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INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dalla curiosità e dal desiderio di approfondire la conoscenza di un
mondo vasto e ombroso che è il mondo della melancolia e si propone di toccare le
parti più intime e sottili di questa sofferenza partendo dalla fase pre-morbosa fino ad
arrivare alla fase morbosa, il tutto attraverso il metodo della psicopatologia
fenomenologica.
Parlando di melancolia ci riferiamo alla depressione endogena monopolare.
La descrizione del termine “melancolia”, coniato dai Greci come bile nera, comparve
per la prima volta 2500 anni fa nel Corpus Hippocraticum in cui venne descritta
come uno stordimento continuo che accompagnava l’individuo che ne era colpito e si
manifestava con inappetenza, disperazione, insonnia, attacchi di rabbia e disagio.
Ippocrate fece derivare la melancolia da discrasie di sangue e di umori. In altre
parole, i melancolici contraevano la malattia quando il sangue era corrotto attraverso
la bile e la linfa e il loro stato mentale veniva disturbato.
Per Ippocrate la causa della melancolia era del tutto naturalistica e biologica.
Già il Corpus Hippocraticum riconosceva la presenza di tipi che avevano la
disposizione a contrarre determinate malattie, e tra questi vi era un typus
melancholicus che aveva in sé un’inclinazione alla malattia melancolica.
Se pensiamo a quando si è parlato della melancolia per la prima volta fino ad arrivare
ai giorni nostri diremo che la sua è una lunga storia e che oggi le cose sono un po’
cambiate.
Colui che ha preparato il cammino al nuovo lavoro sulla melancolia è stato lo
psichiatra Hubertus Tellenbach che ha costruito delle fondamenta ben più salde
riguardo ad essa. Egli ha il merito di essere riuscito ad estrarre un typus
melancholicus (TM), il quale possiede dei tratti distintivi che caratterizzano un certo
modo di essere che gravita intorno alla possibilità di sviluppare la melancolia, grazie
al lavoro con 119 pazienti melancolici in fase di remissione. In questo modo ha
estrapolato la struttura essenziale del TM, che ha come contrassegno caratteristico
l’ordinatezza, intesa nei termini di una fissazione ad evitare minacce o situazioni
problematiche, mirando a mantenere rigidamente un’armonia in tutti gli ambiti della
vita.
6
Il suo lavoro ci ha permesso di conoscere il modo in cui tale situazione pre-
depressiva si trasforma in una situazione minacciante e le modalità attraverso le quali
a questa possa seguire una vera e propria psicosi depressiva, quindi è risultato
essenziale per chiarire il rapporto tra personalità pre-morbosa e depressione
endogena.
Nello specifico lo scopo di questo lavoro è presentare e confrontare i due mondi della
vita, quello del Typus melancholicus, costrutto teorizzato da Tellenbach (1961) che,
come abbiamo detto poc’anzi, è l’individuo che presenta caratteristiche predisponenti
alla melancolia ma che non è melancolico e il mondo della vita dell’individuo caduto
nella vera e propria melancolia.
L’obiettivo è ricostruire il loro mondo vissuto che riguarda il loro modo di fare
esperienza del proprio corpo, del tempo, dello spazio, di sé e dell’altro, i cosiddetti
esistenziali, con l’obiettivo di individuare le continuità presenti tra questi due mondi
della vita.
Il vantaggio che deriva dalla conoscenza del mondo della vita sta nel fatto che,
attraverso di esso, il clinico può attribuire un significato ai comportamenti del
paziente, in altre parole restituire il carattere di logicità e sensatezza alle sue azioni e
al suo modo di essere che, senza tale conoscenza, risultano, ad un primo impatto,
incomprensibili.
La nostra esistenza è caratterizzata dal fallimento dell’incontro con l’altro o meglio
dal riconoscimento della nostra incapacità di comprendere l’altro nella sua totalità.
La malattia mentale può essere vista come l’incapacità di tollerare questo mancato
incontro.
