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CAPITOLO 1. Le radici dell’influenza pubblicitaria sulle abitudini dei bambini
1.1. Bambini e consumismo: analisi sul contesto storico-culturale
Nel corso del XX secolo, con l'avvento delle tecnologie di comunicazione, le imprese hanno
progressivamente ampliato le proprie strategie per penetrare all'interno delle case e delle famiglie.
Questo fenomeno si verificava, seppur con modalità differenti, già a partire dagli anni Trenta, quando
i giornali e le riviste di pubblicità iniziarono a raggiungere direttamente l’individuo attraverso la
consegna a domicilio (Cashman, 1989). Ma questo fenomeno si verificava anche attraverso le
trasmissioni radiofoniche: già nei primi anni Quaranta, i due terzi dei programmi radiofonici erano
intervallati da pubblicità, le quali erano in grado ai influenzare un sempre più alto numero di
spettatori, facilmente manovrabili a causa della mancanza di alfabetizzazione (Cashman, 1989).
Proprio al radio e la televisione sono i media che hanno maggiormente riconfigurato i diversi aspetti
della vita di tutte le fasce d’età: in particolar modo, quelli che sono stati, e sono ancora, maggiormente
colpiti dalla potenza e prepotenza mediatica di questi mezzi, sono i bambini ed i giovani. Tuttavia, il
cambiamento più profondo si è verificato con l’avvento di rete e di Internet, che ha costantemente e
gradualmente trasformato la vita di tutti noi, dalla vita quotidiana al sistema comunicativo: essa non
consente solo la comunicazione uno-a-molti o uno-a-uno, ma anche quella molti-a-molti, tipico
dell’attuale network society (Castells, 2001). La stessa rete ci consente di trasformarci in produttori
di contenuti, e non semplicemente fruitori: attraverso la realizzazione di foto, video, recensione di
prodotti, produciamo i cosiddetti UGC (User Generated Content) (Livingstone, 2009). Stando ad
un’indagine condotta da Pew Research Centre
1
in ambito statunitense, più del 64% degli adolescenti
realizza e condivide i propri contenuti online, che siano fotografie, video, o la creazione di un blog.
(Lenhart, Madden, Smith, & MacGill, 2007)
2
. Per giunta, molti di noi possono essere definiti come
produttori di contenuti. Tuttavia, è necessario considerare l’aspetto prettamente sociale, un
ribaltamento dei ruoli, che differenzia i nuovi media da quelli precedenti: una differenza: si tratta
della prima volta in assoluto in cui i giovani ed i bambini possiedono abilità e competenze superiori
rispetto agli adulti; questi, gli “immigrati” hanno un accesso e gestione di internet e dei nuovi media
più difficile rispetto ai giovani, i “nativi”. (Prensky, 2001).
Difatti, nel corso della storia, i bambini non hanno mai ricoperto un ruolo rilevante all’interno della
società, contrariamente a quanto si sta verificando negli ultimi decenni. Andando a ritroso nel tempo,
nel Medioevo, gli infanticidi e violenza nei confronti dei bambini erano molto frequenti; il periodo
dell’infanzia era molto breve: durava al massimo fino ai 7 anni, diventando subito adulto con la
responsabilità di imparare un mestiere. La situazione va peggiorando durante la rivoluzione
industriale con un aggravamento dello sfruttamento minorile, ma che migliora progressivamente
all’inizio del ‘900, quando psicologi e sociologi iniziarono a porsi domande sui bisogni dei piccoli
sfruttati e maltrattati
3
. Si è giunti ad un punto di svolta fondamentale con la Convenzione sui Diritti
dell’Infanzia (New York, 1989), garantendo diritti basilari a tutti i bambini, ovvero, tutti i minori di
18 anni
4
. È così che i bambini sono diventati parte integrante della società dei consumi
5
, in seguito
alla trasformazione del concetto di infanzia e del ruolo svolto dai bambini nella società stessa.
1
Il Pew Research Centre è un centro di studi statunitense apartitico; fornisce informazioni su argomenti e problemi
attuali nel mondo.
2
https://www.pewresearch.org/internet/2007/12/19/teens-and-social-media/ [sito consultato in data 30/12/2023]
3
https://darevocealsilenzio.it/storia-infanzia/ [sito consultato in data 30/12/2023]
4
https://bitly.ws/38ypg [sito consultato in data 30/12/2023]
5
La società dei consumi si è sviluppata nell’Europa Occidentale in seguito alla Seconda Guerra Mondiale ed è segnata
da un progressivo aumento del tasso di acquisti di tutti quei prodotti classificati come “secondari”, di lusso
6
L'interesse per il mondo dell'infanzia si è manifestato, come dimostra McNeal
6
, a partire dal noto
boom economico verificatosi in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, al quale consegue un aumento
del tasso di natalità senza precedenti nei Paesi sviluppati: questo fenomeno ha indotto le imprese ad
interessarsi a questa nuova categoria di consumatori e soddisfare le loro possibili esigenze,
comprendendo il vantaggio economico che il mercato rivolto ai bambini avrebbe potuto procurare
loro (McNeal, 1992).
