una sensibilità aperta alla sua alterità. Tale apertura implica però che
l’opinione dell’altro venga messa continuamente in rapporto con la totalità delle
proprie opinioni e dei propri vissuti.
Accanto all’ermeneutica di Gadamer, predominante nella cultura novecentesca,
si è sviluppata, in parallelo, anche un’ermeneutica più tradizionale e filologica che
situa nella ricostruzione delle intenzioni dell’autore il suo fondamento e che
risolve il problema della diffusione di ogni forma d’ arte presso pubblici assai
lontani da quelli originari. Eric Hirsch, ermeneuta americano e rappresentante
autorevole di questo indirizzo, nel suo saggio Teoria dell’interpretazione e critica
letteraria del 1967, si sofferma infatti sui due concetti: il “significato”, ovvero
ciò che è rappresentato da un testo che l’autore ha voluto rappresentare mediante
una particolare sequenza di segni, e la “significanza”, che indica invece un
rapporto tra quel significato e diverse situazioni storiche e sistemi di valori
6
. Per
lui l’oggettiva “verità” del significato testuale è garantita dall’unica volontà
dell’autore. Il che non vuol dire che questo unico significato sia obiettivamente
raggiungibile, soprattutto quanto più le opere sono distanziate nel tempo e
5
Cfr. H. G. Gadamer, Verità e metodo, trad. a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 2004.
6
Cfr. E. D. Hirsch, Teoria dell’ interpretazione e critica letteraria, trad. a cura di G. Prampolini,
Il Mulino, Bologna, 1973.
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neppure vuol dire che le interpretazioni debbano risultare univoche; significa, in
altre parole, che, pur essendo possibili infinite interpretazioni distribuite nel
tempo, il significato dell’opera non cambia, perché è quello voluto e codificato
una volta per tutte dall’autore dell’opera. È chiaro che questo significato non potrà
mai essere conosciuto e compreso dal lettore con certezza, dato che non è
possibile entrare nella testa dell’autore per paragonare il significato che egli
intende con il significato che intende invece il lettore. D’altro canto non si deve
nemmeno giungere alla conclusione affrettata che il significato inteso dell’autore
sia totalmente inaccessibile e pertanto inutile oggetto di interpretazione. Sarebbe
un grosso errore, infatti, confondere l’impossibilità di comprendere con certezza,
con l’impossibilità di comprendere.
Circa il dibattito sul ruolo e la competenza del lettore, è significativo il
contributo offerto dalla scuola di Costanza e dai suoi più importanti
rappresentanti, Wolfang Iser e Hans Robert Jauss. Il primo, di posizione in
sostanza fenomenologica, sostiene che ogni opera, per sua natura, per non
disperdere all’infinito il proprio significato, programma il suo “lettore implicito”
che include tutte quelle predisposizioni necessarie all’opera letteraria per
esercitare i suoi effetti e che rappresenta un’ipotetica indicazione di ruolo per il
lettore reale
7
. È riconosciuto che i testi letterari ricevono la loro realtà dal fatto
stesso di essere letti e viceversa significa che i testi devono già contenere certe
condizioni di realizzazione che possono permettere che i loro significati siano
riuniti nella mente del fruitore. Testo e lettore quindi convergono mediante una
situazione che dipende da entrambi per la sua realizzazione e, poiché la lettura è
7
M. Fusillo, Estetica della letteratura, Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 95-96.