Alla base di una patologia mentale c’è una vulnerabilità e la vulnerabilità che
caratterizza le persone predisposte alla melancolia si organizza intorno ad un
imperativo categorico che implica un forte senso del dovere nei confronti della
famiglia e del lavoro, un iperconformismo alle regole sociali e la necessità di andare
d’accordo con il prossimo, ma ciò ha come conseguenza un restringimento della
propria libertà personale.
In particolare, la persona melancolica riduce l’altro e se stesso ad un ruolo sociale,
quindi semplifica in maniera estrema l’identità dell’altro, riducendo la complessità
del suo comportamento al ruolo sociale che riveste. In altre parole, tali persone
7
tentano di risolvere la sofferenza generata dallo scacco dell’ incontro con l’altro
attraverso la riduzione dell’altro e di sé ad un ruolo sociale.
Il fallimento di questo sistema organizzato apre le porte alla melancolia le cui
caratteristiche principali sono: la colpa (il pensiero di aver trasgredito la legge o aver
violato un comandamento di Dio), la perdita della capacità di sentire e la perdita o la
diminuzione della vitalità che si esprime attraverso sensazioni di abbattimento,
debolezza e malessere fisico.
Questa tesi è strutturata in tre capitoli che sono stati realizzati grazie alla lettura di
alcuni testi e articoli scientifici.
Nel primo capitolo presenterò quello che è il mondo della vita in fenomenologia,
concetto introdotto dal filosofo Husserl, con il quale si indica il modo che ognuno ha
di vivere il proprio corpo, il tempo, lo spazio e il rapporto con gli altri e con sé, i
cosiddetti esistenziali. Riporterò come si sono evoluti questi concetti nel corso del
tempo, facendo riferimento al pensiero di diversi filosofi e psicopatologi tra cui
Husserl, Heidegger, Binswanger, Minkowsi e Fuchs.
In particolare citerò il contributo dello psicopatologo Ludwing Binswanger che è
colui che ha introdotto l’Antropoanalisi e ha dimostrato come la malattia psichica
debba essere considerata non come un evento naturale ma come una delle possibilità
originarie della condizione umana, sottolineando la necessità di considerare tanto
l’uomo sano quanto l’uomo malato appartenenti allo stesso mondo.
Nel secondo capitolo affronterò il nucleo del mio lavoro ovvero presenterò il typus
melancholicus e le sue caratteristiche delineando il suo mondo della vita e lo stesso
farò per l’individuo caduto nella melancolia grazie ad una attenta analisi dei casi
clinici di Tellenbach e riportando all’interno di tabelle le caratteristiche descrittive
per ogni esistenziale.
Infine, nel terzo capitolo, illustrerò l’incastro presente tra il mondo della vita del TM
e il mondo della vita del melancolico sulla base di quanto risultato dall’analisi
elaborata nel secondo capitolo.
Documentandomi sul mio argomento di tesi ho potuto visionare dei film che trattano
il tema della depressione, in particolare cito una scena del film “Melancholia” di Lars
8
Von Trier in cui Justine, una donna che da poco si era sposata, era caduta in uno stato
di tristezza vitale e mentre mangiava il polpettone cucinato da sua sorella Claire, che
le aveva fatto una sorpresa, disse che sapeva di cenere: la sua bocca non sentiva più il
piacevole gusto delle cose. Questo è solo uno dei tanti aspetti che caratterizzano la
depressione, un po’ come dice Artaud “ogni cosa perde il suo aroma”, e con questo
intendiamo che il melancolico non solo diviene indifferente al cibo ma all’intero
ambito delle realtà umane e cosali, chiudendosi al mondo e sprofondando sempre di
più in se stesso.
Per concludere, l’originalità di questo lavoro consiste nel fatto che esso rappresenta
un modo di conoscere il legame tra la personalità pre-morbosa e quella morbosa della
melancolia, quali differenze intercorrono tra di esse ma soprattutto quale anello le
unisce, tale conoscenza sarà fondamentale per capire quale sia il modo migliore per
comprendere e prendersi cura di un paziente melancolico.
10
CAPITOLO 1:
LA PRESENZA NEL MONDO
“Le persone viaggiano per stupirsi
delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle;
e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi.”