Per l’appunto, Schor
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parla di una “commercializzazione dell’infanzia”: i bambini sono diventati dei
veri e propri soggetti attivi nel mondo dei consumi, poiché le aziende permeano ogni aspetto della
loro vita, dall’educazione al tempo libero (Schor, 2005); il marketing rivolto ai bambini è un settore
molto vasto. Per di più, i bambini entrano a far parte della società dei consumi ancor prima di nascere,
in quanto portano le future mamme a considerare l’acquisto di prodotti specifici che saranno utili al
nascituro, quali un fasciatoio, lettino ed altri prodotti da corredo (Ironico, 2010).
C’è un motivo preciso per il quale i bambini, nel corso degli anni, sono diventati bersaglio delle
strategie di marketing delle aziende: possono legarsi ad un brand per la vita. Nel momento in cui si è
concluso il processo di fidelizzazione del cliente, è difficile che questo possa tradire la marca, anche
quando si tratterebbe di acquistare prodotti qualitativamente migliori a prezzi più convenienti. Per far
sì che ciò accada, è indispensabile dover creare un rapporto di fiducia reciproca tra l’azienda e il
consumatore. E proprio in ragion di ciò, molte aziende, tra le quali Ralph Lauren e Harley Davidson,
realizzano prodotti anche per bambini di età inferiore ai 3 anni (Linn, 2004). Seppur i bambini, alla
tenera età di sei mesi, non hanno le capacità fisico-cognitive di dover richiedere ai propri genitori
volontariamente un prodotto specifico, sono comunque in grado di esprimere, sebbene con semplici
gesti, preferenze per una marca piuttosto che un’altra (Linn, 2004)
Ad oggi, le aziende sono in grado di raggiungere il loro pubblico, e in particolar modo i bambini,
attraverso vari medium, quali andremo a vedere la televisione ed i nuovi media, ed in diversi contesti,
dalle case alle scuole.
1.2. Televisione e pubblicità: come questa raggiunge il suo target
Già a partire dagli anni Cinquanta, quando la televisione si è diffusa a scala mondiale, questa è
stata il medium principale, attraverso la pubblicità, per raggiungere i bambini (McNeal, 1992). Ma
soprattutto negli ultimi decenni, la televisione è diventata parte integrante della vita di tutti noi,
insediandosi nelle nostre case, nei nostri spazi e nella quotidianità. Quella della televisione non è una
presenza statica e passiva, in quanto, nel corso di diversi decenni, ha subito una progressiva
evoluzione. La televisione ha vissuto una fase iniziale, quella della tv famigliare (Morley, 1986) che
vede questo medium, sia dal punto di vista fisico che simbolico, al centro delle dinamiche della vita
in famiglia, per poi arrivare ad un uso sempre più individuale con la fase della bedroom culture
multischermo (Livingstone, 2007), in cui i bambini ne avevano a disposizione un apparecchio nella
loro camera da letto. Altri mezzi di comunicazione di massa, quali la radio e il computer, hanno visto
un’evoluzione analoga: iniziano la propria “vita” domestica nel soggiorno, luogo per antonomasia di
riunione della famiglia, per poi espandersi negli altri ambienti della casa. Ciò è dovuto a delle
questioni puramente economiche: man mano che questi dispositivi diventano sempre più reperibili e
raggiungono le masse, i loro prezzi subiscono un drastico calo, cosicché ogni famiglia possa
permettersi l’acquisto di più dispositivi (Livingstone, 2009).
I bambini sono sempre più esposti alla televisione, la quale, attraverso pubblicità e programmi
televisivi, riesce a raggiungere facilmente il target di riferimento. Bisogna specificare che non tutte
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James McNeal è stato professore di Marketing presso la Texas A&M University e autore di diversi libri e articoli
improntati sullo studio dei bambini e delle strategie di marketing indirizzate ad essi.
7
Juliet B. Schor è un'economista e sociologa presso il Boston College, con un focus di ricerca su lavoro, consumo e
cambiamenti climatici.