(Sant’Agostino)
Prima di addentrarmi in ciò che sarà il focus della mia tesi, in questo capitolo vorrei
dare un’importanza, a mio parere, inevitabile e doverosa all’uomo che c’è prima di
ogni malattia o che si nasconde dietro una possibile malattia, perché, prima di parlare
di qualsiasi malattia mentale, ritengo che sia opportuno rivolgere uno sguardo
all’esistenza umana e al suo modo unico di essere al mondo.
Anziché etichettare superficialmente un individuo come malato mentale, attenendoci
soltanto ad un mero metodo biologico e nosografico, dovremmo, secondo il metodo
della psicopatologia fenomenologica, tendere la nostra mano, orientare le nostre
orecchie, rivolgere i nostri occhi a quell’uomo, prima che al nome della sua malattia,
quell’uomo la cui sofferenza straripa dai suoi occhi, dal suo sguardo oppure dal suo
atteggiamento corporeo, dal suo modo di occupare un posto nello spazio o dal suo
modo di parlare, di sentire lo scorrere del suo tempo, di rapportarsi a sé e a gli altri o
semplicemente dal suo silenzio, come dice Giovanni Pascoli: “Il dolore è ancora più
dolore se tace.”
È importante restituire una dignità all’uomo sofferente e non considerarlo diverso
rispetto a quella che qualcuno definisce normalità, né tantomeno guardare alla sua
condizione da un punto di vista esclusivamente organico, contribuendo alla sua
depersonalizzazione, perché è pur sempre un uomo con i suoi vissuti, le sue paure, la
sua disperazione, i suoi desideri, le sue speranze.
11
Ludwing Binswanger
1
, uno dei più grandi psicopatologi del’900, è stato colui che ha
introdotto l’ “Antropoanalisi” per sollecitare la psichiatria ad un ritorno globale
all’Uomo e ad un “prendersi cura” dell’Uomo che si nasconde dietro il malato e che
é compito dello psichiatra riportare alla luce, con un fervido interesse per la sua
umanità. Cosi, le sintomatologie prendono le distanza dalla fredda nosografia e si
animano, prendono vita, lasciando scorgere la persona dietro lo sfondo della
patologia e dei rimandi anatomici.
Le malattie mentali, in questo senso, non devono essere viste e affrontate sotto la
nozione comune di malattia naturalistica che separa l’uomo malato dall’uomo sano,
ma semplicemente come differente o difettivo modo di essere: ad esempio, il
melancolico non ha la melancolia, egli è melancolico.
Parlerò, qui di seguito, dell’umana presenza, del suo essere nel mondo e dei suoi
modi di essere, in particolare mi soffermerò sul rapporto tra la persona e le
dimensioni fondamentali del mondo, cioè dei modi tipici che ognuno ha di fare
esperienza del tempo, dello spazio, del proprio corpo, degli altri e di sè, i quali
vengono definiti “esistenziali” e vanno a costituire il cosiddetto “mondo della vita”
(Lebenswelt)
2
dell’essere umano. L’analisi di queste dimensioni è alla base della
conoscenza del modo di vivere della persona e delle proprie possibilità di gestire i
rapporti con il mondo.
È proprio a partire dal mondo della vita che riusciamo a sentirci umani ed esistenti
con.
3
L’esistenza dell’uomo ammalato è immersa nel mondo della vita come la
nostra esistenza, per questo essa non può esserci così aliena ed estranea. Lo
psicopatologo si ridefinisce uomo nell’incontro con l’altro restituendo via via ad esso
la sua umanità.
1
Ludwing Binswanger (1881-1966) è colui che ha fondato la Daseinsanalyse, termine tradotto
letteralmente con ‘analisi dell’esserci’ oppure ‘Antropologia fenomenologica’. Egli ha ripreso la
caratterizzazione heideggeriana dell’uomo come essere nel mondo e ha contribuito con il suo pensiero
alla comprensione della schizofrenia, della melancolia e delle psicosi maniaco-depressive.
2
Termine introdotto da Husserl che si traduce con mondo vissuto o mondo della vita. Husserl (1859-
1938) è un filosofo e matematico austriaco naturalizzato tedesco, fondatore della “fenomenologia”.
3
B.CALLIERI, M. MALDONATO, G. DI PETTA, “Lineamenti di psicopatologia fenomenologica”
(1999), Alfredo Guida Editore, Napoli, pp.79
12
“Solo chi vive può comprendere il mondo della vita, solo chi è
disponibile a entrare nello stesso paesaggio, non come reporter ma
come attore, può accostare chi da tempo vi vive già, anche solo e
lontano dal mondo comune di tutti gli altri.”
4
Mondo, corpo, tempo, spazio, e identità, sono, per dirla alla maniera di Binswanger,
le Grundformen, ovvero le conformazioni tematiche fondamentali dell’umana
presenza.
5
Attraverso la riproduzione del mondo della vita dell’uomo sano sarà possibile
giungere alla comprensione del mondo della vita dell’uomo ammalato.
In questo capitolo farò riferimento ad alcuni articoli scientifici e ai testi: “Psichiatria
e fenomenologia” di Galimberti, “Alterità e alienità” di Cargnello, “Lineamenti di
psicopatologia fenomenologica” di Callieri, Maldonato e Di Petta, “Melanconia e
mania” di Binswanger, “Malinconia” di Borgna e “Tristezza vitale” di Gozzetti.
4
Ivi, p.73
5
Ivi, pp.14-15
13
1.1 L’umana presenza e i suoi modi di essere
“Anzitutto si tenga ben fermo cosa significhi essere un uomo”.
(L. Binswanger)
“Abitare è la proprietà essenziale dell’esistenza.”
(M.Heidegger)
Il punto di partenza di Binswanger è la presenza umana (Dasein) nel suo “essere nel
mondo” (In-der-Welt-sein), termine utilizzato da Heidegger.
L’umana presenza è nel mondo in un duplice senso: 1) nel senso del suo ex-sistere,
del suo a priori “star fuori”; 2) e nel senso che essa “è nel”, ma questo nel non va
inteso come un qualcosa che viene contenuto in un contenente, ma nel significato
preciso di abitare
6
.
Heidegger, infatti, afferma che l’umana presenza è nel mondo per quanto
propriamente lo abita. Egli utilizzando il termine mondo, sostiene che esso non è solo
il mondo circostante (“Um-welt”), l’ambiente, ma che è anche un “Mit-dasein”, un
con-esserci, un mondo fatto di altri con cui vivere. Essere nel mondo significa,
pertanto, essere nel mondo con i propri simili, essere con le altre esistenze (Mit-
Daseiende) e ogni esistenza è originariamente una coesistenza (Mit-Dasein).
7
Il fatto che l’essere umano sia con-cresciuto ovvero cresciuto insieme con
l’ambiente, che si costituisce come il suo proprio mondo (Um-welt), gli permette di
svilupparsi come psiche e porre le basi per relazionarsi con altri individui: la
soggettività nasce come intersoggettività nella reciprocanza dell’incontro con l’altro.
6
D.CARGNELLO, “Alterità e Alienità” (2010), Giovanni Fioriti Editore, Roma, Nota alla Seconda
Edizione, p. XXV
7
U.GALIMBERTI, “Psichiatria e fenomenologia” (2011), Feltrinelli, Milano, pp.223-224
14
Per ogni essere umano la relazione significativa con il mondo delle cose si regge
sulla relazione con altri esseri umani, sulla con-passione del prossimo.
8
Quando parliamo dell’umana presenza, tuttavia, dobbiamo avvalerci del concetto di
norma, intesa come i diversi modi con cui può progettarsi l’umana presenza. Ogni
modo di essere ha la sua norma, che lo regge, lo modera e influenza le varie
manifestazioni con cui si esprime. La norma di un modo è, dunque, il suo significato
essenziale. Un modo è tanto più ricco quanto più garantisce alla presenza la
possibilità di testimoniarsi ed esprimersi autenticamente, ovvero quanto più riesce a
costituirsi in coesistenza: non ci può essere Dasein (esserci) senza un Mit-Dasein
(compresenza).