7
le pubblicità sono uguali: se da una parte abbiamo la pubblicità progresso con l’obiettivo di
trasmettere valori positivi e mostrare dei modelli comportamentali corretti, dall’altra abbiamo gli spot
pubblicitari, il cui scopo è unicamente quello di vendere un prodotto, non curanti dei valori che
trasmettono, che diventano quasi totalmente irrilevanti (Linn, 2004). Purtroppo, la maggior parte delle
pubblicità e spot che passano in televisione sponsorizzando prodotti e servizi, hanno meri scopi
commerciali: più un bambino guarda la televisione, più è esposto a queste pubblicità e spot che hanno
lo scopo di vender loro dei prodotti.
Gradualmente, si vanno intensificando i canali televisivi dedicati ai più piccoli nei quali, tra un
programma e l’altro, sono inseriti spot pubblicitari di prodotti, quali giocattoli, snack, videogiochi,
che hanno i bambini, per l’appunto, come target. Lo step successivo è stata la nascita di cartoni
animati creati ad hoc per pubblicizzare prodotti all’interno del programma stesso: in questo modo,
personaggi e storie sono collegati ad articoli per bambini andando a rendere sempre più labile il
confine tra pubblicità e programma
8
. Il primo esempio di questo tipo di programma sono stati i
Teletubbies, trasmessa nel 1997 per la prima volta dalla BBC
9
(British Broadcasting Corporation),
arrivando negli Stati Uniti solo l’anno successivo tramite la PBS
10
(Public Broadcasting Service). I
Teletubbies sono figure umanoidi che pronunciano parole e suoni indecifrabili, simili a quelli di un
bambino; ognuno di loro presenta un televisore incastonato nella pancia che trasmette video di
bambini e adulti in un clima di affetto e serenità, il tutto immersi in un paesaggio quasi magico,
aspetto tipico della pubblicità (Linn, 2004). A conferma di quanto affermato precedentemente, per
celebrare il lancio di questo nuovo programma, l’1 settembre 1998, la PBS Kids
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aveva distribuito
gadget dei Teletubbies direttamente in un ospedale ai neonati, per includerli nel mondo del
commercio sin dalla nascita, letteralmente. Importante ricordare un evento che, nella storia della PBS
e della pubblicità, ha segnato una tappa importante: nel 1995, la rete pubblica statunitense ha subito
tagli ai finanziamenti provenienti dal governo, il che ha portato ufficialmente all’inserimento di spot
promozionali trasmessi nell’intervallo tra un programma e l’altro: Microsoft, per citare una delle
aziende più importanti con le quali la PBS ha collaborato (Linn, 2004). Durante i primi anni di
contratto, la collaborazione Teletubbies-Microsoft ha portato alla luce dei nuovi giocattoli interattivi
e software: avendo alla base il legame con la PBS, i genitori tendono a considerare l’utilizzo da parte
dei propri figli di questi dispositivi elettronici come “educativo” (Linn, 2004): quest’etichetta spinge
i genitori a circondare i propri figli di dispositivi elettronici di ogni sorta. Per giunta, alla fine degli
anni ’90, si è verificato un aumento significativo di video con la presupposta facoltà di supportare il
cervello dei bambini nel loro sviluppo: esempi di questi video sono Baby Einstein e Baby Genius.
Ipotizzando che lo scopo educativo porti effettivi risultati, i genitori pensano che le classiche attività
di apprendimento, quali leggere storie, parlare e cantare, non siano sufficienti: sono necessari la
televisione e altri dispositivi.
Non solo PBS Kids, ma esistono tanti altri canali televisivi creati appositamente per bambini, quali
Disney Channel, Cartoon Network e, per quanto concerne la televisione italiana, K2, boomerang, Rai
Yoyo e Frisbee.
Generalmente parlando, la pubblicità televisiva non colpisce soltanto i bambini, ma, in modo
altrettanto subdolo, anche i genitori, rendendo anche loro consumatori fedeli (Gambaro, 2010). È il
caso di menzionare la Walt Disney Company, capace di fidelizzare anche gli adulti utilizzando nei
loro cartoni animati personaggi che sono famigliari agli adulti, e può dunque influire positivamente
8
https://www.articolo21.org/2015/03/linfluenza-della-pubblicita-sui-bambini/ [sito consultato in data 01/01/2024]
9
La BBC è l'istituzione preminente nel servizio pubblico radiotelevisivo nel Regno Unito e svolge un ruolo
significativo nella diffusione di informazioni, intrattenimento ed educazione
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La PBS è ente statunitense senza scopo di lucro che si occupa della trasmissione di programmi televisivi e fornisce
contenuti educativi alle stazioni televisive pubbliche negli Stati Uniti
11
La PBS Kids è una divisione della PBS dedicata esclusivamente alla trasmissione di programmi per giovani e
bambini
8
sulla loro percezione dei messaggi pubblicitari rivolti ai loro stessi figli: ciò equivale ad un aumento
del fatturato delle aziende
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(Gambaro, 2010).