9
I modi, tuttavia, possono essere ordinati a seconda del poter essere (posso
liberamente essere, sottratto dagli altrui condizionamenti); avere il permesso di
essere (posso essere me stesso ma solo nel ruolo che mi è concesso); essere costretto
ad essere (non posso essere se non nel segno di un’altrui imposizione).
10
Le configurazioni dell’alienità sono delle testimonianze estreme dell’essere costretto
ad essere.
Binswanger, studiando le psicosi, asserisce con stupore che, queste deviazioni dalla
norma, non devono essere considerate solo negativamente e quindi come antitesi alla
norma, ma esse corrispondono ad una nuova norma: ad una nuova forma di essere-
nel-mondo.
11
In occasione di qualsiasi malattia, l’ordine della presenza subisce un profondo
capovolgimento che non è una conseguenza della malattia, ma ne è piuttosto la sua
essenza.
12
Essere ammalato significa distogliere la propria intenzionalità dal mondo e non
essere più in grado di progettarsi nel mondo.
Il corpo da soggetto di intenzioni, diventa, con l’insorgere della malattia, oggetto
intenzionato e l’individuo, che prima viveva per il mondo, si trova improvvisamente
8
B.CALLIERI, M. MALDONATO, G. DI PETTA, “Lineamenti di psicopatologia fenomenologica“,
cit, pp. 20-21
9
D.CARGNELLO, “Alterità e Alienità“,cit, p.5
10
Ibidem
11
E. BORGNA, “Malinconia” (2011), Feltrinelli, Milano, p.17
12
U.GALIMBERTI, “Psichiatria e fenomenologia”, cit, p.269
15
a vivere per il suo corpo, mentre le cose del mondo svaniscono per avvolgersi in una
penombra che ogni giorno diventa sempre più buia (Galimberti).
13
In questo senso, dice Binswanger, la presenza non riesce a esistere liberamente nel
mondo, ma è sempre più consegnata a un particolare progetto dal quale viene
afferrata e sopraffatta.
14
Binswanger, come abbiamo anticipato in precedenza, non distingue tra sano di mente
e alienato perché, per lui, tanto la persona sana quanto quella malata di mente
appartengono allo stesso mondo, anche se l’alienato vi appartiene in un modo
diverso. Pertanto, l’alienato non smette di essere un’umana presenza, progettante un
mondo, l’unica cosa che lo distingue è che il suo è un mondo chiuso, oppositivo,
negatore, vanificatore, persino nientificatore ma pur sempre un mondo.
15
In questa
prospettiva l’alienato non è più colui che vive fuori dal mondo, ma colui che
nell’alienazione ha trovato l’unico modo possibile di essere nel mondo, essendo
l’alienazione un estremo tentativo di diventare, nonostante tutto, se stesso.
16
Le diverse manifestazioni dell’alienità (le manie, le melancolie, le schizofrenie
etc…) hanno un loro linguaggio. I malati mentali “sono” dei maniaci, dei
melancolici, degli schizofrenici ma non “hanno” la mania, la melancolia, la
schizofrenia in quanto, la malattia mentale, nel suo esprimersi, si rifà alla sfera
dell’essere e non a quella dell’avere.
I modi dell’alienità sono modi più o meno poveri, lontani dall’autenticità del
completo incontro interumano. Per essi la storia interiore della presenza si rallenta e
si riduce a mera ripetizione.
17
L’alienazione altro non è che un impedimento ad
essere insieme con un altro in reciprocità (Binswanger).
18
In tal senso, la malattia psichica non può essere più considerata come un evento
naturale, ma come una delle possibilità originarie della condizione umana,
contrassegnata dalle stesse strutture fondamentali, anche se nella loro metamorfosi
13
Ivi, p.270
14
G.GOZZETTI, “La tristezza vitale. Fenomenologia e psicopatologia della melanconia” (2008),
Giovanni Fioriti editore, Roma, p.37
15
D. CARGNELLO, “Alterità e alienità”, cit, pp.4-5
16
U.GALIMBERTI, “Psichiatria e fenomenologia”, cit, p.224
17
D.CARGNELLO, “Alterità e alienità”, cit, p.6
18
Ivi, p.136