1.3. il marketing alimentare
Gli spot pubblicitari di prodotti alimentari destinati ai bambini rappresentano il più vasto settore
di marketing avente questo target (Williams, Achterberg, & Sylvester, 1993): questi prodotti sono per
la gran parte ricchi di calorie, grassi e zuccheri (Kotz & Story, 1994). Più tempo i bambini trascorrono
davanti alla televisione, più sono sottoposti a questo genere di pubblicità, e più aumentano le
probabilità di cadere nell’obesità, una problematica particolarmente diffusa nella popolazione
statunitense, e particolarmente preoccupante nei più giovani. Come menzionato in precedenza, una
strategia di marketing attuata molto spesso dalle aziende è quella di dover associare un prodotto ad
un specifico programma televisivo: in tal modo, un bambino sarà più propenso a scegliere il prodotto
associato al suo cartone animato preferito, e dunque indirizzato all’acquisto dello stesso.
In aggiunta, per allettare il proprio target, le aziende di prodotti alimentari si concentrano
maggiormente sul concetto di divertimento, mettendo in secondo piano il gusto: il termine
eatertainment
13
rappresenta perfettamente il fenomeno descritto (Gowar & Rees, 2002): si associa,
dunque, il gusto al divertimento, inserendo negli spot scene di amici, eccitazione, felicità, azione per
rendere l’idea: ma nessuno di questi rappresenta un buon motivo per mangiare (Linn, 2004).
Un altro aspetto su cui le aziende si focalizzano nel processo di realizzazione di una pubblicità è il
fattore “autorità”, “controllo”: prodotti alimentari, come snack, dolciumi e caramelle, possono aiutare
i bambini a soddisfare questo loro bisogno, soprattutto perché spesso vengono acquistati con i loro
risparmi. Secondo le affermazioni di Gene Del Vecchio
14
, «i bambini reagiscono bene verso quei
prodotti che permettono loro di operare delle scelte e trasmettono un senso di controllo» (Gene del
Vecchio, 2002)
15
. Puntare sul fattore “autorità” ha effetti positivi per le aziende, è una strategia
funzionante, poiché sfrutta la vulnerabilità dei più piccoli, considerando che i bambini non ricoprono
un ruolo “di potere” in nessun aspetto della loro vita, che sia la scuola o la famiglia; d’altra parte, non
c’è alcun effetto positivo per i bambini, in quanto le caramelle non rappresentano un cibo salutare.
Molto spesso, le aziende indirizzano le loro campagne pubblicitarie agli adulti per raggiungere di
conseguenza i bambini: puntano sul fattore “educazione”. Ogni genitore desidera che il figlio riceva
la migliore educazione possibile, e in ragion di ciò, molti libricini creati appositamente per neonati
presentano immagini di prodotti, quali snack o junk food: ne è un esempio il fascicoletto “il libro per
contare di M&S”. Questa scelta ha delle fondamenta importanti: gli esperti consigliano caldamente
di leggere ai propri figli sin da quando sono piccoli per due motivi significativi: sostenerli nel loro
sviluppo cognitivo ed instaurare un ottimo legame sin dai primi mesi di nascita (Linn, 2004).
Se da un lato abbiamo il problema dell’obesità legato al marketing alimentare, e quindi l’aumento di
peso, dall’altro lato troviamo il problema opposto, quella della perdita eccessiva di peso, che colpisce
maggiormente le ragazze. Le modelle che sono al centro delle pubblicità televisive, soprattutto quelle
che riguardano la vendita e promozione di cibo spazzatura, incarnano un esempio non sano da seguire,
in quanto molte di loro sono sottopeso o anche malnutrite. Alcuni studi effettuati in Italia dimostrano
come la pubblicità agisce sulla vulnerabilità dei soggetti: le ragazze che seguono un’alimentazione
sana e bilanciata sono meno dipendenti rispetto a quelle che, invece, soffrono di disturbi quali bulimia
e anoressia (Owens, 2000). Questo perché la pubblicità, che sia di cibo o altri prodotti indirizzati ai
12
Questa dichiarazione sulla Walt Disney è stata ricavata da Anna Gambaro durante la conferenza “Baby & Kid
marketing”, Somedia, Milano, Febbraio 2008
13
Eatertainment è un neologismo creato dall’unione di due termini preesistenti: eat (mangiare) e entertainement
(divertimento)
14
Gene del Vecchio è un consulente di intrattenimento, ricercatore ed insegnate di marketing dell’intrattenimento
presso la USC Marshall School of Business
15
Gene del Vecchio citato in Mary Ellen Kuhn, 'Connecting with Kids: Understanding a Child's Psyche Is a Good Place
to Start When Courting this Appealing Demographic Segment' , Special Report, Confectioner 86 (10) (2002): 18